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Autore: Frances    26/10/2010    4 recensioni
Quando realizzò di aver appena fatto entrare in casa, insieme, entrambe le persone che non riusciva a sopportare neppure singolarmente e di essersi cacciato da solo in quella che con grande probabilità sarebbe diventata la peggiore serata della sua vita, Arthur Kirkland deglutì appena, lasciandosi sfuggire un sospiro strozzato.
[ FrUk // USUK - Quando il caso unisce tre persone che non si sopportano e riesce addirittura, inspiegabilmente, a farle andare (quasi) d’accordo.]
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Era vivo, era uno scrittore, aveva una cattedra prestigiosa al King’s College di Londra, il suo dottorato conseguito a pieni voti faceva gola anche a Cambridge e Oxford. La classe si riempiva tanto da non riuscire a contenere tutti gli studenti, iniziava i propri corsi sentendo su di sé gli sguardi ammirati di tanti giovani che pendevano dalle sue labbra mentre parlava.

Firmava autografi seduto ad un tavolo in fondo alla Waterstone’s Piccadilly, apriva la copertina rigida del suo ultimo romanzo e poggiava la penna stilografica sulla prima pagina bianca. Gli ammiratori stavano in fila, facevano un chiasso assordante che non gli permetteva neppure di sentire con chiarezza i nomi delle persone che volevano una dedica e stavano a mezzo metro di distanza da lui. Si bagnava delle loro voci, ascoltava il suono melodioso che ”Arthur Kirkland” produceva sulle labbra di tutti quegli sconosciuti che lo ammiravano, che leggevano le sue storie e celebravano il suo successo ed il suo nome. Un nome che veniva pronunciato con rispetto da tutta Londra, e forse anche in tutta l’Inghilterra, in Scozia, nel Galles, magari più avanti in Europa.

Aprire gli occhi, svegliarsi dal sogno più bello ed appagante della sua vita con un’emicrania lancinante ed un mal di schiena insopportabile fu più o meno traumatico quanto ricordarsi dei propri progetti letterari mai conclusi, o del servizio da thè Royal Worcester che Alfred aveva rotto meno di cinque ore prima.
Sentì vibrare forte la tapparella contro il vetro della finestra chiusa, sferzata dal vento e scossa da un tuono in lontananza. Mentre lui si svegliava sentendosi malconcio e per niente riposato, a Londra si era già avviata indisturbata un’ennesima giornata di maltempo.
Ci mise almeno dieci minuti a rendersi conto di dove esattamente si trovasse, ad analizzare le condizioni delle sue ossa e dei suoi muscoli indolenziti ( senza riscontrare nulla di allarmante) e a riordinare le idee. Aveva dormito male, aveva un caldo terribile, la camicia del pigiama aveva straordinariamente quattro bottoni fuori dalle rispettive asole – aveva la sensazione di aver sonnecchiato per due ore scarse in un letto che sembrava essersi ristretto di una piazza e mezzo.

E se svegliarsi con il piede sbagliato non fosse bastato a rovinare il suo umore mattutino, rigirarsi tra le lenzuola e sbattere la fronte contro qualcosa di compatto, diede senza dubbio un incentivo notevole. Accorgersi che il qualcosa emanava un forte odore di cioccolato, sentirlo mugolare e muoversi appena e rendersi conto di essere steso con lui su meno di mezza piazza di letto, condannò la giornata di Arthur Kirkland a diventare ancora più nera.

Francis Bonnefoy non fece caso al patetico tentativo dell’inglese di voltarsi in tutta fretta per dargli le spalle, anzi riuscì a sfruttarlo a proprio vantaggio – scivolò piano vicino a lui, aderendo completamente alla sua schiena tesa; Arthur sarebbe probabilmente balzato in piedi per dileguarsi se solo la mano dell’altro non avesse provveduto con tempestività a trattenerlo, avvolgendolo piano intorno ai fianchi.

« Bonjour, mon chere

Fortunatamente Arthur non aveva mangiato crème caramel o niente di simile, per cui riuscì in qualche modo a trattenersi dal rabbrividire – avrebbe voluto gridare e dimenarsi e lanciarsi in una vasca gelida per dare una lezione a quel suo corpo debole che si stava surriscaldando là dove era a contatto con la mano e con il petto duro del francese.

