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Autore: Lales    17/10/2010    9 recensioni
Greta senza pensarci un secondo arrotolò il quadernino che aveva poggiato sul bracciolo del divano e glielo tirò dritto sulla nuca, provocando un rumore sordo che si espanse nel salotto silenzioso. "Ahia!" gridò Tom mettendosi una mano sulla parte colpita "Ma sei scema?!"
"Sì Tom, sto con te, è normale che io non sia del tutto sana..."
(Continuo di Mach mich nicht verliebt)
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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8.  Can't stop. Won't stop.

Odiava tagliare la cipolla perché poi le mani gli continuavano a puzzare per tutta la giornata, e per tutta la giornata se le annusava schifato sperando che l'odore se ne andasse, ma non se ne andava mai, rimaneva attaccato alla pelle. I pomodori non aveva mai imparato a tagliarli tutti uguali, per quello c'era la mamma, o Greta, o quelli del catering, per il resto il reparto del supermercato con le cose già tagliate e preconfezionate era il suo paradiso; se solo si fosse ricordato com'era fatto. Chiuse il panino con l'altra fetta di pane tostato e sperò che non facesse schifo dato che ci aveva messo tanto impegno a prepararlo e prima di addentarlo guardò orgoglioso il piatto con la sua creatura... si sentiva più maturo da quando era nato il bambino, come se fosse in grado di fare cose nuove, meglio di prima.
- Tom, io sto andando, sei sicuro di farcela? -
Greta gli comparve davanti mentre si tirava su i capelli in una coda ed aspettò che rispondesse, ma stava ancora fissando il suo panino.
- Sì... - mormorò. Lo prese e lo osservò con attenzione, sembrava buono, ma poi si bloccò e la guardò intimorito – Cosa potrebbe succedere di terribile? -
- Niente – rispose lei cercando le chiavi in giro per la cucina – sta dormendo, ha appena mangiato, io torno tra massimo due ore, se si dovesse svegliare.. -
- Perché si dovrebbe svegliare se hai detto che sta dormendo? - chiese nel panico seguendola alla ricerca delle chiavi.
- Non ho detto che si sveglia, ho usato il condizionale, se si dovesse svegliare... dove le ho messe le chiavi? -
È vero, si sentiva più maturo, ma non aveva ancora imparato a gestire un neonato da solo. Al massimo aveva guardato Greta, e Bill giocare al baby sitter, ma lui oltre a prenderlo in braccio e fare strani suoni onomatopeici che non sapeva neanche da dove gli uscissero, non aveva ancora avuto un rapporto cruciale con suo figlio.
Greta trovò le chiavi sul tavolo dell'ingresso e si fermò a guardarlo con dolcezza – Sei tanto tenero in questo momento, mi verrebbe voglia di darti un buffetto sulla testa ed una caramella... ma Tom, prima o poi saresti dovuto rimanere da solo con lui, insomma... è un bambino mica il mostro di Lochness -
Sospirò affranto ed abbassò lo sguardo sconfitto - Ok, hai ragione... -
- Non succederà niente, e poi c'è anche Bill con te, se ci sono problemi in due dovreste farcela visto che condividete un cervello -
- E se ha fame? Io non posso allattarlo! -
Scoppiò a ridere ed aprì la porta d'ingresso – No è che ti ho immaginato... comunque l'asciamo perdere... non avrà fame e se si sveglia cullalo, ok? -
- Ok – rispose poco convinto – tu però torna presto! -
- Sì sì – lo assecondò – ciao! -
La vide scomparire dietro la porta e fissò per un momento il panino fatto con tanta cura, gli era passata la fame. Tornò in cucina e lo buttò nella spazzatura, tanto avrebbe fatto schifo e le sue mani avrebbero puzzato di cipolla tutto il giorno. Salì le scale andando ricerca del fratello.
