HYPERVERSUM
IV
IL DESTINO DEL FALCO
Hyperversum, data non disponibile
Quel grido
terribile sembrava non
dovesse più finire e tormentava senza sosta Jacques. Proprio
adesso si era
fatto ancora più orribile e quasi lui non riconosceva
più il volto di sua
moglie tanto era trasfigurato dal dolore.
Poi tutto si
trasformò in silenzio.
Fruscii, molti respiri ansiosi, un silenzioso affaccendarsi di mani
esperte.
Adesso poteva
riconoscere ancora quel
volto, sorridente e calmo, finalmente sereno: Isabelle teneva tra le
mani una
piccola creatura che prima non c’era.
“E’
una femmina, Jacques! La
chiameremo Jeanne“ e come in risposta al suo nome appena
nominato dalla madre,
la piccola creatura emise un grido del tutto diverso da quelli uditi
finora
nella stanza, era la voce imperiosa e temeraria, indifesa e spaventata
di colei
che ancora non sapeva nulla né del mondo né del
suo destino, ma che avrebbe
scritto alcune delle pagine più importanti della storia di
Francia.
Montmayeur,
Francia. Nell'Anno del Signore 1217
E' la gioia
inattesa, la più grande
felicità di un uomo.
Come da
innamorati, tanto più si
giudica se stessi indegni e inadeguati dinanzi all'altro, quanto
più con
incredula felicità si avverte che quegli stessi sentimenti
sono ricambiati,
così Ian assaporava il perdono del conte dopo non averlo
più creduto possibile.
Le spesse mura
di pietra di Chatel
Argent ingombravano tutta la vista dei due cavalieri ora che si erano
avvicinati sotto al castello. Ai loro lati, l'imponente prima cinta
muraria
proteggeva gli abitanti del borgo insediati all'interno nella piccola
corte,
mentre in altezza gli sguardi giungevano a stento fin dove le mura
terminavano
con le merlature dove sostavano le sentinelle di guardia.
Più
in alto di ogni cosa, svettava la
sommità del torrione centrale, dove dimoravano le due
persone più importanti
della sua vita: la
moglie Isabeau e il
piccolo Marc. Tempo addietro, prima che il conte Guillaume de Ponthieu
lo
ripudiasse, su quelle stesse torri sbandieravano i vessilli coi colori
bianco e
azzurro del Falco d'Argento, ma ora quei colori erano scomparsi, del
suo
blasone non vi era più traccia. Lo stemma araldico, il suo
titolo nobiliare, la
sua storia, il suo stesso nome, tutto era stato cancellato dalla feroce
rabbia
di Ponthieu nello stesso momento in cui aveva compreso l’inganno di Ian.
Adesso,
accompagnato proprio dal
conte, mentre imboccava il ponte levatoio già abbassato, Ian
muoveva gli ultimi
passi verso quella soglia che lo separava ancora dall'essere in quel
mondo
semplicemente nessuno oppure il conte cadetto Jean Marc de Ponthieu.
Vestito di
stracci, smagrito ma
temprato dal duro lavoro e dalla vita di severa penitenza e contrizione
cui si
era sottoposto negli ultimi mesi,
era stato
comunque riconosciuto dalle guardie di Chatel Argent.
Riconobbe con
piacere tra chi gli
veniva incontro il barone Thibault de Chailly, leale compagno di tante
battaglie: lo vide affrettare il passo fino al barbacane e poi fermarsi
esitante, cercando nel conte un cenno rassicurante di approvazione.
Come in risposta
ai dubbi di Monsieur Thibault, il
Conte Ponthieu
pose una mano sulla spalla di Ian ed esortò tutti i presenti
a gran voce: “Cavalieri,
soldati, abitanti di Chatel Argent, salutate il vostro Signore!
Salutate il
Falco d'Argento, il conte cadetto Jean Marc de Ponthieu è
tornato!”
Tutti coloro nel
frattempo accorsi
all'interno della prima cinta muraria, non aspettavano altro e
scoppiarono
quasi all’unisono in un grido di gioia autentica, inneggiando
al Falco
d'Argento una volta, due volte e altre ancora, come
un’interminabile eco che
non perde mai di forza.