« Diventerà una buona giornata dopo che te ne sarai andato da casa mia.»

« Mh, oui, ti amo anche io, petit.» Francis strofinò la punta del suo naso francese contro la nuca di Arthur, vicino all’attaccatura dell’orecchio. « A proposito, quando hai intenzione di lasciare quel ragazzino con gli occhiali e iniziare a pensare solo a me?»

Arthur corrugò la fronte.

Ci volle più o meno un minuto intero per realizzare a cosa si riferisse, una manciata di secondi per arrabbiarsi ed un istante per avvampare di vergogna e sentirsi rincuorato del fatto che nessuno potesse vederlo. Perché l’unico ragazzo con gli occhiali di cui Francis potesse parlare faceva Jones di cognome.

« Non stiamo insieme.» Avrebbe voluto pugnalarsi per via del tremore ridicolo che si impadronì inaspettatamente della sua voce.

« Mmh, capisco.» Francis fece un respiro profondo soffiando aria calda contro l’orecchio di Arthur; l’inglese avrebbe volentieri preso una spranga per ovviare al dramma della loro eccessiva vicinanza.

Al desiderio pressante di un oggetto contundente si aggiunse anche la necessità insopportabile di scavare una fossa e di infilarvisi quando la mano libera del francese abbandonò il suo fianco e lo raggiunse nuovamente dopo qualche istante, piazzandogli davanti alla faccia una cornice rettangolare con i bordi color rame. « Allora immagino che dirai anche che questa foto si è incorniciata da sola ed è volata magicamente sul tuo comodino senza dirti nulla, non

Era una foto talmente insulsa che in qualsiasi altra situazione probabilmente Arthur le avrebbe dato semplicemente uno sguardo distratto, sorridendo appena FORSE, ripensando all’istante in cui era stata scattata. La carta lucida custodita dal vetro conservava un istante stupido e inutile, sullo sfondo di un BigBen fiero in mezzo al cielo grigio di nuvole. E non era assolutamente niente di che: Alfred aveva il braccio teso davanti a sé ed immortalava un bacio a stampo sulla tempia di Arthur Kirkland che non solo era rosso e avvolto in sciarpa ed impermeabile, ma a dirla tutta sembrava quasi sul punto di sorridere.

In quel momento gli parve il ritratto più agghiacciante che avesse mai visto, odiò il colore della cornice ed il riflesso del vetro, odiò il fotografo impedito che l’aveva scattata, la macchina fotografica, il centro commerciale che aveva venduto quella macchina a quello stupido del fotografo. Odiò più di tutti sé stesso perché la sera prima non aveva avuto la brillante e quasi ovvia idea di togliere di mezzo qualsiasi cosa potesse metterlo in imbarazzo.

Nel giro di mezzo secondo strappò quell’oggetto terribile dalla mano di Francis, lo affondò nel materasso e lo fece sparire sotto il cuscino.

« …In realtà non lo hai visto.»

Francis mugugnò qualcosa e si mosse sul materasso e sotto le lenzuola, gli afferrò una spalla e senza fare troppe cerimonie lo ribaltò sul letto, costringendolo a guardarlo in faccia. Arthur si ritrovò supino, e un francese incombeva minacciosamente su di lui, un francese che aveva ancora odore di dolci, dannazione – un maledetto francese che trovò nuovamente il maledetto modo di mettere le sue maledette mani sul maledettamente sincero corpo di Arthur Kirkland.

« Oui, non ho visto nulla.» Lo sguardo assassino di Arthur non bastò ad impedirgli di chinarsi su di lui per regalargli un bacio sulla base della mandibola. E il cervello di Arthur gemeva e chiedeva a Dio quale strano e crudele disegno divino avesse fatto in modo che si ritrovasse invischiato in un imprevisto di tali dimensioni. Perché, accidenti, il fatto di avergli tolto di mano quella foto non gli dava il permesso di iniziare un preliminare in piena regola, SANTO DIO.

