Dedico
questa storia a MyRose, una lettrice
preziosa ma soprattutto un’amica…
Capitolo
1
Piove
a dirotto.
Le
gocce si infrangono sul marciapiede
formando pozzanghere torbide e fangose.
Ho
freddo.
Mi
stringo nel cappotto per scaldarmi, ma
è fradicio.
Non
mi sorprende, aspetto sotto la
pioggia da ore.
Aspetto
di trovare la forza necessaria
per attraversare la strada e varcare la cancellata di ferro battuto
oltre cui
si staglia l’edificio di mattoni bianchi.
Aspetto
di sentirmi dire ciò che so già
ormai da un mese.
Lui
è morto.
Non
riesco più a versare una lacrima a
quel pensiero. Le mie lacrime le ho piante tutte quando né
ho avuto la
certezza, quando ho capito che dal Giappone non sarebbe mai
più tornato.
Il
dolore non è più schiacciante come
all’inizio. Non mi toglie il respiro. Non mi fa svegliare nel
cuore della notte
piangendo e urlando.
E’
diventato piuttosto una costante,
qualcosa che fa parte di me. Mi ci sono abituata.
Lo
preferivo prima.
Almeno
mi faceva sentire viva.
Ora
a malapena mi accorgo di esistere.
*
“Lei
è Emily?” Mi domanda un anziano
signore accogliendomi all’ingresso.
Rispondo
con un cenno affermativo.
“Sono
Roger.” Si presenta porgendomi la
mano.
Io
la ignoro, indifferente a quella
formalità e annuisco nuovamente.
“Mi
dispiace.” Mormora distogliendo lo
sguardo dal mio viso.
Non
piace a nessuno soffermarsi sui miei
occhi vuoti.
“Mi
segua.” Aggiunge voltandomi le
spalle.
Lo
assecondo, riempiendo il parquet in
legno chiaro di impronte bagnate.
Non
mi guardo intorno.
So
dove mi trovo.
Lui
in questo posto ci ha trascorso
l’infanzia.
Un
tempo sarei stata curiosa di visitarlo,
ora voglio solo andarmene il più in fretta possibile.
Non
voglio immaginarlo da bambino, non
voglio pensare al suo passato ora che non esiste più.
Nonostante
il fuoco che scoppietta nel
camino, ho ancora più freddo di prima.
“Si
accomodi.” Mi invita l’uomo venendomi
inconsapevolmente in soccorso.
Mi
siedo sul divano che mi ha indicato,
senza ringraziare.
“
Devo prima occuparmi di una faccenda,
abbia pazienza per qualche minuto.” Mi informa gentilmente,
prendendo posto
dietro una scrivania.
“D’accordo.”
Replico io.
Lui
sembra stupito di sentire la mia
voce.
Forse
perché è un po’ fuori uso e suona
rauca.
In
quel momento si apre la porta ed
entrano due ragazzini.
Il
singolare connubio di somiglianza e
contrasto tra loro, attira incredibilmente la mia attenzione.
Il
primo è ritto in piedi, davanti al mio
ospite. Veste completamente di nero e porta i capelli biondissimi in un taglio insolito per
un ragazzo, le
pupille degli occhi azzurro chiaro sono ridotte a capocchie di spillo.
Trasuda
agitazione e impazienza da ogni poro, mentre stacca sistematicamente a
morsi
pezzi da una barretta di cioccolato che stringe tra le mani.
Il
suo compagno al contrario è talmente
impassibile da sembrare apatico. La parola più adatta per
descriverlo è
“bianco”. Tutto è bianco in lui, dai
capelli, agli indumenti. Persino il puzzle
in cui si è cimentato accoccolandosi a terra è
immacolato.
Qualcosa
in entrambi mi fa venire in
mente…Lui.
Desidero
andarmene, ma non ci riesco.
Così rimango a osservarli e torturarmi, vittima del mio
stesso masochismo.
“L
è morto.” Annuncia il mio ospite con
voce grave.
Quella
dovrebbe essere una doccia fredda.
Dovrei soffrire in maniera indicibile..Ma è peggio
guardare…Loro.
Il
biondo ha una reazione violenta. Dapprima
è quasi incredulo, poi grida e malmena Roger
finché quest’ultimo non lo prega
di smettere.
L’altro
ragazzino non pare turbato.
