PREZZEMOLO, SALVIA, ROSMARINO E
TIMO
Capitolo 1
Persepoli,
Persia,
Un bellissimo eunuco massaggiava sapientemente le spalle del re.
“Non posso crederci” pensò
Dario “E’ accaduto veramente.”. Si guardò attorno. Un
attimo fa ricordava di essere sbatacchiato in un angolo della tenda di Besso e
ora si trovava lì. Ori, arazzi, tappeti, pietre preziose, eunuchi,
concubine; tutto riversato al suo servizio. Il palazzo di Persepoli era ancora
in piedi ed era lì, in tutto il suo splendore, davanti a lui. E lui
sedeva ozioso e molleggiato sul suo alto trono, con la mitra regale, non aveva
guerre a cui pensare, nessun Alessandro ad occupare i suoi territori, ma tutti
i soldati macedoni più valorosi militavano ora nel suo poderoso
esercito; era un sogno, e pareva che fosse possibile allungare un dito per
scoppiare quella bolla di illusione e far tornare tutto alla cruda
realtà.
Scosse la testa.
«Leggiadra creatura» cominciò, gettando
l’occhio ad un vistoso orecchino di bronzo al lobo dell’orecchio
dell’eunuco «dimmi, qual è il tuo nome?»
«Bahram, mio signore Re di tutti i
Re.»
Dario allungò le labbra in un sorriso
soddisfatto: il suono di quelle parole era più armonico della soave
melodia con cui i musici lo stavano allietando. «E fammi un po’
vedere questo orecchino…» lo rimirò tra le sue dita e lo
sfilò dal buco dell’orecchio. «Ah!»
«Ti piace, mio signore Re di tutti i Re?
Me lo regalasti tu il giorno in cui arrivai alla tua corte.»
«Certo, mio leggiadro, me lo ricordo…
è veramente bellissimo.» era un gioiello di forma circolare di
bronzo cesellato, con incastonata al centro una pietra preziosa di colore rosa
opaco, forse un quarzo. «Continua, continua…» e porse
l’orecchino all’eunuco, il quale si affrettò a infilarselo
per poi continuare a massaggiargli le spalle.
Nel frattempo il re fece un cenno con la mano
ad uno dei corpulenti eunuchi accanto al suo trono e in un batter d’occhio gli fu servito un
sontuoso vassoio di ogni bendiddio di frutta: pesche, banane, noci di cocco, e
quant’altro.
“E Besso?” pensò,
addentando una pesca “Che fine avrà fatto Besso?”, poi
chiese ad un eunuco di soddisfargli la curiosità ma quello gli rispose
che non aveva mai sentito parlare di Besso.
“Quel Genio in fin dei conti ha fatto proprio
un buon lavoro… e il bello deve ancora arrivare!” non trattenne un
sorriso a metà tra il divertito e il malizioso.
Quando entrò nel suo talamo, il letto era già tutto
pronto, ornato con coperte e cuscini della seta più pregiata, nei
quattro angoli della stanza bruciavano incensi egiziani che profondevano un
aroma soffuso e accogliente e, sfumato con la luce fioca della lucerna,
vagamente erotico.
“Che meraviglia”. Dario inspirò profondamente e
chiuse gli occhi per qualche attimo per godere di quell’atmosfera
incantata. Quando li riaprì, come per magia, sul letto era comparso un
giovane uomo dal corpo snello e aitante, chiaro di carnagione, con lunghi e
ricciuti capelli biondi e sfavillanti occhi grigi, vestito solo di un esiguo
perizoma di seta. Si teneva semidisteso su un fianco, con la testa appoggiata
di peso alla mano destra, con una coscia lievemente sollevata, sfoggiando due
natiche sode e levigate. Sul viso dagli occhi bistrati era dipinto un sorriso
piuttosto tirato, un’espressione di acuto desiderio - o di fiero orgoglio
di sé.
“Questo…” Dario non riusciva
a capacitarsi di quello che aveva di fronte “Questo è il
più bello spettacolo al quale il Dio potesse farmi assistere”.
«Ben arrivato, mio signore Re di tutti i
Re.» sibilò il servo con voce suadente «Spero che la camera
sia di tuo gradimento.»
Dario non gli staccava gli occhi di dosso, e
intanto cominciava ad armeggiare senza successo con i pesanti vestiti che
portava.
Il servo accorto si alzò, e con una
camminata flessuosa e ancheggiante si portò direttamente davanti a lui.
