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Autore: Terre_del_Nord    18/09/2010    27 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is
Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Storm in Heaven - III.006 - Storm in Heaven (1)

III.006


Mirzam Sherton
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971

Jarvis fissò attentamente il colletto della mia tunica poi, per l’ennesima volta, si allontanò di un passo per controllare l’abito nella sua interezza: mi aspettavo che iniziasse di nuovo a girarmi attorno, lentamente, indicando all'Elfa gli ultimi dettagli che ancora non lo convincevano, imponendomi di stare dritto e tenere una posa da modello, stavolta invece si fece da parte e mi permise di guardarmi allo specchio.

    “Ce l’abbiamo fatta! Stavolta sei pronto! Ora possiamo scendere, ma prima vorrei ricordarti... ”

Io, però, non gli prestavo già più attenzione, la stanza, intorno a me, era sparita, tutta la mia concentrazione andava alle vesti che avevo indossato: le avevo provate molte volte ma... quando mi guardai, fui travolto dall’emozione perché, finalmente, tutto stava per compiersi. Mi controllai da vicino il viso: Jarvis mi aveva aiutato e ora, grazie a Incantesimi e Pozioni, non si vedevano più segni, tagli o lividi a testimoniare la terribile nottata appena trascorsa, di diverso dal solito c'erano solo i capelli, che arrivavano appena a sfiorarmi le spalle, -non ricordavo di averli mai portati tanto corti dopo la fine della scuola- e la sensazione strana del volto di nuovo privo di baffi e barba, dopo le ultime settimane passate a farli crescere solo per il Rito. E quella sottile linea di Rune lì, proprio al centro del mento! Andai a toccarla: le Rune erano visibili, ma al tatto non erano in rilievo come tutte le altre.

    “Sono lisce, così la barba ti crescerà normale, senza segni strani, anche se ci sono sotto le Rune.”

Lo guardai e sorrisi: a chi importava della barba? Quelle erano le Rune che già sentivo di amare più di tutte, come quelle alle mani che mi legavano a mia sorella e alla mia sposa: non mi sarei più fatto crescere la barba, mai più, volevo che si vedessero, che tutti vedessero quei segni, testimoni delle responsabilità che mi ero assunto di fronte a Herrengton, come un vero uomo. Scesi con lo sguardo lungo la mia figura, mi guardai le mani, le maniche della tunica, i sottili dettagli: avevo sempre amato gli abiti tradizionali e quello era per me il più bello, forse perché l'avevo sospirato a lungo, arrivando spesso a disperare di poterlo mai indossare per la donna che avevo nel cuore. Secondo la Tradizione del Nord, l'abito nuziale non prevedeva pantaloni, ma io li avevo voluti ugualmente, verde smeraldo, rifiniti ai bordi e ai lati con leggere decorazioni in argento; sopra, a pelle, andava la classica tunichetta di seta avorio, che arrivava appena a metà coscia, aderente e scollata, tutta ricamata con analoghe rifiniture, sopra la quale c'era la tunica cerimoniale, lunga fino ai piedi, anch'essa verde slytherin, di cui alla fine sarebbero stati visibili solo l'alto colletto ricamato e le maniche dai polsini e dagli avambracci rifiniti con le stesse decorazioni in argento. Sopra, a memoria dell'epoca in cui eravamo sempre in guerra, andava indossata la cotta d'argento Elfico, nascosta sotto un'altra tunica di seta verde di tonalità più chiaro, semitrasparente, semplice e liscia, ampia, senza maniche e con lo scollo circolare, fermata ai fianchi da un'alta fascia di seta argento. Completava il tutto la tradizionale “zimarra”, il soprabito da Mago che lasciava intravvedere solo in parte gli strati sottostanti, anch'essa verde smeraldo, ampia, con le grandi maniche lunghe fin quasi a terra, e tutte le bordature rifinite di argento, chiusa in vita dalla cintura a dischi d'argento che reggeva anche il ricco fodero e la spada di Hifrig; lateralmente la sommità delle maniche era ornato da un sobrio coprispalle di pelliccia, da cui scendeva il mantello slytherin: entrando nella Sala di Habarcat, avrei dovuto sollevare il cappuccio, mantenendo così il viso coperto per tutta la durata della cerimonia, finché il celebrante non avesse completato le formule rituali e avesse dichiarato me e Sile marito e moglie. Ai piedi avevo degli stivali alti, di pelle di Nero delle Ebridi, al collo avrei indossato il medaglione di Orion Black e all'anulare sinistro, in aggiunta agli anelli che portavo sempre, quello che mi aveva donato la sera prima mio padre, una fedina semplice, di oro bianco, con incastonati due smeraldi disposti ai lati di una H e una S d’argento, intrecciate: faceva parte di quelle reliquie di famiglia che erano tramandate non per via ereditaria ma come dono personale, mio nonno l'aveva regalato a mio padre per le sue Rune dei ventuno anni e mio padre a me per il matrimonio. Un giorno l'avrei donato anch’io a uno dei miei figli, in un'occasione importante. Ripensai al bambino delle mie visioni e l'emozione mi travolse definitivamente.

    “Andiamo, Mirzam, si sta facendo tardi… è ora di scendere dagli ospiti… ”
    “Aspetta, prima devo indossare il medaglione dei Black, ma non ricordo dove l’ho messo…”

Mi guardai attorno come un predatore a caccia, osservando la stanza ridotta a un campo di battaglia, con la bacchetta, estratta dalla zimarra, buttai per aria tutto ciò che si era depositato sulle poltrone e sulle coperte del mio baldacchino, muovendomi lentamente tra i mobili, inseguito da Kreya che, zampettando qua e là, cercava disperata di sistemarmi le ampie maniche della veste, o i bordi del mantello, perché stavo di nuovo alterando la perfezione del vestito, conquistata con molta difficoltà. Sbuffai innervosito dal contrattempo e guardai fuori dalla finestra: il sole pallido era già salito lungo i costoni di roccia e faceva capolino sopra le punte innevate degli alberi, ricordandomi che mancava poco, tragicamente poco, all'inizio della Cerimonia; Jarvis, da bravo testimone, mi aveva tranquillizzato, ma la verità era che avevo riposato troppo di ritorno dalla grotta, avevamo impiegato troppo tempo durante la Vestizione e ora eravamo in spaventoso ritardo.

    “Calmati, saranno qui, nascosti da qualche parte, sotto le custodie dei vestiti! O, magari, li ha già presi tuo padre, per consegnarne uno a Sile. Ora però stai fermo, faccio io, o finirai col rovinare l’abito!”
    “Mio padre non è ancora ritornato dalla grotta, Jarvis, e i medaglioni erano qui al nostro arrivo!”
    “Allora sono qui dentro: è tutto a posto, Mirzam, un bell'Accio ed è tutto risolto! Ma stai buono!”

Warrington aveva ragione, dovevo affrontare la situazione con calma e razionalità, i medaglioni non potevano essere spariti da soli e, seppur poco, c'era ancora tempo prima di dover affrontare gli ospiti. Quello che provavo era un autentico attacco di panico, la prospettiva di arrivare in ritardo o di fare qualcosa di sbagliato e imbarazzante, mi aveva già riempito di ansia e ora un problema pratico e oggettivo, come la scomparsa degli astucci con i gioielli, peggiorava la situazione: quando Jarvis recitò tre volte l’Incantesimo e dei cofanetti non apparve traccia, ricominciai a sudare freddo.

    “D'accordo, ora ragioniamo con calma... potrebbe averli presi Fear, vuole farne dei potenti Amuleti. Forse si è già messo all'opera... Lo conosci, se non s’impiccia, non è soddisfatto! Eheheh!”
    “C'è poco da ridere, Jas! Se non saltano fuori prima dell'arrivo di Walburga Black, non basteranno tutti gli Amuleti del mondo per salvarmi, mi lancerà addosso le sue simpatiche Fatture! E nemmeno tu la passerai liscia: sei il mio testimone, ti riterrà responsabile, trascinerà all'inferno anche te, con le sue urla!”

Nonostante tutto, l’agitazione, l’ansia, la tensione, a quel punto riuscii a ghignare: Warrington aveva cambiato atteggiamento all'istante, una nota di preoccupazione sincera a oscurare la faccia da schiaffi con cui si rivolgeva a me da quando l'avevo nominato mio testimone di nozze, perché la nomea di donna spietata e vendicativa che seguiva Lady Black era ben nota anche a lui e, citandola, mi ero assicurato il suo assoluto sostegno per ritrovare quei benedetti gioielli. Certo, l'idea che i cofanetti fossero in mano a Fear... Non ci avevo pensato fino a quel momento, ma di colpo timore si aggiunse a timore: tornati al Manor, mentre riposavo, Fear era sparito, benché dovesse assistere alla Vestizione, insieme a Jarvis. Mi chiesi ansioso cosa stesse combinando, solo, in giro per il castello, senza il controllo di mio padre: di sicuro, quando l'avessero scoperto, i miei non ne sarebbero stati per niente contenti. Di colpo, però, Fear fu l’ultimo dei miei pensieri: mi bloccai senza fiato davanti al letto, una fitta dolorosa a un fianco, la sensazione di una morsa opprimente alle costole che non mi faceva respirare.

    “Dannata cotta! L’hai stretta troppo, Jas, non riesco a respirare, né a muovermi! Fai qualcosa!”

Quando mi ero infilato la tunica e la cotta, Warrington era passato dietro di me per aiutarmi a chiuderla, ma aveva serrato troppo le cinghie di cuoio che la bloccavano, impedendomi quasi di respirare.

    “Quanti lamenti, Sherton! Lo sai, la cotta deve donare allo sposo un aspetto austero, perché è sconveniente che un Mago del Nord, qualunque età abbia, si sposi con l'aria scanzonata di un ragazzino imberbe! Inoltre, se è vero che tu dovrai arrovellarti per ore, per venire a capo dei trucchi del vestito della sposa, cercando di evitare le deliziose trappole che in questo momento le damigelle stanno disseminando tra le sue vesti, tradizione vuole che anche la sposa debba soffrire un po', prima di ottenere i tuoi favori. Perciò basta con i lamenti e ricorda, niente scorciatoie: per una lunga vita prospera e feconda, non potrete aiutarvi con la Magia, queste vesti ne sono immuni, e persino i veli, domattina, dovranno essere intatti!”

Mi guardò malizioso ed io mi ritrovai la faccia in fiamme: avevo visto molti amici del Nord sposarsi, a un paio avevo anche fatto da testimone, sapevo che la Vestizione era un momento fatto di complicità e stupide battute, dette per allentare la tensione, ma non immaginavo fosse tanto diverso vivere la stessa esperienza a ruoli invertiti. Cercai di respirare, di distrarmi, senza troppo successo, Jarvis mi sorrise e provò a tranquillizzarmi con la bonarietà e la pazienza di chi ci è già passato e sa affrontare quel turbinio di emozioni diverse.

    “Dai... Volevo solo farti sorridere! Cosa ti agita tanto? Non sarai mica preoccupato per... “quello”?”
“Non ho mica dodici anni, Jas! Io… non lo so… Credo che le mie siano paure molto più immediate: fare tardi, fare o dire qualche sciocchezza, avere l'aspetto livido di chi sta per soffocare!”
    “Prima del mio matrimonio, a tal proposito, mi hanno semplicemente detto: “Ragazzo mio, per la cotta esiste un solo trucco: stai calmo e buono, e l'ossigeno ti basterà almeno per dire “Sì”, che è l'unica cosa che tutti vogliono e si aspettano da te, al resto ci penserà tua moglie!””

Jarvis era diventato porpora nel tentativo di non ridermi in faccia, ripetendomi le stesse parole che gli avevo detto io al suo matrimonio mentre Augustus lo trascinava nella tenda a vestirsi e lui si ribellava: l'avrei volentieri schiantato sul posto, come aveva cercato di fare lui all'epoca, ma mi trattenni per non perdere altro tempo, consapevole del vero senso del detto “la vendetta va consumata fredda”; in effetti, mi era sembrato strano che Warrington non avesse esagerato alla mia festa di addio al celibato, ora mi rendevo conto che aveva deciso di sfruttare la ghiotta occasione di farsi beffe di me e vendicarsi quando sarei rimasto solo con lui, in sua balia, nella mia stanza, lontano da testimoni. Dovevo ammettere che, a suo tempo, mi ero comportato da autentica capra: prima del suo matrimonio, l'avevo canzonato senza pietà, per settimane e mesi, torturandolo perché gli era stata destinata una cugina che detestava, altezzosa e piantagrane, dimostrando una totale indifferenza per i patemi e le paure del mio amico; e ora scoprivo che Warrington non solo non aveva dimenticato, ma si stava rifacendo alla grande: la cosa assurda era che glielo avevo permesso io, mettendomi volontariamente nelle sue mani, quando gli avevo chiesto di farmi da testimone. Mentre ripensavo alle mie colpe, Jarvis fece stringere ancora le cinghie con un leggero colpo di bacchetta, sorridendomi satanico, ed io, rimasto senza fiato, iniziai a tossire, sempre più livido.

    “Vigliacco! Ti giuro che me la pagherai, Warrington! Salazar, ma che ti prende, oggi? Se avessi saputo che mi sarei ritrovato lo stesso con un buffone, pazzo scatenato e pure assassino, avrei chiesto a Rodolphus Lestrange di farmi da testimone!”

Jarvis, ghignando, mi squadrò con un'altra occhiataccia malvagia, io ero ormai convinto che sarei presto caduto svenuto e che il matrimonio sarebbe andato a monte; invece, forse per pietà o, molto più probabilmente, per rispetto verso Sile, che rischiava di scendere dagli ospiti senza trovarmi ad attenderla o di diventare vedova prima del tempo, alla fine allentò la morsa, permettendomi di riprendere fiato.
   
    “Ti salvi solo perché l’ultima cosa che voglio è essere paragonato a quel pavone di Lestrange!”
    “Non corri rischi, Warrington, tu sei molto peggio di lui, fidati! Con Rodolphus almeno uno sa cosa aspettarsi, tu invece… non avevo idea che tu fossi così malefico e falso...”
    “Però vesto meglio di lui, ammettilo! Sai, l’ho visto una settimana fa da Burgin, sembrava un faro che risplende nella notte… Povero Rod, che triste sorte…”

Ci guardammo e, pensando che, tra tutti noi, alla fine, fosse stato proprio Rodolphus Lestrange, il celebrato dongiovanni, a finire incastrato, di sua spontanea volontà per giunta, con una Strega incredibilmente ricca e bella, certo, ma pericolosa e infida come poche, scoppiammo a ridere; io, a dire il vero, avevo ancora qualche difficoltà a respirare e il volto mi diventò di nuovo, velocemente, porpora.

    “Salazar, Sherton! Respira! Respira a fondo, dai... Così... Perfetto... Meglio cambiare discorso e cercare i medaglioni…”
    “Cercherai tu Fear e i cofanetti, Warrington, io ti starò a miglia di distanza! Sei una minaccia, ecco cosa sei! Meglio se corro da Sile!”
    “Porta male vederla con l'abito da sposa prima della Cerimonia! E se le ronzerai attorno prima del tempo, suo padre e il suo seguito ti defenestreranno, e questo non è solo un modo di dire!”
    ”Lasciami passare, Jas, prometto che di quel dannato abito non mi curerò per niente!”

Lo guardai e Jarvis mi rimandò indietro uno sguardo esasperato, poi per sicurezza, sapendo che sarei stato abbastanza pazzo da passare rapidamente dalle parole ai fatti, si frappose tra me e la porta.

    “Togliti di lì, Sile ed io siamo sposati ormai, non accetterò altre interferenze, soprattutto da te!”
    “Non siete affatto sposati, ancora! E se ti lasciassi andare, non ci sarebbe più nessun matrimonio, per oggi! Finireste col barricarvi nella sua stanza e non uscireste più, così dovremmo ricominciare da capo, fissare una nuova data per le nozze, richiamare gli invitati: scommetto che anche tuo padre sarebbe molto entusiasta di avere di nuovo tutte quelle cariatidi imbellettate in giro per il castello!”
    “Hai finito? Puoi non credermi, Jarvis, ma non sono più un quindicenne preda degli ormoni! Sile aveva un brutto taglio alla gamba, sono ore che vorrei andare da lei solo per sapere come sta!”
    “Che non sei preda degli ormoni l'hai dimostrato chiaramente quando l'hai quasi soffocata, giù alla grotta! Andiamo, Sherton, chiunque al tuo posto perderebbe la testa! É normale! E comunque...  Sile sta bene, ci ha pensato tua madre a lei: mi sono informato sulle sue condizioni, prima, mentre tu riposavi…”
    “IO - NON - RIPOSAVO! Sei tu che mi hai Schiantato per impedirmi di uscire da qui!”

Jarvis sorrise indulgente, io avrei voluto saltargli alla gola, ma quella dannata cotta mi faceva muovere con l'agilità di un pinguino: di ritorno dalla grotta, al mio primo tentativo di evasione, dopo aver provato invano a convincermi, Warrington mi aveva reso inoffensivo con un leggero Stupeficium ed io, colto alla sprovvista, ero svenuto con la sorpresa negli occhi, risvegliandomi poi solo dopo un bel pezzo.

    “Non farmi ripetere la cosa, per favore! Ci manca solo uno sposo rintronato che stenta a dire “Sì” o pronunciare bene il nome della sposa! Una scena che, conoscendolo, Donovan apprezzerebbe molto!”
    “Non si ripeterà, non mi farò più cogliere impreparato, non da te! Piuttosto, guardati le spalle!”

Jarvis sospirò e, sorridendo, si appoggiò alla porta, facendomi capire che dovevo rassegnarmi o combattere: se fosse stato solo il mio testimone, di sicuro mi avrebbe lasciato passare, stanco di sopportare le mie intemperanze, consapevole che non avrei fatto niente di male, che desideravo solo abbracciare Sile, prostrarmi ai suoi piedi, venerarla come una dea, grato che stesse realizzando tutti i miei sogni; Warrington però, dopo la storia della Cancelleria, aveva ripreso a frequentare con regolarità Sile, ricoprendo di nuovo il ruolo di suo migliore amico e confidente che gli era stato proprio a Hogwarts, così quando avevamo deciso di sposarci con un Rito Tradizionale, si era offerto come “Portatore della Sposa”, impegnandosi a proteggerla, a costo della vita, nel difficile viaggio per mare da Doire a Herrengton. Il suo compito ora era finito ma sapevo che avrebbe continuato a vegliare su di lei, arrivando a proteggerla da tutto e da tutti, anche da me e dalle mie follie e paure, finché non fossimo stati dichiarati marito e moglie e non ce ne fossimo andati dalla festa, per vivere finalmente la nostra vita.

    “Ora basta giocare, Sherton... Quando ti sarai calmato, usciremo da qui, cercheremo quei medaglioni e scenderemo di sotto! Ho appena visto il segnale, ora le Passaporte e i Camini sono attivi: so che non sei portato per le mondanità, ma tu affronterai questa Cerimonia come si richiede a uno Sherton, chiacchierando, sorridendo, bevendo senza esagerare e, soprattutto, rilassandoti. Questo è l'ultimo piccolo sacrificio che ti separa dalla donna che ami e desideri, tra meno di un'ora Sile sarà tua moglie e tutto il resto non avrà più importanza! Sempre che tu non abbia dei ripensamenti. Non li hai, vero?”
    “Ripensamenti? Sei pazzo? Certo che non ne ho! Sono solo un po’ emozionato, un po'... tanto...”
    “Beh, questo è normale, anche Sile si sente come te, non preoccuparti! Ed è bello essere così, emozionati e sinceri, innamorati. Per un attimo, ho temuto che fossi preda di uno dei tuoi soliti momenti di sfiducia e sconforto, che di nuovo non ti rendessi conto di avere tutto, l'amore di Sile, il sostegno delle vostre famiglie, la benedizione di Herrengton...”
    “Visti i miei precedenti, forse lo teme pure Sile, ma quello è il passato, un passato che non tornerà mai più, Jas… Lo dimostrerò a tutti... So quanto forte è il sentimento che ci lega, so che insieme possiamo affrontare tutto! Ne ho avuto prova questa notte… Dovrei ringraziarti per avermi parlato del Rito, io…”
    “Io non c'entro: sapevo che Sile sarebbe riuscita a metterti un po' di sale in quella zucca vuota, pare che tu stia iniziando a sentire gli effetti della sua vicinanza! Segui la rotta, Mir, e la tua vita diventerà semplice, vedrai...”
    “Hai sempre avuto ragione, Jas, e non solo su Sile, ma su molte altre cose...”
    “Ne parleremo in seguito, Mirzam, ora non hai più tempo per le parole, né per me. Andiamo...”
   
