Holmes’ Private
Life
[Il
cassetto delle memorie perse]
Il
vento soffia, il sole splende e due tombe, ingrigite dal tempo, si ergono nel
fondo di un cimitero di una piccola cittadina del Sussex.
Queste
due, ferme nella loro posizione, vicine, quasi attaccate, affrontano le
intemperie del tempo come i loro proprietari affrontarono anni prima le
intemperie della vita.
Ma,
cercando di perdere quel brutto vizio tipico degli impazienti, partirò
dall’inizio, da come e chi scelse quelle due tombe.
Faceva
freddo, ma la primavera era ormai alle porte. In una casetta a nord del Sussex,
due uomini erano seduti davanti al camino acceso, a scaldarsi le membra
intorpidite dall’età che avanzava. Accomodati ognuno sulla propria poltrona,
leggevano in silenzio, in quel silenzio senza pretese tipico delle persone che
si conoscono da tanto tempo.
Uno
dei due, un uomo con dei floridi baffi grigi, non prestava molta attenzione
allo scritto che teneva in mano e, dopo aver passato dieci minuti sulla stessa
frase, decise di riporlo e di
concentrarsi sul fuoco e sui suoi pensieri.
L’altro,
un uomo di straordinaria statura, osservava le mosse del suo compagno nascosto
dietro le pagine del proprio libro.
A
un primo esame parevano semplici signori di una certa età, ma a un attento
osservatore non sarebbero sfuggiti gli occhi luccicanti di entrambi. Occhi che
celavano segreti, complotti e scandali. Era lampante che gli anni migliori
erano passati per tutti e due, lasciando solo la dolcezza dei ricordi di una
gioventù sbiadita. Ne avevano da raccontarsi, da rievocare, di avventure.
Eppure,
nonostante il passaggio delle primavere si facesse sentire, erano sempre loro.
Sherlock
Holmes, unico e celeberrimo consulting detective londinese, e il dottor John H.
Watson, suo biografo e fido compagno di avventure.
Se
al loro primo incontro nel lontano 1881, li univano necessità e curiosità,
adesso, dopo aver affrontato mille avventure, c’era un bisogno diverso.
Il
bisogno di avere qualcuno con cui parlare, confidarsi, ridere, piangere e
ricordare.
Bisogno
di un amico.
Perché
era proprio questo che erano.
Amici,
semplicemente amici.
Così
semplicemente che ormai non potevano più farne a meno.
Qualcosa
più forte del sangue, dell’amore e della necessità li teneva uniti, aggrappati
l’uno all’altro. Neanche i due matrimoni di Watson avevano potuto tenerle
quest’ultimo lontano troppo a lungo dal suo amico Sherlock Holmes.
Ed
ora, entrambi soli al mondo, passavano le giornate assieme, finché la sera non
calava e ognuno si ritirava nella rispettiva stanza.
-La
vedo pensieroso, Watson. Qualcosa la turba?-, chiese il famoso detective,
rinunciando al suo libro sul medioevo.
L’interpellato
si riscosse dal torpore dei suoi pensieri e si girò verso l’amico.
-Niente
di preoccupante, Holmes. Sono solo un po’ stanco.
-Così
stanco da abbandonare il libro che l’altra sera l’ha tenuta sveglio fino a
notte inoltrata?
Il
buon dottore rise di cuore a quella osservazione, era proprio vero che il lupo
perde il pelo, ma non il vizio.
-Mi
ha scoperto, come al solito, ma capiterà la volta in cui riuscirò a prenderla
in contropiede e avrò la mia piccola rivincita!
L’altro
sbuffò divertito e si accoccolò meglio sulla poltrona.
-Mio
caro Watson, forse lei non se n’è reso conto, ma l’ha già fatto molte volte,
troppe per i miei gusti.
L’ex
soldato sorrise a quell’implicito elogio, ma la sua mente era concentrata su
altro. Infatti subito dopo tornò a far vagare il suo sguardo e, quando si
soffermò sull’orologio, si rese conto dell’ora tarda. Fece perno sulle braccia
per alzarsi, ma appena in piedi una piccola smorfia sul suo viso annunciò
quello che sarebbe accaduto successivamente. Holmes, notando quei chiari
segnali, si lanciò velocissimo a sostenere l’amico, evitandogli una brutta
caduta.