«Il mio signore non deve mai trovarsi in imbarazzo, ci sono i servi per
queste cose…» pose le sue dita affusolate sul petto del suo re e
con movimenti decisi e sensuali rimosse ad uno ad uno i suoi vestiti, appoggiandoli
poi con grazia sulla grande sedia accanto al letto.
Dario si perse ad ammirarlo da dietro: le
forme del suo corpo erano pressoché perfette. «Dimmi, qual
è il tuo nome?» già lo sapeva, ma moriva dalla voglia di
sentirlo pronunciare dalle sue labbra.
Il servo si voltò, sorridendogli.
«Alessandro, mio signore. Sono della Macedonia.»
«Alessandro.»
pronunciò quel nome lentamente, molto lentamente, come se volesse
sorseggiarne l’aspro sapore. «Sei giunto da lontano…»
«Sua maestà mi ha selezionato tra
centinaia di ragazzi provenienti da tutte le parti del mondo.»
gettò in fuori il petto in un gesto di pura soddisfazione di sé.
«Ah… ah sì. Non lo
ricordavo, con tutti gli affari di cui mi sono occupato in questo
periodo…». Era rimasto veramente senza parole. In quel velo
d’illusione, in quella capricciosa corte, ognuno aveva ricordi di un
passato del tutto inesistente.
Alessandro notò lo sguardo perso del
suo re e gli prese entrambe le mani tra le proprie, conducendolo cautamente sul
grande letto a baldacchino.
Dario si sentì immediatamente stordito.
Non avrebbe mai immaginato, un giorno, che sarebbe andato a letto con il suo
peggior nemico. Guardò negli occhi quello che ora era il suo servo:
sembrava pensarla del tutto diversamente da lui; senza che se ne fosse accorto,
l’aveva già coricato sul letto e ora gli si stava adagiando sul
ventre. «Alessandro…»
Alessandro
sorrise, premendo le sue cosce contro i fianchi del re. «Questa notte
ogni tuo desiderio sarà un ordine.»
Seduto
sul suo addome, Alessandro era più pesante degli altri suoi esili
schiavi. Dario lo osservò ancora una volta, più attentamente. La
sua voce era piuttosto profonda, e il suo corpo era più virile, meno
femmineo di quello degli altri servi di quel palazzo; il suo perizoma era
notevolmente più gonfio. “Dannazione. Mi sono dimenticato di
chiedere al Genio di castrarlo.”
«Qualcosa
non va, mio signore?»
Il re
decise di non dare peso a certi particolari. Alessandro, il grande Alessandro,
colui che l’aveva sconfitto due volte sul campo di battaglia mettendolo
in fuga e umiliandolo davanti alla sua patria, era lì, davanti a lui,
seminudo, liscio e profumato, sottomesso in tutta la sua virilità,
pronto a soddisfare ogni suo desiderio. Afferrò i suoi fianchi con le
mani. Erano sottili, non rotondi come quelli degli eunuchi, ma sembravano forti
e ugualmente agili.
Quella
notte, per la prima volta avrebbe sperimentato i piaceri carnali con un altro
uomo come lui. Rabbrividì al solo pensiero.
Alessandro
non capiva cosa passasse nella testa del suo sovrano, ma sapeva perfettamente
quali fossero i suoi doveri. Con una grazia inaudita per un uomo come lui, si
chinò a cospargere di umida saliva il collo reclinato di Dario; lo
sentì fremere, e allora addentò la tenera carne cominciando a
muoversi su di lui.
Dario
non resistette e afferrò i suoi capelli morbidi e lucenti quando
sentì la sua lingua abbassarsi sempre di più, quando sentì
i denti aguzzi catturare il suo capezzolo sinistro. Gettò lo sguardo
all’orecchio di Alessandro quando questi si ravviò all’indietro
i capelli per facilitare la stimolazione dei capezzoli: un grosso orecchino
d’oro dava sfarzo di sé luccicando ad ogni movimento della testa
dello schiavo. «Un
momento!»
Alessandro sollevò la testa, confuso.
Dario allarmato allungò una mano e cercò
di sfilare il pesante orecchino dal buco, ma non vi riuscì. «Cosa
significa questo?»
Alessandro rise. «Questo? Me l’ha
venduto uno strano tizio allo scorso mercato. Diceva che fino a che non mi
fossi unito alla mia anima gemella - una persona con questo stesso orecchino -
non sarei riuscito a toglierlo.»
Dario rimase per un attimo esterrefatto, poi
rilassò i lineamenti in uno strano sorriso. «Ah sì?
Interessante…»
«Ti piace?»