Gli diedi la mano e annuii, lui sorrise e mi abbracciò, poi mi scortò fuori, passando davanti alla camera destinata a Sile: mi percorse un brivido mentre la immaginai presa da pizzi e veli, acconciature e fiori, lacrime e tremori; feci un respiro fondo, fermo davanti alla sua porta, Jarvis mi guardava, poco distante, ma non era più preoccupato che facessi una follia, né io aspettai che mi esortasse a muovermi, lo raggiunsi presso uno specchio lungo il corridoio, dove il mio riflesso mi apparve infine calmo e sereno.

    “Ora mi sento pronto.”
    “Ora sei pronto! Guarda, arriva anche Fear e ha il tuo medaglione, quel vecchio matto!”

Mi voltai, vidi il Mago uscire dalla stanza di Sile con uno dei cofanetti di Orion, ci sorrise e mi diede l'astuccio, lo aprii, dentro c'era uno dei medaglioni che cercavo, lo misi al collo, sistemandolo sopra la veste: i bagliori dello smeraldo, al centro di quella composizione di pietre potenti, mi affascinarono.

    “Scusami se non ti ho assistito, ma avevo un compito urgente da svolgere: mi sono permesso di aumentare la portata di questo Talismano, immergendolo nel vostro Sangue, sciolto in Habarcat: tu e Sile dovrete portarli a pelle, in corrispondenza del cuore: vi proteggeranno dalle malattie e dalle maledizioni, faranno da scudo anche contro altri tipi di minacce! Ma ricordati: non dovrete separarvene mai!”

Lo guardai carico di domande, ma non riuscii a dire altro che “grazie”, né a reagire quando vidi il vecchio e Jarvis scambiarsi un'occhiata complice, perché mi coinvolsero subito nei loro discorsi sulle Tradizioni Antiche e sul matrimonio, così, pur ripromettendomi di chiedere spiegazioni, in breve non ci pensai più, considerando la faccenda solo una delle tante bizzarre fissazioni di quel vecchio matto. Infine, scortato da entrambi, scesi l'ampia scalinata e mi ritrovai nel salone che si apriva sul Cortile delle Rose, dove mi aspettavano mio padre e tutti i nostri illustri ospiti.

***

Sirius Black
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971

    “Ora penserai anche tu che siamo dei barbari, vero Sirius? Chissà la faccia di tua madre, se avesse visto apparire gli sposi ridotti a mendicanti vestiti di stracci! Sarebbe svenuta sul colpo! Ahahah.”

Mi scappò una smorfia, al pensiero di mia madre: sì, Rigel aveva ragione, se avesse visto l'arrivo di Mirzam e Sile, la mamma sarebbe svenuta all'istante e in seguito avrebbe spettegolato per anni! A me, invece, dopo lo spavento iniziale, era rimasto nel cuore solo un senso di pace, perché quello che si era celebrato era un Rito d'amore: i miei pensieri erano corsi a Meda, mi ero chiesto che volto avesse il suo Nato Babbano, se fossero stati altrettanto raggianti, il giorno delle loro nozze, e se mia cugina, a distanza di mesi, fosse ancora felice accanto a lui, lontana da tutti noi, o avesse dei rimpianti. Con un sospiro di nostalgia annuii, mentre il pallido sole del Nord si specchiava negli occhi d'acciaio di Rigel, ravvivandone ancora di più l'espressione irridente: sembrava aver scordato anche lui la tensione provata poche ore prima durante il Rito, eppure percepivo nei suoi modi qualcosa d’inconsueto.

    “L'ho trovato bello, ma... spero che i matrimoni del Nord non siano sempre così... pericolosi!”

Lo dissi guardando lontano, pentendomene subito, perché Rigel scoppiò a ridere, malizioso; presi fuoco, titubante provai a correggermi con un poco credibile “voglio dire... lo spero per voi”, che lo fece ridere ancora di più, poi, con fare complice, mi mise il braccio sinistro attorno alle spalle, recuperando la calma: i suoi occhi continuarono, però, a luccicare a lungo ed io, altrettanto a lungo, continuai ad arrossire.

    “No, non sono tutti così... Mio padre addirittura ha strepitato a lungo, cercando di convincere mio fratello a evitare rischi inutili, ma Mirzam è più cocciuto di un mulo! Secondo lui il matrimonio in questo modo è più sacro, perché a unire non è la burocrazia del Ministero, ma la Sacra Ritualità del Nord, la Fiamma di Habarcat, i Nostri Antenati: tutte quelle stronzate che gli piacciono tanto! Vedi, Sirius, la verità è che mio fratello è solo un dannato pallone gonfiato! Un fissato… su troppe cose, tutte troppo sbagliate!”

Lo guardai, turbato: raramente Rigel parlava a sproposito e se qualcosa non andava, tendeva ad azzuffarsi apertamente con l'avversario, compresi i suoi fratelli, ma non parlava mai alle loro spalle. Mai. Non voleva mai dar soddisfazione a Mirzam, un po' come accadeva tra me e Regulus, ma durante l’estate mi ero accorto che ci teneva, e tanto, a suo fratello, infatti, quando lui e Mei non potevano sentirlo, ne esaltava di continuo le virtù, dimostrando di ammirarlo e di volergli assomigliare, una volta adulto. Mi chiesi se fosse lo spavento provato durante la notte a farlo sparlare e in che senso Mirzam fosse un fissato: pensai alla sua amicizia con Lestrange e alle “fisse” di Bella, ma ricordando come Mirzam mi aveva difeso da Rodolphus a Grimmauld Place, un paio di sere prima, mi sembrò improbabile che ne condividesse la follia; inoltre Rigel era amico di Rabastan, il problema perciò non doveva essere quello. Qualcosa non tornava: probabilmente Rigel sfogava su suo fratello qualche altra preoccupazione, forse era stato rimproverato da suo padre, di nuovo, per le note vicende della zuffa nei Sotterranei. Restammo per un bel pezzo in silenzio, lasciandoci strapazzare dai venti che scendevano da nord, i capelli sempre più scompigliati, in attesa dell'inizio della Cerimonia, seduti su una delle panchine che si affacciavano sullo strapiombo, a poca distanza da dove avevo consegnato ad Alshain l'anello conservato a Lestrange Manor, in disparte rispetto a tutti gli altri, che osservavano delle gare su scope da Quidditch di alcuni giovani Maghi della Confraternita; Rigel guardava l'orizzonte, in maniche di camicia, dopo essersi sfilato la lunga tonaca indaco che aveva indossato nelle tende, io mi stringevo nel mio mantello, e nel mio caldo abito scuro, cercando di non fargli capire che stavo morendo dal freddo, per non farmi cacciare da lì.

    “Posso... farti una domanda... un po'... personale?”
    “Personale? Certo, se ti assumi l'esclusiva e piena responsabilità delle mie risposte davanti a tua madre! Non voglio passare per il disgraziato che ha traviato uno dei suoi preziosissimi principini Black!”
   
Mi guardava con un barlume malizioso negli occhi, io mi accesi di vergogna e lui scoppiò a ridere.

    “No... io... mia madre non c’entra… Mi chiedevo solo perché... non sei con gli altri, a volare... ”
    “Chissà cosa mi credevo... Mio padre mi ha requisito le scope per un anno, per quella faccenda di Slughorn... Sarò fortunato se non chiederà a Dumbledore che la punizione sia estesa anche a scuola... ”
    “Credevo che quella fosse una storia chiusa ormai... ”
    “Non per lui... Con lui, le storie non si chiudono… mai…”

Laconico, bevve un altro sorso dalla bottiglia, tenuta nascosta nella tasca interna del suo mantello, piegato al suo fianco: aveva detto che era una birra babbana acquistata a Londra, era uscito apposta per comprarla, furtivamente, di primo mattino; con fare cospiratorio, me ne aveva offerto un po': aveva un colore ambrato e il sapore era così intenso che l'avevo sputata subito, sotto i suoi occhi divertiti.

    “Battesimo della Birra celebrato! Appena sarai più grande, celebreremo tutti gli altri! Ahahah!”

Un po' confuso, risi con lui, chiedendomi a quali altri battesimi si riferisse: un brivido di eccitazione mi scivolò per la schiena, perché immaginai che si trattasse, senz'altro, di qualcosa che avrebbe fatto inorridire mia madre e la sola idea mi rese euforico e impaziente. La sua risata, però, ancora una volta, si spense rapida e capii che qualsiasi cosa lo turbasse era molto più importante di una stupida gara con le scope da Quidditch; presi coraggio e lo assediai di nuovo.
   
    “E sulla spiaggia, prima... perché hai dato retta a mio padre, se nessuno era pronto a farlo?”
    “Tuo padre ha sempre un ottimo intuito, Sirius, i suoi argomenti erano logici: io ho agito di conseguenza. D'altra parte, eravamo gli unici svegli, in mezzo a tutte quelle cariatidi "imbacucchite" di litanie e incensi! E gli unici cui non importava niente se il maledetto vegliardo si fosse infuriato!”
    “Stai parlando di Fear?”
    “Non avevi detto di volermi fare una sola domanda? Con questa siamo già a tre...”

Divenni porpora e mi morsi un labbro, Rigel, incupito, continuò a guardare lontano, poi si voltò verso di me, con occhi di sfinge: si limitò ad annuire, sembrava a disagio come a Hogwarts, quando mi ero presentato a lui con il nome di Fear sulle labbra e un pezzo di carta con disegnate le sue Rune.

    “Quando a scuola ti ho raccontato il mio sogno... Tu lo sapevi... sapevi che parlavo di lui!”
    “L'ho sospettato, sì, e ti ho mentito, scusami, ma... Non sapevo cosa potevo dirti, dovevo chiedere a mio padre prima, così ti ho rifilato le prime sciocchezze che mi sono venute in mente… Mi dispiace.”
    “Non c'è nessun fantasma dei MacPherson in giro per i sotterranei del castello, vero?”
    “No, quelli ci sono, eccome! Quella è l'unica parte vera di tutta la storia, Black; i MacPherson, però, non sono affatto estinti: come vedi, lui è ancora qui, tra noi, purtroppo!”
    “Io non capisco: perché tanti misteri? Quando Fear è apparso, papà ce l’ha detto subito che si trattava del vecchio maestro di tuo padre, “un Mago molto potente, noto a tutti come Fear”. Io non…”
    “Il maestro di mio padre... e Orion vi ha anche detto che cosa insegnava? Vi ha detto che Fear è un Mago Oscuro? Anzi, per la precisione, l'ultimo vero Mago Oscuro che vive in seno alla Confraternita?”
    “Un... Mago Oscuro? Ma... Che significa? Che cosa ci fa un Mago Oscuro con tuo padre, Rigel?”

Rise, una risata tutt'altro che allegra.

    “Non ne ho idea! E a dire il vero, non voglio nemmeno saperlo... Io non voglio entrarci in queste storie, in queste vecchie tradizioni decadenti, in queste stupide lotte... Per non dormire la notte, mi basta sapere che molti al Ministero definiscono Mago Oscuro persino mio padre e una delle cause è proprio il suo legame con quel dannato vecchio! Io non so che cosa abbia in mente, Black, e spero di non doverlo scoprire mai... ma quell'uomo è pericoloso, davvero pericoloso... L'ho sentito di persona: quando ti prende la mano, sembra penetrarti la carne e graffiarti l'anima, ti legge dentro e quando ti lascia, non ti senti più come dovresti essere. Porterà solo problemi, Black, ne sono sicuro ... e oggi ci sarà anche...”
   
Pendevo dalle sue labbra, in stato quasi catatonico, affascinato e al contempo spaventato da quelle parole che spiegavano tanto, pur senza dire molto, quando mi lasciò così, con il fiato in sospeso, come uno stupido: non finì la frase, ed io, sorpreso, mi voltai a guardarlo, sembrava aver di colpo dimenticato tutto, i timori, la rabbia, la tensione, il suo volto si era aperto in un sorriso ebete e impacciato. Seguii la direzione dei suoi occhi e capii subito che cosa l'avesse distratto: attraverso le siepi, tagliate secondo figure cabalistiche, riuscivamo a vedere chi si materializzava con le Passaporte o via Camino, e in quel momento era apparsa mia madre seguita dai miei zii. E, naturalmente, da Narcissa.

    “Facciamo sparire la birra, avanti, e andiamo da tua madre! Ti scorterò io, così non ti perdi!”
    “Guarda che io non mi perdo… e comunque... a mia madre non importerebbe poi molto…”    
    “Per colpa del cravattino?”

Vidi pena nel suo sguardo e questo mi fece infuriare: io non volevo la compassione di nessuno, tanto meno per colpa di quella donna, ma non feci in tempo a reagire, perché Rigel mi passò di nuovo un braccio attorno alle spalle e mi trascinò via quasi di peso; attratto come una falena dalla luce, mi scortò fino al cospetto di mia cugina e del resto dei Black, dicendomi a un tratto, a bassa voce, poco prima di consegnarmi al mio fosco parentame, solo poche, intense, parole, un lampo di luce in tanta oscurità.
   
    “Ricorda, Sirius Black, se mai dovessi “perderti” davvero, a Herrengton i cravattini non contano.”

Poi con un inchino aveva salutato me e gli altri Black, per correre subito via, veloce, da suo padre.

***
   
Regulus Black
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971

    “Che faccia tosta! Non posso credere che sia venuto davvero! E Alshain... dev'essere impazzito!”

Seguii con lo sguardo l'oggetto dell'interesse sprezzante di mia madre e mi sorpresi anch'io nel vedere il Ministro della Magia avanzare sorridente tra gli altri invitati: alto, dal fisico asciutto ed energico, calvo, con due maestosi baffi candidi che gli ornavano il viso e una barba corta e ben curata, Everard Longbottom era un uomo di circa settanta anni, stretto in un elegante abito scuro, circondato da un nutrito gruppetto di personaggi cupi e nervosi, tra i quali riconobbi senza difficoltà Bartemious Crouch, capo della sezione Aurors, di cui avevo conosciuto anche la moglie e il figlio Barty jr. al matrimonio di Bella, ospiti dei Lestrange.

    “Laggiù ci sono i Parkinson! Svelta, Walburga, andiamo da loro! E non fissarlo! Ci manca solo dover salutare un maledetto... ”

Mio padre si morse la lingua, ma tutti capimmo che avrebbe voluto chiudere la frase con la parola “Grifondoro” pronunciata in modo tagliente; forse la presenza di Sirius a pochi passi da lui gli impedì di esprimersi, ma mio fratello divenne comunque anche più taciturno di prima, mentre la mamma assunse un'espressione astiosa che non lasciava ben sperare riguardo alle sorti di Sirius, una volta tornati a casa. Stordito da tutta quella gente, mi accodai ai miei genitori, di fianco a mio fratello: avevamo partecipato a molte feste, ma nemmeno al matrimonio di Bella c'erano stati così tanti invitati, Maghi e Streghe del Nord, personaggi del mondo del Quidditch, esponenti di blasonate famiglie Corvonero, funzionari del Ministero e membri del Wizengamot, sconosciute famiglie irlandesi e francesi, MediMaghi colleghi della sposa, oltre ai soliti amici e parenti Slytherin presenti a ogni occasione mondana. Nel breve spazio che ci divideva dai Parkinson, ripensai velocemente ai fatti delle ultime ore: dopo aver percorso tutto il sentiero, avevamo ripreso le nostre vesti nelle tende e avevamo completato il tragitto fino al Manor via Passaporta, ritrovandoci nel Cortile delle Rose insieme a tutti i Maghi e le Streghe del Nord; avevo così ammirato, entusiasta, il maniero di Herrengton, trovandolo addirittura più bello, grazie alla neve e alle decorazioni sistemate ovunque, di quando l'avevamo lasciato, al termine dell'estate: spinto dalla nostalgia e dalla voglia di rivedere Meissa, avrei voluto gironzolare per quei luoghi noti, ma temevo di non essere presente quando fosse arrivata la mamma, perciò restai con papà. Non dovetti attendere a lungo: alle 10.30 in punto, furono aperti i Camini e attivate le Passaporte e da quel momento gli altri ospiti iniziarono a raggiungerci, materializzandosi in gruppi più o meno nutriti. Mio fratello, al contrario, aveva seguito Rigel in giardino, a chiacchierare sopra lo strapiombo e a guardare i ragazzi più grandi che facevano un gioco strano, pericoloso e affascinante con le scope da Quidditch: si lanciavano dai costoni in picchiata e viravano di nuovo verso l'alto solo dopo aver toccato con i piedi l'acqua del mare; io, dal salone, non riuscivo a vederli bene, sentivo solo le urla d’incitamento degli altri ragazzi e, morendo di curiosità, speravo che una volta arrivata la mamma, avessi ancora del tempo per poterli ammirare anch’io; in realtà non andò così: appena corse voce che mancava poco alla Cerimonia, tutti smontarono dalle scope, e a me non restò che sperare che riprendessero dopo il banchetto. Sirius e Rigel tornarono indietro quando apparvero la mamma e gli zii: erano stati silenziosi con tutti, di ritorno dalla grotta, e non sembrarono molto più loquaci nemmeno quando si riunirono a noi ed io, incuriosito, mi arrovellai immaginando di cosa potessero aver confabulato, guardandomi bene dal chiedere spiegazioni, per non fare con Sirius la solita figura del fratello piccolo, piattola e ficcanaso. Mia madre me l'aveva spiegato molto bene: come non si potevano mostrare i propri sentimenti in pubblico, per non esser considerati deboli, non era opportuno nemmeno mostrarsi curiosi; anche perché stavo diventando grande e tutti mi osservavano con attenzione, soprattutto ora che “Sirius è andato incontro a un tragico fallimento personale che non deve in alcun modo coinvolgere il resto della nostra famiglia: questo dipenderà in gran parte da te, da come ti comporterai, agli occhi del mondo magico!” Ed era vero, ormai ero diventato grande: contavo impaziente i giorni, meno di un mese, che mi separavano dal mio compleanno e dalla lettera da Hogwarts che aspettavo con impazienza. Salutato il giovane Sherton, che fuggì via da suo padre, mia madre controllò con un’occhiata inquisitoria le condizioni del mio abito, dei miei capelli, della mia faccia, al contrario fece finta di non accorgersi della presenza di mio fratello: col fiato in sospeso, temendo lo riprendesse in pubblico, mi sentii diviso tra il senso di colpa per l'indifferenza di cui Sirius era vittima, ancor più spaventosa se confrontata con le attenzioni rivolte a me, e la gratitudine verso mia madre che, a modo suo, mi faceva sentire il suo favore e il suo... amore. A lungo, la situazione nel salone si mantenne piuttosto tranquilla e noiosa: Mirzam e il suo testimone si facevano desiderare, come Meissa, sua madre e il seguito della sposa, tutti ingannavamo l'attesa tra chiacchiere e convenevoli, Alshain e Rigel accoglievano calorosamente gli invitati, anche se furono trattenuti a lungo, dall'altra parte dell'ampio salone, da una “vecchia marmotta pelosa”, -così zio Alphard, rivolgendo a papà un cenno divertito, aveva definito Griselda Marchbanks, membro del Wizengamot, una Strega talmente anziana da essere stata insegnante persino del preside Dumbledore - . Noi Black, infine, in attesa dei ritardatari Lestrange, ci eravamo divisi per interessi: papà, gli zii e i nonni parlavano della misteriosa festa tenutasi a Manchester poche ore prima, mio fratello ed io rimanemmo con le zie, le nonne e la mamma, impegnate nei loro pettegolezzi, di cui capii poco o nulla. Narcissa rimase in disparte e non rivolse la parola a nessuno, tanto meno a Sirius o a me, guardandosi attorno impaziente: quando apparve la famiglia Malfoy, però, il suo volto diventò radioso, soprattutto quando zio Cygnus si allontanò dalla nostra comitiva per raggiungere l'altero Abraxas, scambiare con lui sorrisi eloquenti e appartarsi a chiacchierare. Notai anche la trepidazione con cui zia Druella salutò Lucilla e suo figlio Lucius, lo sguardo cupo con cui Rigel, dall'altro lato della stanza, assistette alla scena, e i bisbigli d'invidia della maggior parte degli altri invitati: tutti immaginavano che il matrimonio di Mirzam Sherton sarebbe stato una delle ultime occasioni mondane alle quali i Black e i Malfoy avrebbero partecipato separatamente e, in effetti, a Grimmauld Place non passava sera senza che la mamma ripetesse, con soddisfazione, che a Hogmanay avremmo festeggiato il più ricco e illustre fidanzamento degli ultimi anni, “un’occasione unica per lavare definitivamente l'onta che infanga la nostra famiglia a causa di una svergognata traditrice del Sangue Puro e di quell'altro disgraziato”, come ormai chiamava mio fratello, le rare volte che lo menzionava.
In realtà, però, anche quel giorno, non era solo l'ammirazione, il motivo di tanta attenzione nei confronti dei Black: la presenza di Sirius non passò inosservata, anche se i più si guardarono bene dal fare apertamente dei commenti; quando, però, i nonni andarono a salutare i Rosier e zio Alphard si allontanò con una misteriosa Strega irlandese, ci ritrovammo da soli con Bellatrix e suo marito, i quali non ebbero scrupoli a manifestare di fronte alla mamma ciò che molti Slytherin sussurravano a mezza voce. Bersagliato con discorsi sui traditori del Sangue, sui rinnegati e su leggende che volevano i “luridi Grifondoro” morire inceneriti davanti a Habarcat, mio fratello riuscì a non reagire, forse perché pietrificato dall'espressione accusatoria di nostra madre o dall'occhiata feroce con cui papà gli imponeva di restare zitto al suo posto, affrontando da Black, le conseguenze negative della sua ribellione. Io volevo bene a Bellatrix, la adoravo, ma, pur considerando sacrosanti e giusti quegli insulti ai danni dei Grifondoro, non riuscivo a condividere quell’odio, preda dell'angoscia nel vedere Sirius in difficoltà: avrei voluto tendergli la mano e ripetere davanti a tutti “Tu sei sempre mio fratello!” Se non ci fosse stato Rodolphus, forse, avrei avuto coraggio e ci sarei riuscito, il marito di Bella, però, era sempre più inquietante: durante le cene di famiglia, avevo studiato le sue occhiate strane rivolte a mio padre, il suo muoversi come un lupo a caccia, la sua risata che faceva gelare il sangue, l’abilità con cui piombava alle spalle del prossimo, spiando le altrui conversazioni e tramando nell’ombra. Da quando Sirius se n'era andato, non riuscivo più a ridere della sua pomposità né ad affrontarlo con una certa arrogante spensieratezza, al contrario, spesso mi sentivo a disagio quando mi fissava: lo percepivo come un pericolo, per questo mi ero sentito in colpa un paio di sere prima, quando avevo lasciato mio fratello solo con lui, c'era Mirzam, vero, ma sentivo che non dovevo abbandonarlo; invece, alla fine, avevo approfittato della via di fuga che mi aveva offerto Sirius ed ero scappato via. In silenzio, abbassai lo sguardo davanti alla lotta, ora tacita, fatta di occhiate di fuoco, tra Bella e mio fratello, e divenni rosso come un peperone, consapevole della mia vigliaccheria, presente e passata. Rodolphus aveva poi interrotto quel gioco ridendo e sussurrando a Bella “Arrosto di Grifone?”, indicandole con un cenno del capo il Ministro e la sua scorta, arrivati via Passaporta; mia madre, colta di sorpresa nel trovarsi davanti ad un personaggio simile, aveva perso la sua altezzosa indifferenza e papà ci aveva suggerito una ritirata strategica, per sottrarci all'obbligo di doverlo salutare. Lestrange e Bella, che gironzolava con indosso la mantellina nera che le copriva completamente l'abito, come facevano solo le Streghe del Nord, si allontanarono per unirsi ai McNair, mentre noi, diretti dai Parkinson, fummo intercettati da Alshain, che si era liberato per correre da noi, baciare, galante, la mano della mamma, e abbracciare Sirius e me, come aveva già fatto nella radura delle tende.

