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Autore: Kokky    27/09/2010    2 recensioni
Un mondo parallelo e antico, popolato da vampiri che si muovono nell'ombra e umani troppo ciechi sui nemici succhiasangue. L'esercito, i positivi e gli alchimisti sono gli unici che possono proteggere l'umanità da ciò che stanno bramando i vampiri...
Un'umana insicura. Due piccoli gemelli. Un vampiro infiltrato. Una squadra di soldati. Una signora gentile e un professore lunatico. Una bella vampira e il capo. Due Dannati. L'Imperatore e i suoi figli. Una dura vampira. E chi più ne ha più ne metta!
Di carne sul fuoco ce n'è abbastanza :)
Provare per credere!
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Positive Blood' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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E ora, l'ultimo capitolo di Positive Blood.


102 – Il tripudio dei vampiri

Mentre Logan Mckay e Eve della famiglia dei Burnside, come avrebbe raccontato l’alchimista un mese dopo, sfuggivano ai vampiri, questi festeggiavano in mezzo alla Piana di Fuoco.
Gabriel Gray, il capo, aveva accanto la consorte Juliet, che tacitamente lo incoraggiava a parlare. Vi era gaiezza nel volto di ogni vampiro, una soddisfazione secolare sembrava spandersi su quella pelle pallida, in quegli occhi rossi; la liberazione totale dal passato stato di cose li rendeva euforici.
Gabriel si mosse, volgendo lo sguardo verso i capofamiglia, tutti intimamente felici della riuscita del loro piano – beh, era ovvio che sarebbe andato a buon fine. Socchiuse gli occhi, godendo del sole sul suo corpo macchiato di sangue (da molti secoli e sempre per un unico obbiettivo), sentendo visceralmente le sue carni rimescolarsi sotto la superficie, amalgamarsi in quella letizia dei sensi: la sua vendetta era compiuta! Ogni istante appariva migliore del precedente.
Si schiarì la voce, pretendendo il silenzio. I vampiri lo guardarono fissamente, immobili.
«Non abbiamo mai dubitato della nostra vittoria, sapendo che è difficile spezzarci la schiena; ma non dobbiamo negarci un po’ di autocompiacimento, un po’ di audacia: siamo stati i migliori, abbiamo dimostrato infine la nostra superiorità, spazzando via l’esercito, lavando la lava con il loro sangue. Da troppo tempo gli umani si gingillavano nella loro culla d’oro e piume, credendosi infallibili, immaginandosi capaci di dominarci a poco a poco, con la tipica volontà della loro razza.
Siamo stati noi a dargli queste speranze, per secoli, e ora noi le abbiamo riprese, strappate dai loro petti sanguinanti. E con che merito! Sono morti dei nostri familiari, stanotte, ma oggi potremo festeggiare la libertà che loro stessi agognarono: l’anarchia, la cupidigia, la lussuria, qualsiasi cosa ormai è permessa. La società è distrutta dalle basi: i positivi sono nelle nostre mani, l’esercito è caduto; non hanno più difese, non avranno neanche la gioia di vivere, sapendosi già perduti. La loro alterigia, il loro sprezzo per noi “bestie mostruose” diverrà paura. Terrore.
Immaginate i loro volti spauriti, impalliditi; le loro mani rapide, i loro piedi scattanti... immaginate la corsa delle prede. Siamo liberi di essere quello che siamo: cacciatori». Gabriel fece una pausa ad effetto, assaporando l’aria che respirava un po’ per abitudine, un po’ per sentire i profumi della terra umida: l’odore di morte copriva la frescura degli aghi verdeggianti, lì intorno, dei pini e abeti spettatori. Juliet lo guardò complice, riempita dalle sue parole; Armelia Liddell, di fronte a lui, serrò la mascella squadrata, strinse le labbra carnose in un sorriso pieno d’odio per gli umani.
Ogni loro desiderio era stato soddisfatto.
«Ora, dovrò ufficializzare la situazione: andrò dall’Imperatore con chi vorrà seguirmi, prendendogli lo scranno e la testa», ghignò, gli occhi azzurri pieni di un futuro radioso.
Nella folla che lo ascoltava, Samuel – il bambino antico, il vampiro che aveva massacrato parte della sua razza per la famiglia che gli era stata uccisa – fece una smorfia di sdegno. Cain, il primo “superiore”, lo fissò con astio.
«Non saresti dovuto venire qua, caro Samuel; non eri sfavorevole alla guerra? Eppure, vedi, abbiamo vinto, contro ogni tua previsione... ancora convinto di essere nel giusto?», gli chiese il Dannato, digrignando i denti con melliflua lentezza.
