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Autore: Elwerien    20/10/2010    2 recensioni
Vuota, senza senso, dolorosa.
Questa è la vita per Ichigo Kurosaki, Capitano della Quinta Compagnia, e per Rukia Kuchiki, studentessa delle superiori. Due universi paralleli non potranno mai incontrarsi, ma i legami saranno in grado di sconfiggere le barriere?
Per Ichigo e Rukia arriva il momento di sognare.
[Terza classificata al "Try your luck" fanfiction contest del Death&Strawberry forum]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Terza classificata al “Try your luck!” fanfiction contest sul Death&Strawberry forum.



“Chi vedrà la bellezza nella tua vita, e chi sarà lì per ascoltarti quando chiami?”


Soul’s prison

-di Elwerien-

***




Rukia Kuchiki non conduceva una bella vita.
La sua esistenza si basava su una sorta di normalità all’apparenza ben costruita, che veniva però a crollare quando lei si ritrovava da sola, come un castello di carte innalzato da una mano maldestra e tremante. La precisa sensazione di non appartenere al mondo in cui viveva la opprimeva: la grande villa nel quartiere residenziale in cui abitava con suo fratello, la scuola superiore che frequentava, le stesse strade, gli stessi alberi che vedeva, le stesse persone che incontrava e la stessa aria che respirava le sembravano semplicemente al posto sbagliato. O forse era lei ad esserlo: era questo il pensiero che l’aveva presa più volte nelle sue riflessioni. Sì, quel mondo non le apparteneva, e lei non apparteneva a quel mondo.
Ma allora, qual era il suo posto?


Ichigo Kurosaki era un Capitano di successo.
La Soul Society non avrebbe potuto desiderare un acquisto migliore per la Quinta Compagnia. Questa, dopo essere stata a lungo priva di guida, vantava al proprio comando uno shinigami forte, giusto, che non si poteva fare a meno di amare e di ammirare.
Sì, Ichigo Kurosaki era un Capitano di successo, e benvoluto, anche. Non avrebbe potuto volere di più.
Ma più passava il tempo, più sentiva un male funesto raggiungerlo, e puntare dritto al suo cuore. Ne vedeva l’ombra, lo sentiva avanzare; e più avanzava, più comprendeva che quel male era fatto di un vuoto denso e concreto. Mancava qualcosa, nella sua vita, un qualcosa che ancora non riusciva a cogliere.
Ma mancava, ne era certo, e questa certezza lo soffocava.

***


Over there, just beneath the moon,
There’s a man with a burden to keep
Now sleep will fall, washouts, rags and paper bags
Homes and lives passing by.



Quando quella mattina Rukia Kuchiki aprì gli occhi, rimpianse di essersi svegliata. Aveva fatto un bel sogno: era notte e si trovava in un punto sopraelevato della città. Da quella posizione vedeva un quartiere, fra le cui case ne spiccava una con una finestra ancora illuminata.
Ricordava di aver spiccato un balzo molto simile ad un volo, durante il quale si era sentita libera, diretta proprio verso quella finestra… ma si era svegliata. Non avrebbe mai scoperto chi abitava quella casa.
Peccato, pensò, mentre si preparava per andare a scuola. Aveva avuto la sensazione… ma no, non aveva importanza. Era stato solo un sogno.
Eppure, per un attimo aveva pensato che fosse quello ciò che doveva fare, quello il suo scopo, quella la sua missione. Di colpo, senti ancora più accentuata la sua estraneità con ciò che la circondava. Andare a scuola, studiare, prendere dei buoni voti per compiacere quel fratello che tanto non aveva interesse per lei: lo faceva in automatico, in attesa di un cambiamento che –lo sapeva- non sarebbe giunto. Il suo migliore amico, Renji, non era più tale; la loro amicizia si era infranta tempo prima, per ragioni che lei non voleva ricordare. Stava male per questo. Sapeva che sarebbe stato molto difficile far tornare le cose come erano state un tempo, e dentro di sé viveva nel rimpianto di non aver mai recuperato il legame con lui. Accadde quella stessa mattina.