« Quando pensi che potrai andartene?» Arthur lo soffiò disperatamente, dopo che il terzo bacio di Francis iniziò a farlo rabbrividire sul serio – aveva la brutta e terribile sensazione che lungo quel tragitto che percorreva la linea della mandibola il francese avrebbe fatto in modo di raggiungergli la bocca. Inoltre non gli piaceva affatto la direzione che aveva imboccato la sua mano sotto le lenzuola, e l’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento era che un idiota con la faccia da schiaffi mettesse i puntini sulle i al suo imminente attacco isterico. Francis gli sorrise, sollevandosi appena:

« Non prima di averti preparato la colazione, tresor

« Allora corri in cucina. Ora.»

« Hai le uova?»

Arthur cercò di fare mente locale, ci provò disperatamente, avrebbe risposto senza battere ciglio a qualsiasi sua domanda pur di toglierselo di dosso:

« No, non ho le maledette uova.»

« Il burro, mon amour

Arthur si sentì sul punto di vomitare quando pensò distrattamente a quanto quella conversazione fosse disgustosa e rischiò di accartocciarsi su sé stesso per il ribrezzo quando gli tornarono in mente le discussioni del tutto analoghe che aveva visto impegnati suo padre e sua madre; ovvero, fino a prova contraria, una coppia di sposi novelli.

« Non ho neppure quello.» Farfugliò, scalpitando e cercando di mandare via il peso del corpo di Francis. «–cazzo, sparisci da questo letto subito e vai a preparare la colazione

Il francese sospirò con aria rassegnata, obbedendo controvoglia. Arthur si rigirò sul letto e si nascose sotto le lenzuola, allontanandosi il più possibile dalla sponda su cui aveva dormito Francis – era bastata una sola notte perché il tessuto si impregnasse del suo odore ipnotico. Arthur si ripromise di impregnare quelle lenzuola di candeggina quella sera stessa.

« Quanta impazienza per delle crepes….» Arthur lo sentì mormorare dal fondo della stanza e la sua voce era disgustosamente satura di soddisfazione. « Vado a comprare gli ingredienti, tresor. Vado e torno.» E la risposta che Arthur gli propinò per salutarlo mentre lo sentiva scendere le scale ed aprire il portone di casa fu un secco e stridulo:

« Puoi anche non tornare!»

Ci fu un momento di silenzio subito dopo che Francis si chiuse l’ingresso alle spalle: Arthur riuscì per un istante a sentirsi più leggero nella consapevolezza che il francese aveva abbandonato l’ambiente ristretto di casa sua. Riuscì a godersi quella sensazione di libertà per giusto due secondi, affondando la testa nel cuscino. Il secondo dopo fu travolto da un ammasso di lenzuola e da un fortissimo odore di patatine fritte – e a dire il vero fu ricoperto e quasi schiacciato dalla sagoma prepotente di un ragazzone che sbadigliava, batteva le palpebre ed apriva i suoi luminosi ed un po’ assonnati occhi azzurri.

« Mornin’, man!»

Per almeno due secondi, Arthur Kirkland aveva davvero provato ad illudersi che senza Francis in giro avrebbe potuto finalmente iniziare la sua normale giornata. Ma c’era un americano appena sveglio che gli sorrideva con la guancia schiacciata sul cuscino, occupando il centro e la sponda sinistra del suo letto. Com’era ingombrante.

« Ciao, Alfred. Una volta tanto, prova a parlare inglese

Come previsto, le sue parole vennero ignorate – Alfred gli andò addosso stringendolo con forza, le braccia che gli cingevano entrambi i fianchi e se ne infischiavano di essere premute o meno dal peso insignificante di un inglese magrolino.

« Oggi mi dai ripetizioni, vero?»

Arthur storse il naso guardando Alfred che avvicinava il volto al suo con la solita scusa della propria miopia. Avrebbe voluto alzarsi e cercare gli occhiali per sistemarglieli sul naso, in modo da frapporre una barriera di vetro tra di loro.

« Non era in programma.»

Alfred fece una smorfia, arricciando appena le labbra in un muso bambinesco:

« Si, invece. Mi avevi promesso che avremmo parlato di…» Fece una pausa significativa, alzando gli occhi verso il soffitto e mordicchiandosi un labbro; sembrava nel bel mezzo di un enorme sforzo mnemonico, e probabilmente però lo più inventivo. « Plutone e Karl Llewellyn.» Forse la salma polverizzata di Platone aveva appena iniziato a rimescolarsi e dibattersi sottoterra.