“
Chi non finisce il gioco, chi non
risolve il puzzle, è solo un perdente.” Commenta
con distacco.
Sento
l’impulso improvviso di sbattergli
quel faccino inespressivo sul pavimento. Magari senza incisivi non
avrà voglia
di sciorinare altre perle di saggezza. Lo odio. Detesto
l’indifferenza con cui
ha accolto la notizia. La sua facilità nel giudicare mentre
si trastulla con
uno stupido giocattolo pur sapendo che Lui..E’ stato ucciso.
Scatto
in piedi e faccio per infilare la
porta, prima di cedere alla tentazione di riempirlo di sberle.
Mi
trattengo unicamente perché è poco più
di un bambino.
E
perché quegli occhi grandi e scuri mi
ricordano troppo…I Suoi.
“Aspetti,
la sua parte di eredità...”
Tenta di fermarmi l’anziano signore.
“Non
me ne frega un cazzo.” Ribatto
scandendo ogni sillaba.
Nessuno
replica.
“Tenetela
voi.” Aggiungo prima di uscire.
*
Di
nuovo sotto la pioggia.
Mi
butto praticamente in mezzo alla
strada e un’ auto non mi travolge per un soffio.
Ignoro
le imprecazioni che mi rivolge il
conducente e mi lascio cadere su una panchina.
L’ira
da cui sono pervasa mi fa respirare
convulsamente, il mio petto si solleva e si abbassa, senza tregua.
Ho
le nocche livide tanto stringo i lembi
del cappotto. Le mascelle serrate dolorosamente.
Vorrei
piangere, ma come al solito non ci
riesco. I miei occhi restano irrimediabilmente asciutti.
Anche
se la vista di quel marmocchio sentenzioso
mi ha trafitta come una pugnalata nello stomaco, non una sola lacrima
liberatoria scende per donarmi un briciolo di sollievo e liberarmi in
parte del
dolore incancrenito che porto dentro di me come un tumore maligno.
La
soluzione è una sola. Vedere la feccia
che ha tolto la vita a chi amavo più della mia in mano a un
boia.
Ma
la crudele evidenza mi colpisce in
maniera lampante:
Se
Lui non è riuscito a risolvere quel
caso, nessun altro potrà.
Mi
aggrappo disperatamente all’ultima
esile scintilla di rabbia che provo e poi sprofondo nuovamente nel
nulla.
*
Non
so quanto tempo trascorre, ma d’un
tratto una figuretta nera che sbuca fuori dal cancello della
Wammy’s House, mi
riporta alla realtà.
Tento
di metterla a fuoco nonostante la
pioggia fitta.
Si
tratta del ragazzino che ha dato in
escandescenze. Noto che porta una sacca appesa alla spalla con
sé. Chissà dove
è diretto senza manco uno straccio di ombrello pure lui.
“Hey!”
Mi ritrovo a chiamarlo senza un
motivo, tanto per fare qualcosa.
Sembra
non avermi sentita.
“HEY
TU!” Grido più forte, ma non ottengo
alcun risultato.
Intestardita,
mi alzo e corro per
raggiungerlo. Gli abiti intrisi d’acqua sono diventati
pesanti e fastidiosi da
tenere addosso, ma cerco di non badarci.
Cammina
a passo spedito, senza voltarsi
indietro.
“Aspetta!”
Ritento, col fiato corto per
la corsa.
Finalmente
si ferma e si volta verso di
me.
Ha
un’espressione insofferente, ma mi
accorgo che i suoi occhi chiari sono arrossati, come se avesse appena
pianto.
Lo
invidio.
“Cosa
vuoi?” Mi apostrofa sgarbato.
Non
mi stupisco di vedergli in mano
un’altra barretta di cioccolata.
La
sua domanda però mi
coglie impreparata, effettivamente non so
cosa voglio.
Lo
studio per qualche istante.
Nel
mentre lui stacca un morso dalla
tavoletta.
“Dove
vai?” Gli domando poi, eludendo il suo
quesito.
“Fatti
gli affari tuoi.” Sbotta ostile.
“Piove
e sei senza ombrello.” Osservo
senza fare caso alla sua scortesia.
“
Perché tu ne ha hai uno?” Mi fa notare
con sarcasmo.
Probabilmente
si aspetta che replichi, ma
non lo faccio.
Mi
regala un’occhiata sprezzante e
accenna ad allontanarsi, ma lo blocco tagliandogli la strada.