- Bill –
- Bill -
- BILL! -
Il gemello comparve dal bagno con l'asciugamano in testa mentre si asciugava i capelli - Stai zitto! Cosa urli che c'è il piccolo che dorme! - lo rimproverò.
- Scusa, non ti trovavo! -
- Ero in bagno – sussurrò.
- E comunque perché dobbiamo parlare a bassa voce se sta dormendo? -
Bill entrò in camera sua e prese la radiolina da cui si sarebbe dovuto sentire se il bambino piangeva e gliela mise in mano – Questo aggeggio attaccatelo al culo, se piange così lo senti -
- TU scusa dove stai andando? - domandò seguendolo nei suoi tragitti camera bagno, bagno camera.
- Io devo andare da Heike... -
- COSA? -
- Shhhhh, non urlare! -
- Stai andando da Heike adesso? -
- No tra cinque minuti, mi devo finire di vestire, scusa eh... - e fece per chiudergli la porta in faccia ma la bloccò con il piede.
- Mi lasci da solo con lui? -
- Lui non ti ucciderà se è di questo che hai paura -
- E se piange? E se ha fame? -
- Veditela da solo – rispose lapidario – ma credo sopravviverai -
- È stata Greta a dirti di lasciarmi da solo, vero? -
- No, non è stata lei, devo andare da Heike, e sai com'è sono anche agitato perché non la vedo da mesi, e ti ricordo che l'equazione Bill agitato Tom agitato non porta mai a niente di buono e se permetti ora è il mio turno di agitazione, quindi vai giù bevi una birra, guarda la TV e rilassati, ok? -
- Egoista, sei proprio un egoista – rispose scuotendo la testa.
- Sì, sì, certo – e gli sbatté la porta in faccia.
Rimase qualche secondo accigliato a fissare il legno per poi ciondolare al piano di sotto e continuare a guardare la televisione, come stava facendo prima di essere interrotto da Greta che gli annunciava che stava uscendo per delle cose che riguardavano il matrimonio di Michelle e Georg.
Da quando Bill era nato non dormiva tanto la notte, ma non perché lui piangesse, ma semplicemente perché aveva l'ansia che lui piangesse e quindi doveva essere pronto a svegliare Greta e dirgli che stava piangendo, come se lei non sentisse le urla di un neonato che dorme al suo lato del letto. Tra l'altro i peggiori scenari gli occupavano la mente per quando sarebbe cresciuto, vedeva pericoli ovunque in quella casa, ed il senso di protezione verso il bambino cresceva giorno dopo giorno, incontrollabile dentro di lui. Stranissima sensazione, si chiedeva ancora come fosse successo... tutto era accaduto troppo velocemente ed ogni tanto quando lo guardava si meravigliava del fatto che veramente fosse nato, suo figlio. Suo figlio.
Così piccolo ed indifeso, così simile a lui che anche sua madre si era meravigliata della somiglianza con lui e Bill. Greta non ci era rimasta male perché le dicevano tutti che gli occhi erano i suoi, anche se era presto per dire se fossero azzurri o meno, ma a lei interessava solo che stesse bene e che tutti fossero felici.
Facile dirlo per la ragazza, lei la notte dormiva, al contrario suo.
- Ok Tomi, io vado... -
- Dove vai? -
- Ma sei sordo? Vado da Heike -
- Ah... va bene -
- Sono agitato -
- Non dovete pensare all'artwork? -
- Sì, - rispose lapidario – infatti è proprio quello che faremo, solo lavoro, niente chiacchiere, ora vedrà chi è veramente Bill Kaulitz e vaffanculo -
Tom alzò un sopracciglio, stupito da quelle parole – Va bene fratello, tienimi aggiornato se ci sono problemi -