-Vedo
che è ancora capace di quegli scatti micidiali che mi stupivano anni fa e che
mi stupiscono tutt’ora-, cercò di scherzare Watson.
-E
se ben ricordo, lei era dottore, quindi dovrebbe sapere come sta la sua gamba-,
gli rispose con bonaria ironia Holmes.
Il
detective lasciò la presa sul suo coinquilino solo quando si fu scrupolosamente
accertato della sua stabilità.
-Sa,
Holmes, mi sento veramente stanco, penso proprio che dormirò come un sasso-,
disse il dottore incamminandosi verso la camera, ma a un certo punto si fermò,
tentennò un po’ incerto sul da farsi e poi continuò a parlare. –Ormai alla mia
età si ha bisogno di dormire. Non… non mi svegli domani mattina… Mi lasci al
mio lungo sonno.
Le
parole dell’amico avevano stuzzicato la mente del detective, che fece scorrere
lo sguardo sulla figura che gli si stagliava davanti. L’abito, i baffi, il
bastone, erano sempre gli stessi di tanti anni prima. Niente pareva cambiato.
Come rincuorato da questa visione, Holmes fece cenno di aver inteso. Watson era
sempre stato un po’ pigro, ma nel momento del bisogno sapeva diventare una
tigre e questo lui lo sapeva bene.
Così
si salutarono, dandosi tranquillamente la buonanotte, ma non sapendo che quella
sarebbe stata l’ultima volta.
La
notte lasciò spazio al giorno e un meraviglioso sole illuminò il paesino del
Sussex. Holmes si svegliò abbastanza presto e fece il suo mattutino controllo
delle api. Si soffermò per annotare alcuni dettagli sul suo taccuino e poi
rientrò in casa, dove la sua governante aveva appena preparato la colazione. La
mattinata procedette tranquilla e il detective rispettò il desiderio del suo
amico di rimanere a letto, ma quando allo scoccare delle dodici il dottore non
si era ancora alzato, decise di prendersi la libertà di svegliarlo.
Con
passo tranquillo camminò lungo il corridoio, per poi bussare alla porta.
-Watson,
sono le dodici, non vorrà saltare il pasto.
Passarono
i secondi, ma il silenzio non si spezzava.
-Watson?-,
chiese questa volta con leggera preoccupazione.
Batté
più forte contro il legno, ma niente gli giunse in risposta. Il suo amico era
sempre stato molto sensibile ai rumori forti per via dell’Afghanistan, avrebbe
dovuto sentirlo subito.
Provò
ad aprire la porta, ma era chiusa a chiave. Questo spaventò ancora di più
l’uomo. Il suo amico non aveva mai chiuso la porta della sua stanza con la
serratura, neppure a Baker Street. Doveva essere sicuramente successo qualcosa.
Con
una certa agitazione, la mente più macchinosa di tre continenti si mise
all’opera per buttare giù la porta.
Ma
quando ci riuscì, rimase senza fiato davanti alla più orrida delle visioni.
Watson,
il suo biografo, il suo compagno di avventure, il suo amico, era sdraiato sul
letto.
Pallido,
come solo la morte può essere.
Subito
gli corse al fianco, ma invano gli cinse il polso in cerca di qualche battito.
Holmes
si strinse le mani fino a sbiancarsi le nocche, quasi irato per la sua
impotenza, per la sua stupidità. Come aveva potuto non capire? Eppure ieri sera
era così strano, avrebbe dovuto intuirlo. Dalle sue parole, dai suoi gesti.
Come aveva potuto ignorare quei segnali che il dottore gli aveva lanciato?
“Lungo sonno” aveva detto la sera prima, ma era questo quello a cui alludeva,
al sonno eterno? Sapeva che sarebbe…?
Strinse
gli occhi e aggrottò la fronte.
No,
no, no. Non era possibile, come avrebbe potuto capirlo? Una sensazione, un
presagio? E anche ammesso che lo sapesse, perché non gliene aveva parlato?
Troppe
domande senza risposta gli aleggiavano nella mente. Stava giungendo a
conclusioni affrettate senza avere prove certe e questo, lo sapeva bene, era la
cosa peggiore che si potesse fare nel suo mestiere.
Sospirò
mestamente e si passò una mano sulla fronte. Adesso cosa doveva fare?
Sollevò
lo sguardo su quel viso di cui conosceva ogni minima espressione.
Sorrideva
il buon dottore, sorrideva.