    “Walburga cara, scusami per non averti salutato subito degnamente! Hai fatto buon viaggio?”
    “Sì, Alshain, non ti preoccupare, di sicuro migliore dell'ultima volta, ma... ”
    “Ma? Qualcosa non va? La Passaporta Ministeriale aveva difetti? Farò immediato reclamo!”
    “No, non si tratta del viaggio, Alshain, Walburga ed io non ci capacitiamo di un rumore sinistro!”
    “Rumore sinistro? Di quale rumore stai parlando, Orion? Non c'è alcun rumore!”

Mio padre lo fissò enigmatico, sorseggiò svogliato il nettare ambrato che era appena stato offerto ai nostri genitori da un Elfo solerte, poi, in volto un'espressione ironica mai vista, iniziò a fischiettare un motivetto beffardo; Alshain, sorpreso quanto noi, fu colto da un'intensa crisi di riso, nostra madre, rossa in volto, guardò entrambi indignata, sconvolta nel vedere due nobili Purosangue comportarsi in un modo così disdicevole in pubblico, Sirius ed io, meravigliati, ci scambiammo occhiate incredule.

    “Salazar, Orion, solo tu riesci a sbronzarti con un solo sorso di “Moon's Tear”! Ahahah...”
    “Quale Moon's Tear! Davvero non ricordi? Tuo padre fischiettava questo motivetto ogni volta che doveva rimediare a una delle tue follie! E ora, pover'uomo, si starà rivoltando nella tomba, vedendo un Ministro della Magia, Grifondoro per giunta, entrare nella sacra casa di Hifrig, seguito dai suoi sgherri!”

Alshain rise ancora di più, attirando anche le occhiate incuriosite di alcuni ospiti, che già trovavano bizzarro che tenesse il braccio destro attorno alle spalle di mio fratello: un Black, certo, ma un Black che quasi tutti consideravano prossimo a essere diseredato e cancellato dall'Arazzo.

    “Sul fatto del Ministero non posso darti torto, Orion... Si starà sicuramente rivoltando, ma...”

E qui fulmineo sorrise prima a Sirius poi a me, quindi fissò i miei genitori come per sfidarli.

    “Sul fatto dei Grifondoro o dei Corvonero o dei Tassorosso... dovresti sapere che per me conta solo ciò che c'è nell'anima, il colore di un cravattino è sempre stato e resterà una questione irrilevante!”

Mio padre lo guardò con la solita faccia impenetrabile, mia madre non mascherò il disappunto che provava, ma il rigido rispetto dell'etichetta la frenò dal dirgli apertamente quello che pensava, così trovò una scusa per lasciarli e raggiungere Druella, imponendomi di seguirla; io ubbidii ma, con l'ingenuità dei miei dieci anni, ero felice per Sirius, pieno di speranza, perché sapevo quanto ci teneva all'affetto di Alshain e sentire il nostro padrino dire in pubblico quello che pensava davvero di quella dannata storia... Era ciò su cui avevo riflettuto a lungo, in quelle settimane tremende: mia madre ora considerava mio fratello irrecuperabile e mio padre non si era mai curato di noi neanche prima, perciò mi ero convinto che, solo se fosse stato appoggiato e guidato da un uomo come Sherton, mio fratello si sarebbe salvato dall'influenza nefasta di quei delinquenti di Grifondoro, sarebbe stato un vero Black, meno ortodosso di come avrebbe voluto la mamma, forse, e per questo, a casa, il clima sarebbe tornato normale molto lentamente, ma non sarebbe mai diventato un traditore del Sangue e tutto, prima o poi, si sarebbe risolto. L'importante era che la mia famiglia avesse al più presto la prova che il cappello pulcioso di Godric aveva commesso un errore nell'interpretare la volontà di Sirius, così poi, anche noi, oltre a Sherton, ci saremmo uniti nell'aiutarlo a riconoscere la sua vera natura. Fissai Sirius, forse comprese la mia preoccupazione e le mie speranze perché, appena la mamma gli diede le spalle, mi fece un sorriso raggiante, mentre io mi allontanavo e lui restava con papà e Alshain. Poco dopo, stretto tra gli zii, i nonni e la mamma, vidi Sherton allontanarsi da loro, seguito a distanza da mio fratello e mio padre, vagamente cupo, per dirigersi all'ingresso del salone e accogliere con Rigel, finora trattenuto dagli Emerson, il suo primogenito: anticipato da Fear e dal suo testimone, Mirzam era irriconoscibile, rispetto a poche ore prima si presentava in gran forma, felice e raggiante, persino più bello del solito, nella lunga veste cerimoniale del Nord. Con l'eleganza innata degli Sherton, attirò su di sé gli sguardi ammirati di tutti, persino quello di mia madre, di nuovo serena: appena lo vide, si riempì d'orgoglio e soddisfazione, gli sorrise come mai aveva fatto, ammirando il medaglione che Mirzam portava al collo, donatogli da nostro padre, segno tangibile, sotto gli occhi di tutti, della reciproca stima e del profondo legame che univa le nostre famiglie. Il suo sorriso soddisfatto celava, in realtà, le ardite trame che tesseva sul futuro di tutti noi, l'unico motivo per cui guardava il giovane Sherton, che “ha offeso la nostra famiglia rifiutando Bellatrix per sposarsi con un’irlandese qualunque, Slytherin e purosangue, certo, ma senza una sola goccia di sangue nobile quanto il nostro nelle vene”, senza provare quell'odio da cui altrimenti nulla l'avrebbe salvato. Mirzam fece un rapido giro di saluti, emozionato e un po' frastornato, senza però trattenersi a lungo con nessuno, sollecitato dal suo testimone perché la Cerimonia aveva già accumulato del ritardo. Alshain, rassicurato sulle condizioni del figlio, si allontanò di nuovo per andare incontro a un vecchio Mago minuto, che si era appena materializzato via Passaporta: vestiva una lunga toga dorata e un particolare cappello a tre punte di colore analogo, il viso piccolo e smagrito nascosto dietro a spessi occhialetti tondi che lo facevano assomigliare a un topino impaurito.

    “Rufus O'Brien! Non posso crederci! Alshain ha pensato proprio a tutto: portare a Herrengton il celebrante che ha unito lui e Deidra ventidue anni fa, a Doire... Quale migliore augurio per suo figlio?”

Mi voltai per guardare meglio il vecchio, senza trovare in lui nulla di notevole, mio padre, con un sorriso soddisfatto in faccia, si era subito allontanato per raggiungere il nuovo arrivato, la mamma osservava la scena con occhi poco entusiasti: quando riflettei sul fatto che non conoscevamo nessuna persona con quel cognome, compresi che quell'uomo proveniva da un ambiente che non era alla nostra altezza, motivo sufficiente a giustificare l'espressione scocciata e inacidita della mamma. Infine, guidati da Alshain e dal vecchio celebrante, davanti a Jarvis e a un Mirzam emozionato che teneva la destra sulle spalle di Rigel, parlando fitto fitto con lui, uscimmo dal salone, attraversammo gli archi del Cortile delle Rose e percorremmo i portici, entrando nella lunga galleria che conduceva alla Sala di Habarcat, dove si sarebbe tenuta la Cerimonia.

***

Meissa Sherton
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971

    “Dove credi di andare, Mei?”

Rimasi bloccata sulla porta, inchiodata dalla voce di mia madre che mi raggiunse nella penombra del corridoio: era dal nostro ritorno al maniero che cercavo di sgattaiolare via dalla mia stanza, per ammirare gli ultimi preparativi e scendere incontro a mio padre, ma non c'era stato nulla da fare, la mamma non aveva sentito ragione, mi aveva imposto di riposarmi, dopo la notte impegnativa, e di attendere con pazienza l'arrivo di Leda, la nuova Elfetta, che mi avrebbe preparato per il ricevimento. Mi ero rassegnata anche a non vedere la Vestizione della sposa: l'ultima volta, al matrimonio di Maille, una lontana cugina irlandese, mia madre mi aveva cacciato dicendo che ero troppo piccola per certi discorsi ed io, che sapevo già, dai racconti ascoltati di nascosto a casa di zia Rebecca, che le damigelle gettavano Incantesimi particolari sul vestito della sposa, per fare dei dispetti allo sposo, la prima notte di nozze, ero stata travolta ancora di più dalla curiosità. Alla fine, esausta, ero sprofondata nel mio baldacchino, dopo aver ammirato dalla finestra Herrengton immersa nelle prime luci del giorno, simile a una reggia di neve e ghiaccio: tutte le finestre delle torri erano state addobbate con gli stendardi della Confraternita; dall'alto il Cortile delle Rose, che avrebbe accolto la Materializzazione degli ospiti, era una composizione di archi argentei ingentiliti da bouquet di fiori, con al centro il braciere che garantiva la protezione degli ospiti e della tenuta; i portici, che conducevano alla Sala di Habarcat e al salone del banchetto, erano un tripudio di fiaccole dai mille colori e piante in piena fioritura; di là dei colonnati, infine, si aprivano i giardini che si affacciavano sul mare, da cui avremmo ammirato i fuochi magici alla fine di quella lunga giornata di festa. Allora Mirzam si sarebbe smaterializzato con Sile, per iniziare la vita che tanto agognavano. Mi ero addormentata con il volto disteso in un sorriso: sentivo nel mio cuore che sarebbe stato possibile, un giorno, anche per me... anch’io, un giorno, avrei atteso con la stessa trepidazione e la stessa felicità, le mie nozze... anche nel mio futuro, ci sarebbe stato un principe, un vero principe, accanto al quale vivere una vita fatta di amore vero, lo stesso che legava i miei e che univa Sile a Mirzam. Sapevo di conoscere già il nome e il volto di quel principe. Del mio principe. Quando lo guardavo... tra noi ci sarebbe sempre stato un legame magico ed eterno.
Leda entrò per aiutarmi a vestirmi, ed io stavo ancora sognando più o meno a occhi aperti: il senso di benessere e di felicità al pensiero che presto l'avrei rivisto, mi restò incollato addosso anche durante quell'incombenza, che consideravo uno dei rituali più noiosi cui potessero sottopormi. Alla fine mi ammirai allo specchio: secondo la tradizione, durante un matrimonio del Nord, le Streghe dovevano indossare, a pelle, lunghe tuniche di seta pervinca, semplici e diritte, con le rifiniture argentee, sopra le quali andavano indossate le vesti cerimoniali da Strega, rigorosamente di raso indaco, anch’esse con tutte le rifiniture argentate, composte di un corpetto dal collo alto, impreziosito da pizzi e perle intessute, con maniche altrettanto elaborate, su cui s’innestavano gonne lisce o drappeggiate, di solito ampie; sopra si doveva indossare la zimarra, un soprabito da Strega, nera, con tutte le rifiniture in argento, le maniche ampie, lunghe fino a terra, e sbeccate così che si vedessero i ricami delle maniche della veste sottostante, aperta sul davanti con uno scollo ampio, per mostrare il corpetto e la gonna indossate sotto, chiuso in vita con dei bottoncini o una fascia di seta argento. Si aggiungeva infine il mantello scuro con il cappuccio, da indossare durante la Cerimonia. I capelli potevano restare sciolti o essere intrecciati con nastri colorati, escluso il verde, il bianco e l’avorio, colori concessi solo agli sposi e preclusi persino agli invitati esterni alla Confraternita: questi ultimi non avevano altri tipi di limitazioni, per quanto riguardava l'abbigliamento, ma in genere tutti si presentavano in eleganti abiti scuri, o in vesti tradizionali dalle varie tonalità di blu, rispettando così la Tradizione del Nord. Un paio di scarpe basse e chiare completavano l’abito cerimoniale da Strega del Nord, cui erano concessi, come gioielli, solo gli anelli e i ciondoli che portava abitualmente: la mamma indossò solo la fede nuziale, e a me fu consentito l'anello che papà mi aveva imposto di portare sempre al dito. Appena Leda mi aveva lasciata andare, mi ero fiondata fuori della mia stanza, ma la mamma mi attendeva al varco, anche lei elegantemente vestita con una zimarra simile alla mia, ma dal taglio meno serioso, che ne esaltava il fisico ancora un po' morbido dell'ultima maternità; i suoi capelli rossi erano intrecciati ad arte con dei fiori, in alto, lasciando scoperto il collo candido, uno dei particolari che più attiravano lo sguardo innamorato di mio padre, rendendo invisibile ai suoi occhi qualunque altra donna.

    “Credevo di essere stata chiara! Oggi non farai di testa tua, come al solito!”
    “Volevo soltanto scendere da papà e salutare i miei amici prima di... ”
    “Nei prossimi giorni avrai altre occasioni per frequentare gli amici, oggi no, c'è troppa gente che tuo padre ed io avremmo preferito non invitare, ma che purtroppo dobbiamo sopportare. Cerca di rispettare i nostri ordini, Mei, e domani stesso sarai premiata… altrimenti resterai in punizione, come tuo fratello, per tutto il resto delle vacanze... è tutto chiaro?”

Annuii, ricordando che mio padre si era arrabbiato molto con me, come non faceva in pratica mai, al matrimonio di Bellatrix, perché mi ero allontanata e persa: immaginai che il problema fosse, come al solito, la presenza dei Lestrange, di cui papà non si fidava, o dei Malfoy, che mettevano paura anche a me. Non ebbi però il coraggio di chiedere a mia madre se sarebbe stato presente anche il misterioso ospite di zio Abraxas: quell'uomo, di cui, per quanto mi concentrassi, continuavo ad avere dei ricordi parziali e confusi, immaginandolo fantasiosamente con tratti serpenteschi e occhi fiammeggianti, era un ottimo motivo per ubbidire e non allontanarmi mai dai miei familiari.

    “Ora seguimi: farai parte anche tu del corteo che annuncia la sposa... ”
    “Il corteo? Io? Perché? Non saprei nemmeno cosa fare!”
    “Devi solo reggere una fiaccola, mantenendo un passo lento e misurato, come ti ho insegnato per la Cerimonia del Vischio: la zia ed io cammineremo davanti, Doirenn al tuo fianco, devi solo imitarci... Saresti troppo piccola, ma Fiona, stanotte, è stata colta dalle doglie, perciò tu prenderai il suo posto... ”
   
