Cinque
Alberto era preoccupato.
Il primo giorno che non aveva visto arrivare Daniele al lavoro, aveva pensato
immediatamente che fosse stato un atto di ripicca per il rifiuto di una
relazione con lui. Per tre quarti d’ora era rimasto attaccato al telefono che
squillava a vuoto, fino a che non si era deciso a chiamare a casa, dove aveva
risposto suo padre.
-Non è rientrato? Come
mai?-
-No, non è rientrato. E
non sappiamo dove sia, il suo telefono squilla a vuoto.-
-Capisco. La ringrazio
signor Melandri, eventualmente mi richiami, qui in ufficio abbiamo bisogno del
certificato medico di suo figlio se non si sente bene.-
-E noi abbiamo bisogno di
nostro figlio. Le confesso che siamo alquanto preoccupati- Concluse il padre,
dall’altra parte del telefono. Alberto annuì grave, tenendosi l’attaccatura del
naso con l’indice e il pollice. Ringraziò ancora, quindi riappese e aspettò.
Il secondo giorno arrivò
al lavoro e trovò tutti i suoi colleghi riuniti in crocchio in area relax. Da
lontano, intuì che stavano parlando di Daniele. Donatello, il suo collega di
ufficio stava comunicando che i genitori di Daniele avevano avviato una
procedura per persona scomparsa.
-Mi ha telefonato questa
mattina il padre. Ha detto che Daniele non è rientrato neanche ieri dopo la tua
telefonata. Così hanno chiamato i carabinieri e per ora è dichiarato
scomparso.-
Lo sguardo di Alberto si
era perso nel vuoto nell’apprendere quella notizia, ed il suo cuore aveva avuto
un salto. Con movimenti meccanici si avvicinò alla macchinetta del caffè ed
estrasse una monetina da venti centesimi, che però non riuscì ad introdurre
nella fessura, e gli cadde sul pavimento con un metallico tintinnio. Un dejà
vu... di un episodio che avrebbe voluto dimenticare.
Quella mattina di due anni
prima, non vedendo più arrivare Nathan a casa al solito orario, si era
preoccupato parecchio. La sua mente si era messa a passare in rassegna diversi
scenari per spiegare l’accaduto, non trovando tuttavia la soluzione adatta. E
mentre era al lavoro, già due anni prima, era lì che voleva prendere il caffè
alla macchinetta ma a causa della mancanza di coordinazione, la monetina da
venti centesimi di euro gli era sfuggita di mano andando a finire sul
pavimento, dove aveva tintinnato per due volte, fino a fermarsi. Mentre si
chinava per raccoglierla, con mano tremante, vide qualcosa macchiargli il
dorso.
Una, due, tre piccole
goccioline di sangue si posarono sulla sua mano. A quella vista, Alberto quasi
cadde a sedere per lo spavento, guardando in su per capire da dove provenisse
quel macabro stillicidio. Sul soffitto vide una macchia dello stesso colore,
quindi lasciò lì i venti centesimi e corse in bagno, sciacquandosi le mani e
piangendo dal dolore.
Ora era lì a casa, seduto
sul divano mentre alla televisione trasmettevano “Chi vuol essere Milionario”.
Guardava nel video, ma non riusciva a concentrarsi. Continuava a pensare a
Daniele che era scomparso, e poi a Nathan. “Perché?” pensava, e più si faceva
quella domanda, più la sua mente tirava fuori il meglio degli scenari più
improbabili. Ripensò ai carabinieri che erano venuti a chiedergli che fine
aveva fatto il “signor Melandri”, dato che “lei, signor Ferrari, è l’ultima
persona con cui il signor Melandri è stato in compagnia.”
Alle loro domande Alberto
non aveva saputo come rispondere se non con la verità. Aveva detto loro che
erano andati al cinema e poi che si erano separati verso le ventitré e
quaranta. Da lì in poi non l’aveva più visto, nemmeno sul posto di lavoro.
Preoccupato, Alberto aveva chiesto ai militari come stessero procedendo le
indagini, ma quelli gli risposero che ancora non potevano dire nulla.
Mai come allora Alberto
aspettava il telegiornale. Avrebbe voluto vedere sui titoli del TG5 la notizia che Daniele era
scomparso, per cui continuava a guardare la trasmissione senza interesse,
aspettando che finisse, quando all’improvviso suonò il campanello. Non era
quello esterno, bensì quello interno del pianerottolo.
Arrivato alla porta,
Alberto accostò l’orecchio al battente.
-Chi è?- disse,
controllando il più possibile la sua voce.