- Tu qui pensi di farcela con Juls? -
- Eh? -
- Ce la fai con Bubino? -
- Quanti nomi gli hai dato? -
- Lo cambio ogni volta, è così tenero quando gli fai le facce strane e cambi nome, lui capisce è un bambino intelligente, ha preso tutto da Greta -
- Sì è vero – si trovò a convenire sorridendo – da noi la bellezza sfacciata e l'intelligenza della mamma, che bambino fortunato... -
- Ecco, le parlerò della mia bravura innata come zio modello, sono sicuro che non gliene fregherà niente, insensibile com'è... -
- Basta che te ne stai tranquillo e fai quello che devi fare -
- Sì, me ne sto tranquillo -
- Va bene -
- Va bene, ciao -
- Ah Bill – lo chiamò - ricordati... le donne sono tutte un po' pazze -
Il fratello si girò e con una smorfia di disappunto scosse la testa e tornò verso la porta – Lo so, lo so... - berciò prima di aprirla e sbatterla.
Una volta che sentì chiudere delicatamente la porta d'ingresso, fissò con terrore l'aggeggio che Bill gli aveva detto di incollarsi al culo e lo posò sul tavolino di fronte, poi lo prese e lo guardò come se dovesse esplodere, per poi posarselo sull'orecchio... non sentiva niente se non un respiro flebile e delicato.
Di solito quando rimaneva da solo in casa era felice, senza nessuno che rompe, senza nessuno che ti chiama o chiede qualcosa, ma ora non era solo, c'era anche lui che dormiva, e nel caso sarebbe dovuto accorrere di corsa a vedere cosa fosse successo.
Che poi la situazione era molto più complicata dato che non parlava, ma piangeva. Come avrebbe fatto a capire di cosa avesse bisogno se piangeva e basta?
Si rilassò come gli era stato detto, ma la pacchia durò poco. Non appena decise di cominciare a giocare con la Playstation iniziò a sentire dei delicati rumori provenire dall'aggeggio posato di fronte a lui.
PANICO. Totale. Si alzò di scatto e fece le scale a tre a tre fino ad arrivare in camera sua e notare il lettino da lontano, e sentire delle grida disperate provenire dal suo interno.
- Oddio, no, Bill no – mormorò avvicinandosi e notando che era lì, a pancia in su, con le manine strette a pugno, sdentato, che si sgolava come un matto. Tutto suo zio.
- Bill no, non piangere, ti prego, ti prego non piangere... -
Ecco, il momento cruciale era arrivato. Prenderlo o no in braccio? Dargli una mano alla cipolla per fargli sentire che non era solo? Cullarlo e basta? Cosa fare in quei casi? L'istinto gli diceva di andare a cercare su Google, il buon senso di prenderlo in braccio e fare qualcosa.
Vinse il buon senso. Per una volta. Che fosse diventato davvero più maturo?
Prese il bambino e la situazione non migliorò. Continuava a piangere, fortissimo.
- Bill no, su dai, che è succede? Non succede niente, che vuoi che succeda? Oddio Greta torna a casa! -
Cominciò a camminare per la stanza, saltellando, non sapeva neanche lui cosa fare, e forse la ricerca su Google non sarebbe stata poi così sbagliata.
- Shh ti prego, ti prego... allora Bill facciamo un patto, se smetti di piangere, a diciotto anni ti regalo la macchina che vuoi, o la moto, la vuoi la moto? Te la compro... tutto quello che vuoi ma smettila di piangere, ti prego -
- Due macchine e una moto? -
Continuava a saltellare con il bambino in braccio, e blaterava cose senza senso – Stella stellina, la notte si avvicina la mucca nella stalla, zio Bill nella capanna, la mamma in cucina, zio Hagen in cantina... papà nella piscina... ma che sto dicendo? -
Poi all'improvviso, l'illuminazione.

