«Esteban,
ha ventitré anni...»
«Ho deciso che deve sposarsi.»
«Ma tu
lo conosci, e sai meglio di me che non ne sarą
felice.»
«Non ho
detto che deve essere felice, ho detto che deve sposarsi.»
Esteban
Trueba poggiņ la tazza da tč sul tavolino che
c'era nell'ampio
ingresso della Casa dell'Angolo. Da quando i suoi figli erano tornati
dal collegio inglese che tanto avevano detestato, Jaime aveva
introdotto nella proprietą quell'assurda abitudine di
sedersi
attorno ad una teiera fumante e conversare, come se a lui, che aveva
dei doveri di uomo politico e di proprietario terriero sulle spalle,
potessero interessare i monologhi di Blanca, i sermoni sulle
condizioni dei poveri nella capitale e dei mezzadri che lavoravano
alle Tre Marie, il futuro che sua moglie Clara e le tre sorelle Mora
avevano previsto per il cinese della lavanderia o le stranezze di suo
figlio Nicoląs che adesso, tanto per intaccare ancora di
pił
l'umore di suo padre, stava sdraiato in mezzo al giardino a fumare,
dopo aver raccomandato alla Nana di avvisare tutti i suoi familiari
affinché nessuno lo disturbasse.
«Nicoląs ti odierą ancora di
pił.»
«E non c'č bisogno di essere una chiaroveggente
per
capirlo», rispose Esteban a sua moglie, aggrottando le
sopracciglia,
in un'espressione che accentuava ancora di pił le rughe che
aveva
attorno agli occhi e sulla fronte.
Esteban era stato sempre
intransigente sull'educazione dei suoi figli, aveva previsto per loro
il meglio e ovviamente si era aspettato in cambio tutto quello che
dei ragazzi docili e mansueti e devoti al padre che gli aveva
permesso di studiare nei collegi pił costosi potessero
restituirgli
con altrettanti sforzi e sacrifici. Ma aveva capito presto che non
era cosģ, che alla fine aveva attorno una banda di
rammolliti, che
preferiva tornare a casa in mutande per aver donato i suoi abiti a un
miserabile all'angolo della strada o tentare di volare sulla
Cordigliera a bordo di una mongolfiera gonfiata pure male, opera di
cui Nicoląs si era vantato con le sue ammiratrici per mesi,
omettendo ovviamente il momento in cui era arrivata la polizia e gli
aveva impedito di decollare.
«Nicoląs non si vuole sposare, lui
č uno spirito libero. Non puņ rimanere legato
alla stessa persona
per tutta una vita...»
Sua moglie Clara invece aveva sempre visto
il buono in loro, aveva assecondato la follia di Jaime e lo aveva
aiutato nella sua opera caritatevole nei quartieri della
Misericordia, aveva creato attorno a Blanca una specie di aura
destinata a proteggerla dai mali del mondo e aveva sempre chiuso un
occhio davanti alle stranezze di Nicoląs, perfino quando era
tornato
a casa coperto solo da miseri stracci ingialliti e seguito da un
branco di ragazzini che ridevano di lui e punzecchiavano le sue gambe
sottili con l'estremitą di qualche bastoncino di legno
raccolto per
strada.
«Quello che puņ fare o non puņ fare lo
decido io,
siccome sono suo padre. Lui deve soltanto sorridere con la sua faccia
da schiaffi e poi darsi da fare per darmi un erede. Sono sicuro che
Jaime non si sposerą mai, e comunque non voglio nipoti
comunisti, e
Blanca č ancora troppo giovane. Nicoląs
invece-»
In quel
preciso momento i gemelli entrarono nella camera dall'esterno e
ovviamente stavano litigando, e Jaime sembrava avere la meglio,
finché Nicoląs, con la sua intelligenza acuta e
la sua curiositą,
non spinse suo fratello a domandarsi se avesse veramente ragione
oppure se ne fosse solo convinto e in realtą avesse torto.
«Sei
sicuro di aver ragione, Jaime?»
«Sģ, ho ragione.»
«E se
invece avessi ragione io?»
La maggior parte delle volte Jaime
capitombolava causando in Nicoląs una serie di risate
isteriche e
divertite, senza sapere che in realtą l'altro gemello si era
soltanto arreso davanti alla sua parlantina rapida e alle sue
espressioni snervanti, spesso Esteban (che non era stato mai docile
come Clara) aveva affermato con risolutezza che la faccia di suo
figlio Nicoląs era perfetta per essere presa a schiaffi e
che la sua
stessa mano aveva la misura giusta se spalmata su quelle guance
lisce, talvolta coperte da un sottile strato di barba, di suo
figlio.
