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Autore: My Pride    26/09/2010    2 recensioni
«È strano come certe cose cambino le persone.
Prima che tutto questo avvenisse, non avevo mai visto Oka-san comportarsi così
»
[ Missing Moment: Evento RoyEd Marriage del 10/10/10 { 30 } ]
[ Terza classificata al «Flash Contest» indetto da Addison89 { 14 / 20 } ]
[ Sesta classificata al «A contest, a rose and a story!» indetto da Roy Mustung sei uno gnocco { 26 } ]
[ Storia fuori serie: 16 { Dedicata a Red Robin }, 18, 19, 20, 21, 23, 24, 25 { Dedicata a Red Robin }, 26, 27, 28, 29 ]
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Nuovo personaggio, Roy Mustang, Un po' tutti | Coppie: Roy/Ed
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Shattered Skies ~ Stand by Me' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Heart burst into fire_Episode 29 Titolo: Scelte e decisioni
Autore: My Pride
Fandom: FullMetal Alchemist

Tipologia: One-shot [ 1875 parole ]
Personaggi: Roy Mustang, Jason Mustang, Edward Elric
Genere: Slice of life, Sentimentale, Triste
Rating: Giallo
Avvertimenti: Shounen ai, What if?



FULLMETAL ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All Rights Reserved.



