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Autore: controcorrente    03/10/2010    2 recensioni
Agrippina minore è sull'isola di Ponza in esilio dopo aver tentato di uccidere Caligola. Sulla spiaggia incontra la sorella. Il tutto è visto sotto dagli occhi attenti della schiava Iole. E'la mia prima storia originale psero che vi piaccia
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
- Questa storia fa parte della serie 'Ancient Women'
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Salve a tutti! Mi chiamo cicina e sto da qualche tempo scrivendo delle storie su questo sito di efp. Ho scritto alcune fic, cercando di sperimentare i vari generi, per vedere le varie possibilità espressive. Vi confesso che mi sto divertendo davvero molto a raccontare queste storie: ogni racconto è quasi una tua creazione, di cui ti prendi tutti i rischi e le responsabilità. Il brano che state per leggere è un racconto breve su Agrippina Minore, madre di Nerone.
Ho deciso di scrivere qualcosa su di lei perché mi piace molto la storia e quindi ho deciso di parlare di questo personaggio. Spero che sia abbastanza fedele alla figura storica, in ogni caso fatemi sapere,visto che non ho sperimentato molto il genere.

 

 

 

 

 

PONZA

 

Come accadeva da molto tempo ormai, da quando era bandita, Agrippina trascorreva i suoi giorni di esule passeggiando lungo le piccole spiagge dell’isola dove era stata mandata in esilio. Insieme a lei se ne stava la sua ancella prediletta, una schiava di origine greca di nome Iole. Molti erano i motivi per cui Agrippina l’aveva scelta personalmente, acquistandola al mercato degli schiavi.

Iole sapeva leggere e scrivere, una facoltà più unica che rara per una donna, anche se occorreva aggiungere che a causa del suo sesso, questa qualità perdeva buona parte del valore economico che poteva essere riconosciuto invece ad un uomo.

Conosceva alla perfezione il modo più appropriato per acconciare una veste e i capelli. Su questi particolari, la matrona era particolarmente esigente, al punto da  non esitare a punire quella schiava con il ferro arroventato per arricciare i capelli, se quella non svolgeva bene il suo lavoro. Non di rado infatti Iole portava sulla pelle i segni delle ustioni. La serva non poteva comunque lamentarsi, dal momento che la sua condizione poteva essere certamente peggiore.

In realtà Iole era consapevole di non possedere qualità degne di nota e che poteva essere sostituita in qualsiasi momento dalla sua padrona con schiave più adatte. Spesso e volentieri, la stessa Agrippina le faceva notare la sua inferiorità, minacciandola in qualsiasi momento di venderla.

Questi episodi accadevano ormai da molto tempo, da quando era stata acquistata all’età di dieci anni al mercato di Delo, eppure mai una volta Agrippina aveva messo in pratica questi propositi. Inizialmente la schiava aveva pensato scioccamente che quello strano attaccamento fosse dovuto alle sue capacità. Questa idea venne ben presto accantonata, dal momento che era solo uno strumento nelle mani del proprio padrone.

Non era un mistero che la condizione di uno schiavo fosse particolarmente dura.

In qualche modo però poteva dire di essere stata fortunata, perché stava servendo un membro della Casa di Augusto, una donna che vantava ascendenze divine e che portava tutti i segni per poter regnare.

Agrippina era una donna dal forte temperamento, ereditato sicuramente dalla madre, di cui portava il nome.

La sua vita era stata molto difficile, dal momento che aveva visto la sua famiglia sterminata e dispersa ai quattro venti, in nome delle ambizioni di alcuni membri del suo stesso casato. In qualche modo Iole non faticava ad immaginare, anche se con fatica, quali fossero i sentimenti che animavano la sua padrona, cresciuta fin dalla nascita nella convinzione di poter diventare un giorno augusta e improvvisamente privata di queste possibilità, per volere di chi era dotato di maggior ambizione e fortuna. In fondo, pur essendo figlia di un pedagogo e quindi incapace di vivere simili esperienze, era comunque stata privata della sua famiglia dal giorno in cui tutti i suoi membri erano stati venduti come schiavi a causa di eventi più grandi di loro.

