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Autore: Nerween    21/10/2010    4 recensioni
(TAKE THAT)
C’è chi penserebbe che Hold On sia una canzone d’amore.
In effetti, lo è senza dubbio.
Ma Mark Owen aveva in testa quella canzone da ben prima del ritorno dei Take That nel 2006.
L’aveva sempre avuta dentro, ma non era mai riuscito davvero a farne un qualcosa di concreto.
Finchè tutto non era ritornato al suo posto.
E il destinatario non poteva essere che lui. Il suo Gary Barlow.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hold on


C’è chi penserebbe che Hold On sia una canzone d’amore.
In effetti, lo è senza dubbio.
Ma Mark Owen aveva in testa quella canzone da ben prima del ritorno dei Take That nel 2006.
L’aveva sempre avuta dentro, ma non era mai riuscito davvero a farne un qualcosa di concreto.
Finchè tutto non era ritornato al suo posto.
E il destinatario non poteva essere che lui. Il suo Gary Barlow.



Los Angeles, estate 2006.
Calda, afosa, odiosa estate. Mark odiava l’estate, almeno quelle estati in cui non c’erano i concerti. E l’ultimo vero concerto era stato nel lontano 1995, con i Take That. 
Mark odiava l’estate perché era un pessimo momento per scrivere, almeno per lui. Il caldo ti buttava giù, l’afa ti uccideva e non avevi mai l’umore giusto per prendere la penna e scrivere un dannatissimo verso di canzone. La pigrizia prendeva il sopravvento.
Ma quell’estate non sarebbe stata così. Il perché era più che chiaro: finalmente, dopo dieci anni di silenzio, i famosi Take That, la mitica boyband degli anni ’90, tornava ad incidere. Senza Robbie, ma c’erano.
Lui, Gary, Jason e Howard si erano visti così spesso durante l’ultimo anno, avevano fatto un documentario e un tour insieme, che sarebbe stato impossibile non tornare. La voglia di far vedere alle persone che non erano affatto quei ragazzini belli ma buoni a nulla era più forte di qualsiasi cosa, persino della pigrizia che portava l’estate.
E Mark era davvero felice di ricominciare a lavorare, anche se durante quegli anni non aveva mai smesso di farlo. Aveva composto, e anche molto, ma i suoi album non avevano avuto “il successo che meritavano”, come gli aveva ripetuto mille e mille volte Robbie.
Era rimasto molto in contatto, con Robbie. Forse più con lui che con gli altri. Ogni tanto lo chiamava e gli diceva «Ehi, Owen, una partitina a calcio?», per poi finire a parlare di tutt’altra cosa del calcio.
Doveva ammetterlo, Robbie aveva comprato tutti gli album di Mark e gli aveva sempre detto che lui, alla fine, aveva avuto solo molta fortuna con la sua carriera solista, perché lo stile di Mark era giusto. 
«Sono le persone a non essere giuste, amico» gli disse una volta «Per esempio, guarda! Ascoltano la merdaccia che scrivo io!»
Ma in quell’occasione Robbie era completamente sbronzo, quindi Mark non sapeva che pensare di quelle parole. 
Con Jason e Howard, c’erano state sì e no due, tre visite, dopodichè nulla di più. Howard aveva ripreso la sua carriera da DJ, Jason aveva fatto un po’ di tutto. La verità era che la separazione nel 1995 e il successo enorme che aveva avuto Robbie Williams aveva gettato un’ombra su di loro, ed erano tutti troppo imbarazzati dalle loro carriere fallite. 
Ma quello che ci era rimasto più male era sicuramente Gary. 
Mark l’aveva sentito spesso, Gary. L’aveva aiutato molto nella composizione di alcune canzoni dei suoi album. Era un po’ come un diversivo, per distrarsi dalla realtà che l’aveva distrutto.
Mark lo sapeva, cosa aveva passato Gary. Sapeva che lui era quello che ci teneva più di tutti i Take That alla sua carriera, alla sua musica. E vedersi battere dal componente più giovane, inesperto, arrogante e troppo pieno di sè l’aveva fatto cadere in una grande depressione, da cui aveva cercato di uscirne, come ormai fa ogni superstar che si rispetti, attraverso l’alcool. 