Ian avanzava
lentamente mentre al suo
passaggio la gente alzava le spade, sollevava gli archi, le balestre,
le lance
e persino chi non aveva armi, qualunque fosse la sua arte,
levò in alto gli
attrezzi da lavoro che portava in mano quel giorno, per salutare il
Falco
d’Argento.
Col cuore sempre
più in gola, non
osando ancora pensare a quello che inevitabilmente sarebbe successo da
lì a
qualche istante, Ian varcò l’ultimo cancello della
seconda cinta muraria,
avvicinandosi con Ponthieu al torrione.
Sullo sfondo,
stagliandosi contro le
grigie e livide pietre del castello, una figura delicata sembrava
catturare
tutti i colori all’orizzonte.
***
Isabeau,
inconsapevole di quanto stava
accadendo, era appena accorsa ai piedi della scala che congiungeva
l'ingresso
del torrione al cortile, rincorrendo il figlio sfuggito alle balie.
Lunghi riccioli
d’oro le ricadevano
sulle spalle e sul petto, in tante volute che traevano riflessi
luccicanti alla
luce del sole.
Era ora immobile
davanti a Ian.
Emozioni
incontrollabili, singhiozzi
e lacrime, che non aveva in nessun modo preveduto solo fino a pochi
istanti
prima, traboccarono improvvisamente in lei con una forza tale, agitando
e
percuotendo tutto il suo corpo, che per lungo tempo le impedirono di
parlare o
di muoversi.
Ma fu
un’altra voce, acuta e gioiosa,
a scuotere Ian: suo figlio Marc, nel tentativo di sfuggire ai
rimproveri della
madre, gli correva inavvertitamente incontro e stava per inciampare sui
suoi
stessi piedi, quando Ian lo prese al volo, portandoselo al petto.
Isabeau non
riuscì più a mantenere il
nobile contegno di castellana, cercò appena di asciugarsi le
lacrime con la
lunga manica dell’abito e corse anche lei verso il suo sposo,
unendosi
all’abbraccio di Ian e del piccolo, senza più
cercare di tener a freno i propri
singhiozzi.
Non ci fu
bisogno di parole: così
sicuri di pensare insieme e allo stesso tempo le stesse cose, che
parlare
sembrava loro inutile.
E quel mutismo
delizioso, rotto solo
dai singhiozzi di Isabeau e del piccolo, che vista la madre era
scoppiato a
piangere anche lui, durò – così
sembrò a Ian – un tempo infinito e non avrebbe
voluto
spezzarlo mai più, desiderava semplicemente restare sospeso
in quell’abbraccio
per sempre, tanto era meravigliosa la sensazione di sentire ancora il
calore di
quei corpi avvinghiati contro il suo.
Dopo aver
osservato la scena in
disparte per qualche tempo, il conte di Ponthieu si avviò
infine verso
l’ingresso del torrione dove si trovavano Ian e Isabeau.
Allargò le braccia
intorno alla famiglia appena riunita e li accompagnò,
incamminandosi lui per
prima, verso la scalinata che conduceva alle camere nobiliari.
Il Falco
d’Argento era tornato.
***
“Lasciatemi
almeno chiedere perdono
mio Signore, pietà!“ Isabeau aveva ritrovato
finalmente la forza per ricacciare
indietro le lacrime e cercava le parole per esprimere al suo precedente
tutore la
smisurata gratitudine per averle restituito Ian.
“Vi
prego di perdonarmi! Abbiate pietà di me,
vi ho portato un così ingiusto rancore in tutti questi
mesi!”
“E io
infine ho compreso che sono
stato ingiusto con voi due. Non dovevo negarvi la
possibilità di spiegare”
sospirò cupo Ponthieu.
“Ma
la rabbia... quell’ira folle che tempo fa
provai per il tradimento del mio vero fratello, aveva preso di nuovo il
sopravvento su tutto. Ho temuto, creduto un secondo
tradimento…” ammise
amaramente, “e non potevo ammetterlo né
sopportarlo”.