“Vuoi
lasciarmi in pace?” Urla
provando ad apparire minaccioso.
Se
non fosse poco più di un moccioso
riuscirebbe nel suo intento. E’ palesemente collerico e
facile ad infiammarsi.
Molto
diverso da…Lui.
Questo
mi rassicura.
“Ti
ho solo chiesto dove stai andando.”
Ripeto piatta.
Mi
scruta torvo.
“Ci
sto pensando.” Ammette visibilmente
seccato.
“Quindi
non tornerai là.” Constato
riferendomi all’istituto alle nostre spalle.
Risponde
con uno sbuffo, poi stacca un altro pezzo di cioccolato.
Lo
prendo per un sì.
E
un’idea folle si affaccia nei miei
pensieri intorpiditi.
Dopotutto
conosco i criteri con cui gli
orfani della Wammy’s House vengono selezionati.
Se
il ragazzino che ho di fronte ci ha
vissuto fino a quel momento, deve essere dotato
dell’intelligenza sufficiente
ai miei scopi.
“
Ti offro vitto e alloggio, se tu scopri
chi..Lo ha ucciso.” Gli propongo con la voce che si incrina a
fine frase.
Non
riesco a pronunciare il suo nome, si
blocca a metà della mia gola, senza riuscire a risalire.
Lo
stupore aleggia per un attimo sul suo
viso.
“Sei
pazza.” Butta lì poi, recuperando
l’aria strafottente.
“
Può darsi che lo sia. Quel che è certo,
è che tu stanotte la passerai
all’addiaccio.” Ribatto.
Un’ombra
di esitazione gli attraversa gli
occhi azzurri.
“Non
è a me che devi rivolgerti, è il
numero uno che se ne occuperà d’ora in
poi.” Commenta amaro.
“
Se alludi al nanerottolo vestito di bianco
non voglio saperne.” Obietto.
Le
sue labbra per la prima volta si
aprono in un sorriso. Un sorriso che non ha nulla di gioioso.
E’ più un ghigno.
Fa un po’ impressione su quei lineamenti ancora
così infantili.
“Affare
fatto.” Accondiscende. Pare provare
un improvviso moto di simpatia nei miei confronti.
“Bene
ragazzino, chiamiamo un taxi. Non
mi va di doverti accudire come una balia perché ti sei
beccato una polmonite.”
Esclamo.
Siamo
entrambi zuppi.
“
Mi chiamo Mello.” Rettifica lui,
infastidito.
“
Quanti anni hai Mello?” Gli chiedo
enfatizzando il suo nome. Che senz’altro non è
quello vero.
“Quasi
quindici.” Risponde controvoglia.
“Uh
ormai sei un ometto.” Lo irrido.
“Non
prendermi per il culo!” Mi ingiunge
irritato.
Scoppio
in una risata priva di allegria.
*
Ci
sistemiamo alla male peggio nella mia
camera d’albergo.
Al
mio arrivo a Winchester il giorno
prima, ne ho scelto appositamente uno dimesso per non essere
infastidita da
attenzioni zelanti. Ultimamente non sono in grado di gestire troppi
contatti
umani.
Sono
certa che il mio convivente nuovo di
zecca non costituirà un problema in tal senso. Ha se
possibile, ancora meno voglia
di me di intavolare una conversazione.
Lo
scruto masticare il suo cioccolato
sdraiato sul divano malconcio, con lo sguardo fisso nel vuoto. A
dispetto
dell’inamovibilità della
postura non
sembra per niente rilassato. Come
se
fosse preda di un costante tormento interiore.
“Che
c’è?” Mugugna con la bocca piena. Si
è accorto che lo sto fissando.
“Ne
mangi troppa di quella roba.”
Improvviso. In realtà non mi importa particolarmente di
quello che manda giù.
“Non
preoccuparti per me, Mammina.” E’ il
suo turno di sfottermi.
Gli
mostro svogliatamente il dito medio.
Lui
sogghigna.
Poi
torna serio.
“
Stavate insieme?” Mi domanda a
bruciapelo. Sa bene che è superfluo specificare il soggetto.
Non
mi aspettavo niente del genere.
Mi
riprendo dalla sorpresa e mormoro:
“Sì.”
Per
un attimo rimane in silenzio.
Ho
timore che dica qualcosa di ovvio, che
esprima compassione. Reazioni che evito come la peste.
