Libri > Twilight
Ricorda la storia  |      
Autore: thefung    20/10/2010    4 recensioni
Storia partecipante al contest "Da un'immagine" indetto da Fabi_Fabi
Jane e Alec, due fratelli gemelli orfani di entrambi i genitori dalla nascita, considerati da sempre i ‘diversi’ da tutti, insegnanti e compagni di scuola.
In un’ epoca in cui ogni tortura in nome della chiesa è concessa, i due bambini vengono trattati sempre male da tutti, emarignati a causa del carattere particolare della piccola Jane. Quest’ultima, infatti, è vendicativa, aggressiva...quasi assatanata, capace di far soffrire chiunque con due sole parole o con il suo sguardo omicida. Alec invece è l’opposto: timido, riservato, sempre succube di ogni azione compiuta dalla sorella, incapace di ribellarsi. Non hanno niente in comune se non un amore fraterno non dovuto solo alla parentela, ma ad una promessa di amicizia eterna, di un sostegno e di una speranza che supererà anche la morte ed una vita completamente diversa.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Volturi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Be My Friend°*


 
«Jane! Jane, dove ti sei cacciata?! », urlai per l’ennesima volta portandomi le mani alla bocca nel tentativo di far risuonare la mia voce anche in posti più remoti.
Ero solo un bambino di dodici anni e mezzo – ci tenevo sempre a precisare quel piccolo ed insignificante dettaglio – , non potevo sapere che la mia vocina flebile, seppure stessi urlando, non sarebbe mai giunta alle orecchie della mia sorellina Jane.
Jane era mia sorella gemella, una ragazzina strana rispetto a tutte le altre, come del resto lo ero io. Eravamo i diversi, gli asociali, gli emarginati dell’orfanatrofio.
Questo pomeriggio, mentre tutti eravamo radunati per ascoltare un racconto biblico, la maestra mi prese in privato, raccomandandomi di cercare mia sorella, dicendo che era scappata, per l’ennesima volta. Non era una novità, ogni volta che succedeva toccava a me  rincorrerla per miglia e miglia, con il fiatone e il sudore che mi inzuppava i capelli. La stavo ancora inseguendo attraverso i campi aridi e le stradine asfaltate in quel momento, in attesa di trovarla il più presto possibile.
«Jane!!! », esclamai ancora. Udii l’eco della mia voce rimbombare per tutta la strada, segno che non ci fosse anima viva.
Con uno sbuffo ripresi a correre, seguendo il sentiero di sassi.
Se solo Jane fosse stata…normale. Non avremmo avuto nessun problema, né io né lei. Già, perché alla fine chi ci rimetteva ero pure io, visto che ero ‘il fratello della pazza’. Tutto il mio mondo dipendeva da lei, da qualsiasi cosa la riguardasse.
Il cielo si stava facendo, mano a mano, sempre più scuro, le nuvole iniziavano a radunarsi le une con le altre annunciando il prossimo arrivo della pioggia. Speravo per lo meno di trovarla prima che cominciasse a piovere, così da poter tornare al coperto e al caldo da tutti gli altri, senza fare una delle nostre solite figure.
Dopo aver seguito il percorso indicato dal sentiero, giunsi ad un’insenatura, una piccola spiaggia acciottolata dove il mare calmo s’infrangeva con le sue onde morbide e delicate.
Per un attimo rimasi incantato a guardare l’acqua cristallina e limpida dell’Oceano. Avevo sempre desiderato sapere nuotare, poter librarmi libero nell’acqua, guardare i pesci colorati danzare in mezzo alle alghe e ai coralli…ma non ne avevo mai avuto la possibilità.
Mi ridestai dai miei malinconici pensieri, sapendo con certezza che quella avrebbe dovuto essere l’ultima delle mie riflessioni, al momento.
Portandomi una mano sopra agli occhi, cercai per tutta la grandezza della spiaggia la figura esile di Jane.
Finalmente la trovai, era seduta lontano da me e dal mare con la testa tra le ginocchia alzate, gli occhi puntati verso il cielo nuvoloso del pomeriggio inoltrato.