[ STORIA FUORI SERIE ] EPISODIO 29: SCELTE E DECISIONI

    «Roy, vieni a letto», mi richiamò Edward dalla soglia del bagno, e vidi il suo profilo riflesso nello specchio quando alzai il viso dal lavandino. Era poggiato allo stipite della porta con indosso solo i boxer per colpa del gran caldo, il viso assonnato e i capelli ormai quasi del tutto sciolti sulle spalle.
    Mi trovavo in bagno già da un po’ di tempo, ad osservare le mie cicatrici. La cauterizzazione completa era ancora lenta, soprattutto sulla palpebra, dove si vedeva ancora qualche lembo di pelle rosea e un po’ ruvida. Iride e pupilla, ormai, si confondevano con la cornea. Non mi meravigliavo affatto che di primo impatto facesse ribrezzo, il primo ad essere rimasto sconvolto ero stato proprio io, ma era successo più o meno un mese e mezzo prima.
    Finii di tamponare con il panno caldo che reggevo la bianca cicatrice sulla guancia, l’unica che era quasi guarita del tutto. «Arrivo subito, vai a dormire», gli dissi, asciugando l’acqua dal viso.
    Un suo sospiro mi raggiunse, prima che si avvicinasse. Mi poggiò una mano su una spalla, togliendomi con quella d’acciaio il panno prima di gettarlo svogliato sul bordo del lavandino. «É quasi l’una, Roy», mi ammonì, prendendomi il mento per costringermi a guardarlo. «Vieni a dormire, ci pensi domattina». Fui io a sospirare, stavolta, allungando una mano verso la benda. La sua si posò sulla mia prima che potessi prenderla, facendomi nuovamente voltare appena verso di lui in modo da incontrare i suoi occhi dorati. Sul suo viso un po’ assonnato, s’era dipinta un’espressione tra il mesto e il severo. «Lascia stare, dai», mormorò, sfiorandomi una cicatrice e facendomi sussultare. «Se Jaz ti vede così, si demoralizza, lo sai».
    Chiudendo l’altro occhio, gli scansai delicatamente la mano, annuendo piano. Già si incolpava di suo, non ci volevo anche io a rincarare la dose. «Aye, lo so», feci mesto, sospirando. «Mi rimetto la benda e torno a letto, al resto ci penso domani», soggiunsi poi, vedendolo atteggiare il viso ad un’espressione ancor più seria.
    «Almeno la notte dovresti lasciarla scoperta», esordì lui, prendendola al mio posto. «Se la esponi, si cicatrizza più in fretta».
    Lo sapevo bene, ma era più forte di me. Certe volte ancora non riuscivo a vederla senza
disgustarmi. «D’accordo, ma domattina la rimetto», cedetti stanco. «Non voglio che Jaz la veda ancora».
    Tornammo a letto qualche attimo dopo, distesi sul materasso l’uno tra le braccia dell’altro senza però riuscir a prendere davvero sonno. Restai ad osservare un punto indefinito per parecchio tempo, sentendo pian piano Edward rilassare i muscoli nel sonno e allentare quindi la presa intorno ai miei fianchi, per cadere piacevolmente addormentato. Sorrisi un po’, cercando di seguire il suo esempio, ma inutilmente. Ogni qual volta chiudevo l’occhio destro, il sonno arrivato spariva d’un lampo.
    Facendo più attenzione possibile, scivolai via dalla sua presa, sgusciando silenzioso sulle scale per raggiungere la cucina al piano di sotto, dove mi sarei preso qualcosa per conciliare il sonno; vi trovai la luce accesa, scoprendo che non ero il solo a non riuscire a dormire. Jason sedeva al tavolo della cucina a sorseggiare un po’ di latte, con qualche biscotto a portata di mano se la fame avesse chiamato. Era così assorto che, quando entrai e mi vide, sussultò, e per poco non fece cadere il bicchiere. «Non volevo spaventarti», mi affrettai a bisbigliare, nascondendomi al contempo l’occhio con la frangetta come meglio potevo. «Non riesci a prender sonno?»
    Tornato allo stadio iniziale di placida tranquillità, lui scosse la testa, allungando una mano per prendere un biscotto e intingerlo nel latte. «Mi sono svegliato poco fa», disse, concentrato attentamente sulla sua colazione. «Ho provato a riaddormentarmi, ma fa troppo caldo».
    Emettendo un suono d’assenso, sbadigliai, avvicinandomi al tavolo per prendere la bottiglia di latte. «Dovresti esserci abituato», dissi ironico. «A South City era peggio». Non c’era sera, difatti, che non si morisse davvero di caldo.  Quand’era piccolo e dormiva a volte con me, molto spesso si scioglieva dai miei soliti abbracci e scalciava via le lenzuola, levandosi anche la canotta.
    Concorde, Jaz annuì, prima che vedessi di sfuggita l’occhiata che mi lanciò. Appena incrociato il mio sguardo, l’aveva difatti distolto, forse per l’aver visto che ero senza benda e l’aver scorto le cicatrici. Trassi un lungo sospiro accomodandomi, rubando anch’io qualche biscotto.
    «C’è qualcosa che non va, Jaz?» gli chiesi senza tanti giri di parole, bevendo intanto dalla bottiglia. E dovevo essere fortunato che Edward stesse dormendo. Gli dava un certo fastidio quel mio maledetto vizio.
    Jason mi guardò un’ennesima volta di volata e scosse la testa, mangiucchiando. «Nulla, ‘Ka-san», fece, poggiando un gomito sul bordo del tavolo per sorreggersi il viso. «Te l’ho detto, è soltanto per il caldo».
    «Crediamoci», asserii, bevendo un altro sorso prima di leccarmi le labbra.
    Restammo poi in religioso silenzio per un bel po’, l’unica cosa che lo rompeva scandendo lentamente il tempo era l’insistente ticchettio dell’orologio appeso al muro. Date le dimensioni della cucina, sembrava quasi assordante. O forse ero io a vederla in quel modo. La quiete notturna rendeva i suoni più alti e netti.
    «‘Ka-san?» mi richiamò Jason, e alzai l’occhio verso di lui per osservarlo. Rivolsi sul suo viso tutta la mia attenzione, cosicché decise di continuare. «Dopo il quinto anno, che venga bocciato o meno, tu e Oto-san siete disposti a farmi frequentare l’Accademia?» mi chiese, abbassando nuovamente gli occhi azzurri sul tavolino.
    Mi accigliai, sbattendo la palpebra. «Era a questo che pensavi?» domandai in risposta, vedendolo scuotere la testa.
    «Nay, in realtà mi è venuto in mente adesso», spiegò, cominciando a far vagare le dita sulla superficie di legno. «Mi sono ritrovato a riflettere un po’ seriamente sulla cosa».