-Sono Mainardi, Alberto.
Devo parlarle, se mi apre gentilmente la porta…- disse una voce, che non
sembrava per niente quella del signor Mainardi. Sul momento, la mente di
Alberto non registrò questa difformità nella voce, e nemmeno il fatto che il
signor Mainardi (come d’altronde sua moglie e suo figlio) non si erano mai
nemmeno scomodati a salutarlo quando lo vedevano sul pianerottolo. Quando aprì
la porta, si ritrovò davanti non il signor Mainardi, ma un ragazzo giovane con
un paio di occhiali da sole ed una sciarpa a coprirgli il volto, ed un
cappellino di lana sulla testa. Interdetto, Alberto indietreggiò, e l’individuo
lo spinse via, entrando di forza nell’appartamento. Si chiuse la porta alle
spalle e tirò un calcio negli stinchi ad Alberto.
-Aaaah!!! Ma che caz…?!-
Dopo aver fatto lavorare i
piedi, lo sconosciuto alzò i pugni e ne assestò prima uno allo stomaco del
povero Alberto e poi alla sua faccia. Poi ancora un altro, che lo mandò a
sedere sul pavimento. Cercando di sfuggire al picchiatore, Alberto strisciò
verso il salotto, dove un tranquillo Gerry Scotti stava scandendo un’altra
domanda al concorrente. Mentre strisciava, si sentì mancare il fiato a causa di
un pestone assestatogli proprio sulla schiena. Le scarpe dello sconosciuto lo
colpirono al polmone, facendolo tossire. Lì si fermò. Lo sconosciuto gli montò
sopra ed iniziò a tempestarlo di schiaffoni.
-Dimmelo! Dimmelo,
bastardo!! Dov’è Daniele???- Sibilò l’aggressore. La sua voce era giovanile,
quasi quanto la sua rabbia –Dimmelo o ti ammazzo di botte!-
Alberto provò a parlare,
ma era totalmente senza fiato. Provò a spiccicare due parole, ma il ragazzo gli
aveva già bloccato il collo con la sinistra, pronto a sferrargli un pugno
direttamente in faccia con la destra. Sputò sangue, e l’individuo si preparò a
picchiare ancora.
-Ti conviene dirmelo, o
quando avrò finito con te, per godere dovrai fartelo succhiare da un piccione.
Allora??? Vuoi parlare???-
-Non…-
-Cosa??? Cosa,
bastardo???-
Con la voce rotta da
alcuni colpi di tosse, Alberto rispose qualcosa che l’aggressore non riuscì a
capire. Questi si avvicinò per cercare di capire, e quando abbassò la guardia,
con le ultime forze che gli rimanevano, Alberto sferrò una ginocchiata poderosa
nei genitali del ragazzo, mandandolo a rotolare via da lui. Mentre si
contorceva dal dolore, Alberto lo bloccò con una gamba, andandogli addosso.
-Lasciami, stronzo!!!-
-Fermo, o ti spacco la
testa.- replicò Alberto, brandendo un posacenere di marmo abbastanza pesante.
–Adesso ti calmi e mi spieghi tre cose. Primo, chi cazzo sei; secondo, che
cazzo vuoi da me; Terzo, con che diritto piombi a casa mia e mi demolisci di
botte senza alcun motivo??? Ti consiglio di non fare scherzi. Non sei l’unico
dei due a saper prendere di sorpresa le persone.-
Sentendo che il ragazzo si
calmava, Alberto allentò la presa. Questi si tolse cappellino e occhiali, ed
anche la sciarpa. Sotto a quell’anonimo camuffamento, c’era un ragazzo molto
carino, una completa antitesi di un personaggio malvagio. Gli unici elementi
che avrebbero potuto indurre in dubbio erano i suoi capelli rosso fuoco sparati
dappertutto ed i suoi piercing. Al collo portava una piccola croce d’argento e
le dita, che prima gli avevano fatto del male, erano piene di anelli.
-Allora, ti togli di
dosso… oppure no?- chiese quello, massaggiandosi le parti intime per il dolore.
*****
-Ti fa ancora male?-
-No, è quasi passato.-
Mentre
Alberto si massaggiava la faccia con la borsa del ghiaccio, Thomas (così aveva
detto di chiamarsi) preparava un altro cerotto da applicargli in faccia. Le sue
guance ora erano rosse di vergogna, probabilmente per essersi comportato in
maniera così aggressiva.
