Thirty Years Gone.
Ci
sono persone che capitano nella nostra vita quasi per sbaglio, per un fortuito
caso del destino; alcune passano e se ne vanno, così come sono venute, altre
invece scavano in noi un solco profondo, un segno indelebile che non si
sbiadirà nemmeno con il passare degli anni.
Lui era una di quelle
persone.
1965. Altra band blues, i Crawling
King Snakes,
soliti club pieni zeppi di mod, solite sale da ballo
per smielati liceali in preda a crisi ormonali.
Gente anonima, non chissà che.
Ma il batterista, Dio, il batterista è
una bomba. Un tizio robusto, capellone, che con i suoi modi garbati e gentili si
è guadagnato il soprannome di Bonzo, oh, lui sì che mi ha conquistato. E poi, cazzo, arrivare a foderare
la batteria con carta stagnola per farla crepitare come una mitragliatrice è
così fottutamente geniale!
Robert
riaprì gli occhi; il vento gelido sferzava il prato smeraldino, mentre lui,
curvandosi un poco per continuare la salita, si apprestava ad arrivare in cima
alla collinetta.
-Pffft, e questa la chiamano arte? Bonzo, pensaci tu a dargli una correttina, va’.- Jimmy si scostò vanesio un ciuffo dagli occhi,
dopo aver suggerito al batterista un modo per far passare più in fretta il
tempo.
E John non se lo fece ripetere due
volte: fece per avvicinarsi ai quadri, ma il gallerista lo bloccò. Da lì, per
una serie di circostanze poco chiare, lui, Cole e due reporter attaccarono
rissa e furono sbattuti fuori dalla galleria d’arte danese, sotto gli occhi di
un Page che ridacchiava sotto i baffi, un Jonesy scocciato come al solito e lui, Robert, che non
poteva far altro che scuotere la testa.
Era
sempre stato così: Jimmy aveva sempre manovrato a piacimento la mente di Bonzo
che, lacerato dalla lontananza dalla famiglia e dagli smodati eccessi a cui era
solito lasciarsi andare, non oppose resistenza e si lasciò condurre per mano
verso la propria autodistruzione.
Lo stregone resta, il suo apprendista
se ne va.
Questa
era la frase che Robert Plant continuava a ripetersi
tra sé e sé da ormai trent’anni; il ricordo di quel pomeriggio era ancora ben
impresso, quasi marchiato a fuoco nella sua mente.
-Benji, va’ a svegliare quell’orso di Bonzo!-
Robert diede una pacca sulla spalla al suo roadie,
che si diresse verso la stanza, seguito da John Paul Jones, forse desideroso di
fare al batterista un predicozzo che neanche un sacerdote.
Dopo due minuti, riemerse dalla porta
un John Paul Jones sconvolto, la faccia bianca come un lenzuolo.
In così netto contrasto con il blu del
suo
viso.
E
lui era fuggito da Pat e i bambini, era fuggito per
non autodistruggersi; era proprio vero che i migliori erano i primi ad
andarsene.
Ok,
con Jimmy aveva un certo feeling, com’è normale che sia tra il cantante e il
chitarrista, e di John amava la pacatezza e l’elegante precisione con cui
curava meticolosamente ogni piccola cosa che faceva…
Ma
Bonzo era Bonzo.
Era
irripetibile. Con lui aveva condiviso i primi successi, la fatica per riuscire
a sbarcare il lunario, le birre alle due di mattina dopo i pochi concerti che
facevano, l’incoscienza che solo due provincialotti ventenni
possono avere quando si diventa famosi tutto d’un tratto.
Finalmente
era arrivato sulla collinetta. La chiesetta di Saint Michael aveva dei contorni
indefiniti, dovuti alla solita nebbiolina che vantava in tutto il mondo il suo Made in England.
Robert
respirò a pieni polmoni, fino a che non sentì l’ossigeno pizzicarglieli;
solo allora si voltò verso la tomba.
Dapprima
i suoi occhi non misero bene a fuoco ma, una volta abituatisi alla foschia,
riconobbero chiaramente due sagome stagliarsi tra tutto quel grigio.
Un
passo, un altro e un altro ancora.
La
figura a destra aveva capelli corti ancora scuri, mentre quella a sinistra
sembrava avere onde di schiuma bianca al posto della chioma.
Sorrise.
Non
c’era bisogno che si voltassero ma loro, forse avendolo sentito vicino, forse
in un moto di quel filo che li aveva tenuti uniti a lungo, si girarono.
E lo
riconobbero.
Non
si dissero niente. Non si abbracciarono. Non si strinsero la mano.
Semplicemente,
si limitarono a fissare in silenzio la lapide, cercando di riallacciare il filo
anche al suo dito.
Erano
sicuri che ce l’avrebbero fatta, che lui li
avrebbe sentiti.
Il
vento riprese a soffiare e spazzò via le poche nuvole che nuotavano in cielo.
I
tre alzarono la testa verso tutto quel blu, poi Page
si schiarì la voce:
-In
sostanza, credo che sia lassù o forse da qualche altra parte…-
-…
pensando che si tratti di un bello scherzo.- continuò John.
-Lo
puoi quasi sentir dire: “Facciamoci una bevuta e giochiamo a freccette!”-
Robert
sospirò, riprendendo a fissare il cielo.
Ci
fu un attimo di pausa.
Ma
uno solo.
-“Ehi,
divertente, no?”- urlarono tutti e tre, facendo riecheggiare quella frase di
finta gioia giù per la collina, fino a Rushock.
Rimasero
lì, a fissare quei pochi sputi di nuvole fin quando gli occhi non presero a far
male e, solo allora, si guardarono.
John
e Jimmy iniziarono a scendere, mentre Robert rimase un altro po’ lì, dopo
averli rassicurati che li avrebbe raggiunti nel giro di un paio di minuti.
Non
dissero nulla, non obiettarono; d’altronde era chiaro ad entrambi che Percy era l’amico
per eccellenza di Bonzo.
-Guardami,
che fine ha fatto il vecchio Percy “vieni qua che ti
trombo!”? Non è rimasto più nulla del vecchio Percy,
nulla. Percy è sepolto, Robert Plant
è rinato. Certo, con le rughe e altri regalini dell’anzianità, ma l’importante
è che io mi sia ritrovato. E questo è successo anche grazie a te. Tu rimarrai
sempre giovane e vigoroso, sempre vivo nei nostri ricordi e in quelli di altri
milioni di persone.
Son già passati trent’anni,
ma tu resti sempre il Bonzo a cui abbiamo voluto bene.
Manchi,
fratello.-
La
goccia che rimbalzò sul filo d’erba e che da lì cadde per terra non era rugiada, ma
il prato parve non farci molto caso, e l’accettò comunque.
Robert
corse giù per la collina dove, riccioli canuti al vento, Jimmy lo stava aspettando,
in compagnia di John.
I tre
vecchi amici finirono di scendere la collina insieme.
Insieme,
uniti da un filo come trent’anni fa.
E
un nodo stava proprio sulla collina.