Avere il bankai era il requisito fondamentale per entrare nella rosa dei Capitani, e ad Ichigo Kurosaki non mancava di certo. Il suo Tensa Zangetsu forse non era teatrale e ad effetto come il bankai del Capitano Hitsugaya o del Capitano Kuchiki, ma era forte e veloce, perfetto per uno shinigami diretto come lui. Gli era costato quasi dieci anni di allenamento, ma alla fine ce l’aveva fatta.
Sebbene fosse già passato del tempo da quando era riuscito ad attivare il bankai, spesso Ichigo si svegliava nel cuore della notte, ansante, dopo aver fatto un sogno strano. Si stava allenando con Zangetsu in quella che sembrava una caverna, o un deserto; non riusciva a capirlo bene. Nel sogno, continuava a ripetersi: “… tre giorni… tre giorni…”.
Era una follia, si diceva al risveglio. Nessuno avrebbe mai potuto ottenere il bankai in tre giorni. A quale scopo, poi? Perché quella fretta disperata che avvertiva?
Era una follia, si ripeteva, incapace di dare un significato a quella visione. Era stato tentato di andare da Renji, che si era allenato con lui, per chiedergli il motivo per cui avesse ottenuto il bankai; ma si era trattenuto, dicendosi che se non sapeva rispondere egli stesso a quella domanda, qualsiasi altro parere sarebbe stato inutile. Lui, Ichigo, a quale scopo si era allenato tanto duramente? Qualsiasi risposta gli fosse venuta in mente non giustificava il senso di angoscia che sentiva nel sogno, la necessità assoluta di impiegare soli tre giorni, pena il verificarsi di qualcosa di terribile. Si era allenato, si diceva, per diventare più forte; per diventare Capitano, forse; perché amava combattere; per dare finalmente un obiettivo a quella sua vita che troppe volte gli era sembrata vuota. Ma qualcosa gli diceva che il suo io onirico non sarebbe stato d’accordo con nessuna di quelle motivazioni.
Il senso di vuoto opprimente che lo inseguiva si faceva sempre più vicino. Cos’era, cos’era che mancava? Cosa c’era di sbagliato?


Davanti a scuola c’era più confusione del normale. Molte persone erano in circolo, davanti a qualcosa che lei non riusciva a vedere. Lontano, sentiva il suono di un’ambulanza che si avvicinava.
Rukia tentò di fendere la folla per vedere che cosa stava succedendo, o almeno per guadagnarsi l’entrata. Alcuni piangevano, altri sembravano isterici; intorno a sé, sentiva dei sussurri.
“Sì, è Abarai…”.
Abarai? Renji Abarai?
“Un incidente, pare… la moto…”.
Si fermò, paralizzata, mentre un orribile presentimento la prendeva.
“Sta arrivando l’ambulanza”.
Si sentì mancare.
“Ma se non c’è più niente da fare”.
No.
“Fatemi passare!” cercò di urlare, ma la voce la tradì. Avanzò alla meglio a spintoni, incurante degli altri e di se stessa, finché…
La prima cosa che vide fu una moto, rovesciata e con un fianco completamente distrutto. Lì vicino, una macchina con una parte ammaccata e il motore fumante. Parecchi metri più in là, evidentemente sbalzato dallo scontro, un ragazzo giaceva sull’asfalto in una posizione scomposta, i capelli rossi ben visibili anche da quella distanza.
Renji.
Qualsiasi pensiero avrebbe potuto cogliere Rukia in quel momento, svanì. Qualsiasi reazione avrebbe potuto avere, il suo corpo si rifiutò di compierla. Qualsiasi parola avrebbero potuto scandire, le sue labbra non la presero in considerazione.
Ma, distintamente, sentì la propria voce urlare.