Invece
mi spiazza nuovamente con una
rivelazione inattesa.
“Lo
conoscevo anch’io.”
Quelle
tre parole apparentemente
banali paiono intrise di
sofferenza repressa.
Capisco
finalmente la ragione della sua
reazione rabbiosa, quel pomeriggio nei confronti di quel tale. Roger.
Doveva
volergli bene anche lui. D’altra
parte non potevo certo pretendere l’esclusiva a riguardo, per
quanto fossero
poche le persone e essergli vicino.
Avevo
sempre creduto che Lui non tenesse contatti
diretti con gli abitanti della Wammy’s House. Che si
limitasse a impartire le
sue istruzioni attraverso il computer, come faceva in diversi frangenti. Invece no. Chissà su quante
altre cose mi sono
sbagliata. Non
potrò mai più chiedere al
diretto interessato e ricevere le sue risposte ambigue che a volte mi
facevano
sorridere e a volte esasperare.
L’assenza
di rumori rende l’atmosfera
greve mentre ci studiamo reciprocamente.
E’
chiaro che nessuno dei due ha più
desiderio di dilungarsi in quel discorso.
“Toh.”
Bofonchio lanciandogli uno dei due
cuscini presenti sul matrimoniale dove dormirò il mio sonno
senza sogni.
Mello
lo afferra al volo e se lo sistema
dietro la testa in maniera spiccia.
“Se
hai freddo ci sono altre coperte nell’armadio.”
Gli rendo noto.
“Grazie
ma non ci tengo a prendermi le
pulci.” Rifiuta con una smorfia.
“Io
correrò il rischio.” Decreto
estraendo un vecchio plaid da uno dei ripiani.
Il
gelo non mi abbandona mai.
Mi
avvolgo dentro il rettangolo di
tessuto logoro, pur essendo conscia che non servirà a
riscaldarmi.
Senza
nemmeno consultare il mio compagno,
spengo la luce, ma non protesta.
Nessuno
si azzarda ad augurare la
buonanotte.
Nell’oscurità
si sente solo il rumore che
produce ruminando la cioccolata.
*
Il
risveglio è il momento peggiore della
giornata per me.
Nell’attimo
che lo precede, rivedo sempre
il Suo viso. Allora spalanco le palpebre di colpo, per non nutrire
nemmeno un istante
l’illusione di averlo sdraiato a
mio fianco, di percepire il calore del suo corpo accanto al mio in
un’allucinazione sadica.
Superato
quell’ostacolo, scivolo
semplicemente dall’oblio del sonno a quello della veglia.
Dalle
tapparelle filtra la fredda luce
del mattino.
Mi
sollevo dal mio giaciglio e tenendomi
la coperta intorno alle spalle, sbircio la sagoma adagiata sul divano.
Mello
dorme ancora.
Ne
approfitto per osservarlo da
vicino.
Sembra
più giovane mentre è assopito,
coi lineamenti
distesi. Il suo viso appare
molto differente privo dell’espressione inquieta che lo
caratterizza. E’ quasi
innocente. I capelli lisci e biondi come il grano sparsi sul cuscino,
accentuano questa impressione. Probabilmente crescendo
diventerà bellissimo.
Buon per lui.
Le
sue palpebre si aprono di scatto
rivelando le iridi azzurre.
Devo
averlo messo a disagio.
In
una frazione di secondo è in piedi di
fronte a me.
“Ma
cos’avevi addosso ieri? Dei
trampoli?” Esordisce dopo avermi squadrata da capo a piedi.
Mi
rendo conto che scalzi siamo alti
uguali.
Sono
sempre stata minuta, per questo ho
sviluppato una passione per le scarpe con i tacchi.
“Ce
ne andiamo.” Annuncio senza badare
alla provocazione.
“Peccato,
mi mancherà questa topaia.” Mi
punzecchia.
Il
ragazzino non capisce che tentare di
farmi perdere le staffe è una tempo perso.
“Merda.”
Lo sento imprecare prima di
dirigermi a fare una doccia.
“Che
c’è?” Mi informo non particolarmente
interessata, facendo capolino dalla porta del bagno.
“Ho
finito la cioccolata.” Ribatte
funereo.
“Te
ne compro dell’altra appena usciamo
bamboccio.” Lo
rassicuro
restituendogli la
frecciatina.