Registrai, sorpresa, l'informazione, un po' in ansia all'idea del corteo, eppure felice perché sarei stata tra le prime a vedere la sposa; inoltre, in questo modo, non avrei dovuto sopportare Rigel: stare accanto al mio fratello stupido, pronto a fare scherzi cretini, era la peggiore delle punizioni, perché non riuscivo mai a resistere alle sue provocazioni e alla fine mi mettevo sempre nei guai, per colpa sua! Quando entrai nella stanza in cui la sposa era stata curata e assistita dalla mamma, per poi essere lasciata alle damigelle per la Vestizione, trovammo Sile seduta, circondata da quattro Elfe esauste e cinque ragazze mai viste prima, esclusa la cugina Doirenn, che se la contendevano, con parole bisbigliate intercalate da sonore risate che la facevano arrossire o illuminare gli occhi, la facevano ridere e agitare, costringendo le Elfe a riprendere dall'inizio il complicato lavoro sui suoi lunghi capelli corvini. Intorno a lei c'era un trionfo di fiori, soprattutto delicati tulipani dalle tonalità del bianco e del rosa, i suoi preferiti: Mirzam aveva fatto arrivare i bulbi dall'Olanda per lei, curandoli per mesi di persona, in una serra dietro il Cortile delle Rose realizzata apposta, servendosi di Magie particolari perché quei fiori meravigliosi sbocciassero tutti insieme, proprio quel mattino, con oltre quattro mesi di anticipo. Tornai ad ammirare Sile, stupenda già solo con indosso la sottoveste di seta verde chiaro, dalle bordature in argento, la scollatura profonda e le maniche di pizzo lunghe al gomito, che copriva quella aderente di pizzo, avorio, la cui vista era concessa solo alle Elfe e allo sposo, la prima notte di nozze. In quel momento le stavano acconciando i capelli, che sarebbero rimasti sciolti sulle spalle, in morbide onde, intrecciati con un sottile nastro verde che partiva dalla tempia sinistra, e soffusi da una pioggia di minuscoli fiorellini d'argento: in ultimo, si sarebbe aggiunto un diadema antico, appartenente agli Sherton da generazioni, dono personale di mio padre alla sua “nuova figlia”. Non era previsto che la sposa si presentasse molto truccata, così la pelle era stata solo massaggiata con una polvere iridescente che le avrebbe donato luminosità a lungo, rendendo le Rune ancora più nitide. Su un manichino, in attesa di esser indossato, c'era il magnifico abito da sposa, in raso di seta avorio, il corpetto era finemente ricamato, con una scollatura ampia e rifinita, non molto profonda, che s’innestava su una gonna larga, liscia, lunga fino a terra, con appena un accenno di strascico, le maniche, infine, lunghe, erano decorate con motivi slytherin dai polsi fino all'avambraccio. Accanto, c'era la sopravveste verde smeraldo con le rifiniture in argento, che s’indossava aperta per mostrare il corpetto e la gonna sottostanti, chiusa in vita da una cintura di piccoli dischi d'argento, le maniche erano ampie, lunghe fino a terra, aperte e sbeccate, per lasciare in vista i ricami dell'abito avorio. Al contrario di tutte noi, non si sarebbe avvolta in un mantello, ma avrebbe coperto il capo e le spalle durante la Cerimonia, con un velo di pizzo argenteo, lungo fino alle mani. Appena i capelli furono acconciati e il diadema sistemato, Sile si alzò, le Elfe l’aiutarono a indossare la veste nuziale, che si chiudeva da dietro con un numero infinito di bottoni e nastri, calzò delle scarpine basse di color avorio ricamato, infine, visibilmente tremante, s’infilò anche la sopravveste verde: a quel punto la mamma le mise al collo il medaglione di Orion, che brillò magnifico sulla pelle nivea.
Quando sentimmo bussare alla porta e vedemmo apparire sulla soglia la figura imponente di Donovan Kelly, in un elegante abito tradizionale blu scuro, la lunga e folta criniera lisciata all'indietro e fermata in una coda bassa, in mano un bouquet di rose bianche e avorio per la sposa, Leda e Kreya presero dall'ultima scatola il delicato velo e insieme alle altre tre Elfe lo sistemarono sul capo di Sile, con amorevole cura, la mamma infine controllò gli ultimi dettagli poi sentenziò che la sposa era pronta. Due Elfetti solerti entrarono con delle sottili fiaccole accese e le diedero alla mamma, alla zia e a Doireen, alle damigelle e a me, ci distribuimmo a coppie in un breve corteo e iniziammo ad avanzare nel corridoio, mia madre e la zia davanti, io subito dietro con mia cugina, poi le quattro damigelle e la sposa. Doirenn era arrivata quel mattino, accolta come una carissima amica da Sile, mentre io non sospettavo nemmeno che si conoscessero: scoprii quel giorno che, in realtà, era stata proprio lei, in primavera, a organizzare l'evento che aveva permesso a Sile e a mio fratello di rivedersi e di ritrovarsi. Scendemmo con trepidazione le scale, in silenzio, mantenendo da subito il ritmo che avremmo dovuto tenere in pubblico: potevo sentire, poco dietro di me, il respiro di Sile rotto dall'emozione, mentre bisbigliava appena qualche parola con suo padre e lui, di solito burbero e minaccioso, che le rispondeva con estrema dolcezza; mi voltai un paio di volte e vidi nei loro sguardi la stessa complicità che ci scambiavamo papà ed io, soprattutto nei momenti più importanti. Quando finalmente arrivammo nel salone, gli altri se n'erano già andati, ma nell'aria, mischiato all'odore dei fiori e degli incensi, si poteva sentire ancora la scia di profumi preziosi e carichi delle dame e quello dei sigari e delle pipe dei lord, che erano stati lì fino a poco prima: mia madre si voltò verso Sile, con un sorriso incoraggiante, poi avuta la conferma che si sentiva pronta, attraversò gli archi del cortile, entrò nel portico e da lì nella lunga galleria al termine della quale ci aspettavano tutti gli altri. All’avanzare della mamma, nei calici retti dai puttini d'argento distribuiti ovunque come ornamento, iniziò a scorrere acqua, proveniente dalla Sorgente di Herrengton, nell'aria si diffuse una leggera melodia; luci e petali si materializzarono nell'aria, magicamente, volando davanti a noi, ad annunciare agli ospiti che la sposa stava arrivando; tutta la galleria, che il mattino precedente mi era apparsa spoglia e vuota, prese colore e vita, con i fiori che spuntavano dalle pareti e dal pavimento, lungo il tappeto slytherin che si dispiegava ai piedi della sposa, richiamati dalla Magia del Nord. Giunte davanti alla Sala, lasciammo all'ingresso, una dopo l'altra, le fiaccole, quindi, con il capo coperto dal cappuccio, entrammo al seguito della mamma: il salone era magnifico, illuminato, dal fondo della stanza, da fiaccole e bracieri, gli ospiti erano sistemati lungo due ampie file di eleganti sedili di rovere antica, alle pareti l'arazzo con gli alberi genealogici di tutte le famiglie purosangue, davanti a noi, su un alto braciere d'argento, la Fiamma di Habarcat irradiava ogni cosa di un'intensa luce verde.
Tra noi e il braciere s’innalzava un piccolo altare, accanto al quale, ad attenderci, c'era un Mago minuto in una veste dorata e il buffo cappello a tre punte; Mirzam, emozionato, era in piedi di fronte al vecchio, accanto a lui c'era Warrington, radioso, mentre papà e Rigel erano subito dietro, venivano poi tutti gli altri: i miei zii e i cugini materni, la famiglia Malfoy e i McMillan, che erano i nostri parenti paterni più prossimi, gli Emerson e i più importanti esponenti della Confraternita, i Black e i Lestrange, legati agli Sherton da rapporti d'amicizia. Al nostro passaggio vidi un po' di confusione tra le file dei Black, sul volto di Orion c’era un'espressione accigliata, ma ero troppo impegnata a tenere il passo per capire che cosa stesse accadendo. Dietro di loro, c'erano via via altre famiglie importanti, cui eravamo più o meno legati, gli esponenti del Ministero e del Wizengamot, esclusi il Ministro e la sua scorta, seguivano infine gli amici più vicini a Mirzam, che, in conformità all'etichetta, dovevano essere messi in secondo piano rispetto ai personaggi che gli stavano meno a cuore, ma che sulla carta erano più “nobili”: compagni di Quidditch, amici di Doire e di Inverness, compagni di Serpeverde dai nomi meno altisonanti; dall'altra parte, tra i parenti di Sile, brillavano per l'assenza solo Liam e sua moglie, impegnati a far nascere il loro primo figlio, seguivano gli amici e coloro che avevano rapporti d'affari con Donovan Kelly e, più indietro, il Ministro Longbottom e la sua scorta, i colleghi di Sile e le sue amiche. Tutti si voltarono a guardarci ammirati, finché la mamma scivolò accanto a mio padre, io, la zia e Doireen accanto a Rigel, mentre le damigelle si sedevano attorno ai cugini di Sile. Alla fine rimase davanti a Habarcat e al Celebrante solo la sposa al braccio di suo padre: Donovan le baciò leggero il capo, conducendola accanto a mio fratello, poi rapido si ritirò al suo posto.
Dalla mia posizione vantaggiosa riuscivo a vedere Mirzam di profilo, gli occhi luminosi per la luce di Habarcat e per la felicità, Sile vibrava leggermente, colta dall'emozione. Il Celebrante si avvicinò, salutò con le formule di Rito gli ospiti, i testimoni, i parenti, gli sposi, poi fece un rapido discorso, in una voce alta e sicura, che sembrava inadatta a un corpo così minuto e fragile: ricordò l'importanza dei sentimenti e in particolare dell'amore e del reciproco aiuto, della forza che scaturisce da essi, definendola la “Magia più grande”, ricordò come, oltre venti anni prima, avesse sposato, in una cornice più modesta, i miei genitori e come ritrovasse nei giovani che aveva davanti lo stesso spirito, la stessa forza, la stessa convinzione di allora, infine augurò a mio fratello e a Sile la stessa lunga vita fatta di amore, prosperità e felicità che finora aveva baciato i miei genitori. Iniziò quindi a recitare le formule che, dalla notte dei tempi, erano pronunciate per legare le famiglie Purosangue, arricchendole di dettagli che caratterizzavano i matrimoni slytherin, anche se, alle mie orecchie, la celebrazione della Purezza di Sangue o della forza della Magia Antica, sembrava molto meno accorata dell'esaltazione del vero Amore fatta fino a pochi istanti prima: quando sentii alcuni brusii alle mie spalle, ebbi la certezza che non fosse solo una mia impressione, allora guardai mio padre e lo vidi compiaciuto e disinteressato a quello che accadeva dietro di noi nella sala, mentre teneva forte la mano della mamma nella sua e le scoccava calde occhiate piene d'amore. Infine ascoltai la formula di chiusura, più articolata di quella recitata al matrimonio di Bella e Rodolphus: Sile giurò fedeltà e rispetto al suo sposo, impegnandosi a sostenerlo sempre e a dargli una discendenza che preservasse dalle insidie della storia la nostra millenaria famiglia, mio fratello recitò le parole suggerito dal Celebrante, con cui s’impegnò a prendersi cura di lei, garantire a lei e agli eventuali figli sicurezza, salute e felicità, ma aggiunse, di suo, anche la promessa di eterna fedeltà, che fece ulteriormente vibrare la figura di Sile, sorridere Jarvis e accendere gli occhi dei miei. Oltre a far borbottare qualcosa d’incomprensibile a Rigel, al mio fianco: mi voltai verso di lui, decisa a riprenderlo con uno sguardo rancoroso, ma quando gli stampai addosso il mio tacito rimprovero, vidi che, proprio come me, anche quello stupido di mio fratello aveva una luce sognante a illuminargli la faccia, anche lui stava subendo il fascino di quella Cerimonia, evidentemente, di fronte ai fatti importanti, riusciva a essere meno stupido di quanto credessi. Cercai di voltarmi un poco per guardare Sirius, ma Rigel mi sgomitò deciso ed io fui costretta a rimettermi composta. Jarvis diede al Celebrante le fedi e il vecchio le cosparse d’incensi e dell'acqua della Sorgente, recitando le canoniche formule d’indissolubilità, mio fratello prese delicatamente la destra di Sile e, pur emozionato, le infilò senza esitazioni l'anello, una fede d'argento e platino con uno smeraldo al centro, realizzato anch'esso, come il meraviglioso anello di fidanzamento su cui i folletti avevano lavorato per oltre due anni, da messer Yuket; Sile a sua volta gli mise al dito un anello identico, facendosi cogliere dall'emozione quando stava per lasciargli la mano, allora Mirzam, anche se non avrebbe dovuto, la riprese nella sua, stringendola ancora più forte. Mio padre si avvicinò all'ara, seguito da Fear che, finora, era rimasto lontano da tutti gli altri, in fondo alla sala, e iniziò a parlottare con il Celebrante, poi si voltò e fece un cenno a Mirzam e Sile: la giovane era spaesata per l'emozione, mentre Mirzam aveva la sicurezza tipica di chi sa già cosa sta per accadere, tra gli ospiti c'era una notevole concentrazione, soprattutto tra quanti non facevano parte della Confraternita, io seguivo carica di apprensione perché non avevo mai visto quel Rito in vita mia. Il Celebrante salmodiò nella lingua del Nord, sollevando i tre pugnali che avevo già visto il giorno prima sull'ara, poi li passò uno dopo l'altro a Fear che recitò altre formule in gaelico e, a quel punto, le offrì a mio padre; papà prese un pugnale per volta, immergendoli in Habarcat, che reagì intensificando il verde della sua luce, poi utilizzò la prima lama sul palmo di Sile, la seconda su quello di Mirzam, e l'ultima sul proprio, con Fear, dietro di lui, che cauterizzava i tagli con l'immancabile acqua della Sorgente, dopo aver raccolto le stille di sangue in due ampolline di cristallo: in una cadde solo il sangue degli sposi, nell'altra, riempita per metà di una sostanza argentata, raccolse anche quello di mio padre. Papà, infine, prese l'ampolla con la sostanza argentea e la immerse in Habarcat: quando la estrasse, la sollevò in alto perché tutti vedessimo che il miscuglio era diventato un fluido opalescente, dalle striature verde argento, che si muovevano nel piccolo contenitore come creature vive, quindi ci diede le spalle e si avvicinò al muro, intinse il mignolo sinistro nell’ampolla e con mano ferma andò a scrivere il nome di Sile sull'arazzo degli Sherton, accanto a quello di Mirzam. L'altro miscuglio, quello che conteneva solo il sangue degli sposi, fu intanto versato dal Celebrante in Habarcat, che di colpo cambiò il suo colore in un rosso intenso, simile a sangue, andando a risplendere caldo e vitale sull'argento del nome degli sposi, appena scritto. Mio padre si voltò e sorrise: Habarcat aveva appena confermato davanti a tutti, ciò che già Herrengton aveva decretato sulla spiaggia ai soli Maghi della Confraternita. Allora il Celebrante chiuse la Cerimonia recitando l'ultima formula con cui dichiarava i due giovani marito e moglie, gli ospiti iniziarono ad applaudire, e Mirzam si scoprì il capo, sollevò delicatamente il velo di Sile e, stringendola a sé, la baciò, un lungo bacio misto di tenerezza e passione: sotto la luce verde di Habarcat, i loro visi erano bagnati da lacrime di sollievo e felicità.
Finalmente avevano realizzato il loro sogno.

***

Sirius Black
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971

In piedi, accanto alla finestra, ammiravo la sala, dove molti discutevano ancora di affari e politica, e l'ampio giardino, allestito a festa, pieno di ospiti, soprattutto di giovani impegnati in una delle tradizionali danze irlandesi che riempivano l'aria di calore e passione e stampavano sdegno e riprovazione sui volti arcigni dei più tradizionalisti. Scivolai con lo sguardo tra la gente e vidi da lontano Alshain, nella veste cerimoniale, che applaudiva tenendo il ritmo, incurante di tutto ciò che non fosse musica e festa, mio padre, stranamente rilassato, che parlava con Deidra e la mamma, Mirzam e Sile con Jarvis e sua moglie, mio fratello con zio Alphard e i nonni, mentre degli altri, di Meissa e Rigel in particolare, non sapevo nulla. Mi spostai, scivolando indifferente lungo la parete, uscii dalla stanza e m’immersi nella penombra del corridoio, andando a osservare l'oscurità profonda che ormai aveva preso piede, avanzando dal mare, fagocitando il giardino posteriore, immerso nella neve: per quel giorno, una strana Magia permetteva ai fiocchi di toccare terra solo in quelle porzioni del castello che non erano coinvolte nei festeggiamenti, e faceva così coesistere stranamente inverno e primavera. Aprii la porta e uscii, affondando nella coltre morbida, resa grigia dall’oscurità: la giornata, lunga e affascinante, volgeva ormai al termine, Alshain aveva detto a mio padre di aver chiesto al Ministero il permesso di usare una specie di “super Passaporta”, per questo il Ministro si trovava lì, doveva verificare di persona che non ci fossero usi impropri, da un momento all'altro gli sposi sarebbero perciò stati convocati nello studio di Sherton e si sarebbero smaterializzati per ricomparire dopo oltre un mese, la destinazione era nota a pochissime persone. Avevo anche scoperto dalla rapida conversazione che aveva tanto sconvolto mio padre, che Longbottom avrebbe approfittato di quell’invito per parlare con Emerson e altri Maghi del Nord della riforma interna della Congrega, e della volontà di Alshain di ritornare a vivere a Londra, lasciando la guida effettiva delle Confraternita ad altri, per ricoprirne solo un ruolo formale. Mi ero chiesto tutto il giorno che cosa significassero quelle novità, sospirando spesso: non ero stanco, ma immalinconito, quello sì, temevo di nuovo che il Cammino del Nord mi fosse precluso per quelle scelte, e soprattutto ero triste perché non avevo ancora potuto scambiare nemmeno una parola con Meissa, né con gli altri, ero rimasto sempre con i miei, ignorato da tutti, eccetto nonna Melania e zio Alphard, gli unici che sembravano non condividere l'ostruzionismo di cui ero vittima, fatto di silenzi e di barriere che m’impedivano persino di avvicinarmi a mio fratello.
Il ricevimento, il banchetto, la musica, i balli, tutto era stato magnifico, proprio come lo erano stati tutti i Riti di quella lunga giornata, eppure c’erano stati anche momenti ed episodi particolari e nefasti: quando furono serviti piatti di deliziosa cucina francese, per esempio, al nostro tavolo Bellatrix uscì con l'infelice battuta “Tu che la conosci meglio di tutti noi, Rodolphus, non era un francese l'ex fidanzato della sposa?” che le valse un'occhiata gelida di mio padre, certo, ma che diede anche vita a una serie infinita di spiacevoli pettegolezzi da parte degli zii. Mia madre, che pur sapevo poco convinta delle scelte del giovane Sherton, in quell’occasione non affondò il dito nella piaga, anzi, parve molto indispettita dall'atteggiamento di Bella, sempre più simile a un’invasata, e di Rodolphus, che ogni tanto si alzava per brindare, rendendo omaggio la sola sposa invece della coppia, ed io capii che non aveva cambiato idea su Mirzam, solo temeva che quel comportamento irrispettoso potesse portare discredito a tutta la nostra famiglia; io lanciai un'occhiata eloquente a Regulus e mi misi buono e calmo in attesa di vedere gli sviluppi, guardandomi bene dal fare o dire qualsiasi cosa potesse coinvolgermi nella burrasca che, lo sentivo, si stava addensando all'orizzonte. Appena iniziarono le danze, avevo perciò approfittato della confusione per svicolare verso il giardino, deciso a mettere più distanza possibile tra me e gli altri: da lontano avevo ammirato Meissa che, come me, non era riuscita a sfuggire al controllo della famiglia per quasi tutto il giorno, ed era costretta ad annoiarsi ballando con William Emerson, indispettito almeno quanto lei. Rigel doveva far da balia a una delle giovani figlie di Pucey ma, nel suo caso, la piccola piattola sembrava ben lieta di averlo tutto per sé; Regulus era l’unico a non sembrare scocciato, tutto preso com’era dai giochi con gli odiati cugini Rosier, che a me davano l’orticaria soltanto a sentirli parlare. Mirzam e Sile non si erano allontanati mai l'uno dall'altra, parlavano con gli ospiti, certo, ma per lo più si trattenevano solo con il testimone e sua moglie, o con le amiche di Sile, o con pochi ristretti parenti, Alshain e Deidra cercavano di far da filtro il più possibile tra gli sposi e gli ospiti, d’altra parte non ci voleva molto a capire che non vedevano niente di quanto li circondava, esistevano solo l’uno per l’altra e contavano i minuti che li separava ormai dalla libertà e dall’amore. Sorrisi: mio padre diceva che la felicità si ottiene facendo convergere i desideri col dovere, ma quei due erano felici per un motivo molto più semplice, non ci voleva molto a capire che erano davvero innamorati.

    “E bravo Black... Sempre pronto a nasconderti nella neve, ai ricevimenti degli Sherton!”

Mi voltai, sorpreso, subito un sorriso pieno si fece largo sul mio volto: Meissa era a pochi passi da me, accanto alla porta, un sorriso ironico stampato in faccia, stupenda nel suo mantello caldo da Strega in miniatura.

    “Mei!”

Risi e tesi la mano verso di lei, Mei si avvicinò e la prese, poi iniziammo a camminare in silenzio, inoltrandoci sempre di più in quella coltre bianca, tra i sedili di pietra e i cespugli dalle forme strane, fin quasi a raggiungere gli strapiombi e a sentire il mare che ululava sotto di noi.

    “Non sei a festeggiare e ballare con gli altri?”
    “Non ne posso più di balli e di William Emerson: davanti a suo padre diventa un leccapiedi insopportabile!”
    “O forse fa così perché qui non c’è la bella Marlene!”

Meissa ghignò, poi si fece seria e cupa.

    “Mio fratello è appena andato con Sile, papà e il Ministro nello studio: credo non li vedremo nemmeno partire…”
    “Tuo fratello è felice, lo vedono tutti che sono fatti per stare insieme... e alla fine ritorneranno da tutti voi… perciò non devi essere triste…”
    “Lo so... e sono felice per lui, per entrambi… dico davvero… ma… mi manca già…”

La fissai, vidi chiaramente i suoi occhi riempirsi di lacrime: anche lei mi era mancata e tanto, benché fosse stata tutto il giorno a pochi passi da me, perciò capivo quello che sentiva. Chinò il capo per sfuggire ai miei occhi, io smisi di guardarla, sapevo quanto odiasse farsi vedere debole, quanto disagio provasse nel mostrarsi mentre le sfuggiva una lacrima, eppure mi entrava ancora di più nel cuore quando la vedevo per com’era davvero, forte e al tempo stesso fragile. Le strinsi la mano: avrei voluto abbracciarla, così non mi sarebbe sfuggita più, e non ci sarebbe più stato spazio per qualche damerino biondo che voleva ballare con lei.

    “Ti va di venire con me, Sirius? Laggiù ci sono dei gradini, c’è una piccola scalinata che porta a una specie di terrazza a picco sul mare, potremo vedere meglio degli altri i fuochi magici, senza tutta la confusione e…”
    “Ma i tuoi si arrabbieranno se sparisci così…”
    “Faremo in modo che anche loro ci vedano, basterà attirare la loro attenzione…”
    “Non lo so… non mi sembra una buona idea, sai… oggi tua madre ha fatto di tutto per non perderti mai di vista… secondo me dovremmo ritornare dagli altri…”
    “Non fare il guastafeste, Black! Probabilmente mia madre mi metterà in punizione anche solo per essere stata qui, quindi… tanto vale divertirsi almeno… ahahah…”

Si mise a correre, io rimasi un po’ interdetto, in quella direzione sembrava che tutto fosse avvolto nell’oscurità, si vedevano i profili degli alberi, certo, e il muretto di pietra, ma secondo me c’erano alte probabilità di farsi del male, anzi mi meravigliavo che corresse così, poi mi accorsi di alcune pallide luci che segnavano il cammino, a mano a mano che lei avanzava nella neve.

    “Non vale, questa è Magia del Nord!”
    “No, nessuna Magia, si attivano quando sentono una semplice pressione sul terreno… Fai un passo: vedrai che si attivano anche con te… si attivano pure con i gatti!”