« Alfred, Llewellyn era un avvocato.» Arthur non seppe se commuoversi per la sua inaspettata conoscenza in campo legale o se atterrire per l’oscenità che aveva appena sentito. Alfred, dal canto suo, si limito a stringersi appena nelle spalle:

« Vale lo stesso.» Si avvicinò maggiormente, strusciando sulle lenzuola. « Allora oggi stiamo assieme?» Lo disse rivolgendogli uno di quei sorrisi pieni di aspettativa che facevano in modo che Arthur Kirkland divorziasse dal proprio buon senso ed autocontrollo per almeno una buona mezz’ora.

Ci fu un istante di serio tentennamento prima che dalle labbra dell’inglese riuscisse a scaturire un poco convinto:

« Ho detto di no.»

Alfred aveva due tattiche per ottenere da Arthur ciò che voleva, in un modo o nell’altro: la prima,  usata molto più frequentemente, prevedeva un completo disinteresse per qualsiasi protesta o obiezione l’inglese potesse sollevare. La seconda era la più pericolosa, perché prevedeva abbracci e baci e in genere faceva sciogliere Arthur molto più in fretta. Per il bene di Arthur Kirkland, Alfred era perlopiù un ragazzone ottuso che non capiva il significato della parola romanticismo, e di conseguenza gli risultava difficile raggiungere un pensiero tanto fine come “quando bacio Arthur è molto più facile fargli fare ciò che voglio”.

Quella mattina il suo cervello però si dimostrò all’altezza, e Arthur vide tutta la propria determinazione dissolversi come ghiaccio al sole; Alfred approfondì l’abbraccio fino a che il suo naso non arrivò a toccare la fronte dell’altro – gli poggiò le labbra sulla guancia e gli diede un bacio umido e rumoroso. Un bacio che non aveva assolutamente niente di sexy, ma sembrava piuttosto la lappata di un cane festante.

« Sai che ti sono grato per quello che fai, vero?» Un altro bacio ancora più bagnato, sullo zigomo. « Lo sai che tengo a te, vero, Art?»

Arthur avrebbe voluto evitare che lo baciasse ancora ma non riuscì a muoversi – anzi, la cosa più drammatica fu accorgersi che non voleva sottrarsi al suo abbraccio nonostante questa scelta comportasse una guancia bagnata di saliva da far schifo.

« …Si, lo so.»

« Bene, ora preparami la colazione!*»

Era difficile trovare la connessione logica tra la confessione adorabile che gli era appena stata fatta e la richiesta assolutamente improvvisa e fuori luogo (e che a dirla tutta sembra anche abbastanza opportunista), ma il cervello di Arthur subiva ancora profondamente i postumi di quei baci e della voce di Alfred, così non riuscì ad elaborare un commento abbastanza acido:

« Francis ha detto che avrebbe preparato le crepes.» Non c’era niente di strano nel pensare che per una volta Arthur potesse evitare di mettere a friggere delle uova. Ovviamente la promessa di Francis non assicurava che Arthur gli avrebbe riaperto l’ingresso per permettergli di mettersi ai fornelli.

« Ah, fantastico! Almeno non rischierò di rimettere la colazione.»

La cosa terribile fu che dopo aver pronunciato candidamente quell’insulto velato, Alfred ebbe addirittura il coraggio di baciarlo sulla bocca a tradimento, soffocando le sue proteste. E riuscendo quasi ad infilargli la lingua in bocca, con tutta la sua falsa innocenza da ragazzino di appena vent’anni.

Arthur si chiese disperatamente e con le lacrime agli occhi, mentre farfugliava contro la bocca di Alfred, cosa avesse fatto di male per meritarsi quella tortura impossibile.

 

Si era davvero dato da fare per evitare che quei due si avvicinassero alla sua camera da letto. Davvero, ci aveva messo tutto il proprio impegno. Sin da quando era diventato chiaro che non si sarebbero fatti facilmente buttare fuori di casa, la notte prima, il suo cervello era entrato nell’ordine di idee che la zona della sua casa che si trovava oltre le scale ( il bagno, la soffitta e soprattutto la sua stanza) dovesse diventare in qualsiasi modo off limits.