Quando mi vide, sembrò perplessa, si alzò in piedi e, quando fui arrivato a due passi da lei, chiese stranita: « Ha chiamato anche te? »
Aggrottai le sopracciglia, confuso. « Chi mi ha chiamato? »
« La maestra! », rispose con fermezza, come fosse ovvio.
« No…veramente a me ha detto di venire a cercarti »
I suoi grandi occhi si spalancarono, convinta che stessi dicendo una fandonia.
Si risedette tranquilla sui sassolini bianchi e grigi, senza prestarmi più attenzione.
Sospirai pesantemente. Con lei era sempre la stessa storia: bisognava per forza accettare ciò che voleva o faceva, senza fare storie.
Almeno io non avevo paura di Jane come gli altri bambini, dai più piccoli ai più grandi, nonostante i loro commenti cattivi su di lei.
Se li era meritati. Jane era…particolare, speciale, forse. Aveva una strana predilezione per la vendetta, la tortura verso le altre persone, verso tutti, me escluso.
Quando qualcuno le faceva un torto, quando la si prendeva in giro, quando qualcosa non le andava a genio…lei ribatteva sempre, si vendicava sempre. Con la violenza o anche solo con le parole. Parole taglienti, terribili, incredibilmente spaventose, così tanto da sfiorare la pazzia. Più volte quest’ultime avevano avuto un effetto più terrificante rispetto all’uso delle mani, per questo era la forma di minaccia preferita da mia sorella.
Mi accomodai vicino a lei, mettendomi nella sua stessa posizione ed appoggiando il mento sulle ginocchia stancamente.
« Mi spieghi che ti succede, Jane? È tanto tempo che me lo chiedo, ma non hai mai voluto rispondermi…», mormorai tentando di farla aprire, per lo meno con me.
Alzò la testa di scatto e mi fissò con i suoi occhi da bambina, per il color turchese e la grandezza.
No, non erano da bambina, erano diventati maturi e pericolosi troppo, troppo presto.
La sua espressione mi sorprese. Era innocente, spaventata, forse per la prima volta.
«I-io sento delle voci, Alec », sussurrò guardandomi attentamente.
«Come…delle voci, Jane?», chiesi confuso.
Distolse lo sguardo, tornando a fissare il cielo. «Sì, delle voci. Sono tre, o meglio, due in particolare. Mi dicono di unirmi a loro…mi spingono a reagire…»
Un brivido mi attraversò la schiena per tutta la sua lunghezza.
«Jane, spiegati meglio…che voci senti, chi vedi? », cominciavo a preoccuparmi, più delle altre volte.
Erano state diverse occasioni in cui le maestre dell’istituto avevano provato a farla ragione, a mandarla da un qualche prete perché ‘la salvasse’, così dicevano, ma non c’era mai stato verso, essendo lei così particolare.
Una bambina prodigio, se non fosse stato per la sua passione nello strangolare, trucidare le bambole, fare disegni terribili e spaventare a morte bambini e insegnanti.
Che adesso vedesse anche le cose? No, non poteva esserci anche questo…
«Sono tre uomini. Alti, magri…uno hai i capelli neri, il terzo e il secondo bianchi…ce n’è uno vecchio che si fa vedere pochissimo…gli altri due sono sempre presenti. È come se li sentissi nella mia testa, Al. Mi dicono di ammazzare quelle stupide che mi prendono in giro per le trecce o le lentiggini, perché i loro vestiti sono più carini dei miei, perché dicono che sono un maschio…loro mi istigano. »
Chiusi gli occhi. «Jane…sei sicura che siano reali? Che non siano solo frutto della tua fantasia? », chiesi titubante sperando che non la prendesse a male.
Cercavo solo di aiutarla, perché le volevo bene. Ero l’unico che gliene voleva, come potevo anche solo pensare cattiverie su di lei? Era sangue del mio sangue, anzi, eravamo anche monozigoti o qualcosa del genere. Era tutto ciò che rimaneva della mia famiglia.
Scattò in piedi velocemente, guardandomi con furia dall’alto.
« Sei cattivo, sei cattivissimo anche tu, come tutti gli altri! Non mi credi! », esclamò con gli occhi lucidi.
Mi alzai anche io, lentamente, per tentare di rincuorarla.