Samuel alzò lo sguardo su di lui, flemmatico. «Continua a sperare, Cain. Io ripeto quel che ho detto: si sottovaluta troppo la forza degli umani, la voglia di rinnovarsi, riscattarsi; siamo noi che meriteremmo questa fine, noi che rimaniamo sempre uguali, cristallizzati nel momento della nostra morte, come i nostri corpi identici per millenni. Noi non siamo capaci di mutare, di evolverci; loro sì», borbottò, sempre con un tono neutro. Non aveva interesse a stare lì, li aveva seguiti per inerzia, sicuro delle proprie idee, ma non aveva preso parte al massacro.
Cain ridacchiò dolcemente, come suo solito, muovendo le mani nell’aria, cercando di afferrare le sue parole vuote. «Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere», disse. «Sarai anche più vecchio di me, potrai essere più saggio, ma qui non si parla di ragione – si parla di sangue che chiama! Un vampiro non dovrebbe rifiutarsi di fronte a tanto ben di Dio, non credi?», fece il gesto di mordere l’aria, i denti affilati ben in mostra, gli occhi rossi e folli puntati sul bimbo. «Tu hai perso il tuo ardore dopo aver assolto alla tua vendetta; io, a differenza di molti altri, non ho paura di te né delle tue parole. Sei come il soffio del vento, inutile ascoltarlo, inutile temerlo.
Gabriel ha dimostrato questo a tutti noi: ci ha spinti a conquistare ciò che ci spetta».
Samuel serrò i pugni. «Gabriel è uno sciocco che ha convinto i suoi simili per uno scopo del tutto personale: una vendetta. Lo capisco perché anch’io ho perso tutto per uccidere i miei assassini».
Cain s'infuriò per quelle parole così ciniche: come poteva rifiutarsi di vedere, di capire il bisogno della sua razza? «Spari sentenze senza saper pensare», lo insultò, abbassandosi alla sua altezza, al suo volto piccolo e tristemente bello.
Il bimbo, gli occhi rossi fissi sui suoi simili, le labbra nere piegate in una smorfia, finalmente un moto d’interesse sul suo viso, gli ringhiò contro. «Non dovresti prendere alla leggera quel che dico. Nessuno dovrebbe! Solo perché non ho preso parte ai combattimenti, questo non vuol dire che io non capisca le voglie della carne, così come il vostro punto di vista. Ma non riuscirai a convincermi che questo andrà a finire come avete prospettato; ricorda, ho il doppio dei tuoi anni! Conosco più gli uomini dei vampiri e so che sono capaci di risorgere dalle loro ceneri; so che non hanno pietà per chi li ha piegati, violati, offesi, derisi, uccisi; per chi li ha costretti in schiavitù e ha deciso di profanare le loro vite, il loro Imperatore. Potranno dimenticare, a differenza nostra, i nomi, i volti, i morti, ma non l’idea che vi era, la libertà che potevano dire di possedere. Anche se poveri, morti di fame, erano liberi. Come potresti dire che non si vendicheranno? Tu che – dici – hai lottato proprio per aver libero dominio», poi sputò verso terra. Cain gli corse incontro, ma il bimbo lo bloccò con forza inattesa e scappò via, scocciato da quel discorso e da quel vampiro che conosceva fin troppo bene. Inutile pensarci ancora, tutto sarebbe passato sulla sua pelle stanca e apatica, tutto sarebbe avvenuto sotto i suoi occhi antichi; inutile muoversi, bastava saper pazientare.
Cain lo guardò furente mentre se ne andava, poi si voltò di nuovo verso Gabriel e Juliet, sogghignando. Il capo stava continuando a parlare, ignaro dei discorsi che vi erano fra le varie famiglie vampiresche. «Così, come abbiamo appena deciso, Armelia Liddell mi aiuterà a uccidere l’Imperatore; insieme a noi, mia figlia Violet e suo figlio Maximilian; più gli altri volontari che ci aiuteranno con le guardie. Perfetto, partiremo stanotte».
Il sole scintillava più in basso, pronto a nascondersi dietro le montagne dai ghiacciai perenni; tingeva tutto quanto con un rossastro amaro, troppo simile al colore di quei cadaveri lì dispersi, di quei corpi dal sangue rappreso che dormivano ormai per l’eternità sulla lava nera, sulla sabbia e l’umida terra, senza poter ricevere un degno funerale, senza poter avere le lacrime dei loro cari che ancora non immaginavano la disgrazia.
Il cielo divenne più scuro, portando con sé il fresco di novembre; poi ci fu la sera, e una coltre buia, punteggiata da stelle fulgide, occultò quegli umani dalla vista di chiunque.
Intanto, i vampiri negativi si risvegliavano nei loro nascondigli, pronti a scorrazzare per il nuovo mondo.