___

Non gli interessava, davvero, per nulla.
Voleva convincersene e ci stava riuscendo piuttosto bene, non aveva né tempo né voglia di perdersi dietro ad Heike ora che aveva altre cose ben più importanti a cui pensare. Doveva tenersi occupato ed ora che c'era Bill si imponeva di passare dietro al nipote tutto il tempo che gli rimaneva libero dopo aver pensato a se stesso, a Tom e al gruppo.
Lo spazio per Heike non c'era e tanto meno c'era spazio per i sentimenti: era saturo di sentimenti positivi tutti collegati alla nascita del bambino e di conseguenza sentiva di non aver bisogno di altro.
Bill aveva cambiato la vita di tutti quanti, ma lui si sentiva particolarmente miracolato, d'altronde poteva ritenersi uno dei pochi al mondo a cui la vita fosse stata salvata da un neonato – come se non avesse già abbastanza cose per cui ritenersi unico.
Quindi i suoi sentimenti non c'erano, i suoi sentimenti verso Heike non c'erano. Non era innamorato di lei, lo era stato, ma non lo era.
Tom aveva torto, o forse ce l'aveva lui stesso, ma non poteva amare una persona così strana e lunatica e insensibile come lei, non poteva e non voleva. Heike faceva finta di niente, come se si fosse immaginato tutto nei suoi sogni, ed una persona così non poteva stare con lui, era inutile, senza senso.
Al fratello aveva comunicato la sua agitazione, prima di varcare la soglia di casa, ma ora che si trovava in macchina, all'indirizzo da lei indicato come sua nuova dimora, l'agitazione aveva lasciato il posto all'indifferenza, e quello che doveva essere un nuovo incontro era diventato un impegno di lavoro, e basta. Basta. Basta.
Quello che aveva sempre apprezzato in Heike era semplicemente il fatto che gli facesse fare cose normali, da persona comune: come ritrovare un indirizzo con il navigatore, farlo girare in macchina per Amburgo, renderlo per quei pochi istanti così banale ed insulso, una macchietta nell'universo come tante altre, che si sentiva bene. Ed era proprio per quello che non avrebbe lasciato spazio ad altro, a nient'altro.
Davanti a quella nuova porta, che non era blu come quella di Los Angeles, aspettava, e la mente corse a quando si era ritrovato con lei per la prima volta in quella situazione, e lui era agitato, nervoso, così nervoso da non sapere neanche cosa volesse mangiare, se volesse mangiare, perché neanche voleva nutrirsi se poteva parlarci.
Una volta, ora non più.
Tempo fa, tempo remoto, tempo che non esiste più.
La porta si aprì e sorrise tranquillamente, non sfoderando uno dei suoi plastici finti sorrisi di plastica, ma cambiando viso da tranquillo sorriso a bocca spalancata e sguardo sorpreso.
- Oh, credo di aver sbagliato – mormorò imbarazzato, facendo un passo indietro e controllando ancora il numero civico, ed il nome sul campanello.
Ora avrebbe dovuto essere educato verso l'uomo che gli sorrideva cordiale, perché ops, per caso, Bill Kaulitz dei Tokio Hotel aveva bussato alla sua porta come se fosse un venditore di enciclopedie ambulante. Ops.
- Nò, non hai sbagliatò – sorrise. Cordiale. Ancora più cordiale di quanto la parola cordiale potesse imporre, e lo guardò, gentile, con gli occhi azzurri leggermente socchiusi ed un sorriso perfetto circondato da un po' di barba incolta.
Non era Heike, no. Ma era in casa di Heike, sì.
E poi c'era un accento strano nel modo in cui parlava.
Bill, imbarazzato, non lo mostrava. Gli anni passati a mascherare i propri sentimenti erano pur sempre serviti a qualcosa.
- Io sono Aurélien , è un piascevè conoscevtì -
Bill, sbatté le ciglia più volte, sorridendo, continuando a rimanere paralizzato dalla mascella in su, con lo sguardo fisso sulla cordialità di quell'uomo, francese.
Sì, era francese per forza.
- Bill – disse sicuro passando dal sorriso imbarazzato a quello plastico.