-Scusami
se sono piombato in casa tua e ti ho picchiato.-
Sospirando, Alberto
rispose –Ti è andata bene che non sono un anziano. Con la furia che hai avuto,
avresti potuto ucciderlo.-
-Di solito non faccio
così, ma … Sai, Daniele è un mio amico…-
-…Ed un mio collega. Come
ti è venuto in mente di venire qui e di…?-
-Ho interrogato un po’ di
gente in giro. Sapevo che Daniele era andato al cinema, così ho chiesto ad un
po’ di gente, poi sono andato alla tua università, ed ho unito gli elementi. Ed
eccomi qua.-
Per un momento lunghissimo
Alberto si chiese chi fosse stato il deficiente che aveva rilasciato il suo
indirizzo ad uno sconosciuto, poi lasciò correre.
-Sei una specie di
investigatore?-
Thomas scosse la testa
–No, sono uno… beh… diciamo… uno scrittore.-
-Non mi sembri molto
convinto- disse Alberto massaggiandosi la guancia con la fresca borsa del
ghiaccio –lo sei o non lo sei?-
-Non lo sono ancora, ma
sto cercando di scrivere un libro riguardante le persone scomparse.- Dicendo
ciò, arrossì. Alberto se ne accorse, e immediatamente ricollegò il fatto che
anche lui era una vittima di persona scomparsa. Il suo Nathan sicuramente
faceva testo.
-So anche che il tuo
fidanzato è scomparso. Mi dispiace. Daniele non me l’aveva mai detto, e quando
ho fatto alcune ricerche, l’ho scoperto da me. E quindi...-
-…Lasciami indovinare.
Ricollegando il fatto che il mio fidanzato fosse scomparso, e l’ultima persona
che Daniele aveva visto ero io, hai collegato le due cose e sei venuto qui a
picchiarmi, non è così?-
Imbarazzatissimo, Thomas
scosse la testa annuendo. Alberto sospirò sconcertato.
-Dovrei denunciarti per
questo.-
-No, ti prego! Non farlo!-
-E perché non dovrei?-
-Beh… perché sono un bel
ragazzo?- E condì la domanda con un sorriso smagliante, che indubbiamente lo
fece sembrare ancora più carino agli occhi di Alberto. Tuttavia, non si fece
intenerire e si alzò dalla sedia, indeciso se telefonare ai carabinieri oppure
ad un buon avvocato. Thomas lo tirò per un braccio.
-Dai… scusami. Facciamo
pace, vuoi? Se non mi denunci io ti… ti prometto che…-
-Cosa?-
-Ti prometto che ti
aiuterò a ritrovare il tuo ragazzo.- Disse Thomas, e sorrise di nuovo. Alberto
sospirò di nuovo sconcertato.
-Sei un povero scemo se
pensi questo- disse Alberto allontanandosi verso il salotto –La polizia sta
cercando da due anni, e non riescono a trovare traccia. E tu, uno scrittore, o
presunto tale, vorresti giocare a Sherlock Holmes con il mio ragazzo? Questo è
ancora peggio che ricevere un pazzo picchiatore in casa.- Concluse Alberto,
dando le spalle a Thomas e andandosi a sedere sul divano, frastornato.
Senza demordere, Thomas
gli andò vicino e si sedette sulla caviglia.
-Sono laureato in
giurisprudenza! Ho studiato metodo investigativo e criminologia all’Università
di Bologna, e forse potrei…-
-Prima di tutto togli i
piedi dal mio divano. Chi ti ha dato il permesso di sederti qui con me? E poi
…- Fece per aggiungere qualcosa per farlo andare via, ma poi ci pensò su.
Effettivamente la polizia era abbastanza lenta nel ricercare persone scomparse,
e due anni erano già diventati troppi… “E se questo mezzo pazzo con i capelli
rossi potesse fare al caso mio?” pensò Alberto, mentre Thomas lo guardava con
occhi speranzosi. Speranzosi di non ricevere una denuncia per violenza privata.
-Allora?-
-Uhm… So già che me ne
pentirò, ma… D’accordo. Aiutami pure a trovare il mio ragazzo.-
-Che bellezza!! Una vera e
propria indagine sul campo!! Yaaay!-
Esultò Thomas, alzando un
pugno in aria e rivelando i suoi denti bianchi con quel “yaay” di gioia.
Alberto continuò a massaggiarsi con l’impacco freddo, e mentre faceva ciò,
sentì le mani sottili ed affusolate di Thomas che gli applicavano un cerotto
sulla guancia. Alberto lo guardò di traverso, e Thomas incurante dello sguardo
in cagnesco, gli sorrise dolcemente.