Hassan uscì dalla terra, respirando il gelo dell’autunno. Andò insieme agli altri negativi ad ascoltare le parole di Gabriel, che annunciavano il suo spostamento verso Alesia, la capitale, e il suo successivo attacco all’Imperatore. Inezie per le sue orecchie: si sentiva incredibilmente stanco.
Anche Adam e Sofia, che già avevano seguito il discorso di qualche ora prima, erano ormai tediati dalle parole del loro capofamiglia e si scostarono dal gruppo. Avevano fatto la loro parte. Adam, che era stato scelto come infiltrato, aveva finito il suo incarico e Gabriel gli aveva concesso la totale libertà.
Alzò il volto verso il cielo stellato e la luna a forma di falce, annusando il vento che soffiava da sud-est; Sofia gli si mise accanto, silenziosa. Lui la guardò per qualche istante, sogghignando piano, e le afferrò celermente la mano, iniziando a correre. Fece a meno di congedarsi da Gabriel, il suo capofamiglia, o di salutare la madrina Violet o il figlio Hassan. Sofia lo seguì.
Correndo via, si allontanavano da quella guerra lampo e da ciò che aveva portato; tornavano a Leluar, a casa di Adam, per assaporare la nuova felicità di ritrovarsi insieme. Sofia stormì il ricordo di un paio d’occhi piangenti; Adam rifuggì il mondo, cercando una letizia lontana dalla disfatta degli umani. Era più facile richiudere la pietà in un cantuccio, lasciarla dietro di sé, e pensare alla gioia che poteva nascere dal sapersi non più soli.
Ecco come ragionavano: egoisticamente. L’istante d’umanità era stato già dimenticato, scegliendo se stessi piuttosto che gli altri, mentre si tenevano per mano.
Era il tripudio dei vampiri. Anche Gabriel, preparandosi a partire, sembrava aver scordato che un tempo, non troppi secoli prima, era stato anch’egli un essere umano.