Cos’era stato? Aveva sentito un grido straziante. Ichigo si guardò intorno: era nel campo di allenamento della Quinta Compagnia, completamente solo.
Che l’avesse solo immaginato? No, era impossibile. L’aveva udito chiaramente, quell’urlo: era una voce femminile, e nell’udirla Ichigo era stato colto da una strana sensazione, come se avesse desiderato aiutare quella donna. Eppure non la conosceva, anzi, non aveva neanche la certezza che esistesse.
Aiutare, proteggere, salvare. Esattamente quello che lui non era stato in grado di fare. Sentiva ancora la pioggia di quella sera scrosciare nella sua anima, a ricordargli il suo eterno fallimento e la sua colpa. L’urlo che sua madre aveva lanciato prima di morire a causa sua, rifletté, non era stato molto diverso da quello che aveva appena udito. Nel ricordare quella notte di molti anni prima, quando ancora non era uno shinigami e viveva nel Rukongai, il Capitano Kurosaki si rabbuiò.
Sebbene non fosse stata davvero sua madre –era difficile ritrovare le proprie vere famiglie, una volta morti-, Masaki si era comportata come tale a tutti gli effetti. Ichigo si sedette, la schiena appoggiata ad un albero. Sì, gli aveva fatto da vera madre: era diventata il centro del suo mondo, e alla sua morte, quel mondo ne era risultato devastato.
Era stata colpa sua, lo sapeva, ed era questo che gli faceva più male.
Lasciò che il suo sguardo si perdesse in lontananza. Il cielo era azzurro e sereno, privo di nuvole, così diverso da quello nero e gonfio di pioggia di quella notte.
Si addormentò, cullato dal dolce soffiare del vento. Gemette nel sonno, muovendosi inquieto: stava sognando di nuovo quella notte, e lui non voleva… sentiva la pioggia sulla sua pelle, sapeva quello che sarebbe accaduto dopo… l’avrebbe vista morire, di nuovo…
Un momento. Era diverso.
Lui era a terra, fra le mani una zanpakuto spezzata e due profonde ferite sul corpo: sentiva il sangue che scorreva, letale. Poi, la vide.
Era una ragazza che non conosceva, ma all’istante seppe come si chiamava: Rukia. Gli dava le spalle, parlandogli duramente. Ma quando si voltò, le lacrime che a stento tratteneva gli dissero che quella durezza era una finzione, e seppe per istinto che quell’urlo che aveva udito, prima, era suo. Rukia si mosse verso un portale –per proteggerlo- e sparì alla sua vista. Ichigo rimase lì, sdraiato crudelmente a terra, incapace di fermare il sangue, incapace di fermare la pioggia che cadeva dentro di sé, incapace ancora una volta di proteggere una persona amata.
Il grido che lanciò nel sogno lo svegliò. Rimase, pallido e ansante, a fissare il cielo nuovamente azzurro; e intanto si chiedeva che cosa significassero quei sogni, e dove fosse Rukia –Rukia, ripeté- in quel momento.


Rukia era nella sua stanza, sotto shock. Non era andata a scuola, quella mattina: sarebbe stato troppo. Pallida, era salita sull’ambulanza e aveva assistito, impotente, mentre i medici cercavano di rianimare Renji. Senza riuscirci.
L’attesa in ospedale era stata ancora peggiore. Non sapeva quanto fosse rimasta lì, perché aveva perso la concezione del tempo: nella mente, continuava a rivedere il suo amico d’infanzia riverso sull’asfalto. Quando il medico uscì dalla sala operatoria, non ebbe bisogno di guardarlo negli occhi, né di aspettare che parlasse per sapere che Renji era morto. Renji era morto.
Non erano più amici da anni, eppure le faceva male come se non avessero mai smesso di esserlo. Non era stato un litigio a separarli, quanto un’ineluttabile decisione degli avvenimenti; dentro di sé, qualcosa le aveva sempre detto che un giorno, forse, le cose sarebbero tornate al loro posto. Ne era certa, come se avesse già vissuto quel momento: lei e Renji sarebbero tornati amici, forse grazie all’aiuto di una terza persona.
Ma lui era morto, e in quell’istante Rukia aveva capito quanto ingannevoli erano state le sue sensazioni, quanto deboli le sue speranze.
Rimpianto. Senso di colpa. Dolore. Quel legame che aveva avuto con lui, non lo avrebbe mai più potuto recuperare.
Sprofondò in un sonno inquieto, e sognò che Renji era ancora vivo, e che un ragazzo dai capelli arancioni li aveva appena fatti tornare amici.
Non aveva mai desiderato così tanto che un sogno si avverasse. Ichigo, così si chiamava il ragazzo. Glielo disse il cuore, prima che il sogno si trasformasse in un sonno senza sogni.