Mark gli avrebbe voluto stare vicino. Avrebbe voluto prenderlo per mano, come due vecchi amici, cingergli una spalla e sussurrargli qualche battuta squallida all’orecchio, come facevano da ragazzi. Così gli aveva proposto di aiutarlo nella sua musica, e Gary aveva accettato. Si erano trovati in una stanza insieme, da soli, e avevano composto davvero tanto. Anche se alla fine gli album di Mark avevano avuto solo un discreto successo, ma ne era valsa la pena, perché Gary aveva ritrovato quel motivo in più per sorridere, e anche se non attraverso la sua musica, l’aveva fatto attraverso quella di Mark, e questo non gli dispiaceva per nulla, perché con Mark c’era sempre stato quel grande legame di affetto, quasi amore. Ricordavano entrambi le cazzate fatte insieme quando erano ancora ragazzini, all’apice del loro successo, inconsapevoli di quanto quello che si stava creando fosse molto più grande di quello che potessero immaginare. E poi era tutto crollato, perché ognuno voleva continuare da solo.
Un’azione da stupidi, a vederla dopo dieci anni, quando tra di loro solo Robbie Williams era diventato il nuovo principe del pop. 
Ma nessuno si era pentito di quella scelta. Erano maturati e pronti per tornare alla carica, come una forza interna a cui non puoi sottrarti, che ti spinge anche contro la tua volotà. Ma la cosa diversa era che tutti e quattro VOLEVANO trovarsi lì, in quella stanza, a ricominciare esattamente dove si erano fermati. A dire alla gente «Ehi, guardate, noi siamo ancora qui!»
Era una sfida contro le critiche, ma loro l’avrebbero vinta.
I sentimenti che muovevano Mark in quel momento erano pura adrenalina ed eccitazione. 
Era estate, una calda, afosa, odiosa estate, ma a lui non poteva importare di meno. Aveva già tutto in mente, bastava mettere su carta quello che gli era frullato nella testa da sempre, anche se lui non lo sapeva. Se n’era reso conto da quando, da un’anno a quella parte, aveva ripreso i contatti con i Take That sempre più frequentemente. 
Da quando era di nuovo in contatto con Gary. 
In fondo, non lo vedeva da solo una settimana circa, da quando si erano messi d’accordo per tornare a lavorare. La grandezza dell’evento faceva scorrere i giorni d’attesa come il sale in una clessidra enorme. 
Fermò la sua auto nel grande parcheggio di quella villa, messa proprio a completa disposizione per loro quattro.
Tra le auto già parcheggiate riconobbe quella di Gary, e gli venne spontaneo sorridere. 
Salì di corsa le scale, impaziente di rivedere l’oggetto dei suoi pensieri. Si trovò nell’enorme stanza illuminata da una grande finestra a tende rosso scuro. La tappezzeria era d’appertutto di quel colore, in stile nobiliare. Ma sembrava che per Mark l’unica fonte di luce provenisse dall’angolo destro della stanza, sul divano, e che avesse i capelli biondi e gli occhi azzurri, e un sorriso così smagliante da trasmettere gioia solo a guardarlo.
Mark corse incontro a Gary che si alzò, e lo strinse in un forte abbraccio. Era così felice di rivederlo, così felice di essere tra le sue braccia, così felice di sentire il suo profumo, così felice di vederlo sorridere, finalmente.
Si staccò dal lungo abbraccio, e salutò anche Howard e Jason, di cui aveva appena notato la presenza. 
«Si ricomincia» disse Gary. Era così felice di riprendere a lavorare con loro, con i suoi amici, Mark lo sapeva. Felice che almeno per una volta non ci fosse qualcuno di indesiderato, chiamasi Robbie Williams. Aveva preso più che bene la decisione di Robbie di continuare con la sua carriera da solista. Tutti lo erano stati, sapevano che in quattro avrebbero fatto meglio.
Senza timori, presero la matita e cominciarono a scrivere quello che era stato dentro di loro per dieci lunghi anni. 
Mark pensò a Gary, e cominciò a scrivere di lui.