« Jane, non sto dicendo questo. Solo che io non li ho mai visti, e non voglio che ti facciano del male. Se esistessero solo nella tua mente sarebbe meglio. Per te, per me, per tutti. », le dissi appoggiando le mani sulle sue spalle.
« Ma loro esistono veramente, Alec! », esclamò con gli occhi lucidi liberandosi con forza dalla mia stretta prima di correre via.
Alzando gli occhi al cielo mi misi a seguirla un’altra volta.
Non era facile rimanere al suo passo, però. Era sempre stata veloce, molto, molto veloce. Quando con la maestra facevamo educazione fisica o psicomotricità, lei vinceva sempre tutte le gare, guadagnandosi l’odio sconsiderato di tutti quei maschi che invece avrebbero voluto avere il primato e quello delle sue compagne che l’avevano soprannominata con il nomignolo di ‘maschiaccio’. Non avevamo vita facile, questo era poco ma sicuro.
Nemmeno io ero un tipo molto socievole o capace di suscitare la simpatia di qualunque essere vivente, vegetali compresi, ma già me la cavavo meglio di Jane. Non avevo crisi isteriche, non disegnavo gente uccisa o assassinii, non mi emozionavo quando la maestra ci spiegava inorridita i riti cannibali degli Incas o altri popoli dell’antichità, non spaventavo tutti i bambini portandoli di notte nel bosco per raccontar loro storie dell’orrore nate dalla mia mente. No, certo che no, ma tutte queste cose non avevano fatto altro che peggiorare la mia reputazione. Essendo fratello di Jane, anche io ero ‘diverso’, avevo problemi. Mi era rimasta nel cuore quella volta in cui mi ero ‘innamorato’ di una bambina della mia età, Miriam, ed avevo avuto la prima delusione amorosa della mia vita. Dopo un po’ di tempo avevo trovato il coraggio e mi ero proposto a lei, sperando profondamente che volesse ‘mettersi con me’. Invece, a causa della reputazione che mi ero guadagnato per colpa di Jane, mi derise chiamandomi ‘il fratello della pazza’. Si era sentita addirittura offesa dalla mia dichiarazione…
Da quel giorno capii quale sarebbe stato per sempre il mio posto: dietro mia sorella, sempre succube di ciò che faceva o diceva.
Proprio mentre quest’ultima si avvicinava pericolosamente al bagnasciuga, ai miei piedi vidi delle palline colorate azzurre, verdi, nere.
Improvvisamente ricordai di averle già viste: erano le biglie di vetro che una bambina aveva perso qualche giorno prima.
Stupido da parte mia anche solo pensare che non fosse stata Jane. Lei c’entrava sempre quando si trattava di furti, sparizioni, svenimenti di altri bimbi.
Mi chinai, osservando quelle meraviglie luccicanti che, grazie all’effetto del Sole ormai calante, producevano limpidi arcobaleni nell’aria.
Sorrisi, non avevo mai visto un vero arcobaleno in vita mia, ma quelle biglie erano davvero splendide per ciò che creavano. Sollevai di malavoglia lo sguardo, giusto per vedere Jane che si buttava in mare con sconsideratezza, visto che anche lei, come me, non era capace di nuotare.
« Jane, vieni fuori! », urlai rialzandomi.
Non mi ascoltava, era lì che giocava spensierata come non mai schizzandosi l’acqua addosso, cullata dall’infrangersi delle onde contro i piccoli scogli sulla sabbia.
Era bello vederla così, nonostante fosse comunque in pericolo. L’acqua le arrivava alle ginocchia, inzuppando la sua gonna piena di toppe quasi completamente.
La raggiunsi, ignorando il gelo che percepivo nel corpo a causa del cambio di temperatura.
Ad un certo punto mi fermai. Non ero andato molto lontano, ma avevo comunque un po’ di paura.
«Jane», la chiamai titubante. «, vieni qui, dai»
Non mi ascoltò ancora una volta, troppo impegnata a bagnarsi completamente tutto il corpo, testa e capelli compresi.
La sua ampia maglia di lino bianco grondava di acqua e gocciolava all’inverosimile, ma sembrò non curarsene affatto.
Guardai ai miei piedi. Le onde, pian piano, si infrangevano contro i sassi e gli scogli, producendo una dolcissima schiumetta bianca…poi tornavano indietro…verso il mare, sempre verso il fondo degli abissi, il loro posto.