Gabriel e gli altri si mossero velocemente per Aiedail, correndo sia di notte che di giorno, per raggiungere Alesia e il suo cuore: l’Imperatore. Violet sorrideva percependo l’aria sferzarle il volto, evitando gli ostacoli, gli alberi che le intralciavano il cammino; vicino a lei, Maximilian si sentiva il cuore gonfio di quelle ore passate a non pensare, con gli occhi vigili che osservavano il paesaggio mutare.
Arrivarono di pomeriggio, con il sole calante alle spalle. Erano abbastanza da poter sconfiggere il corpo di guardia, entrarono facilmente al palazzo, che aveva ancora un’ala distrutta; portarono il disordine in quelle stanze ricche e fastose, piene di convinzioni appena sussurrate e sangue blu. Passarono senza fermarsi un istante, razziando, depredando quello che ormai era loro: il simbolo del potere cadeva nella mani dei vampiri.
Elisabeth e Francis erano ancora lì, poiché lui stava iniziando soltanto ora a rimettersi. Appena videro quello che stava succedendo, Elisabeth strinse i denti e si preparò a fuggire, pur di salvare suo fratello. Se i vampiri erano lì, voleva dire che l’esercito era stato sconfitto; quindi non avevano possibilità. Questo Francis non pareva capirlo, si era intestardito e voleva riprendere a combattere pur di salvare l’Imperatore e gli umani, ma Elisabeth lo afferrò per le spalle, bloccandolo al muro, e lo guardò in silenzio, respirando affannosamente, con la speranza che si calmasse. Francis scalpitò sotto le sue mani, abbastanza da far sanguinare la ferita; poi osservò gli occhi verdi della sorella, identici ai suoi, così seri e pieni di forza e sospirò, abbattuto.
«Dovremmo salvarli», mormorò quasi piagnucolando, cercando di convincerla.
«Se fossimo in grado di salvare noi stessi. Ma io devo badare a te, zuccone; voglio che tu rimanga vivo. Non so, da quando hai questi istinti suicidi? Non capisci? Non abbiamo speranza. Non ne hanno. Se scappiamo, almeno potremmo vivere un altro po’ e cercare un modo per riprenderci il nostro mondo; così, andresti solo a farti ammazzare! Saresti carne da macello. Non ti permetto di morire così, Francis, sei mio fratello», sbraitò lei, lasciandolo lì e incominciando a prendere il necessario per fuggire. Si sentiva vile, profondamente; stava tradendo tutti i suoi ideali, tutto ciò che aveva fatto fino ad allora, eppure non poteva farsi massacrare così, questo non avrebbe risolto la situazione. Ora Francis aveva bisogno di riposo, Elisabeth voleva tentare l’impossibile: salvarlo e salvarsi.
«Dove andremo?», domandò suo fratello, adocchiando la benda insanguinata.
«Non lo so. Da Logan?», rispose lei, sistemando una garza nuova sulla ferita.
Poco dopo, sentendosi dei cani, sfuggirono ai vampiri, passando per il parco del palazzo, finendo nel parcheggio della carrozze, dove due settimane prima Violet, Eve e Hassan avevano aspettato Armelia; poi si dileguarono fra i camerieri che correvano impauriti, scappando da quei mostri assetati di sangue.