- Heiké, chéri, il est arrivè – gridò il cordiale, l'uomo dal nome che non aveva capito per niente, facendolo accomodare in casa. Il problema però non era il nome, il problema era lui. Chi era? Che voleva? Perché doveva infestargli le orecchie con quel terribile accento francese che odiava! Specialmente odiava quando i francesi tentavano di parlare la sua lingua. Forse perché a scuola gliel'avevano fatto studiare per forza, forse perché le prime fans fuori di testa le avevano incontrate in Francia, forse perché un francese gli aveva rubato la donna.
Ecco. Era proprio quello che non ci voleva: la competizione.
Fare a gara a chi vince, e riuscire a vincere, la smania, lo logorava. Lui vinceva sempre, comunque, sempre quando se lo imponeva ed ora un uomo cordiale, dal nome impronunciabile, francese, gli aveva rubato la donna.
Che poi fino a cinque minuti prima non gliene fregasse più niente, era un altro discorso.
- Quando Heikè mi ha detto che ti conoscevà non ci ho cvedutò – rise, cordiale, ancora – ma ecoti qua – alzò le spalle, cordiale – incroyable! -
Non aveva la minima idea di che cosa avesse detto alla fine, e si limitò a sorridere anche lui, plastico.
- Dobbiamo lavorare insieme – lapidario e asociale, incrociò le braccia. Lo sfidò a chiedere di più, per vedere se avesse coraggio.
- Lo so, mi ha spiegatò... elle est une artiste excellente... -
Perché gli parlava in francese se lui non capiva niente?
- Oui oui – rispose, plasticissimo stavolta, sfoderando un po' di finta risata cristallina, quella che tirava fuori durante le interviste, quando il giornalista di turno faceva battute cretine.
- Bill – si sentì chiamare, e stavolta la voce era quella giusta e proveniva dalla persona giusta.
I capelli più rossi ancora, la pelle ancora più bianca, gli occhi ancora più verdi. Così delicata da aver paura anche solo di guardarla.
Bill si impose di ricordarsi tutto quello che le aveva fatto e si irrigidì appena lei lo abbracciò, ma poi dato che si era già impostato in modalità Bill Tokio Hotel, continuò la sceneggiata, e rimase dritto, immobile, leggermente piegato per abbassarsi a salutarla. E sentì il profumo dei suoi capelli, e sentì il suo corpo contro il suo, sentì diecimila campane e la musica classica, quella rilassante, quella del viaggio in macchina in ospedale, quella per il bambino.
- Ciao – senza saliva e niente, la lingua un tappeto con una palla metallica al centro, non seppe come fece a rantolare quel ciao.
- Je vais chéri... - il cordiale si riferì ad Heike che guardò Bill con tanta dolcezza, e poi fece lo stesso con Aurélien.
- Ok... à toute à l'heure -
- Sciao Bill, è stato un piasceve – aprì la porta e del cordiale scomparve ogni traccia. Bill non lo salutò, era intento a fissare la testa della ragazza, dall'alto, giusto per vedere se riusciva a concentrarsi talmente tanto da poterle frugare nel cervello.
- Come stai? - si girò, lo guardò, gli domandò.
Lui no, voleva continuare a guardarla. Era ancora con il cappotto, la sciarpa, i guanti, il cappello, gli occhiali, la borsa in mano. Era ancora in missione.
Lo prese per un braccio e lo trascino verso, la cucina forse, e si cominciò a scoprire, pezzo per pezzo.
- Chi era? - non rispose, non aveva ancora voglia di rispondere alle domande, ma aveva voglia di porle. Appoggiò la borsa.
- Aurélien? -
- Già, sì, lui – stizzito, leggermente. Infastidito, moltissimo. Ma non doveva farlo vedere. Ma non ci stava riuscendo per niente.
Si tolse un guanto. Il sinistro.
- L'ho conosciuto poco dopo che io e te... bé ero a Parigi... -
- Non ti ho chiesto dove l'hai conosciuto, ti ho chiesto chi è? - tranquillo, lento, lentissimo, si toglieva l'altro guanto, il destro.
- È un artista, un fotografo, un pittore, uno scultore – gli elencò quelle cose e lui sbottonò il cappotto.
- Non ti ho chiesto cos'è... - ancora.
- Bill... - ancora. Quel Bill, detto in quel modo... quel Bill, cosa vuoi che ti dica?