Avrei voluto essere anche io come il mare, sempre con un posto dove tornare, prima o poi, una specie di famiglia.
Decisi di avvicinarmi, nonostante fossi ancora titubante, bagnandomi sempre di più.
Improvvisamente Jane cadde lungo il fondale, ancora basso, fortunatamente, a causa di un’onda più forte delle altre. Mi allarmai immediatamente, correndo verso di lei.
«Jane!!!», urlai spaventato.
La scrollai per le spalle, sperando che stesse ancora bene, ma quando vidi la sua espressione rimasi davvero sorpreso.
Stava ridendo.
Jane…rideva. Forse per la prima volta in vita sua. Aveva un sorriso non determinato dalle sofferenze altrui, non per la vittoria in una gara di corsa. No, sorrideva perché era felice, perché si stava divertendo.
Mi illuminai anche io, abbracciandola stretta contro di me, cullati dal rumore del mare.
«Alec…grazie», mormorò una volta che ci fummo separati.
«Di nulla, Jane…lo sai che per te farei qualsiasi cosa, sei la mia casa, la mia famiglia»
«Anche tu lo sei per me, Al…sei l’unico che mi rimane. A volte però vorrei non avere solo te, vorrei avere anche qualcuno con cui scegliere i vestiti, con cui giocare con le bambole, a cui acconciare i capelli…invece no, non ho nessun amico», pian piano il suo viso venne rigato da piccole lacrime dovute alle sensazioni che provava.
Ignorando completamente i brividi lungo le braccia e le gambe, mi sedetti anche io sul fondo, lasciandomi trasportare dalle onde come lei.
Avevo ancora paura, con una mano tenevo la sua, mentre con l’altra tentavo di ancorarmi bene al terreno sassoso.
«Jane…tu sei speciale, è per questo che nessuno ti sta vicino », sapevo che il mio comportamento era scorretto, non dovevo parlarle come fosse una bambina di quattro anni. Lei sapeva, sapeva molte più cose di quanto avrebbe dovuto.
Nei suoi occhi una serietà che non credevo possibile, una maturità che mi ero sempre rifiutato potesse appartenerle.
«No, Alec», disse risoluta. «Io non sono speciale, io sono diversa e basta, io sono anormale»
«Non…», tentai di ribattere, ma lei fu più veloce e continuò a parlare. « Secondo te allora perché gli altri mi considerano un maschio? Perché quando io mi diverto nel sentire i riti che gli Incas facevano alle loro vittime, gli altri ne rimangono disgustati? Perché mi trattano male? Perché non ho nessun amico? »
Prima che potessi aprire bocca due mani forti, cattive, grezze ci tirarono indietro con violenza dalle spalle. « Perché sei una strega, ecco perché! », un urlo cattivo, agghiacciante ci fece voltare immediatamente.
Un uomo enorme ci stava trascinando via dall’acqua con la sola forza delle braccia. Era grande e grosso con corti capelli castani quasi rasati a zero, un’espressione livida in volto, gli occhi crudeli di un assassino.
Quando ci portò sulla terra ferma riuscimmo a scorgere in lontananza la maestra che parlottava animatamente con uno dei preti venuto all’orfanatrofio per ‘salvare’ Jane.
Quest’ultima era spaventata a morte, soprattutto per le parole dell’uomo. Non si era mai sentita dire una cosa del genere, se non da qualche bambino stupido, ma la cosa, detta da un uomo adulto, prendeva una piega ben diversa.
Le lacrime ripresero a scorrere inesorabili sul suo volto pallido mentre il gigante ci faceva alzare in piedi con una scrollata.
«Signora maestra…», sussurrai terrorizzato. Lei ci avrebbe salvato, lei avrebbe dovuto salvarci…
La donna mi fissò con uno sguardo truce, quello che si riserva ad un cervo prima che venga ucciso dal cacciatore, uno sguardo senza pietà, senza compassione.
Voltò la testa in direzione dell’uomo con altezzosità pronunciando: «Felix, sai quali sono i tuoi ordini»
In risposta quello sorrise trucemente, sembrava non aspettasse altro. « Ma certo! », esclamò lasciandomi cadere sulla spiaggia ciottolosa e tirando Jane per il polso.