«Nicoląs, dica a suo fratello di uscire dalla
stanza»,
disse d'un tratto Esteban, che i due ragazzi sussultarono, non
essendosi ancora accorti della presenza dei genitori, «Io e
sua
madre dobbiamo parlarle, ora.»
Spesso Esteban si stupiva che,
nonostante l'etą, fosse ancora abbastanza autoritario e in
grado di
intimorire i suoi figli con una semplice frase, e Jaime e
Nicoląs
non erano ragazzi pavidi, anzi, nel collegio inglese erano noti per
attaccar briga con troppa facilitą solo che, mentre
Nicoląs si
limitava ad insultare qualcuno o a sfidarlo, a Jaime toccava
difendere suo fratello e battersi al suo posto con ogni tipo di
avversario.
Ma erano legati solo da questo, e da nient'altro.
Apparentemente non sembravano nemmeno gemelli, dato che uno era alto
e robusto, con le sopracciglia folte e la schiena leggermente curva,
a causa del tempo che Jaime passava sui suoi enormi volumi di
medicina moderna. Nicoląs invece era pił
aggraziato, con un fisico
snello e delicato, l'espressione di chi si aspetta tutto dalla vita e
gli occhi pieni di sogni e di aspirazioni, di determinazione e di
voglia di scoprire l'ignoto che lo portavano a starsene ore ed ore
seduto davanti al tavolino a tre gambe di sua madre, cercando di
spostare la saliera col pensiero, e ovviamente senza riuscirci.
«Per
questa volta, penso di aver vinto, Nicoląs.»
Jaime uscģ dalla
stanza subito dopo aver pronunciato quelle parole e suo fratello
rise, come se una frase ad effetto potesse intimorirlo. Come se una
frase pronunciata da Jaime potesse intimorirlo, quando nella stanza
stanza c'era Esteban Trueba, con un cipiglio tutt'altro che allegro,
che non faceva altro che squadrare dall'alto in basso in suo poncio
di lino bianco e i suoi capelli in disordine. Nicoląs li
appiattģ
sulla testa in un gesto che attirņ l'attenzione di suo
padre, e sua
madre sorrise, sussurrando un molto carino che
serviva pił che
altro a smorzare la tensione che c'era nell'aria che ad altro.
Si
mise seduto di fronte ai suoi genitori, e in quel momento si
ricordņ
dei corteggiatori di Blanca, che prima ancora di vedere la bella
ereditiera dei Trueba, erano costretti a subirsi le domande di suo
padre e talvolta i suoi scatti di collera incontrollati.
«Nicoląs,
io e sua madre abbiamo deciso che-»
«Esteban, dģ a tuo figlio
che tu
hai deciso.»
«Clara, non contraddirmi mentre cerco di educare
mio figlio!»
«E tu non immischiarmi in faccende che non mi
riguardano!»
«Ti riguardano eccome, Clara! Ti ricordo che č
anche figlio tuo.»
«Esteban, avrņ io l'ultima parola su questa
diatriba, quindi č inutile che ti affanni tanto.»
«Non č
giusto che tu usi i poteri paranormali in certe situazioni.»
«Sono
miei e li uso nel modo in cui pił mi aggrada.»
Esteban non
aggiunse altro, dato che sapeva che era del tutto inutile cercare di
averla vinta con sua moglie, che probabilmente in quel momento sapeva
pure il nome della futura moglie di Nicoląs, la data nella
nozze, la
destinazione della loro luna di miele e addirittura il nome del
futuro erede. Era snervante per lui esserne all'oscuro, malgrado
avesse bisogno di vedere Nicoląs accettare la sua proposta
senza
troppe storie, senza ricominciare con i suoi deliri sulle religioni
dell'oriente, la sua ricerca del Nirvana e il fatto che sicuramente
una moglie gli avrebbe sottratto del tempo prezioso. Ma lui non ne
voleva sapere niente, suo figlio si sarebbe sposato, dato che lui era
Esteban Trueba e nessuno poteva contraddirlo.