Avanzai, un po’ perplesso ma vidi subito che era vero: vidi e raggiunsi i gradini, con attenzione scendemmo la scalinata, fino a raggiungere la terrazza inferiore, chiusa tra il bosco e la roccia su un lato, sospesa sull’oceano dall’altro e aggrappata con contrafforti di pietra al resto del castello, per la precisione a una delle torri principali.

    “Guarda, gli altri sono laggiù! Possiamo gridare e ci vedranno!”
    “Aspetta…”

Trattenni Mei per una manica, lei si voltò indispettita, io le feci cenno di fare silenzio, poi con la testa indicai verso la zona più buia e isolata della terrazza, talmente a ridosso della torre da essere completamente buia e invisibile fuorché, in parte, dalla nostra posizione: con la coda dell’occhio, appena scesi gli scalini, avevo visto qualcosa muoversi nell’oscurità, e ora che avevo fatto alcuni passi, aguzzando la vista, percepivo distintamente la forma di due persone avvinghiate.

    “La tua idea era buona, Mei, ma la terrazza è già stata prenotata da qualcun altro… a quanto pare… e non credo che, viste le loro finalità, vogliano condividere con noi questo bel nascondiglio…”
    “Che cosa vorresti dire?”
    “Vuoi forse beccarti qualche fastidiosa fattura per aver infastidito due che stanno amoreggiando? Io no, non credo saranno felici quando si accorgeranno di noi! Dovremmo rientrare…”
    “Se li minaccio di dire che li abbiamo visti… se ne andranno e non ci faranno problemi!”
    “Mei!”
    “Non fare il fifone, Black! Questo è il mio terrazzo ed io voglio vedere i fuochi…”

Aveva alzato appena la voce, il tanto che bastò ai due amanti per capire che non erano più soli: la figura più bassa, femminile, cercò rapidamente di ricomporsi e di nascondersi dietro l’uomo, lui fece in modo di proteggere la sua compagna e di celare la propria identità ma, rendendosi conto che aveva di fronte solo due bambini, non sembrò preoccuparsi più di tanto; io morivo dalla curiosità di capire chi fossero, c’era qualcosa di familiare in quell’ombra altera, ma ero anche a disagio, volevo andar via di lì, avrei fatto qualsiasi cosa per convincere Meissa a desistere. Fu in quel momento che iniziarono a scoppiare i fuochi magici e il castello s’illuminò di bagliori stupendi, che si riflettevano sulla pietra bianca delle forti mura e sull’inchiostro impenetrabile del mare sottostante, dalla folla si levarono risate e grida di festa, un lampo azzurrino in mezzo ai giardini svelò la partenza di Mirzam e Sile, allora riprese anche la musica, ancora più ottenebrante e avvolgente, i fuochi incendiavano il cielo e a terra le danze degli irlandesi bruciavano il sangue. Mi voltai, le due ombre avevano approfittato della confusione dei fuochi per dileguarsi, ritornare indietro, confondersi con il resto degli ospiti, Mei ed io invece eravamo soli: mi dimenticai subito di loro, pensai soltanto che fosse uno spettacolo meraviglioso e fu tutto ancora più bello quando Meissa, senza che me ne accorgessi, salì in punta di piedi e fulminea mi scoccò un bacio sulla guancia sinistra, poi mi fissò con occhi irridenti e mi stampò un caldo bacio sulle labbra schiuse dallo stupore. La guardai, sembravamo sospesi tra nuvole, gli occhi illuminati dalle luci variopinte e dalla felicità, le mani strette le une nelle altre, il desiderio innocente di continuare a sentire quella specie di farfalla che mi volteggiava nello stomaco, ogni volta che il suo respiro e il suo calore mi accarezzavano la pelle, quel brivido ignoto che si formava alla base della mia testa e scendeva giù, sempre più giù, lungo la schiena, risvegliando ogni terminazione del mio corpo. Mi sentivo perso in un languore sconosciuto, in uno struggimento strano, tanto potente da arrivare a spaventarmi; strappai una rosa fiorita magicamente tra i cespugli che ornavano la terrazza e gliela sistemai sul mantello, con la fibbia argentea che aveva appuntata all’altezza del cuore.

    “Mei…”

La voce, supplice, non sembrava più nemmeno la mia, le accarezzai il viso, gli occhi perduti nei suoi, volevo ripetere quello che avevo tentato a scuola, quando con il mio abbraccio fin tropo goffo di bambino irruento l’aveva fatta fuggire, sperando in maggiore grazia e fortuna, ma la sua espressione cambiò completamente, sembrava atterrita.

    “Sirius!”
    “Che cosa? Che succede, Mei?
    “Lassù, guarda… lassù… qualcuno sta combattendo… stanno…”

Mi voltai, guardando nella sua stessa direzione e, di colpo, le mie gambe si fecero di burro, miei sogni si stavano trasformando in tragica realtà: due figure avvolte nel buio si stavano affrontando in cima alla torre principale, se ne potevano percepire i fluidi movimenti dei mantelli e i capelli mossi dal vento, ma da quella posizione e da quella distanza non riuscivo a riconoscerne i volti, né a sentire le voci, solo i lampi di luce rossa indicavano in maniera inequivocabile che lassù qualcuno stava combattendo. Proprio come nel mio sogno…

    “Dobbiamo avvisare gli altri Mei… dobbiamo avvisare tuo padre, perché gli altri non riescono a vedere quella torre dai giardini!”

Non attesi la sua risposta, iniziai a correre, senza voltarmi, rassicurato dai passi lievi di Meissa che udivo dietro di me, il sibilo soffice dei suoi stivaletti che affondavano nella neve, poi i sottili colpi secchi con cui colpiva ritmicamente le pietre dei pavimenti millenari. Mancava poco per raggiungere la base di quella torre, la torre che ospitava le stanze private della famiglia Sherton, presto avremmo dovuto decidere se salire o prendere il corridoio e avvisare gli altri: io ero veloce e Meissa, lo sentivo dal suo passo distanziato, non riusciva a starmi dietro facilmente, era meglio che fosse lei ad andare da suo padre, avvisarlo, mentre io avrei iniziato a risalire la torre. Proprio come nel mio maledetto sogno… Mi voltai, per suggerire a Meissa di dividerci, ma lei era rimasta molto indietro.

    “Meissa…”

Feci due passi avanti, dovevo assolutamente raggiungere la torre, non c’era tempo da perdere. Mi voltai ancora per chiamarla: che fine aveva fatto? Perché era rimasta tanto indietro?

    “Meissa…”

Ormai doveva avermi raggiunto… Tornai indietro per alcuni passi, ripercorrendo il tragitto appena fatto, preda del timore che fosse caduta e si fosse ferita, ma anche dalla speranza che avesse preso una scorciatoia che io non conoscevo, ma sapevo che in quel caso mi avrebbe avvertito.

    “Meissa!”

Ero tornato ancora più indietro, cercando un passaggio, una porta, che non avessi visto prima, invano.

    “Meissa! Meissa!”

I miei occhi percepirono nell’oscurità qualcosa che brillava a terra, mi misi a correre, la bacchetta sfoderata in mano, feci Lumos e riconobbi la fibbia d’argento che Mei portava sul cuore fino a pochi minuti prima; mi chinai a raccoglierla e il cuore si fermò, all’istante, pensieri tumultuosi di orrore e disperazione nella mente, quando vidi, poco distante dalla fibbia, sulla pietra scura, la rosa macchiata da gocce di sangue rubino.

    “MEISSA!!”
 
***

Orion Black
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971

    “Che diavolo ti è saltato in mente, me lo spieghi? Ti rendi conto che tutti ti avrebbero visto, conciata in quel modo? Non hai pensato a cosa avrebbero detto di tutti noi? É stato uno scherzo stupido e di pessimo gusto, Bella! Una buffonata che poteva mettere in ridicolo non solo te ma anche il nome che porti! Salazar! La nostra famiglia non ha certo bisogno anche di questo, soprattutto non ora: pensa al danno che potevi arrecare a tua sorella!”

Ero riuscito ad attirarla con una scusa in un punto appartato sulla terrazza: avevo aspettato per tutto il giorno, con pazienza, il momento giusto e alla fine avevo agito quando suo marito sembrava essersi dato alla macchia e la mia famiglia era completamente presa dai soliti, dannati, pettegolezzi. Mia nipote mi aveva seguito tranquilla, ma dalla sua espressione irridente avevo capito subito che aveva intuito le mie intenzioni: anche adesso, mi guardava con occhi carichi di derisione, giocherellando infantile con il calice di Moon’s Tears che teneva in mano. Io, invece, cercavo di nascondere dietro la facciata di severità e autorevolezza, tipica di un vero Black, il disagio che mi coglieva ormai ogni volta che avevo a che fare con lei. Era ridicolo, lo sapevo, ma mia nipote m’intimoriva. D’altra parte non potevo più esimermi dall'affrontarla, dovevo tutelare il buon nome dei Toujours Pur: quella mattina mi era quasi preso un colpo quando l'avevo vista togliersi il mantello al passaggio di Sile, restando davanti a tutti in un succinto abito verde, il colore concesso durante la Cerimonia solo agli sposi, sotto gli occhi divertiti di quell'altro disgraziato di suo marito. Poteva essere uno scandalo, e non sarebbe stato nemmeno il primo: colto alla sprovvista, nemmeno io credevo a quanto stessi vedendo, poi avevo capito che dovevo intervenire subito, avevo serrato rapidamente la mano sulla bacchetta nel mantello e avevo fatto un Incantesimo silenzioso che aveva tramutato permanentemente il verde in blu, cercando di non farmi notare da nessuno. Mia nipote, naturalmente, aveva compreso all'istante che ero stato io ad agire e mi aveva sorriso con un'espressione che l'educazione mi permetteva di definire solo “disdicevole”. Per tutto il resto del giorno non avevo fatto altro che tenerla d'occhio: ero certo che stesse tramando qualcosa, bruciava d'odio per Mirzam e per la sua famiglia, e conoscendola, non si sarebbe certo limitata a una buffonata come quella! Era sempre stata un tipo ribelle, mia nipote, impossibile da domare e guidare: avevo ringraziato gli dei di essere solo suo zio e non suo padre, perché il lavoro di Cygnus con lei era stato difficile, per non dire disperato e i risultati… beh, piuttosto inconsistenti. Quando i Lestrange se l'erano presa in casa, avevo perciò tirato un sospiro di sollievo e, ne ero certo, non ero stato l'unico, nella nostra famiglia, a festeggiare per quella liberazione: i problemi, però, non erano finiti, anzi, durante i primi mesi avevo temuto che Lestrange la ripudiasse, gettandoci in un nuovo scandalo, visto il comportamento folle che Bella aveva tenuto anche in pubblico; poi il rapporto tra i due sposi aveva iniziato a funzionare, o per lo meno sembrava meno problematico, eppure la situazione per certi versi era persino peggiorata. Bella, infatti, era tutt'altro che propensa a comportarsi come una rispettabile donna sposata, interessandosi di bambini, pettegolezzi, feste e quant'altro, al contrario amava frequentare la fosca combriccola di Rodolphus e, sospettavo, la cerchia più ristretta di Milord; i suoi modi, già piuttosto ruvidi e discutibili, erano degenerati ulteriormente, il rispetto per le convenzioni sociali e i precetti familiari si era fatto via via più effimero. Ero turbato all'inverosimile, perché l'esaltazione che da sempre provava per le imprese di Milord, ora non era più mediata dalle regole della nostra famiglia, anzi si coniugavano a una deleteria libertà d'azione e a una capacità magica che aumentava di forza e di spregiudicatezza, ogni giorno di più. Mossa dall'intima condivisione dei progetti e dei fini di quel temibile Mago Oscuro, sapevo che non si sarebbe mai fermata di fronte a niente e a nessuno. La famiglia Black naturalmente condivideva quell’ideologia: per il benessere dei Purosangue non c’eravamo mai tirati indietro, eravamo fieri della nostra purezza e vivevamo nel rispetto dei precetti di Salazar, tanto che ognuno di noi, soprattutto da giovane, non aveva mai disdegnato certi passatempi. Io stesso mi ero dato alle cacce al Babbano, da ragazzo, senza provare vergogna, rimorso, o turbamento, anche se avevo preferito vivere l'aspetto goliardico di quelle esperienze, piuttosto che dare sfogo alla mia sete di sangue e alle mie perversioni su quegli esseri inferiori: per me e per molti di noi la caccia era un semplice Rito di passaggio da affrontare per ribadire davanti a tutti la nostra identità, come già avveniva una prima volta a undici anni con lo smistamento a Serpeverde. Crescendo, era con l’esercizio della nostra influenza nei centri del potere, piuttosto che attraverso gesti materiali e sanguinari, che cercavamo di ristabilire lo stato naturale delle cose nel Mondo Magico. Bella era diversa, in un certo senso era più avanti di tutti noi, perché non si limitava più alle parole, era già passata ai fatti, voleva guidare la liberazione del nostro mondo, non attendere, come la maggior parte della nostra indolente famiglia, che fosse il mondo a cambiare per miracolo, o per piccoli passi, che il nostro ruolo ci fosse riconosciuto spontaneamente, senza dover lottare per riaverlo indietro. Bella era sempre stata così, da piccola diceva “un giorno sarò io soltanto, non sarò la figlia o la moglie di qualcuno”: nessuno di noi l'aveva presa sul serio, invece quella era la sua filosofia e giorno per giorno, stava trasformando i suoi propositi in realtà, servendosi persino del matrimonio. Aveva trovato in Rodolphus Lestrange, infatti, non colui che l’avrebbe piegata, ma la sua vera metà, un uomo che condivideva il suo fuoco, i suoi istinti, le sue aspirazioni: si erano riconosciuti come simili e ora si esaltavano reciprocamente in un percorso fatto di Magia e Oscurità. Di fronte a lei, mi sentivo ancora più piccolo e meschino, persino invidioso, sì, invidioso, per quella sua libertà sfacciata ed esibita per la quale io, al contrario, non ero stato capace di battermi. E anche in quel momento, in mezzo alla festa, nella tranquillità di quel giardino innevato, non sapere che cosa stesse architettando mi mandava fuori di testa, insieme al dubbio che non avrei avuto armi sufficienti a fermarla, se fosse stato necessario, se me la fossi, un giorno, trovata contro: potevo usare solo le parole, con lei, parole di cui Bellatrix, irridente, non si era curata mai.

    “Le azioni di ciascuno di noi, Bella, ricadono sempre sul resto della famiglia, non scordarlo, anche se ora sei una Lestrange, il tuo sangue è e resterà sempre quello di un Black!”

La vidi annuire e sorridermi, abbassò persino gli occhi, cercando di assumere un’espressione pentita e sottomessa ed io, sciocco, per un attimo mi lasciai persino convincere: quando però alzò di nuovo il suo sguardo su di me, vidi tutta la sua feroce derisione verso la mia pochezza, pervasa com’era da un'aria pericolosa e oscura che mi turbò nel profondo.

    “Avete detto bene, zio caro, sono una Lestrange, e lo sono anche per merito vostro, oltre che dei vostri cari amici Sherton. Riguardo al buon nome dei Black, compete ora ai vostri figli e a voi, che dovete educarli, la difesa del nostro Casato pertanto, fossi in voi, penserei alla cravatta che porta al collo il vostro primogenito, invece degli abiti di vostra nipote! Ne riparleremo, però, vedo che il nostro gentile ospite vi sta cercando, immagino che, al solito, avrà interessanti piani da proporvi. Con permesso... ”

Se ne andò con la consueta faccia da schiaffi, intercettando Alshain a pochi passi da me, scambiò con lui poche sussurrate parole, che non sentii, ma che sembrarono lasciarlo turbato, poi ridendo gli diede le spalle, mettendogli in mano il bicchiere di Moon’s Tears con cui aveva giocherellato per tutto il tempo, senza nemmeno assaggiarlo. Io... Era terribile il pensiero che avevo scoperto in me, da tempo, nei suoi confronti. La odiavo, sì, la odiavo. Come avrei dovuto odiare persino Walburga, se ne fossi stato capace, se il peso della colpa e l'amore che ancora nutrivo per lei, la donna che avevo imparato a conoscere e che avevo distrutto con la mia debolezza, non me l’avessero reso impossibile. Non potevo far altro che odiare Bella, per il veleno che riversava su Sirius, per come girava il coltello nella piaga, per come aizzava la madre contro il figlio, per i comportamenti simili a quello che aveva tenuto tutto il giorno. Quando avevo mosso rapido la bacchetta per cambiare i colori del suo abito, io… Un'idea atroce, eppure appagante, mi era balenata nel cervello. Perché no? Lì tra tante persone, in quella penombra… Perché no? Perché no? Bastava volerlo, volerlo davvero, e Merlino solo sapeva se non l'avevo desiderato con tutta l’anima, quando lei e suo marito avevano deriso mio figlio. Dovevo mettere a tacere certi pensieri, erano pericolosi e malvagi, proprio come lei. Avevo bisogno di aria, di qualcosa che mi calmasse, dello sguardo dei miei figli, del loro abbraccio: ero riuscito a stringerli a me per quasi un giorno intero, con l'amore e il trasporto che mi ero imposto di non dimostrare loro mai, coprendo i miei sentimenti con la scusa del doverli proteggere. Sciocco, miserabile, patetico, cuor di coniglio! Avrei voluto che quel giorno non finisse, avrei voluto fuggire per sempre da Grimmauld Place, avrei…

    “Hai proprio deciso di non rivolgermi più la parola, a quanto vedo... ”

Mi voltai verso Alshain, in tempo per vederlo portarsi alle labbra, sovrappensiero, il calice di Moon’s Tears.

***

Alshain Sherton
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971

Era da un po' che avevo l'intenzione di avvicinarmi di soppiatto a Orion, con stampata in volto la mia migliore espressione canzonatoria, sicuro di ricevere una degna “accoglienza”: per tutto il giorno, infatti, mantenendo nei miei confronti un atteggiamento ostile, aveva cercato di evitarmi. Dopo averlo cercato per un po', l'avevo visto da lontano, sulla terrazza, elegantissimo in un bel completo tradizionale nero e antracite, con sobri ricami argento slytherin, i capelli pettinati con cura all'indietro, in morbide onde leggermente brizzolate che arrivavano a sfiorargli la base del collo, le mani cariche d'anelli e la faccia atteggiata a un’austera disapprovazione verso il mondo intero. Ero rimasto a osservarlo a lungo sulla porta che immetteva nel giardino, mentre discuteva pieno d’inusuale animosità con sua nipote: dovevano avere un diverbio su qualcosa, ma non capivo di cosa si trattasse, quando si aveva a che fare con due sfingi simili, era molto difficile comprendere quale fosse il problema, a meno di non trasformarsi in una mosca e volare a spiare i loro discorsi. Alla fine, vedendomi, Bella si era allontanata con la solita espressione irridente, capace di mandare ai pazzi persino i Santi, lui era rimasto lì, a osservare lo spettacolo dei balli irlandesi: probabilmente vagava con la memoria lontano nel tempo e nello spazio, ricordando i suoi anni turbolenti di ragazzo scapestrato e quelli più maturi e intensi del suo sfortunato amore per Walburga. Non era giusto, no, non lo era: d'altra parte, la vita raramente era giusta, anche con chi, come noi, avrebbe avuto le carte in regola per attraversare l'esistenza indenne, senza mai incrociare il dolore.

    “Milord... ”

La voce di Bellatrix mi riportò in me, la osservai venirmi incontro con movenze feline e maliziose: aveva un abito strano, molto strano per una Cerimonia, un abito troppo corto e troppo scollato, che non lasciava molto all'immaginazione, di un bizzarro blu cobalto, con sopra una specie di velo nero a farle da mantellina, gli occhi truccati pesantemente, che davano al suo viso niveo un aspetto emaciato. Una bellezza intensa, esibita, malata, capace di turbare chiunque. In genere io non guardavo le donne, non con quell’insistenza almeno, ma Bella... Bella era una giovane Strega che si faceva guardare, quasi con violenza. Per l'ennesima volta mi dissi che avevo fatto bene a intervenire su Mirzam, anni addietro, in maniera poco ortodossa, perché quella Strega poteva portare solo turbamento e guai nella nostra famiglia.