Sapeva cosa fosse la solitudine ma non avrebbe mai detto nulla in proposito alla padrona: non era infatti un comportamento appropriato ad una serva.

Iole si limitava a seguire in silenzio la sua padrona, comportandosi in modo discreto e riservato, obbedendo ai suoi ordini e rispondendo solo quando era interpellata. Questo atteggiamento si era rivelato alla lunga estremamente vantaggioso, soprattutto tenendo conto che la padrona che serviva, possedeva un carattere molto volubile: a volte era persa nella malinconia dei ricordi, a volte era concentrata nel dirigere i lavori della casa e nel tenersi informata, per quanto possibile, su ciò che accadeva a Roma, a volte era carica di astio verso la suo passato matrimonio con il violento Gneo Domizio Enobarbo, che continuava a detestare anche adesso che era ormai morto. Il pensiero di aver dovuto assolvere ai suoi doveri di donna, attraverso l’unione con quell’uomo di dubbia moralità e schiavo dei propri piaceri, la irritava pure adesso.

La schiava aveva adeguato il suo modo di essere ai gusti di Agrippina, senza partecipare davvero ai suoi umori. Aveva in qualche modo creato una barriera mentale nei confronti del mondo che la circondava e che era costretta in qualche modo ad accettare.

Le onde intanto battevano sulla spiaggetta dell’isola, con un rumore lento e cadenzato.

Agrippina si avvicinò alla battiglia, evitando accuratamente di bagnare i bordi della veste. Una volta ferma, osservò immobile l’orizzonte, avvolto dalla foschia mattutina. Anche Iole si unì alla padrona nella contemplazione del paesaggio e in quell’occasione non riuscì a trattenere lo sgomento: erano dannatamente lontani dalla terraferma, soprattutto da Roma, e a volte dubitava lei stessa di riuscire a tornare un giorno in quella grande città, carica di ricchezze e miserie.

A dire il vero, non aveva affetti nella capitale e non ne sentiva affatto la mancanza: in lei viveva un penoso e costante senso di sradicamento.

Senza pensare guardò il suo riflesso nella superfice dell’acqua salata, permettendo così alla malinconia e alla tristezza di fare la loro comparsa. Aveva ormai vent’anni e possedeva un fisico smilzo ma ben proporzionato. I capelli, erano stati acconciati, per volontà di Agrippina, in una coda bassa che metteva in risalto il suo viso ovale e leggermente abbronzato.
In realtà, si disse, l’unica cosa gradevole del suo viso erano gli occhi di ossidiana. Il resto infatti era orribilmente sfigurato. Poco prima di essere acquistata dalla nobile Agrippina infatti, Iole aveva resistito ai soprusi del suo lenone, un uomo di nome Narcisodoro, che in preda all’ira le aveva rovesciato sul volto un vaso colmo di acqua bollente. Iole conservava ancora quelle cicatrici che non erano scomparse del tutto dal suo viso. Questo incidente l’aveva resa in qualche modo sgradevole agli occhi di  molti uomini, ma alla serva questo aspetto non importava molto, perché non desiderava dei figli. Che senso aveva generare una vita quando la legge imponeva che i figli degli schiavi fossero proprietà del padrone e non di chi aveva contribuito alla loro nascita?

Se mai qualcuno avesse deciso di sceglierla come compagna, ciò sarebbe accaduto solo una volta ottenuta la libertà.

Mentre era immersa nell’osservazione del suo volto, Iole vide giungere verso di loro una seconda coppia di persone. Erano una donna anziana ed una giovane matrona, che dimostrava gli stessi anni, più o meno, della sua padrona.

Gli occhi scuri di Agrippina si illuminarono.