Nicoląs
non seppe mai il motivo che lo spinse a fasciarsi in un abito blu,
coi piedi infilati in eleganti mocassini lucidi che lui trovava a dir
poco ridicoli, probabilmente nemmeno Clara lo sapeva, eppure sembrava
divertita dall'avvenimento inaspettato, infatti non faceva altro che
sorridere, dondolare la testa da una parte all'altra e far vibrare le
posate dei parenti della sposa, finché suo marito non la
portņ via,
magari per rimproverarla.
Accanto a lui c'era una ragazza bassa e
formosa, esageratamente formosa, se si teneva in considerazione il
debole che Nicoląs aveva sempre avuto per Amanda,
irrequieta,
incontrollabile e selvaggia. Si chiamava Viola, e a detta di suo
padre era una delle ereditiere pił facoltose in cerca di
marito, e
quindi Nicoląs doveva ritenersi fortunato, mentre suo
fratello
Jaime, a qualche metro da lui, abbandonava il suo cipiglio burbero e
il suo contegno per ridacchiare insieme a Blanca, pił bella
che mai.
Indossava un vestito di seta di un rosa pallido, tendente all'avorio,
e tulle bianco sulle spalle. Sua madre aveva l'aspetto di uno
spirito, nonostante il suo vestito fosse verde acqua e la
capigliatura gonfia e castana fosse libera sulle spalle. Esteban
Trueba era il pił elegante di tutti, anche pił
dei genitori della
sposa, e stava fumando il sigaro e parlando con alcuni imprenditori
della Capitale. Viola, cioč la sua attuale moglie,
sorrideva,
stringendo il bouquet tra le mani guantate di bianco, che facevano
sģ
che le sue braccia dessero l'idea di essere due salsicce.
Sua
madre Clara lesse nei suoi occhi la disperazione e pensņ di
mettersi
telepaticamente in contatto con lui, ma le riuscģ difficile,
dato
che tutti i loro strani ospiti, comprese le sorelle Mora che lo
avevano preso in grande simpatia, conoscevano la passione di
Nicoląs
per la chiaroveggenza e la magia, ma sapevano altrettanto chiaramente
che non era mai stato molto portato. Nicoląs aveva ereditato
i
caratteri dello zio Marcos, la sua indisciplina e il suo spirito
d'avventura, Clara era sicura che, se avesse avuto l'occasione di
conoscere Barrabąs, il cucciolo che arrivņ via
mare e crebbe fino a
superare le dimensioni di un vitello, lo avrebbe adorato con la
pił
totale devozione.
«Congratulazioni, figliolo, sapevo che non mi
avrebbe deluso», disse Esteban alle sue spalle.
A Nicoląs quelle
parole sembrarono piuttosto ipocrite e fuori luogo, dato che era
stato praticamente costretto a sposare Viola Carriedo e a tenerle la
mano dal momento in cui si era conclusa la cerimonia. Aveva le dita
tozze e morbide, Nicoląs pensņ che non poteva
essere pił diversa
da lui, che era vegetariano, che masticava cinquanta volte prima di
ingoiare, e che spesso non si faceva vergogna di camminare nel
giardino della Casa dell'Angolo o in quello alle Tre Marie coperto
solo da un perizoma.
«Non si aspetta che io abbia dei figli con
lei, vero?», chiese Nicoląs con una punta di
preoccupazione. Suo
padre era capace di tutto, perfino di sopportare il disgusto che
provava suo figlio nei confronti di una donna che non amava e che non
avrebbe mai voluto amare, che con le sue curve morbide e troppo
accentuate tradiva il suo ideale di compagna, che veniva invece
rispecchiato da Amanda. Amanda era magra e sottile, con i suoi
vestiti scuri a volte diventava invisibile, Nicoląs
probabilmente
era legato a lei per questo, perché mentre Amanda spariva
nell'ombra, lui si guadagnava la gloria con la sua
eccentricitą e la
sua esuberanza. Oggi lei stava seduta vicino a Blanca,
Nicoląs non
notņ le occhiate adoranti che Jaime le rivolgeva, che
attraversavano
sua sorella da parte a parte e si posavano sulle clavicole sporgenti,
o sul suo viso rilassato. Amanda indossava un abito scuro, e la gonna
lunga volteggiava con il vento primaverile, sul petto aveva un
amuleto indiano, rotondo e lucido e sembrava anche piuttosto
pesante.