« Lasciala! », urlai sentendola dimenarsi. Lo graffiava, gli mordeva le braccia, ma sembrava resistere a qualsiasi cosa…
Altri uomini si avvicinarono al gigante, portando tra le braccia cataste di legna appena tagliata.
Un orribile presentimento mi gelò il sangue nelle vene.
No, no. No, non poteva essere possibile.
« Il giorno è giunto, miei prodi. Quest’oggi quest’anima assatanata tornerà dal suo padrone! Questa bambina è la figlia del diavolo! Tutte le sue immense cattiverie lo testimoniano, deve morire! », esclamò solenne il prete dalla tunica nera indicando Jane con il dito.
Come potevano credere che fosse stata mandata direttamente dal diavolo? Era così solo perché soffriva…perché non aveva mai ricevuto l’affetto dovuto…
La legna venne accatasta sulla sabbia e le fiamme rosse, calde, potenti, intimidatorie si innalzarono librando pericolose. Tutto era pronto.
…sentiva la mancanza di un amico.
« Jane! », urlai quando cominciarono a legarla. « Io ci sarò sempre per te, sarò sempre quel che vorrai! Voglio essere tuo amico! »
I suoi occhi si riempirono nuovamente di lacrime, brillarono limpidi, un lampo di gioia nel momento più oscuro dell’inferno.
Sapevo che quella frase era completamente inutile, di lì a poco sarebbe morta, ma proprio per questo ci tenevo, sarebbe stata l’ultima volta che mi sarebbe stato concesso di dimostrarle quell’affetto che per tanto tempo le avevo nascosto.
È proprio vero che si capisce il valore di qualcosa solo quando la si perde…?
Scalciai più forte che potevo per poter liberarmi dalla forte stretta di due uomini. Non ci riuscivo, però, nonostante ci mettessi tutto me stesso…era troppo per me.
Anche Jane si ribellava, piangeva, urlava in un modo straziante da far compassione anche al più impassibile degli uomini. Evidentemente quella gente che si trovava lì era peggio.
Dopo averla legata stretta con delle funi, come fosse un salame, le misero un fazzoletto sulla bocca per farla tacere. L’attaccarono ad un altro tronco con le stesse corde, prima che il prete desse la sua ultima ‘benedizione’.
« Pace a te, anima dannata, che tu possa ritrovare la felicità nel regno di Dio! », esclamò solenne l’uomo innalzando le mani al cielo teatralmente.
Poi, l’uomo enorme, con un sorriso sadico sul volto, la buttò tra le fiamme.
Non seppi dire con certezza quale fosse stato l’urlo più agghiacciante, se il mio o il suo.
La vedevo con gli occhi vitrei, infuocati, il riflesso delle fiamme, bruciarsi di un dolore incontenibile. Lo sentivo, lo sentivo in me stesso. Percepivo il suo dolore, le sue scottature…finché tutto non accadde in un lampo.
Improvvisamente tre figure indistinte attaccarono contemporaneamente gli uomini e la maestra, stendendoli tutti in un nanosecondo.
Quando si fermarono riuscii a vederli chiaramente.
Tre uomini…alti, magri…indossavano abiti di uno sfarzo che non avevo mai visto in vita mia. Camicie di pizzo, merletti, fiocchi…non ci potevo credere: erano gli individui che mi aveva descritto Jane!
Nonostante si trovassero davanti quel gigante di Felix, la loro forza era così devastante da riuscire a mettere a tappeto anche lui.
Una volta che tutti furono a terra, me escluso, quello con i capelli neri lunghi fino alle spalle, con una velocità ancora più sorprendente, tirò fuori dalle fiamme mia sorella Jane.
Non scorderò mai la sua espressione in quel momento. Era come pietrificata, mentre la pelle bruciava e si anneriva.
« Aro, devi sbrigarti! », esclamò con enfasi l’uomo dai capelli bianchi.
Quello a cui si era riferito annuì solennemente e si chinò sul corpo di mia sorella…sul suo collo…improvvisamente la morse.