L’orecchino era vistoso, di forma
lievemente allungata, d’oro puro finemente lavorato. «E’
splendido. E ti dona.». Abbandonò ogni renitenza sotto il tocco
del suo servo che nel frattempo si era di nuovo abbassato su di lui, e decise
di godersi ogni istante di quel sogno meraviglioso: afferrò i suoi fianchi
e lo costrinse sotto di sé, levandogli il perizoma.
Quella notte, i gemiti del grande Alessandro si sarebbero stagliati
alti, fino al cielo limpido e stellato di quella magica Persepoli.
Dario sbadigliò quando un inaspettato raggio di sole lo distolse
dal suo sonno tranquillo; tuttavia, non trovava il coraggio di aprire gli
occhi: e se si fosse rivelato tutto un sogno? E se si fosse ritrovato di nuovo
nella tenda di Besso? Tastò nell’aria accanto a sé, ma la
sua mano toccò una superficie calda e liscia. E il letto su cui era
disteso sembrava di gran lunga più morbido e grande della misera branda
su cui aveva passato le ultime notti.
Decise di aprire gli occhi. Accanto a lui,
giaceva immobile un bellissimo servo biondo. Memore delle follie della notte
appena trascorsa, Dario stirò le membra intirizzite e a passi
strascicati si diresse verso il terrazzo che regalava una splendida vista della
piazza di Persepoli, brulicante e festosa proprio come se la ricordava. Era
giorno di mercato. Represse l’irrefrenabile istinto di gridare al popolo
tutta la sua gioia; gettò invece un’occhiata al corpo nudo di
Alessandro e sorrise. Quella notte, gli aveva dedicato tutto di sé,
l’aveva amato come mai si sarebbe aspettato da un uomo, l’aveva
sorpreso e sollazzato con giochetti e astuzie degni della più esperta
delle meretrici, eppure gli sembrava estremamente spregiativo quel paragone per
quell’Alessandro che un tempo non troppo remoto era stato un re
più grande di lui, e al pensiero si morse la lingua. L’aveva soddisfatto,
gli era piaciuto; si meritava un dono degno della sua devozione.
«Bahram!» gridò,
mentre nella grande mensa si gustava la sua colazione; il giovinetto dai
capelli scuri accorse prontamente. «Voglio che tu oggi vada al mercato e
che compri il più bello schiavo in vendita. Non badare a spese.» e
gli affibbiò una saccoccia di cuoio colma di darii d’argento.
Bahram
prese tra le mani la sacca e la rimirò con occhi tremanti. La voce
tonante del re però lo riscosse.
«E
che non ti venga in mente di fuggire, con tutti quei soldi: posteggerò
le mie guardie alle mura della città. E lo schiavo dovrà essere
di grande bellezza, altrimenti…» con un dito fece cenno di
decapitazione.
Il
giovane eunuco deglutì. «Consideralo già fatto, mio
signore.»
«Bravo,
ragazzo mio, bravo.»
Bahram si aggirava placidamente tra i fastosi e colorati banchi del
mercato, combattuto tra venditori di pesce, di gioielli, di schiavi da poco
prezzo che lo assalivano di suppliche affinché comprasse la loro merce.
Ma Bahram era uno schiavo diligente e non si
faceva attrarre dai luccichii di tutti quegli orecchini, cercando invece tra i
volti e i corpi di tutti quei giovani ragazzi in vendita qualcosa che potesse
essere di gradimento per il suo re. Ma alcuni erano troppo piccoli, altri
troppo grandi, alcuni troppo alti, altri troppo bassi, ce n’erano di
troppo magri, di troppo grassi, nessuno che soddisfasse il suo gusto personale.
“Se tornerò a palazzo senza uno schiavo” pensò
preoccupato il giovane eunuco “il re mi taglierà la testa. Ma di
questi schiavi, nessuno è adatto per stare al fianco del mio
signore!”
«Ehi! Ehi tu!»
Una flebile voce alle sue spalle lo fece
sobbalzare: quando si voltò, davanti a lui figurava il ragazzo
più bello che avesse mai visto. «Chi sei?»
«Mi chiamo Bagoas. Sono un eunuco, lavoro
per quel venditore di gioielli laggiù, vedi?» con il dito
indicò un ricco banco di ogni sorta di monili e gioielli delle
più pregiate fatture.
Bahram annuì, ancora sorpreso.
«Il mio padrone mi tratta male, e ho
visto che tu gironzolavi tra i banchi di schiavi con quella bella saccoccia in
mano. Il tuo padrone dev’essere molto ricco, se l’occhio non
m’inganna, e tu mi sembri ben nutrito. Io non sarei in vendita, ma credo
che quella borsa convincerà quell’avido a lasciarmi andare.»