Nicoląs avrebbe volentieri continuato a studiare tutti i
presenti seduti attorno alla tavola e alle pietanze sofisticate
arrivate direttamente dall'Europa, ma suo padre lo afferrņ
per il
bavero della camicia, mascherando la sua violenza in una finta
sistemata di cravatta, e lo guardņ dritto negli occhi.
«Tu l'hai
sposata e adesso mi darai un sacco di nipoti, sono stato
chiaro?»
«Trasparente», rispose Nicoląs,
deglutendo.
Il
matrimonio proseguģ come Esteban aveva desiderato, con le
domestiche
che portavano pietanze ricercate, i bicchieri pieni dei migliori vini
italiani, sua moglie Clara che limitava le sue attivitą di
chiaroveggente a qualche consiglio sulle corse dei cavalli, Blanca
parlava con qualche ragazza della sua etą (finalmente) e
perfino
Nicoląs e Jaime si erano contenuti con le loro stranezze o i
loro
ideali bolscevichi.
«Nicoląs, mi sono innamorata di te...»,
mormorņ Viola, stringendogli la mano e guardandolo con aria
adorante, con il viso che era almeno venti centimetri pił in
basso
del suo.
«Fantastico», le disse Nicoląs,
desiderando
ardentemente che quello fosse soltanto un sogno.
Jaime
stava camminando per il quartiere della Misericordia e tremava per il
freddo, dato che aveva regalato il suo cappotto nuovo a un mendicante
che gli aveva chiesto qualche moneta quando lui non ne aveva. Pensava
alla sua famiglia, alla gravidanza improvvisa di Blanca, che li aveva
colti tutti di sorpresa dopo il suo ritorno dalle Tre Marie, a sua
madre che girava per casa con quel sorriso sdentato che la rendeva
ancora pił inquietante, a suo padre che era rimasto solo
come un
cane, con il rimorso di aver cacciato prima la zia Férula e
poi di
aver costretto alla fuga sua moglie e sua figlia, e di aver
desiderato la morte di un altro figlio. Nicoląs aveva
abbandonato
Viola nella loro tenuta in Nord America ed era scomparso, lasciando
soltanto un biglietto in cui scriveva che voleva attraversare
l'Oceano su di un aereo mezzo distrutto che aveva trovato e
acquistato come se si fosse trattato di oro, che aveva la forma di un
uccellaccio e somigliava molto a quello usato dallo zio Marcos che
perņ lui non aveva mai conosciuto. Quando suo padre,
incredulo, si
era recato dai nuovi Trueba e aveva letto le parole di suo figlio
aveva quasi avuto un infarto e lo aveva maledetto a gran voce,
sicché
i dirimpettai e i vicini avevano saputo che Nicoląs Trueba
se ne era
scappato via in Europa e la notizia era arrivata fino alla capitale,
dove la gente maligna mormorava che il figlio del senatore si era
fatto un amante ed era fuggito con l'ereditą.
«Che sciocchezze»,
mormorņ Jaime, osservando la nuvola che usciva dalla sua
bocca a
causa del freddo.
Lui non ci credeva che suo fratello avesse
abbastanza fegato da rischiare la vita in un'impresa del genere,
nonostante qualche anno prima aveva dimostrato a tutti il contrario,
volendo attraversare la Cordigliera con un pallone gonfio di aria.
Eppure, Jaime adesso non ci credeva.
Se Nicoląs era scappato,
allora era probabile che si trovasse in oriente per apprendere
qualche nuova ed inutile disciplina di quelle che lui amava tanto, ma
dubitava che avesse sottratto qualcosa a sua moglie per partire,
visto il tipo di vita che aspirava a condurre e la
dimostrazione
erano i vestiti lerci, i pasti scarsi e l'ideale di umiltą e
di
purificazione spirituale.
Piuttosto credeva che Nicoląs suonasse
la chitarra all'angolo della strada, per guadagnarsi i soldi
necessari a pagare un aereo per partire.
Quando era quasi arrivato
all'ospedale e stava gią facendo mente locale sui vecchi
pazienti e
sulle malattie che aveva dovuto rimandare all'indomani per mancanza
di tempo, Jaime urtņ contro qualcosa che sembrava un sacco,
se si
escludeva il fatto che si stava lamentando con dei borbottii e dei
gemiti doloranti. Era abituato agli spiriti, ai fantasmi che
convivevano con sua madre, ma non aveva mai visto un sacco parlante,
per quanto riuscisse a convincersi che era normale per una saliera
andare a spasso per la tavola all'ora di cena.