Con
lo stesso sorriso che il detective gli aveva visto in volto il giorno in cui si
erano incontrati.
Il
mondo poteva cambiare, evolversi, girare al contrario, ma Watson sarebbe
rimasto sempre lo stesso. L’unico perno fisso in un epoca di cambiamenti.
E
lui l’aveva perso, perso per sempre.
Quel
pensiero gli trapassò il petto, doloroso come non mai.
Sherlock
Holmes era una macchina, Sherlock Holmes era solo l’appendice del suo cervello,
Sherlock Holmes non si lasciava andare a blandi sentimenti.
Ma
quello era blando? Quel dolore che sentiva all’altezza del petto, dove avrebbe
dovuto esserci solo pietra, era veramente così increscioso?
Lo
stava distruggendo, lo stava distruggendo dall’interno, eppure era l’unica cosa
che ancora lo teneva legato a quel corpo morto disteso sul letto.
Ecco,
doveva pensare come se fosse uno dei suoi soliti casi e quello a fianco a lui
fosse un cadavere come un altro.
Ma
era Watson, per Dio, Watson, non un essere qualunque.
Calma,
calma, non doveva perdere la calma. Prima o poi tutti muoiono soprattutto
quando l’età avanzava, lo sapeva benissimo. Suo fratello era morto anni prima e
gli era dispiaciuto moltissimo, ma non gli aveva fatto questo effetto.
Perché?
Ecco
la domanda giusta, la traccia giusta.
Perché
Watson sì e Mycroft no? Quali erano le differenze? Entrambi erano morti sereni,
nelle loro case e quando avevano già speso molti anni della loro vita. Mycroft
morto d’infarto fulminante, invece Watson… Watson di cosa era morto?
Il
suo sguardo s’illuminò e con passo marziale si diresse fuori dalla stanza.
Incurante delle proteste e delle domande della governante, rientrò nella stanza
dell’amico senza aver cenato o accennato ai fatti successi e dando alla donna
la giornata libera.Quando si fu chiuso la porta alle spalle in mano aveva uno
dei suoi vecchi ferri del mestiere, un attrezzo speciale in grado di
aprire qualsiasi serratura.
-Mi
dispiace, vecchio mio- disse mentre si avvicinava alla vecchia scrivania
proveniente da Baker Street, –Ma devo scoprire la verità.
Cercava
telegrammi, documenti, fatture, qualsiasi cosa che potesse dargli informazioni
sulla salute di Watson.
Non
aveva ancora trovato niente quando, alle prese con l’ultimo cassetto, un doppio fondo si svelò ai suoi occhi.
Se
chiedi a qualcuno cosa si tiene nei cassetti, sicuramente ti risponderà “sogni”
oppure “calzini”, ma se lo chiedi a chi conosceva il dottore ti dirà “documenti
medici”, “l’elenco dei clienti”, magari lo stetoscopio. Ma in un doppio fondo?
Cosa poteva tenere Watson in un doppio cassetto di cui neanche lo stesso Holmes
sapeva l’esistenza?
Delicatamente
il detective lo sollevò, mostrando la soluzione del problema.
Gli
venne quasi da sorridere.
Piena
di polvere e mezza sfilata dal suo astuccio faceva la sua comparsa la vecchia
siringa ipodermica di Holmes, tanto odiata dal suo amico. Ci aveva messo anni
per liberarsene e senza l’aiuto di Watson non ce l’avrebbe mai fatta, ma
nonostante il pericolo fosse ormai lontano il dottore aveva voluto nasconderla,
“onde evitare future ricadute” aveva detto. Di fianco ad essa, però, c’erano
cose ben più interessanti che attirarono l’attenzione di Holmes.
Fogli
ingialliti, tanti fogli ingialliti, tutti racchiusi in un'unica cartella su cui
si stagliava l’inconfondibile calligrafia del suo amico.
Dopo
averla osservata per bene prese una sedia e, spostatala vicino al letto, ci si
accomodò sopra.
-E
così, Watson, è riuscito a sorprendermi anche questa volta, è riuscito a
prendersi la sua rivincita per l’ultima volta-, disse con nostalgia, sorridendo
pallido al corpo affianco a sé.
Strinse
la carpetta tra le mani e per un attimo chiuse gli occhi. Quando li riaprì era
pronto. Pronto a leggere di nuovo, per l’ultima volta, le avventure narrate da
Watson, suo biografo e compagno d’avventure ma, soprattutto, suo amico.