“E io
sono pronto ad assumermi le mie
colpe, Guillaume!”, lo interruppe Ian. “Sono stato
io a tradire il vincolo più
sacro che esiste tra due fratelli d'armi: la fiducia. Non dimentico che
se non
può essere il sangue, la stima e l'affetto che ho per te, a
unirci come veri fratelli,
sei stato tu a conferirmi l'investitura di
cavaliere…”
Ian sapeva che
con quel gesto, il
conte si era legato a lui per mezzo di un vincolo sacro e
indissolubile.
“E
come ti ho
ricambiato io? Con l’inganno. Sebbene ogni mia azione
è stata dettata solo dal
desiderio di proteggere i miei amici e Isabeau, ti ho sempre tenuto
nascosto
tutto! Ho dovuto!”
Ian lo
fissò con occhi
disperati, la stessa disperazione repressa a lungo, per
l’impossibilità di
essere completamente sincero come avrebbe voluto.
“Ma cerca di capirmi Guillaume, come potevo
spiegarti? Come avresti potuto credermi?”
“Hai
comunque sbagliato e so che sei
troppo astuto per commettere due volte lo stesso errore. Eppure, non
meritavi
di vivere per sempre separato da tua moglie e i tuoi figli, senza
nemmeno poter
dimostrare la tua innocenza, non dopo tutto quello che hai fatto per
me. Ma ho
avuto bisogno di tempo… sì, di molto tempo, per
arrivare a perdonare e a
comprendere cosa avrei fatto con te.”
Si rivolse
quindi a
Isabeau: “E non crediate che non abbia capito anche i vostri
sentimenti di
allora, Madame, non vi biasimerò per
questo“, Ponthieu si fece pallido
per lo strazio di dover ricordare l'immagine della sua pupilla col
coltello in
mano rivolto contro di lui.
“Avete
avuto il coraggio di alzare un’arma su
di me. Pure, se affondavate la lama, non sareste riuscita a ferirmi
maggiormente. Suppongo di dovermi chiedere con più cautela,
la prossima volta, quale
parte prenderà una donna innamorata”.
Un silenzio
imbarazzato aleggiò per
alcuni istanti finché lo stesso conte, che evidentemente vi
aveva pensato a
lungo in precedenza, aggiunse con parole studiate:
“Tuttavia,
mon frère, pongo una
condizione per poter riporre in te la stessa
fiducia di prima”, la sua voce in quello stesso istante
abbandonò ogni emozione
per ridiventare fredda e decisa.
“Voglio
sapere in quale strano mondo vivete o
avete vissuto tu e Monsieur Daniel, voglio essere
sicuro che tua moglie,
la vostra discendenza, finanche il nome del mio casato non abbia mai a
dolersi
della decisione di avervi accolto nella mia famiglia!” Attese
un istante e
quindi pronunciò le parole terribili:
“Mi
porterai con te, così è deciso.
Nel tuo Paese.”
Isabeau
sgranò gli occhi e si portò
la mano alla bocca, sconcertata, mentre Ian cercò disperato
le parole che
potevano dissuadere il conte da quel proposito, la cui
enormità non gli
permetteva nemmeno di pensare quale, tra le mille ragioni che gli
affioravano
alla mente, avrebbe più delle altre convinto Ponthieu a
desistere.
“Non
ti opporrai, non oserai! Sai
bene che me lo devi,
prima ancora che te lo ordini! Io devo
sapere…”, Ian ancora non osava parlare.
“Più
di questo, devo sapere che non
vi sono più segreti tra noi per quanto terribili o
inconcepibili“ e questa
volta socchiuse leggermente gli occhi facendo balenare una collera
antica e
appena trattenuta, “o forse non vuoi accogliere il desiderio
legittimo di fare
chiarezza del tuo signore e fratello maggiore?“
Ian
cercò disperatamente di obiettare
che come aveva già sostenuto molti mesi prima, proprio il
giorno in cui era
stato ripudiato, non era possibile per uno straniero
approdare nel suo mondo, che non funzionava così, che non
era così semplice,
che avrebbe acconsentito a qualsiasi altra prova, ma a quella non
poteva. Non
era in suo potere. Ma prima che altre parole gli uscissero di bocca,
Ponthieu
lo incalzò di nuovo in un crescendo inesorabile e tagliente.