“Livilla!”esclamò correndole incontro, mentre l’altra faceva lo stesso.

“Agrippina, quanto mi sei mancata” fece abbracciandola con affetto.

“Anche tu. Temevo che non ti avrei più rivisto.” Rispose la padrona, seppure con meno trasporto.

Iole però non si lasciò sfuggire quella scintilla di felicità che aveva attraversato per un momento lo sguardo della sua padrona.

“E’una vera fortuna che nostro fratello, ci abbia concesso l’esilio sulla stessa isola. Almeno non siamo sole.” Fece Agrippina con sollievo: fino all’ultimo aveva temuto di essere nuovamente lasciata sola al suo destino, senza la compagnia di nessun famigliare, in un tragico ripetersi della storia.

“Cesare invece ci ha permesso di vivere non lontano l’una dall’altra e di questo non posso che essere grata agli dei.” Disse Livilla, felice di questo incontro.

“Non è un bel posto Ponza. Siamo lontani da tutto e da tutti, sorella, senza l’appoggio di nessuno.” Ribatté Agrippina, fissandola seria.

Livilla spostò con noncuranza un ciuffo di capelli, sfuggito alla pettinatura sobria ed elegante che era nascosta sotto al velo che portava. “Agrippina, noi non abbiamo mai avuto nessuno su cui contare. Dimmi: quanti sono i mambri della nostra famiglia che sono morti nel proprio letto senza che vi fosse odore di congiura o avvelenamento?”domandò con leggero sarcasmo.

“Hai ragione” convenne l’altra spostando nuovamente la sua attenzione sul mare “ma non puoi negare che occorrono ottimi appoggi, soprattutto per chi possiede un nome pesante come il nostro.”

“Stai parlando di nuove nozze, Agrippina?” chiese Livilla sorniona.

Entrambe infatti erano vedove: i loro rispettivi consorti non c’erano più, per cause naturali o violente. Naturalmente, neppure Livilla aveva amato suo marito ed era stata costretta ad accettarlo per motivi dinastici. A differenza di Agrippina, però non sembrava provare lo stesso risentimento nei confronti di chi l’aveva bandita; era vero comunque che non amava molto vivere in un luogo così lontano dai piaceri mondani e dai divertimenti a cui si era con il tempo abituata.

“Sai bene, Livilla, che il matrimonio è lo sbocco naturale per noi donne. E’altrettanto vero però che la decisione non spetta a noi.”rispose sorridendo l’altra.

A quelle parole la sorella rise, tentando senza risultato di controllare quel gesto.

“E allora come pensi di fare? Nessuno sposerà mai una persona caduta in disgrazia, per quanti nobili ascendenti possa avere.” Replicò ironica.

Agrippina guardò per un momento Livilla.

“Pensala come vuoi. Rifletti su un punto, però. La nostra congiura è fallita e tutti noi, in particolare tuo marito, abbiamo pagato per il mancato risultato. Caligola è ancora Cesare ma ora è solo in mezzo ai suoi nemici. Credo che il giorno della fine del suo dominio non sia molto lontano e noi allora ritorneremo a Roma, come degne discendenti di Enea.”rispose seria.

Livilla fissò con attenzione la sua interlocutrice.

“Non vedi l’ora di tornare da tuo figlio, vero?” disse sorridendo la matrona, spostando nuovamente un ciuffo ribelle dalla fronte. In qualche modo non poteva fare a meno di invidiarla perché era riuscita ad avere una famiglia, a differenza sua. Nerone era un bel bambino, dal carattere mite e sensibile. Forse era stato l’unico lato positivo della sua vita matrimoniale.

Agrippina annuì senza dire nulla.

Chiacchierarono poi del più e del meno, senza tornare su argomenti seri e dolorosi come la politica e le trame della corte.

Iole le osservava in silenzio, come una semplice comparsa.