    “Lady Lestrange... ”

Mi chinai a farle uno dei miei soliti baciamano: in effetti, ogni volta che avevo a che fare con giovani Streghe che avevo visto nascere e crescere, mi sembrava ridicolo comportarmi in quel modo formale e galante, mi faceva sentire vecchio, persino più del vedere mio figlio finalmente sposato. Deidra lo sapeva e di solito mi derideva per giorni; immaginai che mi stesse osservando anche in quel momento, pronta a prendermi in giro appena fossimo rimasti soli ed io, allora, mi sarei vendicato della sua sfrontatezza, approfittando in maniera deliziosa delle sue grazie. Sorrisi tra me, con tenerezza, come ogni volta che pensavo alla nostra straordinaria complicità.
Quando però Bella mi puntò addosso il suo sguardo strano, il sorriso mi morì subito sulle labbra. Era inutile raccontarsi favole: quella Strega mi metteva a disagio, in un modo diverso da tutte le altre, per quel suo modo di guardarmi, particolare, insistente, provocante, a volte persino indecente, che mi metteva una strana sensazione di pericolo addosso. Me n'ero accorto la prima volta a Lestrange Manor, pochi mesi prima, quando i suoi occhi penetranti mi avevano turbato persino più dello schiaffo di Milord, e da allora si era ripetuto, sempre più insistente, ogni volta che l'avevo incrociata: sembrava leggermi dentro, anche se avevo eretto un muro impenetrabile attorno ai miei pensieri più intimi e segreti. Non era Legilimanzia, però, sapevo bene, purtroppo, di cosa si trattasse, per questo mi ammonivo da solo, nella mia testa, invano, ripetendomi che dovevo evitare di alimentare quella mia assurda debolezza. Anche se non volevo ammetterlo, e non l'avrei ammesso mai, nemmeno sotto tortura, sapevo di esserne in qualche modo attratto, e temevo che lei l'avesse capito prima di me e ora agisse di conseguenza, perché interessata, o più probabilmente per prendersi gioco di me o per farci del male. Il fatto di amare Deidra non mi aveva mai reso cieco, d'altra parte la capacità di riconoscere e apprezzare la bellezza quando la incontravo non mi aveva mai spinto a dimenticare cosa contasse davvero nella mia vita, né pensare a certe eventualità mi aveva mai distolto dal rispetto dei miei veri sentimenti. Sapevo però che occorrevano costantemente prudenza e controllo perché, lo vedevo in molti, il passaggio tra il pensiero e l'azione spesso era fin troppo breve... e la debolezza sempre in agguato. Sospirai, mi sentivo ridicolo, sì, ridicolo, perso in quelle fantasie e quelle paure stupide, così strane per me: da quando io, Alshain Sherton, mi lasciavo turbare dal semplice sguardo di una ragazzina?

    “I balli irlandesi sono così meravigliosi: caldi, passionali... sensuali... Per tutto il giorno mi sono chiesta se... ricordo che siete un ballerino provetto, Milord... posso sperare in un vostro invito?”
    “Ero un buon ballerino, Milady, ma alla vostra età: ora non posso certo reggere il confronto con questi giovani pieni di energia, grazia ed entusiasmo... ”
    “Lo sapete bene quanto me, Milord: in molte cose, l'esperienza conta più della forza... quanto all'entusiasmo... ci sono molti modi per riaccenderlo...”

Non feci in tempo a risponderle a tono: Bella aveva già posato la mano sul mio avambraccio sinistro, con assoluta indifferenza, stringendo appena la presa, e strusciando lieve il tessuto esattamente sopra le Rune che avevo marchiate sotto. La guardai, stupefatto per tanta sfrontatezza, lei mi stampò addosso, dannatamente seria, due occhi neri come la perdizione: non avevo dubbi, sapeva bene quale effetto facesse una carezza simile sulle nostre Rune. Mi lasciò così, senza parole, per scivolare via, nell'oscurità del giardino,irridente e soddisfatta del mio turbamento, mettendomi il suo bicchiere in mano, e un’incredibile confusione in testa. Feci un sospiro fondo per snebbiarmi i pensieri: stavo diventando troppo vecchio e troppo stupido, dovevo smetterla di bere come avevo fatto per tutto il giorno e dovevo evitare quella Strega ad ogni costo. Mi avvicinai falsamente baldanzoso a Orion, sperando che due chiacchiere con lui mi riportassero il buon umore, così lo apostrofai con una delle mie migliori espressioni leggere e canzonatorie

    “Hai proprio deciso di non rivolgermi più la parola, a quanto vedo...”

Poi trangugiai in un solo sorso il Moon's Tears, per placare l'ansia e la sete, mentre Orion si voltava verso di me.

***

Rigel Sherton
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971

    Fidanzati. Anzi no, peggio: ufficialmente fidanzati. E non più tardi della festa di Hogmanay!

Il mio stomaco era entrato in subbuglio già da qualche tempo, da quando avevano iniziato a girare voci di un simile orrore, ma il mio senso di nausea era giunto a livelli intollerabili da un paio di giorni, perché in ogni salotto che avevo frequentato da quando avevo lasciato Hogwarts, il discorso era stato ripetuto e confermato. Ora, sentire una parte dei pettegolezzi divertiti e orgogliosi sul fidanzamento del secolo, proprio tra Walburga Black e Belvina Pucey, mi aveva dato il colpo di grazia. Mi ero guardato intorno, disperato, avevo cercato, tra la folla festante, una prova che non fosse vero, che fosse solo una chiacchiera come tante, o almeno, che si trattasse di un fidanzamento imposto dalle famiglie, - come se ci potesse essere una qualche consolazione nel saperla infelice per il resto della sua vita, costretta con la forza a vivere per sempre accanto a quel maiale! Invece no, assolutamente no, nemmeno quel “conforto”, perché spaziando con lo sguardo, alla fine, ancora una volta, l'avevo vista, bella e fredda come una mattina d'inverno: Narcissa Black, semplicemente meravigliosa, una stella scesa sulla terra per ordine degli dei a portare luce nel nostro mondo privo di speranza, stava ballando, con le fiamme dell'amore negli occhi, stretta a lui, un essere falso e meschino, indegno persino di strisciare ai piedi di una creatura tanto perfetta. Ero rimasto lì, impietrito, a osservarli, preda di sentimenti contrastanti, diviso tra l'odio per lui, il desiderio acerbo e disperato di lei e il rancore, sì, anche il rancore, perché Narcissa non si ribellava, non apriva gli occhi, sembrava non capire. E infine la disperazione, per il mio stupido sogno ormai ridotto in cenere e per il destino, che io immaginavo orrendo, che attendeva quella figura angelica. Dovevo salvarla in qualche modo, me lo ripetevo ormai in continuazione, ma come fare? Avrei potuto battermi in duello con lui, e con qualche trucchetto imparato da Mirzam, potevo pure uscirne bene, dargli una lezione, infondo l'avevo già messo in difficoltà in passato. Vedendoli così, però, solo un pazzo non avrebbe capito che non sarebbe servito a niente: Narcissa non voleva essere salvata, non aveva bisogno di essere salvata. Mentre la mia mente volava dietro arditi piani senza senso, in cui io, coraggioso come un eroe antico, con la forza e con l'ingegno, salvavo Cissa da un Mago Oscuro molto più forte di me, li avevo visti allontanarsi con garbo, scivolare tra la gente, ritrarsi tra le ombre. Io non potevo crederci, no, non potevo crederci.

     Non lei, non la mia Narcissa! La mia...

Come privo di volontà, li avevo seguiti. Lei era così stregata da lui, da non vedere ciò che era chiaro come il sole: per me, il nome e il denaro dei Malfoy non erano sufficienti nemmeno a elemosinare un suo sorriso, a lei, invece, sembrava bastare molto meno, appena una promessa, per concedergli addirittura se stessa. Mi veniva da piangere, riscoprendomi così ridicolo, stupido, infantile, nella mia ingenuità. Un senso di tragedia mi aveva consumato l'anima, mentre seguivo nella penombra dei corridoi quelle figure, divertite e leggere, che bruciavano già di passione, il passo emozionato eppure sicuro di lei, pronta a dar voce e forma e vita al desiderio: lo sentivo nella sua voce rotta, nella sua risata strana, che la sordida richiesta di Lucius alla fine era condivisa da lei. Ora concedersi non appariva più ai suoi occhi qualcosa di desiderabile ma increscioso e spudorato, ora si ammantava di legittimità e decenza, grazie alla benedizione delle famiglie e al plauso della società. Nell'oscurità si erano fermati, avevo visto il bastardo stringere con bramosia quel corpo delicato a sé, spingerla famelico contro il muro come fosse l’ennesima preda, e affondare la bocca sul suo collo esile, marchiandolo di vergogna, la voce di Narcissa che sussurrava appena, affannata. Quando però lei mi parve sfuggirlo, il cuore mi era balzato nel petto e si era aperto alla speranza: potevo intervenire, era palese che lei cercasse di liberarsi, aveva bisogno che qualcuno la salvasse da quella belva ed io ero pronto a essere il suo eroe! Poi, però, poi avevo capito. L'avevo visto con i miei occhi: Narcissa non cercava affatto la libertà, ma solo un posto più sicuro e nascosto in cui appartarsi con lui e diventare sua. Per sempre. Ridendo bramoso, lui l'aveva seguita nell'oscurità del giardino. A me, privo di forze e di speranza, era crollato il mondo addosso. Non potevo far altro che fuggire da me stesso, cercare di non pensare, di dimenticarla, di togliermi il suo sorriso dalla testa, insieme a quell'idea assurda, che mi scavava dentro da troppo tempo, che potessi avere almeno una speranza con lei, un giorno, grazie al nome che portavo.

    “Sono solo stupidi sogni, Rigel! Sei troppo piccolo, lei nemmeno sa che esisti!”

Ogni volta cercavo di fare una spacconata più grossa della precedente, sperando di farmi notare e dimostrandomi invece ancora più bambino. Avevo corso forsennatamente per i corridoi oscuri del castello, scendendo sempre di più, cercando invano di cancellare fantasie orribili fatte di angeli trasformati e divorati come semplice carne, perdendomi tra quelle mura, come mi stavo perdendo in me stesso. Alla fine mi ero fermato, privo di fiato, giù, in quella specie di museo in cui mio padre conservava i cimeli di famiglia, mi ero abbandonato contro un muro, scivolando con la schiena lungo la parete fino a terra ed ero rimasto così, come un sacco vuoto e disfatto, mentre le lacrime bollenti diventavano a poco a poco gelo sulla mia faccia e il mio corpo, scosso dai brividi e dai singhiozzi, smetteva di vibrare, privo di qualsiasi volontà e dignità. La giornata era quasi conclusa, a me sembrava che fosse finita tutta la mia vita. Volevo restarci in eterno, laggiù, lasciarmi morire, non m’interessava più nulla, figurarsi quella stupida festa, quegli stupidi balli, quella stupida gente, o peggio ancora mio fratello!
   
    Mio fratello...
   
Immaginai la sua faccia se mi avesse visto ridotto così: mi avrebbe guardato con disgusto, mi avrebbe dato del bambino, mi avrebbe ricordato i doveri di quelli come noi, di un vero Sherton. Dentro di me sapevo che non ce l'avrei più fatta a sopportarlo, lui e tutti i suoi dannati discorsi: senza uno scopo da raggiungere, senza Narcissa per cui combattere, che senso avevano? Che me ne facevo dell'orgoglio, del Sangue, se non servivano nemmeno a ottenere lei? Che senso aveva alzarsi da terra e continuare a vivere? Mi rovistai nelle tasche del mantello, non avevo più nemmeno quella dannata birra babbana con me, avrei potuto continuare a nascondermi, ma senza sbronzarmi: ero condannato a pensare. La sola idea mi fece scoppiare in lacrime. Potevo solo piangere, volevo solo piangere... come un bambino...

    “Qualsiasi cosa accada, Rigel, non dare mai a nessuno la soddisfazione di vederti piangere!”

Pensai a tutte le volte che mia madre, da piccolo, con un bacio sulla fronte e scompigliandomi i capelli, mi aveva ripetuto quelle parole, quando cadevo e mi facevo male: mi bastava sentire il suo profumo e il suo calore, la dolcezza della sua voce gentile, quel timbro che pareva avesse sempre e solo quando si rivolgeva a me, e subito il dolore diventava meno intenso, e le lacrime, rapide, si asciugavano sulle mie guance. No, non avrei pianto, no. E non perché fossi uno Sherton, e come tale dovessi sempre mostrarmi forte davanti agli altri, ma perché ero figlio di mia madre e, nelle mie vene, scorreva la sua stessa semplice dignità. No, non avrei dato a Malfoy o a Narcissa la soddisfazione di vedermi a terra per loro, mai. Mi asciugai gli occhi con la manica del mantello, tirai su col naso, passai la mano tra i capelli, arruffandoli come facevo sempre, per ridarmi un’aria spavalda, feci un sospiro fondo, quindi mi alzai, deciso a tornare dagli altri, senza far trapelare nulla del dolore che avevo nell’anima, rimettendo la mia maschera di piantagrane, così che nessuno si accorgesse di niente. Fu allora che, improvvisa, la porta alle mie spalle si aprì, con un cigolio oscuro e sommesso, io mi voltai, sorpreso, aguzzai gli occhi nella penombra, mi acquattai dietro le colonne e le teche e, trattenendo il respiro, vidi una figura misteriosa che si muoveva guardinga tra le ombre rosse dei bracieri.

***

Alshain Sherton
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971

    “Hai proprio deciso di non rivolgermi più la parola, a quanto vedo... ”
    “Non sono votato al martirio, lo sai! Solo un pazzo rivolgerebbe la parola a un dannato bastardo, idiota e falso, che ha deciso di buttarsi in un pozzo e trascinare i suoi cari con sé!”

Tornò a guardare i balli irlandesi, gli occhi restarono fissi su quello spettacolo che era un inno all'istinto e alla passionalità, quanto di più lontano dai precetti che gli erano stati inculcati a forza fin da quando era un bambino, generando in lui una sete mai sopita di vita vera. Una sete che aveva provato a soddisfare, arrivando quasi a distruggersi.
   
    “La tua tendenza al melodramma migliora con gli anni, Orion! Lo dico sempre, avresti dato il meglio di te, calcando le scene nei teatri del Regno!”
   
Le sue labbra si piegarono appena in una smorfia sprezzante, tipicamente Black, ma la sua voce perse la morbidezza e l'eleganza propria dei salotti che era solito frequentare per indurirsi in un epiteto poco “raffinato” nei miei confronti, nella rozza lingua del Nord; per il resto, al solito, sembrava privo di emozioni: c'era solo una vena sulla fronte che pulsava violenta, a testimoniare la presenza di un'anima ancora viva imprigionata in quel suo corpo di cera, da cui non riusciva in alcun modo a liberarsi.

    “L’ho sempre detto, non c'è nulla meglio della mia lingua per dissacrare la sacra e nobile eleganza dei Black!”

Si voltò: i suoi occhi erano cupi come una notte d'inverno, di colpo sembrò che gli anni fossero scivolati a terra, che fossimo ritornati indietro, quando al mio fianco c'era un giovane caparbio e ingegnoso, pieno di ardore e insofferente alle regole, quello con cui avevo condotto una gioventù al limite del buonsenso, affrontando tutto di petto, calpestando ogni ipocrisia e convenienza. All'ultimo ostacolo, però, io avevo spezzato la catena che m’imprigionava al mio destino, anelando libertà e vita, Orion invece era caduto e non si era più rialzato.

    “Che cosa voleva da te mia nipote?”
    “Bella? Nulla d’importante, mi ha chiesto di ballare... ”

Vidi il suo sopracciglio alzarsi dubbioso, poi ritornò come al solito imperscrutabile.

    “Tieniti lontano dai guai, Sherton! Ne hai già a sufficienza... Mia nipote è avvelenata e cerca di vendicarsi di tutti voi, e tu... tu le renderai il gioco facile, se le presterai il fianco! Non fare stupidaggini, ci sono migliaia di altre donne con cui spassarsela senza pagarne conseguenze tanto pesanti...”
    “Salazar, Orion, ma cosa dici? Ti ho sentito dire cazzate gigantesche, ma mai enormi quanto questa! Mi ha solo chiesto di ballare! Sei sordo o sei impazzito?”
    “Se lo dici tu...”

Mi mossi verso il balcone, così che l'oscurità mi circondasse: il mio volto era una maschera d’imbarazzo, colto alla sprovvista nello scoprire quanto fosse riuscito a leggermi dentro.

    Dannato inglese!

    “Sono gli stolti che ridono affrontando a occhi chiusi l'orlo di un baratro: che tu vada a picco, Sherton, lo sai, non m'interessa, ma non permetterò che i ragazzi e Deidra paghino per la tua incapacità di usare il cervello, ammesso tu ne abbia ancora uno! Già scopro con disappunto che te la fai col Ministro, un maledetto Grifondoro, Traditore del Sangue. Non ti pare sufficiente come cazzata dell'anno? Io mi chiedo, dove diavolo hai la testa? Perché invitarlo qui, oggi, mostrando a tutti la vostra insolita confidenza? Non ti accorgi che hai messo nei guai i tuoi figli e tua moglie? E il compromesso che volevi fare per proteggerli? Che fine ha fatto? Come pensi di essere credibile a qualcuno, adesso? Lui sarà informato del tuo voltafaccia stasera stessa! E non gli servivano certo scuse per farti la guerra apertamente, lo sai... quando accadrà, perché accadrà, tu e tutto il tuo mondo sarete travolti! E la colpa sarà tua soltanto!”

Lo lasciai sfogare, mi aspettavo una reazione simile da quando avevo deciso di invitare Longbottom al matrimonio, e puntuale Orion non mi deluse: sapevo quanto fosse preoccupato per le sorti dei suoi figliocci e di Deidra, e sapevo che le sue obiezioni erano sacrosante, eppure quella era la sola strada da intraprendere, l'unica che mettesse al sicuro tutti, al diavolo quello che sarebbe capitato a me.

    “La tua agitazione è priva di senso, Orion: il Ministro è qui solo per consegnare una Passaporta. So che potresti obiettare che finora la Confraternita ha sempre usato i propri mezzi senza chiedere il permesso a nessuno, hai ragione, ma all'estero sono molto preoccupati per certe vicende che interessano la Gran Bretagna ed io non voglio che Mirzam e Sile abbiano dei problemi, ne hanno già passate abbastanza! Con un visto del Ministero potranno muoversi, senza che nessuno abbia da ridire. Tra meno di un'ora raggiungeranno una località che conosciamo solo Longbottom, Crouch, Mirzam ed io e per quanto mi riguarda, le conseguenze di questa giornata e delle mie azioni finiranno lì!”
    “E non potevi fartela dare a Londra? Perché portarti qui quel babbanofilo e i suoi dannati sgherri?”
    “Longbottom è stato socio di mio zio, Tobias Meyer, lo conosco da quando ero un ragazzino. Sei maestro di buone maniere, Orion, era sconveniente chiedere un favore al Ministro e non invitarlo alla Cerimonia: io mi sono limitato al mio dovere, lui ha accettato, non è colpa mia se è venuto davvero...”
    “Oh, sì, l’etichetta, la convenienza: da quando in qua t’interessano quelle che hai sempre chiamato stronzate? Chi credi di prendere in giro? Il Ministro e i suoi sgherri pulciosi potevano rifiutarsi di venire qui: cos'è, una barzelletta? Non gli sarà sembrato vero potersi infiltrare e spiarti!”
    “Salazar, Orion, non fare il bambino! Crouch non ha certo bisogno di venire fin qui per scoprire i miei segreti! Io non capisco cosa temi, non mi sono dilungato con nessuno di loro, li ho trattati come tutti, anzi, non ci ho nemmeno veramente parlato!”
    “Certo, perché hai lasciato a Emerson il lavoro sporco! Tu stai giocando col fuoco, Alshain, sottovaluti troppo l'intelligenza dei tuoi nemici e sopravvaluti troppo te stesso!”
    “A parte te, Emerson e pochi altri, tutte persone su cui metterei la mano sul fuoco, nessuno sa.  Vorresti farmi intendere che saresti capace di tradirmi tu, solo perché non ti convincono le mie idee? Non ci crederei nemmeno se ti vedessi, Orion!”
    “Ti preoccupi per me? Ridicolo! Piuttosto… per quanto pensi di riuscire a nascondere che Longbottom gode del sostegno dei Maghi del Nord ai danni di Lodge? Tu sei pazzo, Sherton! E quello che è peggio, ritirandoti a Londra, priverai la tua famiglia dell'unica protezione seria che possedete!”

Avevamo raggiunto già da un pezzo una posizione ancora più appartata, lontano da orecchie indiscrete, e avevamo mantenuto la voce molto bassa, nonostante la discussione fosse accesa, mi appoggiai al recinto di pietra di una delle fontane, mentre la sua figura, tremante di rabbia, incombeva su di me, minacciosa: sembrava pronto a prendermi a pugni, era il genere di situazioni che riusciva a suscitare in lui le reazioni più incontrollate, come avveniva spesso molti anni prima. E all'epoca, di solito, a uscirne conciato per le feste ero sempre io.