Gabriel entrò nella Sala del trono. Un sorriso disteso e pieno d’idilliaca gioia solcava le sue labbra sanguigne; gli occhi blu brillavano nella penombra del salone, non visti dall’Imperatore, che sedeva sul suo scranno in silenzio.
Juliet era dietro il suo amato, con le mani sul grembo ormai vuoto, e osservava la scena con entusiasmo. Armelia fremeva accanto a lei, ma neanche lei fu riconosciuta dall’Imperatore Achille, che sembrava perso nei suoi pensieri e non aveva ancora notato gli ospiti.
Gabriel fece un passo con teatralità, misurando la stanza con gli occhi; più era vicino alla sua totale vittoria, più pareva voler godere di ogni istante, cercando di rallentare quel processo già pronto a finire.
Sogghignò, salendo i pochi scalini che dividevano il vampiro dall'Imperatore.
La luce, filtrata dalle finestre a lato, era fioca; gli arazzi sulle pareti erano scuri e quasi illeggibili; e vi era un silenzio profondo, lontano dalle lotte intestine alla guerra, distante da Aiedail.
Gabriel si mise di fronte ad Achille, poggiando le mani pallide sui fianchi stretti. Annusò l’aria, che sapeva di stantio e vecchio – quanto lui e quanto le tradizioni degli umani.
Achille alzò il volto verso di lui, serrando la mascella in una smorfia d’altezzosa indignazione.
Il suo errore era stato il cadere nel pregiudizio, il credere nelle favole dalla morale già preconfezionata: aveva sottovalutato il nemico, pensando che la propria fosse la razza migliore, l’unica necessaria a quel mondo. E, invece, gli umani erano soltanto prede per quei mostri; e lui non aveva saputo vedere il pericolo incombente, valutandosi al di sopra d’ogni sconfitta. La verità era un’altra; un errore di calcolo, una minuscola convinzione posta alla base di un’azione come una guerra, era capace di far cadere chiunque in ginocchio. Anche l’Imperatore, che si era sempre reputato invincibile.
Le sue ultime parole furono lo stesso d’odio, d’incomprensione. Non vi era nulla da capire in quel mucchio di ossa. «Potrai sedere su questo trono e diventare Imperatore, forse, ma non lo sarai per l’eternità. Tutti sono destinati a morire, anche chi si crede immortale. Anche tu farai la mia stessa fine, mostro», sputò, alzandosi e fronteggiandolo con lo sguardo nero.
Gli occhi di Gabriel ribollirono di rabbia, divenendo scarlatti; con uno scatto in avanti, i suoi denti affilati cozzarono con il collo dell’uomo, gli serrò la bocca sulla giugulare e incominciò a bere. Achille gli afferrò le spalle con le mani, cercando di sfuggire; Gabriel alzò le braccia e lo abbracciò con una morsa d’acciaio, spezzando in più parti la sua schiena; infine, lo strozzò, mozzandogli la testa, che cadde con un tonfo ai suoi piedi, insieme al corpo dell’Imperatore.
«Non posso dire di non avere sangue blu, adesso. Il trono è mio di diritto», ridacchiò, dando un calcio al cadavere inerme e spostandolo da lì. Si sedette sullo scranno, con il volto macchiato di rosso. Il sorriso era ricomparso, spietato.
Juliet gli si avvicinò, eccitata, e lo baciò sulla fronte, suggellando quell’istante.
Armelia ghignò con le labbra carnose e s’inchinò, mormorando: «Al nuovo Imperatore di tutta Aiedail».
La sala cadde nell’ombra: il sole era tramontato.
*