La verità. Solo la verità. Me la stai nascondendo ancora.

- Stai con lui? - si sfilò il cappotto, lo lascio cadere su una sedia e lei sorrise, colpevole.

Oh, sì, sentiti una merda! Sentiti una merda Heike!

- Sì – mormorò. Lo mormorò, come se lui non dovesse sentire. Come se non dovesse sentire nessuno.

E invece Bill aveva sentito, perfettamente. Si tolse gli occhiali e la guardò dall'alto, un po' deluso, un po' “ma chi me l'ha fatto fare a me?”
e poi scosse la testa.

- Potevi dirmelo che ti eri messa con un francese dal nome impronunciabile, che fa il pittorescultore eccetera, o no? Ovviamente Heike con te è come giocare una partita contro l'incertezza -
- Volevo dirtelo di persona... -
- Stronzate! -
- È vero... - giustificazioni su giustificazioni non giustificavano un comportamento così insensibile.
- Sei veramente... - si bloccò e lasciò gli occhiali sul tavolo. Poi incrociò le braccia, guardandola, ancora, negli occhi più verdi del mondo.
- ...insensibile, ed egoista -
- Cosa c'è Bill? - ora sì, lo affrontava, non c'era più il mormorio, c'era una voce salda, e ferma – Io e te... è inutile, è inconcludente, smettila di sperarci -
- IO? - ridacchiò – Io, non spero proprio niente, io ho smesso di farlo, non c'è niente che mi possa far cambiare idea... non siamo della stessa pasta Heike, ma vorrei sincerità da parte tua. È l'unica cosa che ho sempre voluto... -
Lei sorrise, più tranquilla, cordiale, anche lei... odiava quell'aggettivo, gli sapeva di falso e finto, molto più falso e finto dei suoi sorrisi plastici e collaudatissimi.
- Sono contenta che tu ti sia messo l'anima in pace... riguardo noi... in quell'altro senso -
- Sì, è così – rispose altezzoso – ma vorrei che tu fossi sincera con me, alla fine, siamo amici no? -
- Siamo amici, certo – sorrise, non più cordiale, ma sollevata, come se non aspettasse altro che sentire quelle parole da lui, solo da lui. Amici.
- Quindi andiamo avanti, non guardiamo indietro... -
- Ok... hai ragione -
- Lo so – altezzoso, la prese in giro, poi si guardò intorno alla ricerca di qualcosa, forse di parole, sensazioni, qualcosa di non identificato – allora, cominciamo? -
- Sì... io, ho disegnato delle cose che vorrei farti vedere, ma solo per svuotare la mente, vorrei che tu mi dicessi bene di cosa tratta questo album -
La seguì per quella casa sconosciuta, con il parquet scurissimo e lucido, e tendente al bianco e al grigio, nell'arredamento.
Per un attimo desiderò che quella casa non fosse così sconosciuta ai suoi occhi.
- Vivete insieme? -
- Chi? -
- Tu e Orlién -
- Aurélien – scoppiò a ridere Heike.
- Sì, lui – rise anche lui perché l'aveva fatta ridere, ed era una bella sensazione. Ma non aveva la minima intenzione di pronunciare bene quel nome.
- No, non viviamo insieme... lui vive a Berlino, viene qui ogni tanto... -
- Non vi vedete spesso quindi? -
- Bill – lo richiamò, ma lui mise le mani avanti prima che potesse dire altro.
- Chiacchiere tra amici, è lecito chiedere -
- Bé ci vediamo più o meno ogni settimana, ma non mi cambia molto, siamo indipendenti, o c'è o non c'è, per me è uguale... -

Invece io no, invece io sono ingombrante, invece la mia presenza la senti, la percepisci anche a chilometri di distanza. Io sono pesante, come un macigno, e forse tu sei troppo fragile per riuscire a sopportare il mio peso. Ma io posso essere anche leggero, posso anche non farmi vedere. Ma vaffanculo tu non capisci, nessuno lo capisce che se volessi potrei davvero farlo.