Jaime si chinņ per
accertarsi che fosse veramente un sacco dotato del dono della parola,
ma poco prima di toccarlo si rese conto che non era stato il sacco a
emettere quei versi, bensģ il barbone che ci stava dentro.
Era mezzo
nudo, aveva un fisico sottile e snello, come se, nonostante la
magrezza dovuta alla fame, un tempo fosse stato uno sportivo, il
mento era coperto di barba corta e color rame, gli occhi erano vispi,
come se la miseria non avesse potuto intaccare la sua anima. E adesso
che ci faceva caso somigliava parecchio a suo...
«Fratello!»
Nicoląs
si alzņ di scatto, senza lasciarsi scalfire dal freddo di
metą
Novembre, e abbracciņ di slancio suo fratello Jaime. Per
giorni e
giorni aveva creduto che lui non sarebbe arrivato mai, che magari
aveva abbandonato i suoi studi di medicina e si era deciso di campare
di rendita grazie ai soldi che gli dava suo padre. Nicoląs
aveva
continuato ad aspettarlo vicino all'ospedale, convincendosi che Jaime
non avrebbe mai avuto il coraggio di abbandonare i suoi poveri e i
suoi ammalati, che lui si sentiva debitore verso una classe sociale
che non era la sua, debitore perché suo padre rappresentava
il polo
opposto dei suoi ideali.
«Jaime, ahah! Sapevo che prima o poi
saresti arrivato!»
Da quel giorno Nicoląs lo aspettņ sempre
avvolto nel suo sacco incantato, Jaime si spogliava per lui,
regalandogli i maglioni che Clara cuciva quando le tre sorelle Mora
non andavano a trovarla, o i vestiti che suo padre gli regalava prima
dei grandi eventi, sostenendo che, siccome era un Trueba, aveva il
dovere di fargli fare bella figura.
Fortunatamente era un po'
ingrassato, le sue costole sporgenti avevano cominciato a preoccupare
Jaime, ma Nicoląs si ostinava ancora a masticare cinquanta
volte e a
voler mangiare continuamente carote e a rifiutare la carne. Ogni
tanto chiedeva di Amanda e di Miguel, Jaime rispondeva che non sapeva
pił nulla di lei, ma che Miguel era diventato il migliore
amico di
Alba, la loro nipotina che era figlia di Pedro Terzo Garēia
ma che
portava il cognome di un conte francese che secondo lei era morto di
febbre nel deserto. Poi non aveva saputo pił nulla di Jean
de
Satigny, né si era chiesta come mai sua madre non avesse mai
pianto
la morte del marito defunto, ma piangesse ogni qualvolta sentiva alla
radio una vecchia canzone che parlava delle galline che si
ribellavano alle volpi.
«Credo sia arrivato il momento di
partire», aveva detto infine Nicoląs, dopo essersi
rasato la barba
e i capelli e aver restituito a Jaime i suoi vestiti, recuperando il
suo vecchio sacco e adibendolo a tunica lisa e sformata.
«Voglio
usare i soldi che mi hai dato per andarmene in India, e lģ
voglio
farmi Buddhista.»
Jaime aveva sgranato gli occhi, ma sapeva gią
che qualunque protesta sarebbe stata inutile, che se suo fratello
decideva di fare qualcosa la faceva e basta, senza pensarci due volte
e senza riflettere sulle conseguenze delle sue azioni, come quando si
era incatenato nudo davanti alle porte del Congresso e suo padre si
era messo a urlare fino a diventare paonazzo e non avere pił
fiato
per rimproverarlo. Del resto anche Clara, che aveva distolto
l'attenzione dal suo tavolino a tre gambe, si era messa in contatto
telepatico con suo figlio e aveva sorriso, perché nel futuro
che
Nicoląs aveva trovato lei riusciva a vedere la sua fortuna
di Dio,
di angelo e di essere umano.
Ho
letto la Casa degli Spiriti un po' di tempo fa e mi rendo conto che
questa FanFiction č parecchio anacronistica,
perché Nicoląs a
ventitré anni č gią stato cacciato di
casa da suo padre e Blanca e
Clara dovrebbero trovarsi alle Tre Marie e non alla capitale.
Tuttavia non ho voluto tener conto di queste cose, perché
avevo
semplicemente voglia di scrivere qualcosa su uno dei miei personaggi
preferiti, che č Nicoląs. =)
Spero che questa One Shot via sia
piaciuta. Baci! =)