“Avevo
dunque ragione di credere che ti ostini
a nascondermi qualcosa! Non arrischiarti oltre ad abusare dalla mia
generosità
e della riconoscenza che serbo per te!” La collera si era
impadronito ancora di
lui e gli faceva stringere così violentemente la presa
sull’elsa della spada da
sbiancare le nocche.
“Trova
tu il modo, non mi interessa
come, né ho mai detto che doveva essere semplice. Tu,
proprio tu se ben
ricordo, non ti sei fatto scrupolo di irrompere in questo Paese,
sconvolgendo
le nostre vite e mettendole in pericolo col tuo segreto! Che si tratti
di
stregonerie o di miracoli come hai l'ardire di sostenere, ne
risponderai un
giorno dinanzi a Dio, ma ti prego di considerare che io”,
aggiunse spietato, “il
Conte Guillaume de Ponthieu, feudatario maggiore di Francia, non
aspetterò quel
giorno per conoscere tutta la verità su di te!”
Ian messo alle
strette, dovette temporeggiare
prima che la situazione gli sfuggisse di mano, acconsentire se non con
le
parole almeno con lo sguardo, ma con suo sgomento scoprì che
non solo il conte
aveva qualcosa di terribile da chiedergli quel giorno.
“Cela
suffit Guillame! Je
vous
prie, je vous en supplie!
Non
commettete ancora lo stesso errore! Voi avete una moglie,
una figlia e dei doveri che non vi permettono di allontanarvi da
corte… Cosa
dirà il nostro re Filippo Augusto? Lui si fida di voi come
di nessun altro! E cosa
diranno gli altri feudatari, non useranno la vostra assenza per
indebolirvi? Vi
prego, farò tutto quanto mi chiederete ma lasciate che sia
io ad andare con
Ian! Non mi importa quali rischi correrò, basta che non mi
allontaniate
un’altra volta da lui!“
Guillaume
restò qualche istante in
silenzio, ponderando attentamente quell’offerta. La ragazza
sapeva
evidentemente su cosa fare leva e non sbagliava a sostenere che non
poteva
lasciare che i suoi affari privati avessero la meglio sui suoi obblighi
verso
il re, specialmente in un periodo di grande incertezza politica.
Il principe
Luigi VIII era stato
infatti da poco sconfitto nella battaglia di Lincoln e aveva
abbandonato l’idea
di riunire Francia e Inghilterra sono la stessa corona.
Sullo stesso suolo francese i focolai della
ribellione non scarseggiavano e Tolosa era in rivolta.
Isabeau fissava
ora il conte inginocchiata
a terra, negli
occhi la folle
determinazione di chi è disposto a tutto pur di scongiurare
di rivivere
l’incubo che aveva appena creduto finito quel giorno.
“Mio
signore, io non voglio… io… io
non posso più separarmi da Jean, vi prego, non strappatemi
ancora da lui. Io
sento davvero di non poterlo più sopportare!”
Ian si
soffermò su quegli occhi
nocciola arrossati dagli abissi di lacrime versate fino a pochi istanti
prima e
chissà in quanti altri momenti in cui lei aveva pensato con
disperazione alla
propria solitudine.
Solo allora si
rese conto di quanto
lei avesse sofferto in quei mesi: il suo viso bellissimo, la pelle
candida come
porcellana, persino gli infiniti boccoli d’oro, erano velati
dalla recente
sofferenza.
Seppe che lei
non avrebbe mai potuto
tollerare un’altra separazione. La guardò ancora,
innamorato di lei come il
primo istante che ebbe incrociato il suo sguardo al monastero di Saint
Michel e
seppe che nemmeno lui avrebbe potuto sopportare di separarsi nuovamente
da lei.
Ponthieu
soppesò per qualche istante
entrambi, poi annunciò:
“Dunque,
se sarete infine voi e non
io ad andare con Jean nel suo Paese, accetterete di essere i miei occhi
e mi
riferirete tutto. Ma farete di più. Oh sì, farete
molto di più. Mi porterete una
prova tangibile della vostra buona fede, qualcosa che non mi faccia
dubitare
mai più di voi due, non so ancora cosa, ma al momento
opportuno sono più che
sicuro lo saprete voi, Madame.”