- Che cosa triste – ridacchiò, mentre lei lo portava in una grande stanza, con una grande vetrata, ed un grande tavolo ricoperto di fogli e pile di carta, bianca, colorata.
- No, a me va bene così... ho bisogno dei miei spazi – mormorò, ancora, come prima, come quando gli aveva detto che sì, stava con Orlièn – Ecco, guarda, questi sono alcuni schizzi, poi ho fatto anche qualcosa di grafico sul portatile, ma non so dove l'ho messo... sono un po' troppo disordinata -
Le fissava le labbra, mentre parlava e parlava, per una volta si trovava dal lato dell'ascoltatore che non voleva parlare.
- Voglio sapere ogni cosa Bill, ogni cosa che riguarda l'album, ogni canzone di cosa parla, ogni emozione che è filtrata dentro di voi suonandola... dentro di te, cantandola -
- Ce l'hai una settimana di tempo? -
- Dai, sii serio -
- Sono serio, è complicato da spiegare, così, in due parole -
- Quando mai tu ti spieghi in due parole? -
- Appunto, già le mie doti di sintesi sono praticamente nulle, come posso fare per spiegarti un album intero con due frasi? -
- Anche dieci frasi, anche trecento, non ho fretta... -
- Lo sai che Greta ha partorito? No? - lo disse così, orgoglioso e d'impulso, come se non avesse sentito niente di quello che riguardasse l'album.
- Cosa? - gridò felice, e sorrise come non l'aveva mai vista sorridere, di gioia, pura e immensa, e gli saltò al collo.
- Ma non li leggi i giornali? -
- No che non li leggo – continuò divertita, staccandosi – o mio dio, come sta? È un lui o una lei? E tuo fratello? -
- Greta sta benissimo, il bambino anche, Tom un po' meno... -
- Sei diventato zio – ridacchiò dandogli un colpo sul petto con la mano – come si chiama? -
- Come me... - orgoglioso come non mai.
- Davvero? L'hanno chiamato Bill? -
- Bill Julian, ma tanto il secondo nome non conta -
Rise ancora lei e poi rise anche lui perché era divertente ridere se lo facevano insieme.
- Sono tanto contenta, com'è passato il tempo... salutami tanto Greis, va bene? -
- Potresti venire a casa, sai, tipo... - imbarazzato, non seppe che dire, inventò di sana pianta, su due piedi, collegò i neuroni e poi si maledisse perché li collegò per bene e si rese conto che Greta e Tom non sarebbero stati per niente d'accordo. - c'è una festa, per il bambino, la settimana prossima -
- Davvero? -
- Sì, a casa, una cosa semplice, per noi... così – alzò le spalle ed in testa aveva già cominciato a compilare l'elenco degli invitati – così rivedi anche Greis, e conosci Bibs -
- Bibs... non eri tu Bibs? -
- Non più, ora non sono più il piccolo di casa -
- Vero... -
- Sarei felice se venissi... -
- Va bene... ci sarò... -
- Bene -
- Bene, ora pensiamo all'album, raccontami, e raccontami tutto -
Bill sospirò, ne fece uno bello grande di sospiro e poi si sedette sulla sedia, con aria solenne.
- Parla di un amore, non corrisposto. In tutte le canzoni c'è un filo conduttore, dove dopo tanta ricerca, finalmente si trova la persona giusta, e per un po' la puoi tenere tra le mani, e coccolarla e lasciarti coccolare, ma poi arriva la paura, arriva l'ansia di perdere questa persona, ed arriva anche l'amore, come se già non fosse abbastanza deprimente tutto il resto -
Bill parlava e lei ascoltava, rapita. Lui parlava e guardava in basso, giocando con gli anelli che aveva in mano.
Heike avrebbe voluto dirgli che era sempre più bello ogni volta che lo vedeva. Ma non bello fisicamente, bello dentro.
Lui avrebbe voluto dirle ancora che erano troppo simili per non stare insieme, ma non gli sembrava giusto neanche quello.
- E poi queste due persone, anime gemelle, si perdono perché una delle due, la più forte, abbandona la più debole, e mentre la forte riesce ad andare avanti, la debole si perde, e vaga per mondi paralleli, aiutandosi con cose che fan male, che distruggono... e si distrugge infatti, piano ed inesorabilmente, fino a quando non capisce... non capisce che non è debole, perché ci sono altre cose importanti nella vita oltre all'amore, o meglio, c'è sempre l'amore ma non nella forma che conosceva. Conosce nuove forme d'amore che lo aiutano ad alzarsi di nuovo, e ad andare avanti. È un album positivo, non voglio deprimere nessuno stavolta, ma è importante, perché è un percorso e in questo percorso tutti possono ritrovarsi, in qualsiasi punto della loro vita. C'è chi è già depresso, chi deve ancora incontrare la parte debole, o la parte forte di sé, chi si lascia, e chi si riprende... c'è tutto, chiunque può rivedersi in qualsiasi momento, in qualsiasi canzone... sono molto orgoglioso di quello che ho creato, e penso sia il migliore album che abbiamo mai fatto... -
- Wow – bisbigliò la ragazza – tu si che le sai raccontare le storie -
- Già, è l'unica cosa che so fare bene -
- Credo di sapere cosa devo fare, ma dobbiamo parlarne ancora Bill -
- Parlare per me non è un problema -
E si guardarono, complici.