    Mi oscurai, a quelle parole. Sapevo che per l'alchimia aveva un talento innato, e sapevo anche che sarebbe diventato un ottimo alchimista, se avesse fatto l’esame. Ma dopo quanto era successo, ero un po’ restio dal farlo arruolare. Le scelte però erano sue, presto avrebbe compiuto la maggiore età e io non dovevo intromettermi. Il pulcino doveva lasciare il nido. «Sei davvero convinto di voler entrare a far parte dell’esercito?» gli chiesi ancora, in tono neutro, costringendolo in questo modo a fondere i suoi occhi con il mio.
    Tentennò un po’ alla vista delle cicatrici, ma mi tenne testa. «Aye, ‘Ka-san», fece dopo poco, con aria risoluta. «Voglio dimostrare di saper fare qualcosa. Non posso dipendere sempre da voi né posso mettervi ancora in pericolo».
    «Jaz, tu non hai messo in pericolo nessuno», ripresi a quattro mani quel discorso, scuotendo la testa in un gesto d’impotenza. «Ti ho chiesto se sei deciso a seguire questa strada per un buon motivo. Spesso l’alchimia non ha usi benefici, nell’esercito».
    «É sfruttata come arma bellica, lo so», mi informò. «Ho sentito un po’ di cose del genere. Però voglio comunque diventare un Alchimista di Stato, ‘Ka-san».
    «Jaz...» lo richiamai ancora corrugando preoccupato le sopracciglia, come se volessi farlo desistere.
    Lui scosse la testa, forse per ammonirmi. «
É pure ora che metta un po’ la testa sulle spalle», continuò serio, poi mi fissò con i suoi occhi cerulei, prima che le labbra sottili si stirassero in un mesto quanto triste sorriso. «Dovrà pur esserci qualcuno che prenda il posto do alchimista di fuoco, prima o poi... no?» concluse per sdrammatizzare, nonostante gli vedessi in viso un’espressione che conoscevo bene. L’espressione della colpa. La colpa che poteva sentire solo chi usava l’alchimia per uccidere, quella consapevolezza che con un tuo schiocco di dita avevi sottratto la vita. E lui, troppo presto, aveva provato quell’orribile sensazione.
    «Se dici così, mi fai venire ancora di più il dubbio di darti il permesso di iscriverti», gli tenni presente, e stavolta fui io a chinare il capo per non incontrare più il suo sguardo. «Non fraintendermi, Jaz, so che hai delle potenzialità... ma sapere che potrebbe esserci l’eventualità che tu venga spedito in una qualche pericolosa missione o in una guerra...»
    Al solo pensiero, non riuscii a continuare. Il logorio che lasciava la guerra dentro gli animi era un peso enorme. Per quanto potesse essere forte di spirito, non sapevo se avrebbe resistito davvero. Dai miei pensieri mi distrasse un suo lungo sospiro, e lo vidi distrattamente osservare altrove, come se trovasse interessante chissà quale angolo della cucina.
    «Non è un capriccio, ‘Ka-san», disse poi, sempre senza guardarmi. «So che queste cose possono succedere. Ma io voglio diventare un Alchimista di Stato anche per aiutare te e ‘To-san».
    Quel suo motivo, però, a me non bastava. Facevo tante storie sul suo dover essere responsabile e cercare di crescere un po’, ma ero sempre stato più bambino di lui. E su quell’argomento non volevo dargliela vinta, dopo tutta quella storia. «Lo sai che io e Oto-san ce la possiamo cavare benissimo da soli», cercai ancora di farlo desistere, ma capivo che ormai era troppo tardi. Aveva preso la sua decisione, ormai. Non sarebbe tornato indietro.
    Jaz prese a rigirarsi il bicchiere ancora mezzo pieno tra le mani e a guardarlo non curante, come se stesse fintamente riflettendo sulle mie parole. Però, il suo viso intendeva ben altro. «L’hai detto tu che ho delle potenzialità, ‘Ka-san», fece distante. «Potrei esservi più utile lì al Quartier Generale o in missione, piuttosto che a svolgere qualche normale lavoro».
    Era peggio di Edward, indiscutibilmente vero. Quando si metteva in testa una cosa era difficile farlo desistere. Sospirai pesantemente, ben consapevole che aveva ragione. Se pur avesse trovato un lavoro come la maggior parte delle persone, il suo talento per l’alchimia sarebbe stato sprecato e relegato a futili mansioni. Avevo visto di cos’era capace, sapevo cosa riusciva a fare con la sua alchimia. E seppur anch’ioavessi deciso di diventare Alchimista di Stato per aiutare le persone, ritrovandomi poi in un massacro, davvero non riuscivo a veder lui prendere quel titolo. Non lo concepivo, purtroppo. «Mettiti nei nostri panni, Jaz», dissi, guardando con finta attenzione il tavolo. «Conosciamo i rischi del mestiere... e ti dirò la verità, sono preoccupato già da adesso».
    «Hai una scusa in più per diventare Comandante Supremo, allora». Il tono non era né sarcastico né derisorio, ma più vicino al volermi spronare. Difatti alzai lo sguardo con fare confuso se non stranito, vedendogli appena l’accenno d’un sorriso dipinto sulle labbra. Si era alzato in piedi, come pronto a tornarsene in camera sua. Non aggiunse altro e, posando soltanto i biscotti, si diresse verso la soglia della cucina per sparire in corridoio, rivolgendomi appena un veloce e sussurrato saluto. Io mi ritrovai invece a scuotere il capo, poggiando i gomiti sul bordo del tavolo per sorreggermelo, passandomi una mano fra i capelli prima di accarezzare piano le cicatrici.
    «‘Ka-san?» Un altro richiamo, la voce un po’ più leggera. Mi voltai verso la soglia, vedendo lui ancora lì in piedi. Non era tornato in camera e si stava grattando dietro al collo, vagamente imbarazzato. «Dici che sono grande per volere un abbraccio dalla mamma
    Sorrisi divertito e, scansandomi dal tavolino della cucina, allargai le braccia, come ad invitarlo. «Gli abbracci non si negano mai, scemo. Non hanno età».








_Note inconcludenti dell'autrice
Dopo mesi di latitanza, sono tornata anche io per questi lidi.
Non dirò il motivo del mio allontanamento, anche se alcuni - per lo meno le persone con cui parlo più frequentemente e che frequentano il sito, lo sanno almeno in parte. Ma come si dice: a buon intenditor, poche parole.
Sono, però, rimasta abbastanza dispiaciuta nel vedere la desolazione che ormai sembra riempire le pagine di EFP (E non parlo solo della sezione FullMetal Alchemist), quindi ho voluto comunque postare per terminare questa raccolta.
L'ultimo capitolo sarà postato il 10 ottobre, data in cui verrà celebrato a Tokyo l'evento che porta il nome di RoyEd Mariage.
Spero che le fan della coppia, se si trovano ancora qui in giro, vorranno contribuire in qualche modo.
Alla prossima.

_My Pride_


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