“Guillaume,
ascoltami ti prego”,
s’intromise Ian, “non è possibile
portare nulla dal mio mondo al tuo. Mi chiedi
l’impossibile! Se vuoi che ti dimostri la mia
lealtà, ti scongiuro di pormi
nella condizione di poterlo fare davvero...” lo
implorò.
“Tu mi
parli di cose che sarebbero
impossibili, quando tu stesso, per spiegare l’accaduto,
prendi a pretesto giustificazioni impossibili!”
constatò aspramente il conte,
socchiudendo minacciosamente gli occhi.
“E
di grazia perché mai, se per Monsieur
Daniel è possibile svanire davanti
ai miei occhi in un istante, sarebbe impossibile ciò che
chiedo? Dove mai si
troverebbe il vostro mondo da non poter ammettere questo? Su in cielo
forse? O
negli inferi?”
“La
domanda che dovresti pormi invece
non è dove, ma quando! In quale tempo...” si
lasciò sfuggire dalla rabbia, Ian.
“Basta!
Tu ti prendi gioco di me!
Bada che la mia pazienza, pur se ho acconsentito a riportati qui a
Chatel
Argent, potrebbe esaurirsi più velocemente di quanto
pensi!”, lo minacciò il
conte.
“Ma
stavolta dipenderà solo da te, non più
dalle mie decisioni. Sta bene, io ti credo...” aggiunse con
un ghigno di sfida
dipinto sul volto, “non è ciò che
desideravi? Non è questo che imploravi? Ebbene,
io ti credo.” Rimase teatralmente in silenzio per pochi
istanti e poi proseguì:
“Ma
affinché la mia fiducia non risulti mai
più malriposta, farete anche voi due qualcosa per me. Tu e Madame porterete dal tuo Paese qualcosa
che provi le tue parole,
qualcosa che affermi la verità su quanto hai il coraggio di
sostenere. Il modo
in cui agirete, se Dio vorrà, testimonierà la
vostra buona fede.”
A Isabeau non
furono necessarie altre
spiegazioni.
“Faremo
questo per voi, mio signore.
Grazie di averci concesso questa possibilità… Io
conosco Jean, conosco Monsieur
Daniel e Madame Jodie, so che loro
non agirebbero mai nel male, il loro
mondo non può essere malvagio come voi credete”.
“Queste
sono le uniche condizioni che
pongo. Non tornerete senza la prova che desidero. Soddisfatemi e
renderete
felice anche me di avervi concesso il mio perdono. Non onorate questi
patti, traditemi
o ingannatemi e faccio voto che non rivedrete mai più i
vostri figli. E in quel
caso vi garantisco che dovrete temere per la vostra stessa vita se mai
azzarderete
a rimettere piede sul suolo di Francia”.
Ian comprendeva
che Guillaume voleva
davvero convincersi che la sua pupilla e colui che aveva amato come un
fratello
erano davvero in grado di dimostrargli la loro lealtà, al di
là di ogni dubbio
che ancora certamente nutriva.
Ciò
nondimeno, si rendeva conto delle
difficoltà di soddisfare le implacabili condizioni di
Ponthieu: come sarebbe
riuscito a portare Isabeau nel presente? Come avrebbe fatto a condurre
al conte
una prova della loro lealtà, una prova tangibile proveniente
dal suo mondo? Per
quanto ne sapeva Hyperversum non permetteva nessuna delle due cose.
Una paura che
già in passato aveva sperimentato
e con la quale aveva convissuto troppo a lungo, cominciò a
impossessarsi
nuovamente di lui.
Come avrebbe
fatto? Avrebbe di nuovo
mentito? Si costrinse a restare calmo e assaporare quel breve sprazzo
di
felicità che già prometteva di sfuggirgli di
mano.
Era
uno sforzo vano. La mente già vagava
lontano, mentre serrava così strette le dita nei pugni da
sentire pulsare vivo il
dolore.
Si
vedeva pregare Daniel di trovare un modo
per trasportare Isabeau nel XXI secolo. E Daniel che gli spiegava che
era
impossibile.