Voci di corridoio, per tutta la Seiretei, dicevano che al Capitano della Quinta doveva essere successo qualcosa di grave, perché non era più come prima. Innanzitutto, negli ultimi mesi il suo luogotenente Momo Hinamori lo aveva sentito più volte urlare nel sonno; poi, c’era stato quello strano litigio con il Capitano della Terza Compagnia, Renji Abarai, cosa di cui molti avrebbero voluto conoscere i dettagli.
Era successo tutto qualche giorno prima. Ichigo aveva incontrato Renji ai piedi della lunga scalinata che conduceva alla torre dei condannati a morte, e l’aveva affrontato.
Sulle prime, Renji aveva pensato che il suo migliore amico stesse scherzando, visto che non aveva motivo di battersi con lui. Ma Ichigo, invece, faceva sul serio. Aveva iniziato a brandire Zangetsu con uno stile frenetico e inesperto che non era il suo, urlando che Renji doveva togliersi di torno, perché lui, Ichigo, doveva salvare Rukia.
È impazzito, aveva pensato Renji, cercando di parare i fendenti dell’altro, e chi diavolo è Rukia?
Si era calmato da solo, all’improvviso. Si era scusato. Poi, senza dire una parola, se n’era andato.
Guardandolo allontanarsi, Renji aveva notato che sembrava molto stanco e curvo sotto un peso insostenibile.

Quel peso, Ichigo sapeva bene cos’era. Era il vuoto, quel vuoto che avvertiva da molto tempo ma che non era mai riuscito ad identificare. Adesso aveva un nome: Rukia. Era lei che mancava.
I sogni che si erano susseguiti negli ultimi mesi gli avevano mostrato una strana storia, a cui sulle prime aveva fatto fatica a credere. In quelle visioni, lui era un ragazzo umano di quindici anni con l’abilità di vedere i fantasmi; interdetto, aveva assistito ad episodi veramente singolari. Una shinigami –Rukia– gli aveva ceduto i suoi poteri per permettergli di salvare la sua famiglia. Tutto era iniziato da lì. Avevano vissuto insieme per un po’ di tempo, dando la caccia agli Hollow, fino a quando la Soul Society non aveva richiesto l’immediato rientro di lei e la sua carcerazione. Gli emissari mandati a prenderla erano il Capitano Kuchiki, fratello di Rukia, e il suo luogotenente, Renji Abarai.
Ora, di poche cose Ichigo poteva dirsi certo, ma sapeva con assoluta sicurezza che Byakuya non aveva sorelle, e che Renji non era mai stato luogotenente della Sesta. O almeno, rifletté, non i Byakuya e Renji che conosceva lui.
I sogni proseguivano mostrandogli i suoi tentativi disperati per liberare Rukia prima che venisse giustiziata. E allora aveva capito, guardando il se stesso dell’altra dimensione –perché era di questo che si trattava, un intero universo parallelo- e quella Rukia che non aveva mai visto: un legame unico che non avrebbe potuto descrivere a parole e che lui, il Capitano Kurosaki, non aveva mai vissuto, ma tanto forte da riuscire ad attraversare gli spazi più proibiti. Incantato, aveva visto tutti i tasselli tornare al posto giusto: il suo allenamento per ottenere il bankai in tre giorni allo scopo di poterla salvare, il suo ringraziamento per aver fermato la pioggia. Quella pioggia che per lui, ancora, cadeva.
Perché lui, Rukia, non l’aveva mai conosciuta. L’aveva cercata nel suo mondo, ma si era arreso dopo aver compreso che, semplicemente, lei non esisteva. Non capiva perché, e aveva rischiato di impazzire nel tentativo di trovare una soluzione, disperando di poter far tornare le cose al loro posto –ma poi, qual era davvero il posto giusto?
Poi, si era ricordato di quel pomeriggio in cui aveva sentito la sua voce, di Rukia, urlare. E aveva capito che lei esisteva, ma in un altro mondo ancora, in cui probabilmente era lui a non esserci. Chissà se anche lei aveva sentito, se anche lei aveva capito…?