Bahram si lasciò sfuggire un sorriso.
Quello era un segno divino, il più bello schiavo che avesse mai visto
gli si era offerto di sua spontanea volontà.
Senza neanche accorgersene, si fece condurre dal banco del venditore di
gioielli.
Alessandro stava per immergersi in un bagno odoroso di ciclamino nella
grande vasca di marmo quando improvvisamente sentì la porta del suo
talamo aprirsi. Si mise in piedi immediatamente e si avvolse un telo di lino
attorno ai fianchi, tendendo l’orecchio. Non si sentiva alcun rumore,
sicuramente non si trattava di qualcuno interessato a rubare qualcosa. E
infatti, quando silenziosamente fece capolino nella stanza, trovò il suo
re vestito di tutto punto che mostrava orgogliosamente un bellissimo eunuco
profumato del fiore della giovinezza, dai lunghi capelli scuri e la pelle
ambrata.
Alessandro aprì la bocca, incapace di
parlare.
«Sono molto contento che tu lo gradisca,
mio servo prediletto.» cominciò Dario, dando una pacca sulla
spalla all’eunuco. «Io stesso l’ho scelto tra centinaia di schiavi
di grande bellezza stamane al mercato. Spero solo che ti sia fedele e che
soddisfi ogni tuo desiderio, nel caso di qualche problema rivolgiti pure a me e
provvederò io a sistemare le cose.» e rivolse un’occhiata
severa a Bagoas.
«Io non so come ringraziarti, magnanimo
re.»
Dario sorrise. «Non ce n’è
bisogno, Alessandro. La tua presenza è già un ringraziamento per
me.» ma realizzò improvvisamente che dinnanzi a lui non stava il
grande re macedone, bensì un cortigiano qualunque, e scosse la testa
assumendo un tono perentorio, con una vena di sdegno. Non poteva di certo
apparire così indulgente davanti a quello che era stato il suo peggior
nemico, e tanto meno ad uno schiavo appena arrivato a palazzo. «Comunque,
penserai a come sdebitarti stanotte nel mio letto.» e si affrettò
ad uscire chiudendo la porta alle sue spalle.
Alessandro osservò per qualche secondo la porta chiusa, incredulo
del repentino cambiamento del suo re, poi si rivolse all’eunuco:
«Benvenuto a palazzo, qual è il tuo nome?»
Bagoas abbassò gli occhi. Era un
po’ deluso di dover servire un altro schiavo e non il re, però il
giovane uomo davanti a lui era attraente e sembrava amichevole, anche se
fisicamente era molto più virile di come si sarebbe aspettato uno
schiavo personale del re: probabilmente non era castrato. E non era neppure
persiano. «Bagoas, signore.»
«Puoi chiamarmi Alessandro. Non sono un
signore.»
«Va bene, Al… sk… Iskander.»
Alessandro sorrise. L’accento del
giovane eunuco lo eccitava. «Chiamami Iskander,
allora.»
«Credo che mi risulterà
più facile.»
«Stavo per farmi un bagno. Ti dispiace
se ti lascio solo?» in realtà il tono della voce tradiva
l’invito.
«Sono uno schiavo, Iskander, è mio compito renderti ogni favore. Se vuoi posso
lavarti io.»
Alessandro accennò un sorriso.
«Certo. Scusami, non sono abituato a dare ordini. Ma non credo ce ne
potrà essere bisogno.»
Bagoas sorrise e arrossì. Non era da
lui arrossire, era abituato a ogni tipo di richiesta, ma quell’uomo a
prima vista aveva scatenato in lui una strana emozione, un senso di forte
attrazione: era l’uomo più giovane che avesse mai servito, e in un
certo senso il più simile a lui: sembrava un ragazzo, imberbe e dai
lineamenti delicati, ed era decisamente bello.
Quando entrarono nella sala da bagno profumata di ciclamino, Alessandro
si denudò e si immerse lentamente nella vasca; Bagoas osservò
ogni suo movimento e non esitò a cominciare a passargli le mani bagnate
di acqua odorosa sulla schiena: dagli sguardi che ogni tanto il suo padrone gli
lanciava, sentiva che non era troppo presto per constatare che tra loro si
sarebbe creata una grande intesa.
Bahram era soddisfatto del suo lavoro. Il servo era piaciuto a Dario e
per quella somma il venditore di gioielli gli aveva regalato anche un
bellissimo orecchino d’oro. Lo stava rimirando allo specchio della sua
stanza quando improvvisamente la porta si aprì dietro di lui ed irruppe
la voce tonante del re: «Volevo dare un’occhiata a
quell’orecchino…»