Stranamente
non mi insulta. L’astinenza
deve avergli tolto le parole di bocca.
*
Tracanno
della coca cola sgasata di
malavoglia, seduta al tavolino di un fast-food.
A
causa del poppante è stato precluso
anche a me l’ingresso in un pub decente.
Quest’ultimo
ha fatto incetta di barrette
e pare rasserenato dal rifornimento.
Addento
una patatina molliccia, tanto per
ingerire qualcosa.
Sovente
scordo i pasti e mi riduco a
cibarmi di cose improbabili ad ore altrettanto bizzarre.
Questo
capitava anche..Prima.
“Potevamo
entrare ugualmente.” Borbotta Mello, masticando
il suo cioccolato.
“
Ma che bella idea. Non desidero altro
che farmi beccare a introdurre illegalmente un minorenne in un
pub.” Mugugno.
“Puoi
sempre dire di essere mia madre.”
Suggerisce con un ghigno.
“La
scusa regge poco.” Replico.
Lui
mi guarda con sufficienza.
“
LO SO.” Sillaba.
“Volevo
darti sui nervi.” Aggiunge
poi, per mettere in chiaro.
“
Sprechi il fiato.” Commento.
“
Near ce l’ha fatta.” Mi fa presente.
“Chi?”
Chiedo.
“Il
nanerottolo vestito di bianco, per
usare parole tue.” Spiega.
“E
fallire dove lui è riuscito ti irrita
tanto?” Butto lì.
Non
immagino certo di scatenare una
reazione simile.
Le
pupille del ragazzo si restringono
riducendosi a due fessure, la bocca si contrae in una linea sottile. Il
volto
si trasforma in una vera e propria maschera d’ira.
Sbatte
con violenza le mani sul tavolo
facendo schizzare la mia bevanda fuori dal bicchiere di cartone.
“Vaffanculo.”
Sibila prima di uscire come
una furia fuori dal locale.
Qualcuno
dei clienti si volta a guardare.
“Che
palle.” Sospiro prima di seguirlo
all’esterno.
*
Non
ha fatto tanta strada. Lo trovo
dietro l’angolo intento a sbollire il nervoso prendendo a
calci un bidone
dell’immondizia.
Ha
un davvero un caratteraccio il
moccioso.
“Mello…”
Lo chiamo.
“Vattene!!!”
Sbraita fuori di sé.
“Ascolta..”
Ritento.
“Levati
dal cazzo.” Ribadisce il
concetto.
“Abbiamo
un accordo.” Gli rammento.
“Non
più.” Mi contraddice.
Qualcosa
di simile alla delusione mi sfiora
momentaneamente. Prima che subentri il solito anestetico, ribatto
prontamente:
“Senti..
Scusa se ti ho fatto incazzare,
non pensavo che tra te e quel tizio il rapporto fosse
così… Complicato.”
Non
spiccica una parola, ma se non altro
smette di accanirsi contro il cassonetto e mi regala
un’occhiata bieca.
“
Ieri è stato un caso. Ora come ora non
me ne frega niente di quello che la gente fa o mi dice, quindi
è inutile che ti
comporti da stronzetto. Non mi tocca. Potresti prendere me a calci
invece di
quel coso e non farei una piega.” Specifico.
“Perché
vuoi scoprire chi è il colpevole
se non ti importa di nulla?” Vuole sapere.
“Per
Lui.” Sussurro.
Il
Suo ricordo costituisce l’unico barlume
di vita che mi è rimasto.
“Aiutami
per favore.” Gli chiedo
rabbrividendo.
Mello
annuisce lentamente.
Poi
senza aggiungere altro riprendiamo a
camminare fianco a fianco. Privi di meta per le strade umide di pioggia.
*
Note
dell’autrice: Ciao a tutti!!!
Dopo tanto tempo
è un vero piacere
tornare a scrivere in questo fandom!!! Spero di ritrovare tutte le
lettrici che
avevo tristemente salutato dopo la fine di “I’m
with you” e ovviamente anche di
conoscerne di nuove ^^ Mi auguro che questo incipit risulti
accattivante
anche se come
avrete intuito la storia
non sarà esattamente molto allegra…Chiedo
anticipatamente scusa per l’OOC di
Mello, personaggio che trovo estremamente interessante ma che non
è molto
facile da caratterizzare fedelmente.. E ora basta cianciare, alla
prossima!!!
Alice