103 – The end

Era notte quando Elisabeth suonò al cancello di casa Mckay, sperando che qualcuno fosse vivo. Francis era appoggiato a lei, con il braccio sano intorno alle sue spalle, e respirava faticosamente.
Di certo non si aspettavano di trovare Logan, sopravvissuto alla guerra, o Eve dei Burnside al suo fianco. Non immaginavano il suo racconto straziante su quello che era successo, su com’era morto Jack e come l’avevano seppellito... né potevano sperare di trovare un posto dove stare.
Quel luogo non era al sicuro, così come il resto del paese, ma almeno avevano delle armi, un letto dove riposare, qualcuno con cui stare; avevano un luogo da chiamare casa. Erano insieme, i resti del Team 7, ognuno con una ferita da sanare, con il cuore sanguinante e le colpe che li tormentavano al buio.
Francis spesso non riusciva a reggere la mancanza del suo braccio destro, rimpiangendo quella parte di sé che lo aveva reso un uomo diverso, forte; ora si sentiva debole, monco non soltanto nella carne, ma nell’animo. Anche Elisabeth era tormentata dall’idea di non essere abbastanza, di non aver fatto niente per salvare i suoi cari e Aiedail; non chiudeva gli occhi verdi, pur di non vedere i fantasmi di chi era probabilmente ormai morto.
Logan non parlava più di quello che era successo, dopo averlo raccontato a entrambi; vagava per la casa, lontano dal padre infermo, che era rinchiuso nelle sue stanze a causa della malattia. Dentro la sua mente, l’alchimista provava a ricordare tutti i dettagli che avevano accompagnato la morte di Jack. A volte si fermava, poggiando la mano sul muro o su un mobile, riposando un po’; ma poi tornava a camminare, sussurrando parole nell’antica lingua dell’alchimia.
Soltanto Eve sembrava tranquilla: sedeva nel salotto, guardando con interesse i decori della stanza, oppure leggendo qualche romanzo. Un attento osservatore, non concentrato su se stesso – come Logan, Francis ed Elisabeth – avrebbe visto la malinconia del suo sguardo nero, ingabbiato in quel corpo spossato; e avrebbe scorto le mani tormentate, la carne che si assottigliava sotto il peso delle lacrime e del dolore.
Ma ognuno era perso nei propri problemi, nei ricordi e nelle possibilità di un finale diverso: così, nessuno vedeva l’altro.
Una notte, però, si incontrarono tutti e quattro nella sala da pranzo, senza darsi appuntamento. Turbati dai loro pensieri, erano arrivati lì per caso. Non parlarono per molto tempo, stettero seduti a non ragionare, giocherellando con le dita e i bottoni dei vestiti. Avevano perso l’uso della parola, la voglia di condividere.
Elisabeth era la più forte, come sempre, e incominciò: «Chissà dov'è Daniel, adesso». Non era un bell’argomento, ma aveva pensato anche a lui, durante tutto quel tempo. Non avevano notizie del loro compagno, né nessuno avrebbe potuto informarli, visto che la società stessa era andata distrutta.
«Aveva la scorza dura», borbottò Francis, cupo.
«È sempre stato forte, ricordate? Un uomo possente, bravo a combattere. Se la sarà cavata», esclamò Logan, apatico. Le sue erano valutazioni di comandante.
«Aveva anche buon cuore. Una volta mi ha detto che sarebbe voluto tornare a casa, dalla sua amata; avrebbe voluto morire accanto a lei, rivedendo i ghiacci del suo paese. Mi è sembrato... molto umano», mormorò Elisabeth, abbassando il tono della sua voce. Ripensò alla casa che aveva avuto da bimba, con Francis, e a quando giocavano nel grano, si rincorrevano felici, credendo che sarebbero stati lì in eterno. Ora non potevano tornare.
«Sarà salvo», disse Eve, pur non conoscendolo. Voleva che fosse così.
Tutti quanti sorrisero nel loro intimo, sentendosi un po’ più vicini, un po’ meno soli. Potevano superare quel trauma, insieme, potevano pensare a una rivincita.

C’era molto buio, quella sera, e un freddo pungente faceva intirizzire i pochi uomini che osavano uscire a quell’ora. Daniel sorrise tranquillamente, riconoscendo come sua quella temperatura, quell’aria frizzantina di novembre: tutto presagiva il suo ritorno.
Si mosse quatto, silenzioso, strisciando sui muri. Il porto era vicino; i più coraggiosi avevano ancora la forza di scappare via dal regno dei vampiri, di sfuggire nella notte sinistra, cercando salvezza. Daniel fece qualche altro passo, superando una via poco illuminata, ed entrò nel porto.
Il mare rumoreggiava placido, si muoveva lentamente fra le barche, inondando la zona con il suo odore salmastro. La luna era nuova, nera fra le stelle brillanti, che davano una rotta a chi si azzardava a navigare.
Daniel trattenne il respiro e corse verso lo scafo che l’avrebbe portato a casa. Aveva venduto quello che ancora possedeva, pur di andare via da Aiedail e tornare da Muriel, la donna amata che lo aspettava.
Senza paura, salì sull’imbarcazione, accoccolandosi sul ponte e guardando le stelle. Una piccola lacrima s’impigliò tra le sue ciglia.
Era la cosa giusta da fare, era giunta l’ora che il suo corpo fosse accolto tra le braccia calde di casa. Non voleva essere un eroe folle, capace di perdere la sua vita per una battaglia persa; il suo dovere l’aveva fatto, la sua sete d’orgoglio era stata spenta tempo prima... era cresciuto e adesso era abbastanza uomo da capire che doveva tentare di essere felice, di poter avere una salvezza.
Quando la barca salpò, lasciò un po’ di sé ad Aiedail, fra quei monti boscosi, quelle colline verdeggianti, in quella villa bianca, fra i suoi compagni: Logan, Jack, Elisabeth e Francis. Gli disse addio, socchiudendo gli occhi e assaporando il freddo che l’avrebbe accompagnato nel suo viaggio.