Si osservava
nascondere Isabeau in
qualche convento sperduto e partire con Daniel alla ricerca di qualcosa
che
potesse convincere Ponthieu riguardo al loro mondo e alla sua buona
fede. Si
sorprendeva a rapire come un miserabile ladro i figli e fuggire
spregevolmente
con la moglie, a dispetto del patto appena concluso. E si vedeva
disperato
mentre mentiva ancora e ancora… e si sentiva già
sporco, insozzato, lordato al
solo pensiero.
Qualsiasi
cosa pur di non perdere ancora Isabeau e Marc.
“Dovremmo
aspettare che monsieur
Daniel ritorni qui” sentì dire dalla sua stessa
voce, scandendo le parole con
una calma studiata a beneficio del conte e Isabeau.
“Solo
lui può condurci nel mio mondo e dovrà
passare ancora qualche tempo prima che arrivi. Inoltre Madame
è in attesa di un secondo figlio e io ti chiederei se fosse
possibile di...“.
Ponthieu
annuì prontamente, aspettandosi già
quella osservazione.
“Il
mondo che Isabeau vi racconterà
al suo ritorno” continuò Ian,
“potrà stupirvi e vi sorprenderà al di
là di ogni
vostra immaginazione“, questa volta annuirono sia Isabeau che
il conte, “ma in quel
mondo non c’è più male di quanto ve ne
sia già qui, Guillaume. Vi dimostrerò
che ciò che affermo è la
verità” Si voltò verso Isabeau,
cercando in lei la
forza e la speranza di cui aveva bisogno per non affogare
nell’angoscia.
“Non
ho domandato io di poter venire
in questo posto. Non ho chiesto io di mettere in pericolo la vita delle
persone
che avevo più care nel mio mondo. Non ho preteso io di
diventare cavaliere o
conte. Pure, questo luogo è quanto di più caro mi
rimane, perché qui ho trovato
la ragione stessa della mia vita”.
Isabeau
ricambiò il suo sguardo con
occhi grandi e liquidi.
“Ho
trovato la famiglia e gli amici
che ho sempre desiderato. Ho trovato il fratello che non ho mai avuto.
Ho
trovato la donna per la quale in qualsiasi momento darei in cambio la
mia vita,
senza rimpianti. Ho combattuto per averli e per difenderli. Costi quel
che
costi, non mi arrenderò adesso, Guillaume, ti
porterò ciò che chiedi”.
“Metteremo a repentaglio la tua vita, dei tuoi
amici o
quella di Madame, nel vostro
viaggio?“
Domandò calmo Ponthieu.
“Non
più di quanto abbia messo in
pericolo la mia, quella dei miei amici e la vostra con il mio arrivo
qui“ fu la
lapidaria risposta di Ian.
“Sta
bene, mi basta la vostra parola
che mi darete soddisfazione. Poco dopo la nascita del vostro
secondogenito, non
appena Madame si sarà
ripresa, sarete
pronti per il viaggio. I vostri figli resteranno qui e farò
provvedere io a
loro durante la vostra assenza.”
Isabeau
annuì con tristezza, cercando
di non farsi sopraffare dal dolore di lasciare Marc e il neonato alle
cure
delle balie e delle dame di compagnia.
“Ora
che tutto è deciso, se volete
scusarmi, credo che raggiungerò mia moglie ad Auxi. E' un
viaggio di due giorni
e io mi sono allontanato dai miei doveri già per troppo
tempo e mi accorgo“, aggiunse
finalmente con una parvenza di sorriso, “che
sto trattenendo le effusioni di due innamorati...”
Quando ebbero
salutato con deferenza
Ponthieu e non appena questi si fu allontanato, le loro labbra si
unirono in un
bacio che pretendeva di voler recuperare tutti insieme i baci perduti
negli
ultimi mesi, spezzato appena dalle poche parole che riuscivano a dirsi,
rassicurandosi a vicenda, promettendo, giurando, implorando, pregando
il
Signore che niente, più niente da quel momento, li avrebbe
separati adesso che
ancora una volta, contro ogni speranza, erano nuovamente una cosa sola.
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