Non c’era alla scuola superiore di Karakura, e non c’era neanche al negozio di scarpe.
Rukia aveva cercato invano la Clinica Kurosaki: al suo posto aveva trovato un vecchio che vendeva calzature, ma di Ichigo nessuna traccia.
Erano passati sei mesi dalla morte di Renji, da quando i sogni, in un primo momento non richiesti, avevano iniziato a tormentarla. Aveva cercato in tutti i modi di evitare di dormire, col risultato che suo fratello, notate le sue occhiaie e la sua pessima cera, aveva ordinato al maggiordomo di chiamare un medico.
C’era un motivo se Rukia non voleva più sognare. Pensava che i suoi fossero incubi dovuti alla morte di Renji, dal momento che le era già successo prima. Quando andava alle elementari, il suo maestro di kendo, Kaien Shiba, era rimasto ucciso a causa sua.
Aveva creduto di impazzire. Erano seguite notti terribili, in cui il volto di Kaien, orribilmente sfigurato, la inseguiva, e lei era costretta ad ucciderlo ancora una volta con una spada. Adesso, aveva paura di vedere invece Renji, trasfigurato e irriconoscibile, e non voleva assolutamente macchiarsi l’anima della colpa di un’altra morte. Ma dovette ricredersi quando, sfinita, si addormentò. E allora non vide Renji che tentava di ucciderla, ma Ichigo, e man mano che continuava a sognare vide altre cose che non aveva mai immaginato, e che forse non avrebbe mai dovuto sapere.
Non perse tempo a chiedersi se stesse diventando pazza. Le tornò invece in mente quello che aveva sempre sospettato: che quel mondo in cui viveva non era il suo mondo. Che la normalità apparente che offriva agli altri senza pensarci non era la normalità che intendeva lei, e nemmeno quella che avrebbe voluto il suo alter ego di quel mondo altro su cui riusciva ad affacciarsi ogni notte. Né quella che Ichigo Kurosaki le aveva offerto.
Rukia non si era aspettata veramente di trovarlo, quando l’aveva cercato. Ma nondimeno, aveva provato. La soluzione, quella non c’era: semplicemente, Ichigo non esisteva.
Ma c’era un mondo in cui era lei a non esistere, in cui lui viveva?
Rukia Kuchiki, quindici anni, studentessa delle superiori, sorella di sangue di Byakuya Kuchiki, avrebbe giurato di sì.
Si chiedeva anche se suo fratello avesse un motivo per trattarla freddamente, come il Capitano Kuchiki della Sesta. Ma, rifletté amaramente, così come Renji era morto senza che la loro amicizia fosse tornata, dubitava che la sua relazione con Byakuya sarebbe mai migliorata.
Mancava l’elemento fondamentale per farla vivere.


Who will see the beauty in your life
And who will be there to hear you when you call
Who will see the madness in your life
And who will be there to catch you if you fall.



Zangetsu scintillava.
Ichigo impugnò la sua zanpakuto, fece qualche affondo come per allenarsi, poi la posò e si sedette, la schiena contro un albero.
Allenarsi? Per cosa, poi? Tutto aveva perso un senso. La sua vita, non era nemmeno sicuro che fosse reale. Non sapeva perché gli fosse stato permesso di vedere nell’altra dimensione –ma poi, come poteva dire che esistesse davvero? E se fosse stata tutta un’invenzione della sua mente?- ma ora che sapeva quello che c’era, quello che esisteva dall’altra parte… sbatté il pugno in terra. La veste da Capitano, ora, gli sembrava inutile. Il bankai senza valore, perché ottenuto senza motivo. La sua vita, assolutamente priva di senso.
Sentì dei passi avvicinarsi; era una persona che conosceva. Non alzò lo sguardo. Sentì delle parole, delle frasi. Gli chiedeva di fare qualcosa, qualcosa che aveva a che fare con i suoi doveri di Capitano; ma Ichigo non rispose, e la persona se ne andò.
Non valeva più la pena di fare niente.