Quella stessa notte, Rupert si smosse nel letto del fratello, muovendo una mano in cerca del gemello mancante. Aprì gli occhi azzurro chiaro, sentendo un groppo alla gola. Si mise seduto e guardò Luna dormire tranquilla, con la mano sotto il cuscino morbido.
Il bimbo scese dal letto a castello e le si avvicinò, non svegliandola. Si strinse accanto a lei e le mise una mano sul fianco, sentendo finalmente un po’ di calore. Si addormentò con il viso vicino al suo, respirando il suo respiro, mentre sognava di essere con Ryan.
Luna sorrise nel sonno, felice di averlo con sé.

La bimba cammina lentamente, sotto il peso dello zaino. Si guarda intorno, conoscendo a memoria la strada che fa per tornare a casa. Vi è un viavai di persone, riscaldate dal calore del sole primaverile.
La frattura spazio-temporale è vicina, molto vicina...
Sofia si sveglia: non è ancora giorno, ma una luce grigiastra si infiltra dalle imposte e illumina la stanza. Tende una mano e tocca il corpo fresco di Adam, che ancora dorme, immerso nel suo dormiveglia pieno di sogni.
Si siede e lo guarda: appare indifeso, quasi umano, mentre i raggi filtrati dal vetro svelano i suoi capelli dorati, le sue ciglia nere; rimangono in penombra il naso, il mento, e le guance, che sembrano un po’ scavate nel buio, vuote. Il petto chiaro si alza e si abbassa per il respiro: ecco un altro segno d’umanità. Ancora non ha aperto i suoi occhi blu mare, acuti, né ha parlato, mostrando il gelo delle sue parole.
Sofia pensa di amarlo. Non è sicura, perché lo ha seguito avendo bisogno di lui, avendo paura di rimanere sola; ma ora che è lì, vampira, con pochi ricordi a brandelli, pochi sentimenti celati nel profondo della sua anima, dentro di lei risalta il suo legame con Adam e quasi si sente felice di aver ricevuto il suo amore.
Fuori dalla casa, il resto del mondo è infelice nella sua disgrazia. Ma lì, all’interno, c’è ancora la magia del buio, dove si celano le cose e i loro contorni, dove non si sa la direzione in cui si sta andando e si prova paura; c’è l’arcano segreto della penombra, dell’incertezza piena d’emozione, che ti dà la possibilità di immaginare la tua realtà. Ciò che vuoi è a portata di mano.
Adam si sveglia, serra gli occhi e la guarda. In silenzio, la bacia sulle labbra, scende morbidamente sul suo mento e sul suo collo.
«Vorrei andare a vedere il sole», mormora Sofia – e anche la sua voce sembra gelida, ma non se ne accorge.
Adam si alza di scatto e la trascina con sé, sorridendo. I volti del mostro si ammorbidiscono in quell'amore – agli occhi di un umano apparirebbe grottesco, però non c’è nessuno che può vederlo.
Salgono le scale, velocemente, ed escono sul terrazzo. Adam carezza i capelli castani di Sofia, guardando la linea dell’orizzonte, tagliata dai profili dei palazzi scuri di Leluar, e il grigio azzurro del cielo. Sofia si volta e lo bacia appassionatamente, passandogli una mano sulla guancia.
«Eccolo», esclama a un certo punto Adam, stringendo la sua mano a quella di Sofia. Sono uniti e sono capaci di sopportare quel sole, quei raggi caldi. Sofia freme, sorridendo.
La sfera di fuoco sorge lentamente, maestosa, e inonda il mondo con il suo calore rossastro. Il cielo si tinge di un azzurro violento, le nuvole diventano d’oro; il sole s’innalza sempre di più, eterno.
Eccolo: è un nuovo giorno, uno come tanti altri.