    “Qualsiasi decisione io prenda, la mia famiglia ed io saremmo sempre in pericolo, Orion! Riddle non ci lascerà in pace finché non avrà ottenuto Herrengton, e a quel punto non avrà più bisogno di lasciarci in vita, anzi, saremmo solo un intralcio! Nemmeno il più degradante dei compromessi potrà cambiare le cose, lo so, ma io devo prendere tempo, fargli credere che non ho ancora quell'anello e che lo sto cercando io stesso e, soprattutto, che mi fido delle sue parole e della sua protezione tanto da comportarmi persino in modo “sconsiderato” sotto gli occhi di tutti! So che devo sporcarmi con lui, ma lo farò solo il tempo necessario a me stesso o a qualcun altro per trovare una strada che lo fermi definitivamente, Orion... Il piano è e resterà sempre quello: deve restare lontano dalle Terre del Nord e dalle testimonianze del suo illustre antenato, a costo della mia vita, perché solo così il suo potere può essere contrastato! Se cadesse Herrengton, oltre a entrare in possesso di una Magia che lo renderebbe ancora più potente, tutti capirebbero che è il legittimo Erede di Salazar e allora persino i più moderati si piegherebbero al suo volere: a quel punto il nostro mondo, tutto ciò in cui crediamo, scomparirebbe, i tuoi stessi sacrifici, Orion, non sarebbero valsi a niente perché finiremmo tutti schiavi di un lurido Mezzosangue, Orion! Di un Mezzosangue, lo capisci? È questo che vuoi?”

L'avevo colpito, lo vedevo: se non avesse creduto alla bontà delle mie insinuazioni, alla fine avrebbe dato credito al Signore Oscuro, che aveva già irretito molte famiglie antiche come le nostre con promesse favolose di ricchezza, di potere personale e di un futuro radioso per i nostri figli, lontani dalla contaminazione della feccia. Ero però riuscito a instillare in lui il sospetto che ci fosse qualcosa d’inconfessabile nel passato di quel Mago potente, e questo spingeva Orion ad agire con prudenza, restando favorevole alla Sua ideologia, certo, ma senza legarsi apertamente a Lui.

    “Non intendi venir meno alle promesse che hai fatto finora, d'accordo, ma come possono integrarsi i due piani? Se tu lasciassi la Confraternita... ”
    “Se voglio che mi creda convinto, devo fornirgli delle prove, Orion: dovrò fare scelte che non si adattano alla mia natura e a quanto ho sempre preteso dalla mia gente. Se devo, prenderò persino il Marchio, ma non intendo seguire Milord restando a capo della Confraternita, non voglio che gli altri condividano il mio destino. Inoltre se Longbottom vedrà nella mia gente un valido appoggio, non sospetterà di loro, a causa mia, e se io dovessi cadere, nessun altro resterebbe coinvolto... ”

Rise. È questo che Orion Black fece a quel punto: rise. Una risata priva di gioia ma vera, come non la sentivo più da anni.

    “O sei un ingegnoso macchinatore, che si guarda bene dal rivelarmi quale sia la sua carta vincente, o sei stupido, pazzo e pericolosamente ingenuo! Punto primo, questo Ministro cadrà, Sherton, con le buone o le cattive non lo so, ma cadrà e in tempi brevi: vuoi farmi credere che sputtaneresti la credibilità della Confraternita per qualcuno che ha i giorni contati? Se sei preoccupato per la sorte delle Terre, dovresti allearti con Lodge, è lui il cavallo su cui puntare: dagli ciò che vuole e non ti creerà problemi, al diavolo la coerenza! Punto secondo, sei l'erede di Hifrig: come puoi pensare di andare dalla tua gente e dire “Da oggi in poi io vado per la mia strada, voi per la vostra!”? Come puoi illuderti che non facciano le tue stesse scelte? E infine... chi dovrebbe prendere il tuo posto, Alshain? Emerson è pieno di soldi ma senza un briciolo di carisma, un Corvonero che le Serpi non accetterebbero mai; inoltre lo abbiamo incontrato a Malfoy Manor: chi ti assicura che non si sia già legato a Milord a tua insaputa? Tuo figlio, invece, ha il sangue di Hifrig come te e avrebbe un suo seguito, ma per quanto io voglia bene a Mirzam, so che non ha ancora le “palle” che hai tu ed è anche più pazzo di te, già ora gli manca tanto così dal cadere in pasto a Milord! Chi ti assicura che non darebbe al Lord tutto ciò che vuole, causando la morte di tutti voi?”
    “Ho preso le mie contromisure, Orion, non temere! Quello che sto facendo ora è solo un'analisi: devo verificare quanto è fattibile il mio piano e in che tempi attuarlo...”
    “Il piano non è fattibile, Alshain: punto! Prendi il Marchio se devi, ma non lasciare Herrengton, né la Confraternita! Se vuoi, possiamo studiare un piano insieme, in fondo basterebbe che Mirzam...”
    “Mirzam lascialo fuori da questa storia: lui non sa ancora e non voglio che sappia!”
    “Bene, vedo che come al solito ognuno di voi fa le cazzate di testa propria all'insaputa dell'altro!”

Lo guardai turbato da quella sua espressione di contenuta superiorità: che cosa voleva insinuare? Di quale cazzata stava parlando?

    “Mirzam deve pensare a Sile e al Quidditch, deve occuparsi solo della sua vita e di nient'altro, voglio che sia lasciato in pace, libero di vivere con la donna che ama, senza altri pensieri che non sia come rendersi felici a vicenda! Promettimi che lo lascerai in pace anche tu...”
    ““Fai in modo che Sirius dia il suo anello a Rodolphus: i Lestrange hanno già capito che lo scambio l'hai fatto tu!”: me l'ha scritto due mattine fa, all'alba, io ho cercato di dirtelo per tutto il giorno, a Diagon Alley, ma tu eri troppo occupato a fare il padrino generoso con mio figlio! Dalla tua faccia capisco che non ne sapevi nulla, te lo spiego io: avete il fiato di Milord sul collo, e per quanto ne sappia, tu non hai ancora cavato un ragno da quel maledetto Libro! Ti sembra ancora una buona idea lasciare Herrengton? E, soprattutto, sei proprio sicuro di saper tutto ciò che devi su tuo figlio?”

Non lo ascoltavo nemmeno più, preda dei dubbi: perché mio figlio mi aveva nascosto una cosa tanto importante? Negli ultimi giorni, l'avevo visto nervoso e preoccupato, ma credevo fosse solo la tensione per i preparativi ad agitarlo, l'emozione per il matrimonio: come avevo fatto a essere così superficiale? E com'era possibile che mio figlio, dopo quanto era già accaduto in passato, sentisse ancora la necessità di agire alle mie spalle?

    “Sirius ha già dato l'anello a Lestrange? Gliel'ha dato, Orion?”
    “Gli ho detto di farlo, se l'avessero reclamato, e di fingersi tranquillo, solo un po' sorpreso: ho visto che non ce l'ha più addosso, presumo che se lo siano preso... Non ci metteranno molto a verificare che nemmeno quello è l'anello giusto!”
    “Salazar, Orion! Mi stai dicendo che l'hai lasciato così, da solo, nelle mani di quell'uomo? Come hai potuto?”
    “C'era Mirzam con lui e almeno io, finora, non ho mai avuto motivo di non fidarmi di tuo figlio...”
   
Riflettei: che cos'era accaduto? Che cosa significava tutto questo? Vedendo una reazione tranquilla in un ragazzino tanto giovane, probabilmente Rodolphus si era convinto che i Black non fossero in alcun modo coinvolti, che quell’anello fosse solo un dono personale di un padrino al suo figlioccio e una volta verificato che l'anello non aveva proprietà particolari... Immaginai che Mirzam, semplicemente, non avesse fatto in tempo ad avvisarmi, forse aveva scoperto qualcosa durante la serata dell'addio al celibato e aveva sentito la necessità di agire subito, senza perdersi in chiacchiere, era vitale per tutti noi che i sospetti su Orion si sciogliessero subito. Aveva agito bene dovevo ammetterlo, ora, almeno i Black, sarebbero stati lasciati in pace.

    “Lo vedo che sei preoccupato quanto me, che ti arrampichi sugli specchi per cercare un motivo!”
    “Sono turbato perché sono più avanti di quanto credessi, ma su mio figlio, Orion, io non ho dubbi: era bene agire subito, inoltre anche le mie reazioni dovevano essere spontanee. Loro non si fidano di me, almeno quanto io non mi fido di loro! Dov'è la novità? Ci studiano, studiano ogni mossa e ogni respiro... ”
    “Ammesso che Mirzam fosse in buona fede, non credi che ora anche tua figlia sia in pericolo? Se sono arrivati a immaginare che tu ti sia servito di Sirius, penseranno lo stesso di lei... ”
    “Mei è al sicuro, qui, con me e sarà al sicuro anche a Hogwarts, con Dumbledore...”
    “Possono aggredirla come hanno fatto con Sirius!”
    “Si occuperà Rigel di lei!”
    “Rigel? Un ragazzino di tredici anni? Andiamo Alshain! Fai la cosa giusta per una volta! Non coinvolgere oltre la bambina! Riprenditi l'anello e custodiscilo qui, qui dove nessuno può arrivare senza un tuo invito! Perché non lo vuoi qui? Rispondimi! Quale dannato motivo può farti sacrificare così Meissa? A meno che... Salazar! Temi che possa prenderlo lui, proprio Mirzam... È così, vero? Rispondi!”

Mi morsi un labbro per non rispondere: odiavo quando era così perspicace, quando mi metteva di fronte a una realtà che mi disgustava. Era vero, c'era stato un tempo in cui avevo avuto paura di mio figlio, di scoprire che non era dalla mia parte, che potesse venderci per pazzia o per incoscienza, com’era già stato sul punto di fare. Nonostante tutti gli sforzi, nonostante avessi cercato di perdonare e dimenticare, non ero più riuscito a fidarmi ciecamente di lui, non dopo tutto quello che era successo a Doire e al processo. Per questo non lo mettevo a parte di tutti i miei progetti. Glielo avevo persino detto, non ero stato così meschino da illuderlo: quando per amore di sua madre, alla nascita di Wezen, gli avevo chiesto di ritornare a vivere con noi, gli avevo spiegato chiaramente che la sua decisione di seguire le orme di Milord lo poneva in una condizione “sospesa”. E ora, scoprire che mi aveva tenuto all'oscuro di un dettaglio tanto importante... Eppure, anche se preso alla sprovvista, questa volta ero intimamente convinto che Mirzam avesse agito secondo coscienza, per il bene di tutti noi: forse perché lo vedevo così felice con Sile, non potevo vedere in lui odio e falsità. No, stavolta aveva agito per il bene della sua famiglia

    “Padrone...” 

Mi voltai, Doimòs si avvicinava di gran carriera, le orecchie penzolanti e la solita espressione radiosa e compita, con cui si rivolgeva sempre a me, fin da quando ero solo un ragazzino.
    
    “È successo qualcosa, Doimòs?”
    “Ministro voglia andarsena, padrone, signor Cruccia dice che è momento de Passaporta, padrona me mandato parche aspettendo solo voia!”
    “Salazar, ma come diavolo parla? Questo Elfo peggiora ogni giorno di più!”

Grato a Doimòs che veniva a togliermi da un momento tanto difficile, fulminai Orion con uno sguardo glaciale: lui, come la maggior parte dei nobili Purosangue, non capiva che i rapporti con gli Elfi potevano essere più complessi e soddisfacenti se non si basavano solo sull'uso di frusta e bastone. Gli sussurrai un bel saluto in gaelico poi, senza più degnarlo della mia attenzione, un po' preoccupato, seguii il mio Elfo. Avevo bisogno di parlare con Mirzam, farmi spiegare per bene che cosa stesse accadendo, forse facevo ancora in tempo prima che partisse: certo non era mia intenzione rovinargli la giornata, ma non potevo lasciare che se ne andasse così, con un dubbio terribile che mi devastava la mente. Di fronte al Ministro, feci cenno a Mirzam perché mi seguisse, lasciando intendere a tutti che fossero le ultime raccomandazioni di un padre prima di consegnarlo alla sua nuova vita, ma Crouch ci interruppe prima che riuscissi ad allontanarmi con lui, perché non c'era più tempo, la Passaporta stava per attivarsi e quei pochi minuti servivano a Longbottom per ricordare ai ragazzi alcune direttive importanti sul comportamento da tenere in terra straniera. Mi ritrovai così nella saletta che avevo allestito vicino alla Sala dell'Arazzo, per non dover ospitare Crouch e gli Aurors della scorta nel mio vero ufficio, all'ultimo piano della torre più alta. Mi guardai attorno, quella strana congrega, in quella stanza squallida e opprimente, creava un'atmosfera ben diversa dall'armonia che aveva caratterizzato il resto della giornata, ed io sentivo una sensazione strana, un peso opprimente sul cuore, un dolore reale, fisico, che mi saliva dal braccio e sembrava intensificarsi sempre di più. Dovevo essermi lasciato suggestionare da Orion, lo sapevo, eppure... Eppure percepivo un pericolo reale e silenzioso che incombeva su tutti noi, il sentore acre del tradimento che aleggiava sinistro tutto intorno a me.

***

Rigel Sherton
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971

    “Chi diavolo è?”

Nonostante alcuni, in realtà pochi, bracieri accesi, era buio, troppo buio, per capire chi fosse l’intruso: sapevo soltanto che, per colpa mia, per non aver toccato la porta con le Rune, dopo essere entrato, qualcuno era riuscito a penetrare in quella stanza, una delle più preziose per mio padre. Pregai che, per lo meno, non fossero di nuovo i due amanti: ci mancava pure vedere Malfoy all’opera, mentre materialmente si prendeva Narcissa in mezzo alle reliquie dei miei avi, davanti ai miei occhi; il solo pensiero mi provocò un altro conato di vomito, che repressi a stento. Mi ci volle poco a capire che no, non era Malfoy, e presto mi trovai nelle condizioni di non pensare più a lui: la figura oscura aveva appena evocato un silenzioso “Lumos” e ora avanzava lenta tra colonne e teche, esaminandole in cerca di qualcosa. Possibile che tra gli invitati ci fosse un ladro, deciso ad approfittare della situazione e della confusione per mettersi all'opera? Non avevo idea di chi fosse, ma ne sapevo già abbastanza, anche senza averlo visto in faccia: per essere lì, doveva conoscere di Herrengton molte cose, ma non abbastanza, sapeva come muoversi e dove cercare, ma ignorava certe regole elementari, ben note a qualsiasi Mago del Nord. Un qualunque membro della Confraternita, infatti, trovando la porta Disincantata, avrebbe intuito la presenza di uno Sherton e, ammesso avesse avuto l'indecenza e l’ardire di entrare comunque, avrebbe agito con maggior circospezione e prudenza. Come dovevo comportarmi a quel punto? Avvisare mio padre e gli altri, ruotando l’anello e chiamandoli in mio soccorso sarebbe stata la soluzione più sensata, se, come un idiota, non avessi lasciato l’anello in camera, dicendomi che nel castello non ne avrei avuto bisogno, anzi mi poteva ostacolare, nel caso avessi superato i controlli di mio padre e fossi riuscito a procurarmi una scopa da Quidditch, per lanciarmi con gli altri, per sfida, dalla rupe. E comunque, anche potendo, difficilmente avrei chiesto aiuto: ero così pronto alla rissa e deciso a sfogare su qualcuno la mia violenza, che avevo tramutato in rabbia legittima verso quell'intruso, tutto l'inferno che sentivo in me a causa di Lucius Malfoy. Ora, da brava serpe, dovevo riflettere ed elaborare un piano, perciò mi acquattai nell'oscurità, la bacchetta serrata nel pugno, studiando l’estraneo, pronto a intervenire appena avessi avuto la certezza assoluta di quali fossero le sue intenzioni. Pur flebile, infatti, c’era ancora una possibilità che mi stessi sbagliando, che si trattasse di qualcuno, che poteva contare su un permesso particolare di mio padre per entrare, o di un idiota che era stato colto da improvvisa e inopportuna curiosità o, peggio ancora, di uno degli Aurors di scorta al Ministro, che gironzolava alla ricerca di reperti oscuri per incriminare mio padre: mi rilassai, se fosse stato uno degli sgherri di Crouch, là dentro, non avrebbe trovato nulla di compromettente, non come nei sotterranei, per esempio, ma quello era un altro discorso. Chiunque fosse, dovevo capire bene la situazione, prima di prendere qualsiasi iniziativa: se avessi commesso un errore, infatti, avrei fatto infuriare mio padre ancora di più e in quel periodo, dopo le risse e gli scherzi vari, non me lo potevo proprio permettere.
L'ombra, coperta da un lungo mantello nero, il cappuccio alzato sul capo così da non farsi riconoscere, avanzò tentoni, leggendo con cura le Rune che si trovavano su molti reperti: sembrava non trovasse ciò che stava cercando, o forse si sentiva talmente sicuro di sé, da attardarsi più del dovuto. Lo lasciai fare, finché non giunse in prossimità dello scudo di Hifrig e delle altre reliquie più preziose: a quel punto, ritenni che non ci fosse molto da fraintendere, ormai mi risuonavano in testa mille campanelli d’allarme. Mi alzai in piedi e scivolai tra le colonne, per non perderlo di vista, facendo in modo di essere tra il ladro e l'uscita quando avesse cercato di scappare: dovevo trovare il modo di coglierlo di sorpresa, per poi contare sui pochi istanti di smarrimento successivi per attaccarlo, sfogarmi finalmente su qualcuno, fare bella figura con la mia famiglia e gli ospiti, e mercanteggiare poi, con mio padre, le recenti punizioni che avevo rimediato. Mentre ripetevo tra me i consigli che papà mi aveva dato durante le prime lezioni di duello, l'ombra sollevò la bacchetta sulla teca di una delle spade, la agitò per aria, borbottando qualcosa d’incomprensibile, e nello stesso istante sentii il suono inconfondibile, ma soffocato, del vetro che s’infrangeva, quindi vidi la spada di Hifrig uscire volando dal suo giaciglio, in cui mio padre l’aveva già fatta riporre da Doimòs dopo la Cerimonia, per fermarsi nelle mani guantate di nero dello sconosciuto. Possibile che Doimòs non avesse protetto accuratamente la spada? L'unica altra possibilità era che lo sconosciuto avesse imparato un Incantesimo capace di superare le misure di sicurezza di mio padre, il che era praticamente impossibile. Lo osservai bene, era un individuo non molto alto e piuttosto esile, scorsi con la mente i giovani che erano stati invitati, convinto che si trattasse solo di un ragazzino come me, uno che, magari, aveva scoperto un Incantesimo interessante nel Reparto Proibito e aveva provato a verificarne l'efficacia. Sì, e solo per pura fortuna gli era andata bene... Giudicare dall’aspetto chi avevo davanti, però, mi portò a sottovalutare l’avversario e mi rese imprudente: mi avvicinai, restando nell'oscurità, poi balzai fuori urlando “Fermati, ladro!” e gli lanciai contro uno “Stupeficium”. Non era un giovane senza esperienza, però... lo capii, certo, ma troppo tardi… Pur presa alla sprovvista, l'ombra riuscì non solo a farsi scudo senza perdere la spada ma, anche senza vedermi, lanciò contro di me un violento “Reducto”, che mi mancò per poco e fece andare in frantumi il tavolo vicino alla mia posizione, in un bagliore che gli rivelò con precisione dove mi trovassi. Subito partì il secondo colpo, uno “Stupeficium” potente e ben mirato: mezzo abbagliato dal primo scoppio, ebbi la prontezza di gettarmi a terra per nascondermi, invece di provare a resistere o attaccare di nuovo, così fui colpito solo di striscio dai vetri della teca esplosa dietro di me. Rimasi a terra alcuni istanti, per non farmi colpire dal terzo Incantesimo, un “Petrificus”, rotolai tra le basi delle teche, mentre il ladro mi faceva rovinare addosso mobilio e pezzi d’intonaco che io feci esplodere prima che mi seppellissero; quando tutto il materiale scagliato contro di me fu ridotto in cenere, mi risollevai e mi guardai attorno: era fuggito ed io dovevo sbrigarmi a inseguirlo o l'avrei perso nel dedalo oscuro di corridoi e sale.
Mi lanciai nella galleria di corsa e avanzai nel buio, a guidarmi sentivo il fruscio leggero e appena percettibile dell'ombra qualche metro davanti a me che correva, non molto velocemente, a causa della spada pesante; io, al contrario, conoscevo quei corridoi come le mie tasche e mio padre aveva già iniziato a insegnarmi a muovermi nell'oscurità o con gli occhi bendati, quindi avanzavo abbastanza velocemente. Non capivo cosa volesse fare con la spada: era troppo nota per essere trafugata e rivenduta e chiunque fosse stato scoperto a mercanteggiare o a possedere quella reliquia, avrebbe subito la vendetta di mio padre e di tutta la Confraternita. Inoltre, pur preziosa e antica, in quella stanza c'erano oggetti dal potere magico di gran lunga superiore perché utilizzabile da chiunque, mentre il pieno potere della spada di Hifrig poteva manifestarsi nelle sole mani di uno Sherton o in quelle di un discendente di Salazar. Correvo tenendomi sempre al riparo, dietro spigoli e colonne, perché ogni tanto, sentendo il mio passo affrettato avvicinarsi, il ladro gettava alle sue spalle un Incantesimo, sempre impreciso di appena pochi centimetri, che serviva non a ferirmi ma a confondermi e a rallentarmi. Non sembrava seriamente intenzionato a farmi del male, per questo presi coraggio e continuai a seguirlo, ancora più determinato.
    Risalita tutta la scalinata, ci ritrovammo nel portico del Cortile delle Rose: da sinistra si sentivano provenire le musiche e le risate di amici e parenti che stavano per assistere alla partenza di Mirzam e della sua sposa, a destra c'era il lungo corridoio che portava all'ala destinata agli ospiti e al patio con la vasca piena di acqua della Sorgente, di fronte a noi, si ergeva la torre più alta di Herrengton, dove si svolgeva la maggior parte delle nostre attività quotidiane. Cercai di colpire il ladro da dietro le colonne e le siepi di rose, mentre avanzava tra gli archi d'argento allestito per il matrimonio: si stava infilando in un vicolo cieco, deciso a penetrare nella torre, benché il salone, da cui era entrato insieme a tutti gli altri invitati, avesse ancora i camini chiusi e non ci fosse alcun modo di Smaterializzarsi, non senza aver prima ottenuto il permesso di mio padre. Se stava cercando di nascondersi, non si sarebbe salvato mai: nella torre c'erano i miei fratelli più piccoli e mio padre aveva gettato degli Incantesimi tali che nessun estraneo sarebbe riuscito ad aprire mai una qualsiasi porta che immettesse in una qualunque stanza della torre, al massimo poteva arrivare in cima alla terrazza merlata, ma non era facile, la spada, per le ripide scale che avevamo davanti, gli sarebbe stata d'intralcio. All'improvviso fece una finta che mi portò allo scoperto, si fermò e si voltò rapido verso di me.