Fissava il libro senza capirlo.
Il campo elettrico è la modificazione dello spazio circostante una carica…
Storia non era esattamente la sua materia preferita.
“Quando si parla di lavoro del campo elettrico bisogna considerare la già nota formula L=Fs”.
Guardò la pagina perplessa: era fisica.
Chiuse il libro, rassegnata.
All’Accademia degli Shinigami avrebbe frequentato lezioni di kido e di scherma; sapeva di non avere avuto una vita facile, in quel mondo parallelo, ma nondimeno era diventata shinigami, e aveva incontrato Ichigo.
Un’infinita tristezza la prese. Avrebbe voluto trovare il modo di alzarsi e combattere, ma incredibilmente scoprì di non esserne capace.

La voleva incontrare, la voleva trovare. E il pensiero di quanto ciò fosse impossibile lo uccideva.

Incontrarlo, poterlo finalmente guardare negli occhi e sentire la sua voce non attraverso l’eco del ricordo di un sogno.

Nello stesso istante, in due universi differenti, due persone dalle anime intrecciate chiusero gli occhi, e nello stesso istante scivolarono nell’abbraccio del sonno.

Ichigo non vide nessun ricordo appartenente ad un’altra vita. Ma, in lontananza, la vide.

Era tutto nero, e Rukia comprese che quello non era un sogno come gli altri.
Ma, in lontananza, lo vide.

Era bella. Era lei.
Era Ichigo. Era davvero Ichigo.


Dreams run wild, as lovers find their way through the night
Not a care in the world
And over there, oh the twinkling of the lights, harbor lights
Say goodnight one more time.
[Beauty and madness –Fra Lippo Lippi]


C’è un momento, nella vita della nostra galassia, visibile sono in alcune zone della Terra, in cui due astri si incontrano. In quell’istante, la luna bianca fa diventare il sole nero.
Non dura a lungo. Non si ripete spesso. È inaspettato, strabiliante, senza senso, privo di ogni logica all’occhio umano.
“Ichigo”.
“Yo”.
Non dovettero scambiarsi molte parole. Non furono necessarie spiegazioni, perché non c’era nulla da spiegare: i loro sguardi parlavano da soli, e le vite, le loro vite, le uniche degne di essere ricordate, già le conoscevano.
D’un colpo, per Ichigo e Rukia fu tutto chiaro. L’incresciosa sensazione di inadeguatezza e sconforto che li aveva presi sin dal loro ingresso nei loro mondi stravolti, svanì. Non sarebbero riusciti ad esprimere a parole quello che provavano, ma sentivano che tutto andava bene. Il loro universo poteva anche girare dalla parte sbagliata, poteva anche essere distorto, le loro esistenze potevano ben essere cupe e senza senso; eppure, sapevano che da qualche parte il mondo era splendente, e che si conoscevano, e che le loro vite erano sì degne di essere vissute.
Sì, tutto andava bene.
Come in uno specchio, le loro mani si sollevarono, ma al momento di sfiorarsi, incontrarono nella muta aria il più grande ostacolo: non erano in grado di toccarsi. Non poterono fare altro che continuare a guardarsi, continuare a perdersi l’uno negli occhi dell’altro. Sapevano che, al loro risveglio, avrebbero rimpianto ogni istante.
“Sono felice di averti incontrato”.