Questa
cartella racchiude in sé memorie perse, nascoste, custodite, verità celate
anche ai propri cuori.
Questa
cartella è stata creata per nasconderle al mondo, ma al tempo stesso per non
dimenticarle.
Questa
cartella contiene cose così private, che io stesso ho convenuto che non sono
sicure neanche in mano mia, preferendo lasciare a questo cassetto l’onere di
custodirle.
Questa
cartella potremmo chiamarla “Holmes’ Private Life”.
***Angolino
della squinternata***
*Si
percuote da sola, essendo cosciente di aver ucciso Watson*
Mi
dispiace, mi dispiace veramente, ma non uccidetemi, se no non saprete mai il
contenuto della cartella! La morte del dottore era una cosa inevitabile, ma io
l’ho fatta nella maniera più dolce e tranquilla possibile. Forse Holmes vi sarà
sembrato un po’ OOC, ma a me no. Insomma, non sarebbe mai rimasto freddo come
un ghiacciolo davanti alla morte di Watson! Ho sempre voluto sfatare il mito
dell’ Holmes polaretto, perché sì sarà un po’ austero ma non insensibile e il
Canone ce lo dimostra in 200 modi diversi. Ma non sono qui per polemizzare. Mi
dispiace se avete trovato il mio Holmes OOC, ma per me non lo è. Naturalmente
pensarla diversamente da me, non vi impedisce di dirmi le vostre impressioni,
sono sempre aperta a nuove interpretazioni se ben argomentate.
Ma
passiamo alla cosa che c’interessa di più (?), la storia.
Questa
storia è un po’ strana, ma cosa non lo è nell’appartamento di Baker Street?
Questa
raccolta inizia così, inizia dalla fine, visto che questo brutto vizio l’ho
sempre avuto xD. Dalla cartella e da dove è trovata, viene il titolo di ciò che
state leggendo. Questo è il prologo, la vera raccolta inizierà con il prossimo
racconto. Avviso subito che nessuna delle avventure che presenterò saranno
scritte in stile Doyleiano, essendo che la qui presente autrice non ci riesce.
Questa
raccolta è un po’ speciale, per non dire strampalata. Nella cartella non sono
raccolti casi, misteri o simili. Ci sono
solo tanti piccoli squarci della vita quotidiana del 221B Baker Street e dei
suoi inquilini. Il titolo parla chiaro, si tratterà la vita privata di Holmes.
Per esempio non vi piacerebbe sapere qualcosa in più sulla infanzia del nostro
consulting detective preferito? Ecco, io vi propongo questo. Quindi niente
gialli, purtroppo.
Tutto
ciò che avete letto è ambientato in un anno non precisato, ma quando sia Holmes
che Watson erano molto avanti con l’età. Sicuramente dopo la prima guerra
mondiale, comunque. Non ho preso una data precisa perché era già troppo
difficile far morire Watson, se poi dovevo scegliere anche quando… Comunque,
come ho specificato, sono “entrambi soli al mondo” e la seconda moglie di
Watson? Morta xD, io non so neanche il suo nome quindi me ne frega poco.
Pensate al povero Watson senza moglie, solo in casa, senza nessuno a cui
appoggiarsi, mi pareva ovvio che sarebbe tornato a vivere con il suo vecchio
amico Holmes, il quale sarebbe stato felicissimo di riaverlo con lui.
Se
la governante vi è sembrata strana, pensate al fatto che né Holmes né Watson
sanno cucinare, pulire o tenere dietro a una casa. Il resto viene da sé, però
per essere precisi, vi informo che la governante non vive con loro, ma in una
casa limitrofa a quella di Holmes, in modo di essere sempre pronta nel bisogno,
ma nello stesso momento di lasciare il dovuto spazio ai due coinquilini.
Ho
cercato di scrivere la storia in maniera molto rilassata, dolce. Senza ritmi
serrati o ansia. Con una serena consapevolezza, oserei dire. Spero che tutto
questo vi sia passato e che non vi sia risultata noiosa.
Vi
ringrazio tantissimo della vostra pazienza, perché sciropparsi tutto questo non
è certamente un divertimento. La mia unica speranza è di avervi provocato
qualche sentimento, di qualsiasi natura esso sia.
Grazie
ancora e al prossimo aggiornamento con il primo documento della cartella, ossia
“La strana giornata della sincerità”