    “Stifling!”
    “Finitem Incantatem!”

Mi colpì con un Incantesimo soffocante, che riuscii a bloccare quand’era oramai quasi troppo tardi: rimasi sfinito a terra, incapace di respirare, il ladro mi distanziò di nuovo, sentii i suoi passi nella ghiaia dirigersi lontano da me, io strisciai tossendo fin dietro alla base degli archi argentei, per evitare un altro colpo terribile, se e quando avesse deciso di sferrarlo, maledicendomi di nuovo per aver rinunciato al mio anello per uno stupido gioco. Mi sentivo male, avevo davvero bisogno di aiuto, non avevo più forze. Da lontano, con la coda dell'occhio, lo vidi alzare improvviso, di nuovo, la bacchetta. Tremai.

    "Avada Kedavra!”

Rimasi pietrificato dall’orrore quando lo udii rivolgere quelle parole a qualcuno davanti a me, con voce metallica e innaturale, poi sentii il suono cupo, sordo, incombente, che mio padre chiamava “la Voce della Morte”, infine il sottile fruscio di un corpo leggero che cadeva a terra. Il cuore mi martellò nel petto, pesante di paura. Che cosa stava succedendo? Perché? Non potevo credere che qualcuno potesse arrivare a tanto, non per uno stupido ferro vecchio! Nessuno che conoscessi aveva mai fatto una cosa del genere, erano orrori che si leggevano solo sui giornali, opera di pazzi squilibrati che vagavano di notte a Nocturne Alley. Gli stessi che mio fratello mostrava di stimare tanto...
   
    Salazar...

Una smorfia di sconforto, mista a disgusto e terrore per un atroce presentimento mi deformò il volto: possibile?
   
    Possibile che...

Mi stavo perdendo dietro a un pensiero orribile, quando vidi una macchia scura cadermi addosso, dall’alto: urlai raccapricciato, raggelato quando mi resi conto di cosa fosse, scrollandomi di dosso il corpo privo di vita di Deluin, il giovane Elfetto che doveva rimpiazzare Kreya, destinata a seguire mio fratello nella nuova casa. Era rimasto solo lui in quell’ala del castello, tutti gli altri domestici stavano servendo gli ospiti, a Deluin, al contrario, era stato ordinato da mio padre di mantenere acceso il braciere al centro del cortile. E ora era lì, accanto a me, a terra, stecchito, con lo sguardo velato, rigido di morte.

    “Maledetto!”

Non so dove trovai il coraggio e la forza, forse era solo pazzia e disperazione: mi alzai urlando e scaricai addosso al ladro tutta la mia furia, cercando di colpirlo, con una serie di Incantesimi rabbiosi, affrettati, imperfetti. Lui, al contrario, era un Mago abile, troppo abile per un ragazzino di appena tredici anni, che ancora non conosceva quasi per niente la Magia che s’imparava a scuola, né aveva sufficiente dimestichezza con il potere delle Rune e il controllo sulla Magia Innata. Avevo le lacrime agli occhi, furia e dolore si univano, mentre il ladro resisteva ai miei assalti senza fatica, anzi mi rideva addosso, calmo, come se all’improvviso fuggire non avesse più alcuna importanza per lui.
   
    Perché?

Perché si tratteneva lì? Perché giocava con me? Perché non la faceva finita e basta? Forse sapeva che non era possibile uccidere uno Sherton a Herrengton con un semplice “Avada”, ma sapevo bene che esistevano cose peggiori della morte, e se aveva usato una Maledizione come “l'Anatema che Uccide” con tanta leggerezza, non doveva certo essere tipo da tirarsi indietro davanti a una “Cruciatus”. Nulla di quanto stava avvenendo aveva senso, nulla. Poi un brivido mi percorse la schiena, appena il barlume della comprensione si fece largo un po' alla volta nella mia mente: l'Elfo morto bruciava le essenze nel braciere per tenere acceso un fuoco magico, un fuoco che serviva a mantenere lo scudo a protezione della tenuta e dei nostri ospiti, non solo contro fenomeni atmosferici, ma anche contro eventuali attacchi oscuri. E noi quel giorno ospitavamo niente di meno che il Ministro della Magia! Ora capivo: non era un semplice furto, no, era in atto un piano! L’intruso aveva dei complici, fuori o magari anche dentro il castello, pronti a colpire. In quel preciso istante, senza l'Elfo che lo alimentava, lo scudo si stava ritirando attimo dopo attimo: non potevo trattenermi lì, dovevo avvisare mio padre, non potevo permettere che lo scudo restasse privo di energia, consentendo ai probabili complici di penetrare a Herrengton. Doveva essersi accorto durante la giornata che non portavo l'anello, doveva sapere che mio fratello era appena andato via, o stava per andarsene, ed era evidente che mio padre non poteva accorgersi di quanto stava accadendo, un'intera ala del castello gli copriva la vista del braciere! Iniziavo a intuire anche perché avesse rubato la spada: anche se non avesse potuto servirsene personalmente, ciò che gli interessava era lasciare mio padre privo del suo aiuto potente, grazie a lei, infatti, nel corso della storia, nonostante pericoli e guerre, almeno un ramo della nostra famiglia era sempre riuscito a scampare alla rovina completa.

    Chi diavolo c'è dietro a quest'attacco? Chi tra i presenti è coinvolto?

Preda della paura e della confusione, tremando, vidi infine l'ombra voltarsi verso di me in uno svolazzare di tessuti neri, mossi dal vento: levò il braccio destro per sollevare con la mano, delicatamente, il tessuto dall’avambraccio sinistro e mostrarmi così una specie di orrendo tatuaggio nero e vivido, a forma di teschio sulla sua pelle nivea. Alzò poi il viso verso la luce: il suo volto, colpito da un raggio di luna, era nascosto sotto una maschera d'argento, riuscivo a vedere solo i vividi occhi oscuri mentre, da una feritoia all’altezza della bocca, risuonava una risata metallica, fredda di morte. Non avevo più dubbi: sapevo chi avevo davanti e conoscevo il mio destino, il destino di tutti noi. Sapevo abbastanza delle cronache da non aver dubbi circa l'identità del mio avversario, era uno degli uomini del Signore Oscuro: i Mangiamorte erano entrati a Herrengton. Sconvolto e terrorizzato, il primo pensiero andò a mio fratello, a lui che ne esaltava tanto le imprese, sostenendo che fosse il nostro unico futuro possibile. Era coinvolto anche lui in tutto questo? Aveva infine deciso di passare ai fatti, di non limitarsi più alle sue stupide chiacchiere, dimostrando la sua fedeltà al Signore Oscuro tradendoci tutti, tradendo la sua stessa famiglia? No, non potevo crederci, non volevo crederci: nonostante tutto, Mirzam era uno di noi, era mio fratello e amava la mamma e nostra sorella più della sua stessa vita. Il Mangiamorte, infine, sollevò la bacchetta verso di me ed io rimasi bloccato lì, davanti a lui, con il fiato in sospeso, pronto ad ascoltare la sentenza. Il tempo delle ipotesi lasciò spazio alla verità, mentre io capivo quale fosse il passo successivo da compiere.

***

Orion Black
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971

    “Come può pensare di uscire dalla Confraternita, me lo spieghi? Ne sai niente, tu, di questa nuova dannata follia di Alshain?”

Il vecchio mi guardò con quei suoi intensi occhi color mercurio, l'espressione indecifrabile, sorseggiando il suo Moon’s Tears, indolente, poi spaziò di nuovo per la sala, come se io fossi solo un insulso moscerino indegno della sua considerazione.

    “Guardati le mani, Orion Arcturus Black, e rispondimi: vedi sulla tua pelle delle Rune? No... A che titolo, quindi, dovrei dire a te cosa penso di questioni che riguardano la MIA Confraternita? Il fatto che tu sia, senza particolari meriti, amico della mia Guida, non ti rende degno della mia confidenza!”
    “Che fossi solo un vecchio caprone stupido, Fear, lo sapevo già, non mi servono certo altre conferme! Io sono solo preoccupato per Alshain e per la sua famiglia, della VOSTRA dannata Confraternita non me ne...”

Non finii la frase, di colpo la mia attenzione fu tutta per lui, per mio figlio, che pallido come un morto entrava in quel momento nella sala, di corsa, sconvolto, spaventato, scompigliato come un Black non dovrebbe mai presentarsi in pubblico. Nemmeno dopo un pomeriggio passato in punizione con sua madre l'avevo mai visto così. Il vecchio percepì la mia preoccupazione e mi seguì, mentre io attraversavo la sala con ampie falcate per andare incontro a Sirius: doveva essere successo qualcosa, mi guardai attorno, con un sospiro di sollievo vidi che Walburga stava spettegolando con mia sorella Lucretia e Regulus era preso da una partita a Sparaschiocco con alcuni ragazzini nei pressi del caminetto; Deidra e Alshain stavano ricevendo i complimenti del Ministro per la cerimonia e gli sposi. Non c'erano tracce però né di Meissa né di Rigel. Un senso di disagio, di cupo presentimento mi afferrò il cuore, quando mi resi conto che mancavano anche alcune persone di cui non mi fidavo e di cui temevo trame e crudeltà.

    “Che cosa ti prende? Ti pare il modo di…”
    “Meissa... un duello, la torre... è sparita... non c'è tempo!”
    “Per Merlino e tutti i Fondatori, ragazzo, calmati e facci capire! Che cosa sta succedendo? Dov'è Meissa?”

Fear aveva preso Sirius per un braccio, scuotendolo senza tante cerimonie, per ottenere la sua attenzione, ma Sirius pareva quasi assente, sotto shock, vidi che serrava la mano con forza, teneva nel pugno chiuso qualcosa, io gliela presi senza troppa gentilezza: con qualche difficoltà riuscii ad aprirla e infine vidi la spilla che Meissa portava sul vestito e le dita di mio figlio sporche di sangue.

    “È sparita...”
    “Sparita? Come sarebbe sparita? Dicci piuttosto che cosa diavolo le hai fatto?”

Fear estrasse la bacchetta con impeto e afferrò mio figlio con violenza, fulminandolo con occhi spiritati; la maggior parte delle persone intorno a noi, ancora prese dai commenti carichi di stupore e ammirazione per lo spettacolo dei fuochi e per il modo, favoloso, con cui gli sposi si erano appena smaterializzati, si ritrassero spaventati, allarmati, sgomenti, accorgendosi dell'espressione sconvolta di mio figlio e della bacchetta sguainata del vecchio.

    “Calmati, Fear! Sirius... Dimmi che cosa è successo a Meissa!”
    “È colpa mia, io non dovevo lasciarla indietro! Eravamo sulla terrazza, abbiamo visto due persone che duellano sulla torre, ci siamo messi a correre per avvertirvi, mi sono girato e Meissa era sparita! Ho trovato solo questo!”
    “Piccola canaglia bugiarda! Che cosa significa questo sangue? Perché ne sei sporco, se era dietro di te, se tu correvi e non hai visto niente?”

La folla che si era raccolta attorno a noi fu percorsa e separata in due ali frementi, proprio in quel momento, dall'arrivo di Alshain, attirato dalle voci concitate e allarmato dei più; dietro di lui, a breve distanza, c'erano Deidra, il Ministro e la sua scorta, oltre a vari curiosi. Io non capivo, ero sconvolto per Meissa ma anche per mio figlio: che cosa diavolo stava succedendo?

    “Che cosa sta succedendo qui? Fear? Che cosa significa questa bacchetta contro il mio figlioccio?”
    “Questo dannato Grifondoro ha fatto qualcosa a tua figlia! Ecco che cosa succede! Io te l'avevo detto...”

Alshain mi guardò come per scusarsi del vecchio, come me, non poteva nemmeno accarezzare l'idea che Sirius avesse fatto qualcosa di male a Meissa, nemmeno per sbaglio o per scherzo. Lessi nei suoi occhi, però, la mia stessa angoscia, la stessa urgenza di sapere, di capire. Il vecchio appariva sempre più rabbioso, Sirius era sul punto di piangere, non per la paura, ma perché nessuno pareva capire che quello che ci stava dicendo era la verità e, soprattutto, perché stavamo perdendo tempo prezioso con inutili chiacchiere.

    “Sirius, per favore, puoi spiegarmi...”
    “C'è qualcuno sulla torre principale, sono almeno in due e si stanno combattendo... Meissa ed io stavamo venendo ad avvertirvi, lei era dietro di me, correva, ho sentito il suono dei suoi stivali sulla neve e poi sulla pietra, ma arrivati al corridoio, quando mi sono voltato, lei non c'era più, sono ritornato indietro e ho trovato solo questa spilla e una rosa che le avevo regalato, insanguinata, a terra!”

Alshain si sbiancò anche più di quanto già non fosse: negli ultimi minuti, forse per l'emozione di veder suo figlio partire, per la stanchezza, per l'alcool e il ricco banchetto, mi era sembrato farsi sempre  più pallido e poco presente, aveva qualcosa di strano, avrei detto che non si sentisse bene. Quella notizia non poteva che peggiorare le cose. Deidra si affiancò a lui, sorreggendosi al suo braccio: fu allora che Sherton parve riprendersi appena, come se la sua paura scomparisse davanti alla necessità di proteggere Dei dal dolore.

    “Orion, Donovan, per favore, andate con Sirius nel corridoio in cui è sparita Meissa e cercate di capire cosa sta succedendo; Kenneth, tu vieni con me al cortile, saliamo a controllare la torre! Per evitare che si scateni il panico e sorgano problemi, è meglio se il Ministro, le nostre ospiti e i ragazzi se ne vadano al più presto: Dei, tu e Fear per favore occupatevi dei camini, apritene uno soltanto, così da controllare gli ospiti uno per volta!”
    “Non è una buona idea!”
    “Fear, ti prego non abbiamo tempo per le discussioni, dobbiamo muoverci in fretta!”
    “No! Lui da qui non se ne va!”

Il vecchio doveva essere impazzito: invece di collaborare e aiutarci a risolvere la situazione, si lanciò come una furia verso il Ministro, minacciandolo con la bacchetta, causando ulteriore confusione, con gli Aurors che di colpo si serrarono per difendere Longbottom e misero sotto mira tutti noi altri, impedendoci di muoverci e di iniziare le ricerche.

    “Arrestatelo!”

In tre, i Ministeriali gli balzarono addosso, mentre Crouch, personalmente, andò a sincerarsi delle condizioni del Ministro che si era spaventato, poi tornò verso Fear, già bloccato e immobilizzato su una sedia.

    “Maledetto bastardo! Era un tuo piano per attaccare il Ministro, non è così?”

Fear si divincolò sulla sedia, ruggendo quasi, si slanciò, pur legato, e centrò Crouch in piena faccia con uno sputo, insultandolo in gaelico; l’Auror si pulì con la manica e gli rifilò un potente schiaffo in pieno volto, mentre il vecchio continuava a urlare a chi poteva capirlo che stavano perdendo tempo, che la bambina era in pericolo e che gli Aurors e il Ministro non dovevano andarsene, perché servivano lì a Herrengton per aiutare Alshain a ritrovarla. Crouch, temendo stesse impartendo gli ordini ai suoi, alzò la bacchetta, deciso a Schiantarlo o peggio, quando Longbottom ripresosi dallo spavento, si frappose.

    “No… No, Bartemious! Il vecchio Duncan ha ragione: dobbiamo aiutarli a ritrovare la bambina! Tu e i tuoi uomini siete i più potenti Aurors a disposizione del Ministero, metteremo queste abilità al loro servizio!”

Crouch, innervosito e ancora poco sicuro sul da farsi, diede le spalle al vecchio e parlò con i suoi uomini, Longbottom cercò di rassicurare e consolare Deidra, che appariva raggelata di fronte a quella verità orribile, incapace di reagire, io lanciai un'occhiata ad Alshain, che mi rispose in modo eloquente: a nessuno dei due piaceva lasciarla così, entrambi volevamo restare con Dei, per consolarla e sostenerla, ma ora eravamo entrambi più utili nella ricerca di Meissa, la cosa più importante era ritrovarla, scoprire cosa stesse accadendo. Ero sicuro che la situazione fosse grave, molto grave, ero fermamente convinto che Meissa fosse solo uno dei problemi, non volevo far preoccupare Deidra dicendo apertamente quali fossero i miei sospetti, ma, appena fossimo rimasti da soli, dovevo parlare ad Alshain del fatto che non vedevo Rigel da nessuna parte e ormai da parecchio tempo. Perché non era con noi?
 
    “Andiamo Alshain! Dobbiamo trovarla, tu sali alla torre, io vado al corridoio, la troveremo! Ne sono certo! Ora che possiamo contare anche sull'aiuto degli Aurors, forse sarebbe meglio se Donovan organizzasse con Deidra le squadre e assistesse alle partenze al camino; magari lei, Ministro, invece, potrebbe andare... non si sa mai...”

Alshain annuì, Donovan si affiancò a Deidra e insieme iniziarono a parlare con Crouch e gli Aurors, io, Kenneth e Sirius uscimmo con Sherton nel corridoio. Guardai il mio amico, non mi sembrava molto sicuro. No. Non sembrava nemmeno presente: era troppo strano, ora che ci pensavo, che non avesse mostrato nessuna reazione, di solito per molto meno, se era coinvolta Meissa, faceva fuoco e fiamme! Era strano anche che avesse detto a me di correre a cercarla, di solito l'avrebbe fatto di persona. Che cosa stava succedendo? Afferrai per un braccio Sirius e cercai di farmi dare da lui altri dettagli preziosi, mentre avanzavamo di buon passo lungo la galleria, Alshain ed Emerson erano al nostro fianco, parlavano concitatamente tra loro, anzi, a essere precisi, era Emerson a parlare, mentre Alshain restava silenzioso e stranamente pareva avesse difficoltà a tenere il nostro passo. Rallentai per chiedergli che cosa avesse, mi voltai, per sapere quale fosse il problema, se avesse pensato a un piano alternativo, se gli fosse venuta in mente un'altra idea. Ma non lo vidi al mio fianco.
Incredulo, non riconobbi nemmeno come mia la voce che urlava. Il mio cervello aveva difficoltà a comprendere il significato dell'immagine che avevo di fronte. Dell’immagine impressa nella mia retina. Dell'immagine che non volevo e non potevo accettare. Che non avrei accettato mai. Come una bomba che esplodeva nella mia testa, rividi un bicchiere di Moon’s Tears cambiare di mano... Alshain che sorseggiava quel nettare ambrato sovrappensiero, turbato. Su quel bicchiere si sovrappose l’immagine di Kenneth che cercava inutilmente di far reagire un corpo disteso a terra. Mi sentii venir meno vedendo mio figlio in lacrime.
Alshain Sherton, il mio migliore amico, era a terra, pallido, immoto…

Morto.



*continua*



NdA:
Ringrazio al solito per le letture, le preferenze, le recensioni, le mail ecc ecc. 
Valeria


Scheda
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