Della vita di Ichigo Kurosaki nessuno aveva mai visto la bellezza.
Tutti lo ammiravano e rispettavano come un forte Capitano; nessuno aveva mai visto al di là dell’haori bianco, che a volte sembrava pesargli sulle spalle. Sua madre, l’aveva persa molti anni prima, e l’unica persona che aveva mai considerato come un padre non aveva tardato a raggiungerla. Di amici veri, Ichigo ne aveva pochi. Renji era uno di quelli, ma aveva sempre avuto la sensazione che alla loro amicizia mancasse il necessario legame, come se questa non si fondasse su qualcosa di solido. Poi aveva la sua amica d’infanzia, Tatsuki, con troppo poco potere per diventare shinigami, e i suoi compagni di corso Chad e Inoue, entrambi arruolati in altre compagnie. Escluse queste persone, Ichigo non aveva nessuno, e lui aveva sempre avuto la sensazione che nessuno sarebbe mai riuscito a cogliere, di sé, nulla di più al di là della facciata che offriva. Lui per primo non avrebbe saputo dire se quello che si nascondeva all’interno della propria anima fosse bello o brutto, meraviglioso o spaventoso; ma sapeva che a mancare era proprio quella persona che avrebbe colto, della sua vita, unicamente una profonda bellezza.

Rukia Kuchiki aveva più volte chiamato, nella sua vita, ma nessuno era mai stato ad ascoltarla.
Non ricordava di avere mai avuto dei genitori, o, perlomeno, non dei genitori presenti. Quanto a suo fratello, già di molto più grande di lei, lui non l’aveva mai tenuta in grande considerazione. Raramente si era voltato quando l’aveva chiamato, e sempre le aveva risposto con uno sguardo gelido.
Kaien era stato forse l’unico con il quale si era sentita veramente viva, ma era morto troppo presto, e soprattutto era morto per colpa sua. Quando, dopo averlo visto a terra insanguinato, aveva gridato il suo nome, lui non si era voltato. E non l’avrebbe mai fatto.
Renji era stato il suo unico amico, ma era stato disposto a lasciarla andare, e il legame che li aveva uniti si era spezzato per sempre con quell’incidente fatale.
Sì, nella vita, Rukia aveva sempre cercato –senza mai trovarla- quella persona che l’avrebbe ascoltata, e che forse avrebbe anche chiamato il suo nome.


Non più di qualche istante per l’eclissi di sole, istanti valsi come due intere vite.
“Sono felice di averti incontrata”.
Quando Ichigo e Rukia sentirono le gelide morse del risveglio allungarsi verso di loro, sapevano che avrebbero poi rimpianto ogni istante di quel breve incontro. Quando le loro immagini cominciarono a svanire, provarono un muto terrore di fronte alla comprensione che quello sarebbe stato l’ultimo sogno, e che mai più i due universi avrebbero potuto incontrarsi. Ma al pensiero di dover lasciare all’altro un’ultima immagine di sé, entrambi sorrisero pronunciando il loro addio, e alla paura si sostituì la speranza: ora che avevano capito, sarebbero andati avanti.

Svanirono, attendendo il giorno –o il mondo- in cui finalmente avrebbero potuto stare insieme e le loro mani avrebbero potuto sfiorarsi.


***


“Ma Rukia non è l'amante di Ichigo o parte della sua famiglia, ed è sbagliato dire che siano solo amici. E' come se ci fosse qualcos'altro che si trova in un'altra dimensione".
-Morita Masakazu, doppiatore giapponese di Ichigo Kurosaki-




Note
Sarò sincera, questa fanfiction non mi ha mai soddisfatta xD Ero tentata di non pubblicarla, ma poi ho deciso di sì.
Mi è stato fatto notare nel giudizio (grazie, Ari!) che come long fiction avrebbe delle potenzialità maggiori. Sono d’accordo, infatti non nego la possibilità di trasformarla in una storia a capitoli, più avanti, perché tutto sommato l’idea era abbastanza buona e sono io che non l’ho sfruttata a dovere. Al momento però sono impegnata in una traduzione (“The Pirate Queen” di RukiLex, andate a leggerla!! +_+), sto progettando un’altra AU e per di più sto per iniziare l’università, quindi il progetto è rimandato a data da destinarsi! Per ora vi tocca sorbirvi la one-shot =P
Grazie per aver letto e doppio grazie se avete intenzione di lasciare una recensione ^^
Ne approfitto per fare i complimenti a Win e ad Hasea che sono arrivate rispettivamente seconda e prima!
El*
   
 
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