Guardava le due sorelle unite nella sventura e separate da caratteri e determinazioni diverse.

Spesso si chiedeva come potessero essere sorelle.

Erano entrambe molto belle, con un viso dai lineamenti dolci ed espressivi che sembrava non celare nulla a chi le osservava. I capelli erano delle lunghe chiome d’ebano, dall’aspetto lucido e setoso. Il loro portamento era poi incredibilmente aggraziato, capace di calamitare, senza sforzo apparente, l’attenzione di chi le guardava.

Eppure, Iole, da osservatrice allenata quale era, aveva compreso da tempo che vi era una differenza fra quelle due donne. Livilla era la tipica donna romana, seria e composta all’apparenza, dedita ai piaceri e alla cultura nel privato.

Agrippina al contrario era molto più sfuggente. Pur non essendo estranea alle correnti del suo tempo, non perdeva mai di vista i sottili mutamenti dell’ambiente in cui viveva, fosse un’isola sperduta o una ricca corte, consapevole che ogni sua azione doveva essere calcolata in base alle vicende del mondo che la circondava. Questa attenzione doveva essere particolarmente forte verso coloro che la circondavano e che condividevano con lei lo stesso sangue. In nome di questa lucida consapevolezza, aveva lasciato il suo unico figlio alle cure di Domizia, la cognata.

Iole ricordava bene le proteste della sua padrona, in merito alla decisione dell’imperatore di lasciare il figlio, e comprendeva le ragioni per cui la donna si era preoccupata in quel modo.

Come madre, Agrippina aveva riversato tutte le sue aspettative di rivalsa nei confronti della sorte, nel figlio Nerone. Per raggiungere tale obbiettivo, avrebbe voluto seguire la sua educazione passo passo, nella speranza che un giorno potesse ricoprire, grazie ai diritti dinastici che passavano per il suo sangue, la carica di Cesare. Sapere che la cura di Nerone era in mano ad una donna corrotta e schiava dei piaceri come Domizia, non doveva essere una preoccupazione leggera per la sua padrona che, malgrado ciò, aveva dovuto chinare la testa.

Iole non aveva condiviso quella decisione ma, come sempre, si era limitata al suo ruolo di comparsa: Agrippina infatti non aveva bisogno di conforto e di consolazione.Non avrebbe mai tollerato di essere compatita, anche in quel momento che era così in disgrazia.

Le due sorelle chiacchierarono per un po’ di tempo, poi Livilla decise di congedarsi per andare a far visita ad una matrona dell’isola.

Agrippina la vide allontanarsi, poi tornò nuovamente alla contemplazione del mare.

“Iole” disse.

“ Sì, padrona.” Rispose la schiava.

“Mia sorella è troppo bella e sciocca per poter sostenere il nome che porta. Spero che Roma non pretenda il suo sangue come tributo per la sua imprudenza. Per quel che mi riguarda, non rimarremo a lungo in questa terra ostile e quando faremo ritorno nel luogo che ci spetta di diritto, i nostri nemici si pentiranno di averci gettato nel fango.” Disse con voce gelida e sguardo duro.

Iole la osservava impassibile, intimorita e allo stesso tempo affascinata dalla determinazione della romana.

Il mare intanto rimbombava cupo in lontananza, testimone di quell’incontro insperato ed impossibile in altre circostanze.

 

Allora, questa storia racconta di un possibile incontro tra Agrippina e Livilla durante il loro esilio a Ponza. Le due sorelle erano state esiliate sull’isola per aver ordito una congiura contro Caligola, loro fratello. Il marito di Livilla fu condannato a morte, mentre Gneo Domizio Enobarbo era ormai morot di malaria da alcuni anni. Ho cercato di informarmi come meglio ho potuto e spero che il risultato sia buono.
Quanto a Iole, è un personaggio che ho inventato. Spero che vi sia piaciuto.

Arrivederci

 

Cicina

 

   
 
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