Non era mai rimasto così a lungo in una stanza. Era da quella mattina che si trovava lì e non era mai uscito, se non per andare al bagno. 
Jason se n’era da poco andato e Howard l’aveva seguito, salutando Mark e Gary e augurando loro una buona notte. In effetti era abbastanza tardi, ma Gary vedeva Mark ancora così indaffarato, su una canzone che lo bloccava dall’intero pomeriggio.
Si affacciò alla finestra e appena vide l’auto di Howard svoltare l’angolo e sparire completamente dalla sua visuale, si avvicinò a Mark.
Gli passò una mano tra i capelli biondo cenere. Quanto gli era mancato farlo.
Mark alzò lo sguardo e gli sorrise.
«Scommetto tutto quello che vuoi che li hai tagliati di nuovo, dalla settimana scorsa» gli disse Gary.
«Vorrei tanto che tu avessi perso la scommessa, ma hai ragione, Mr. Barlow.»
Gary scoppiò a ridere e si sedette vicino a lui, cingendogli le spalle col braccio «E se avessi perso, cosa mi avresti fatto pagare, sentiamo.»
Mark sorrise malizioso «Be’, hai scommesso su qualsiasi cosa. Un… pegno da farti pagare l’avrei trovato, prima o poi.»
Restarono ancora un po’ in silenzio.
«Perché non torni a casa? E’ tardi, abbiamo ancora tanto tempo per scrivere» gli disse Gary.
«Non me ne andrò prima di aver finito questa canzone.»
«Sembra importante.»
«Lo è» confermò Mark, cercando di risultare naturale.
Non voleva dirgli che stava scrivendo una canzone dedicata a lui. Dedicata a quello che aveva passato durante il suo periodo buio, e di quanto volesse essere per Gary un’ancora di salvezza per tornare a sorridere di nuovo come un tempo, per fargli capire che lui c’era, era lì per consolarlo. Era lì per amarlo.
«Posso leggerla?» gli chiese Gary.
Mar acconsentì e gli allungò il foglio. Si morse le labbra mentre vedeva il volto di Gary cambiare espressione leggendo ciò che aveva scritto. Non era stupido, aveva sicuramente intuito che quella canzone aveva qualcosa a che fare con lui.
«E’ molto bella» riuscì a dire Gary, la voce incrinata «E’ riferita a qualcuno… in particolare?»
Mark lo guardò dolcemente e gli spostò il ciuffo dalla fronte, «Sì, a qualcuno di importante. Di molto importante.»
Restarono in silenzio, mentre la temperatura si abbassava e il cielo fuori si scuriva definitivamente per la notte.
«Non sai quanto mi sei mancato, Gaz» disse poi Mark, a bassa voce «Non sai quanto avrei voluto starti vicino mentre stavi male. Avrei voluto abbracciarti, stringerti, avrei voluto sbatterti questo testo davanti agli occhi e dirti “Cazzo, Gary, ci sono io! Potremmo fare tutto insieme, se solo ti aggrappassi a me. Io e tu, e basta!”»
Ce l’aveva con se stesso, per non essere riuscito ad aiutarlo prima, oppure per averlo fatto solo in parte. 
Ed ora, cosa poteva fare? Solo scrivergli una… canzone. La cosa che gli riusciva meglio. Forse l’unica.
«Mi sono sentito così inutile.» disse infine.
Gary lo guardò, e stavolta fu lui a spostargli il ciuffo ribelle dalla fronte.
«Sei uno stupido, stupido nano, Owen. Possibile che tu non abbia capito che è grazie a te se adesso sto così bene? Stamattina, quando sei arrivato, quando ci siamo abbracciati, mi sono sentito realmente a casa. E mi hai aiutato, sempre.»
Come poteva spiegarglielo? Come poteva fargli capire che per lui Mark era stato davvero fondamentale nella sua vita?
«Me la canti?» disse Gary, indicando il testo della canzone.
Mark lo guardò stranito, prese la chitarra e cominciò a suonare i primi accordi di quella melodia lenta e dolce che aveva composto.
Non guardò mai gli appunti. Restarono così, uno di fronte l’altro, fissandosi. Mark chiuse gli occhi e cominciò a cantare.
La canzone ripeteva più volte l’espressione Hold On. Reggiti, tieniti stretto. Era proprio quello che voleva comunicare a Gary, per fargli capire che su di lui poteva contare.
I don’t wanna see you hurting, just hold on, just hold on to me.
I don’t wanna see you crying, just hold on, just hold on to me.
Non voleva più vederlo soffrire, non voleva vederlo piangere. Voleva sentirsi utile, voleva che Gary si aggrappasse a lui, voleva che piangesse sulla sua spalla, voleva consolarlo.
Ma quelle parole non gli erano mai uscite prima. Le aveva dentro da troppo tempo, ma non era mai riuscito a dirgliele, a cantargliele.
Gary lo abbracciò. Esattamente come quella mattina. Esattamente con la stessa emozione, ma con un sentimento così diverso. Di riconoscenza, come a dirgli «Grazie, non ce la facevo più da solo. »
Mark accolse Gary tra le sue braccia, quasi avesse sempre saputo che sarebbe successo prima o poi.
«Grazie» gli sussurrò Gary all’orecchio.
«Ti amo» disse Mark.
Gary rimase un attimo spiazzato, poi capì.
Era, si disse, la sottile linea che separava l’amore dalla forte amicizia. Sapeva che loro due si trovavano all’esatto centro di quella linea, in bilico tra le due forze, ma perfettamente in equilibrio.
Era una calda, afosa, odiosa estate, e nessuno di loro due avrebbe voluto trovarsi in un posto diverso. 
«Hold on, Gary. Just hold on to me.»
 
   
 
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