Jane, non appena l’uomo si fu alzato da lei, urlò, scalciò e si dimenò ancor più di prima, al che pensai che i tre non volessero il suo bene, come mi ero illuso precedentemente.
Scattai immediatamente e mi precipitai ai suoi piedi, tentando di tenerle ferme le mani che avevano preso a muoversi impazzite. «Jane!!!! Jane, guardami! Guardami!! », esclamavo preso dalla furia.
I suoi occhi guizzavano, la sua espressione straziante.
« Tu non devi morire, Jane! Non devi morire ! », urlai con il cuore in gola.
Vedevo i suoi occhi farsi sempre più accesi, le pupille dilatarsi in maniera spaventosa mentre gridava.
Ad un tratto, però, sentii degli altri gemiti impazziti, più cavernicoli, da uomo.
Mi girai in fretta, tenendo sempre le mani di Jane ben ferme sui ciottoli.
Davanti a me vi era Felix agonizzante, proprio come mia sorella.
« Che hai combinato, Caius?!?! », esclamò inviperito l’uomo dai capelli scuri.
« Non potevo resistere, Aro. Pensa a cosa potrebbe fare…», disse eccitato e concito quello dai capelli biondo- bianco.
« Di questo parleremo dopo, adesso abbiamo altro da fare » , lo fulminò con uno sguardo denso di sottointesi, prima di rivolgersi a me.
Lo guardai con odio. « Cosa lei hai fatto? », mormorai con le lacrime che, pungenti, minacciavano di sgorgare fuori dai miei occhi in un pianto disperato.
« Non ti preoccupare, la tua sorellina starà bene », rispose sorridente come se parlasse con un poppante.
Mi alzai in piedi furioso stringendo i pugni. « Cosa le hai fatto?!?! »
L’uomo voltò la testa e guardò negli occhi i suoi due compagni; si scambiarono un cenno di intesa, poi si avvicinò a me con passo elegante aggraziato, prima che scomparisse dalla mia vista e lo ritrovassi al collo, proprio mentre lo stava mordendo. Si allontanò immediatamente passandosi il dorso della mano sulla bocca ricoperta di un liquido denso e scuro. Il mio sangue.
Inizialmente non sentii dolore, poi, però, pian piano, un bruciore sempre più intenso si fece largo in me, mi sentivo come divorato dalle fiamme, le stesse che ancora bruciavano lì vicino.
Strepitai e caddi a terra violentemente finendo disteso a pancia in su, con la guancia destra appoggiata al suolo, il volto rivolto verso il mare calmo.
L’ultima cosa che vidi prima di lasciare per sempre la mia vita umana furono quelle stupende biglie colorate rubate da Jane.
Su una in particolare si focalizzò il mio sguardo.
Su di una sola, unica, lontano dalle altre, ma allo stesso tempo più vicina a me.
Qualche piccolo sassolino chiaro ricopriva la sua superficie turchese, il colore degli occhi di Jane.
Sì, quella biglia mi ricordava tanto mia sorella. Era sola…unica…diversa…speciale. Proprio come lei.

 

Ehi...buona sera, carissimi ^^
Questa One Shot ha partecipato al contest indetto da Fabi_Fabi 'Da un'immagine' e si è classificata, ahimé, decima.
Ci ho messo davvero l'anima nello scriverla, proprio perché l'ispirazione riguardo all'immagine scelta non si è fatta di certo attendere. Mi sono sentita subito molto coinvolta nella situazione di Alec e Jane, soprattutto perché mi hanno ricordato quella di Tom Riddle da piccolo e di Mattia e Michela ne 'La solitudine dei numeri primi'.
Spero davvero che vi sia piaciuta, vi abbia fatto emozionare o, se avete un fratello o una sorella, in qualche modo riflettere sul bene che volete loro.
Da parte mia, questa OS, per quanto poco possa essere, la dedico a mia sorella Federica, Freddy Barnes.
A te, sorellona, in onore del profondissimo legame tra sorelle, perchè tu possa capire che per me sei importantissima. 'Non c'è nessun amico come una sorella, e non c'è sorella migliore di te'.
Grazie a tutti di essere arrivati fin qui! ^^
Rencesite, per favore, mi farebbe moltissimo piacere!
Un bacione, Ele

 




   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: thefung