Ora stringi fra le mani le tue lame stanche
E ricorda che la fine è la più importante
Tutto ciò che hai sempre amato giace in una fossa
Che han scavato le tue stesse ossa

Fra le alghe c’è un eroe che si sente giù
Era uso arrendersi non si arrende più
Ogni alba avrà anche un po’ di morte dentro sé
Niente può minare me e te

Sii perfetto se precipiti

(È la fine la più importante – Afterhours)

Fine










Ho sempre pensato che Pb fosse infinito. Che non sarei mai riuscita a scriverlo tutto. Effettivamente, neanche ora mi capacito di essere qui, a fare l'ultima nota. Eppure eccomi.
Non ho pianto, come sono soliti fare in molti quando finiscono le loro long. Beh, in realtà, mentre scrivevo di Daniel i miei occhi erano un po' umidi (così come mentre parlavo di Rupert), e nel buio della stanza, a letto, ascoltando musica depressiva, qualche lacrima è scesa; ma non è stato un gran pianto. Sono triste, è vero, eppure non troppo.
Non so cosa farò ora. Cosa scriverò. Cosa mi accompegnarà in modo tanto fedele quanto Positive Blood. E' durato 5 anni, è stato unico, è stato un amico, uno sfogo, un segno di costanza e caparbietà.
Adam è stato tanto, poi Sofia, poi Logan, poi gli altri... gli voglio bene come a dei figli.
Lasciamo stare questo, passiamo all'ultimo capitolo: la fine è come l'ho immaginata tre anni fa, con Adam e Sofia che guardano il sole sorgere. Per il resto del capitolo, c'è una forte presenza della notte, del buio; non so, mi è piaciuto fare così, magari ha un senso recondito che non so cogliere. XD

Ora voglio passare ai ringraziamenti, come ogni autrice che si rispetti (XD).
Grazie a:
Gabriella (per aver seguito sin dalla nascita PB). Mamma (per le prime correzioni). Fatma (per le prime letture). Livia (per la prima, unica e inimitabile lettrice; la mia critica personale, scrittrice di PB in pillole). Toscano (per quel poco che ha letto). Antonella e André (per gli scleri, le letture, Logan e Elisabeth). Liz (per Adam e Sofia, i tuoi spin off, la tua dolcezza, i tuoi disegni e template). Silvia (per avermi seguito sempre). Mariasole (per aver sopportato gli scleri della tua compagna di banco e aver letto appassionatamente). Elvira (per le tue letture, correzioni, dolcezze e bacini vari). Mastro (per il supporto morale). Vari conoscenti che mi incitano a scrivere e mi chiedono come procede il romanzo. Marta (per essere apparsa a caso su una mia fic NejiHina, aver letto tutto PB, averlo amato; per i nostri discorsi, per le tue recensioni e tutto il resto). Kiki (che ha appena iniziato l'impresa di leggere PB). Lyssa (che si è letta PB tutto in una tirata, complimenti!). Tutti gli altri che hanno recensito e poi non sono più apparsi. Tatta (per la sua ammirazione pur non conoscendo PB). Lau (per i suoi incoraggiamenti). Chiara (perché ogni storia ha una sua stagione, Clèr). Ale (per aver espresso la tua voglia di leggere PB). Vittoria e Silvy (per avermi ascoltato sclerare sul finale). Leti (anche lei per aver letto un capitolo, aver discusso amabilmente su PB e altro).
E molti altri, tutti voi, tutti gli amici che mi circondano... a tutti grazie. (spero di non aver dimenticato nessuno XDDD)
E' stato bello camminare e arrivare fino a qui, fino alla fine.

Che il sangue sia con voi, vampirofili! +___+


le canzoni del capitolo: E' la fine la più importante (da ascoltare tutto il testo, molto alla PB); The End by Doors.
   
 
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