___

- Eccomi, sei ancora vivo? -
- Shhhh... stai zitta! - sentì dire dal divano mentre i suoni del videogioco che proveniva dalla TV non erano certo a volume basso. Spari, gente che urlava, macchine che frenavano di colpo.
- Che stai facendo? -
Si avvicinò e fece il giro del divano, e li vide lì... Tom con i piedi sul tavolino di fronte che giocava a non si sa cosa, con il bambino spalmato addosso che dormiva.
- Ma... che stai facendo? -
- È proprio mio figlio Greis, si è addormentato con il rumore degli spari, non è grandioso? - disse entusiasta.
- Oddio, non lo so, è grandioso? -
- Secondo me sì, prevedo che entro i cinque anni avrà già finito il suo primo GTA -
- È qualcosa di cui andare fieri? -
- Io sarei molto fiero -
- Tu saresti fiero anche se allagasse la scuola come abbiamo fatto noi, ma non è detto che sia una cosa positiva -
- No tutta la scuola no, basta la palestra... -
Greta prese il bambino spalmato sulla sua pancia e lo cullò qualche istante, lui non parve svegliarsi.
- È incredibile che la notte si svegli solo una volta, è il bambino più buono del mondo -
- Perché tu dormi? - le domandò continuando a giocare.
- Sì che dormo, tu no? -
- Sì certo che dormo -
- Bene, io già avevo pensato di esiliarti in camera di Bill, invece non ce n'è bisogno -
- No non ce n'è bisogno – mormorò – ma se per caso mi volessi auto esiliare, per te ci sarebbero dei problemi? -
- Tom perché dovresti auto esiliarti? -
- Non lo so, così... -
- Fa come ti pare – gli rispose sbrigativa – vado a mettere Bibs nel lettino -

___

Allora? Molte mi avevano chiesto di Bill e Heike ed eccoli qui, più complicati che mai... chiedo umilmente scusa per il mio fronces ma ho dimenticato tutto quello studiato a l'école :D
Comunque, eccoci qui, Tom alle prese con Bill e Bill alle prese con Heike e Orlièn. Fatemi sapere cosa ne pensate, mi racomando.
Baci

  
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