Aveva assecondato Alfred quando si era spostato in salotto senza chiedere il permesso, lamentandosi del suo ultimo panino finito troppo in fretta e dell’assenza di un cheeseburger di riserva. Quel ragazzo aveva preso la cattiva abitudine di comportarsi in casa di Arthur come a casa propria, ma l’inglese di rado riusciva a fare qualsiasi cosa per impedirglielo, e quella sera aveva mangiato troppe schifezze mescolate perché i lamenti proveniente dal suo stomaco gli permettessero di contrastare qualsiasi prepotenza americana. Inoltre percepiva con insistenza la presenza asfissiante di Francis, sempre più consapevole della distanza limite minima necessaria che si rimpiccioliva per qualsiasi stupidaggine. A volte “stammi lontano” non otteneva il risultato sperato.

Dopo aver scongiurato (con la necessaria acidezza) un eccesso di inutile cavalleria da parte del francese ed aver ricevuto una forte e rumorosa pacca sul sedere in protesta, si erano ritrovati tutti e tre seduti sul divano del salotto.

Erano rimasti svegli fino alle tre di notte o giù di lì e tutto l’intrattenimento era spaventosamente uscito dalla grande e inutile borsa di Alfred. Arthur l’aveva vista svuotarsi a poco a poco, svelando misteri e sorprese inquietanti – una delle quali (forse la più shockante) fu constatare come Alfred avesse riempito una tasca di preservativi senza neanche premurarsi di chiuderla per nasconderla a chiunque (e in particolare a lui.)

Avevano giocato in tre ad un diabolico videogioco di corse – Alfred aveva collegato quella diavoleria ludica al televisore nuovo di zecca di Arthur con una disinvoltura ed una velocità strabilianti. Aveva quasi fatto morire l’inglese per un infarto fulminante quando aveva piegato di novanta gradi lo schermo piatto per posizionare qualche cavo, ma poi la tv si era accesa senza alcun danno.

« Chi è l’idiota che continua a sbattere contro il muro?»

E Arthur aveva fatto finta di non essere l’unico deficiente a non capire come accidenti funzionasse quello schermo fastidiosamente suddiviso in tre rettangoli, o in quale di quei kart minuscoli ed assurdi dovesse identificarsi – ma la sua mente era per una buona parte occupata a macchinare come imporre a quei due babbei di rimanere a dormire sul divano.

Dopo la disastrosa partita con quelle diavolerie incomprensibili, Alfred e Francis avevano iniziato a discutere di cinema come due vecchi amici di infanzia; e sarebbe stato tutto normale e molto bello se solo non lo avessero fatto mentre Arthur Kirkland tentava di respingere da una parte un braccio dalle spalle, e dall’altra una guancia che continuava con insistenza a poggiarsi sulla sua testa. Probabilmente Arthur avrebbe partecipato con piacere alla conversazione se solo non si fosse trattato di quei due, e la sua testa non fosse stata impegnata ad arrovellarsi su come impedire loro di avvicinarsi al suo maledetto letto che era grande due piazze e stava al piano di sopra.

Avevano visto un film horror, un’americanata splatter di bassa categoria che Arthur trovò noiosa e decisamente poco interessante (e che ovviamente era spuntata magicamente dalla borsa Alfred). Forse sarebbe stato più semplice seguire quella trama debole se solo Francis ed Alfred non fossero esistiti. Perché se a destra il francese continuava a far finta che sfiorargli l’interno del polso con la punta delle dita fosse la cosa più naturale del mondo, a sinistra Alfred gemeva e urlava per qualsiasi cosa, aggrappandosi a lui fino ad abbracciarlo e quasi soffocarlo. E ancora la testa di Arthur Kirkland era stata notevolmente confusa riguardo al problema di tenere lontane quelle due piaghe dal piano di sopra. Perché accidenti, aveva paura – quei due sembravano andare così schifosamente d’accordo che forse non avrebbero disdegnato l’idea di trascinare Arthur in camera da letto per divertirsi in comitiva.

Ma nonostante avesse tirato fuori le coperte dalla soffitta, nonostante avesse specificato espressamente che avrebbe preparato loro il letto nel soggiorno ed aver chiarito che no, non aveva voglia di bere del rum prima di coricarsi e che no!, non avrebbe ceduto ai piagnistei di Alfred che lo imploravano di dormire abbracciati – alla fine si era ritrovato schiacciato in un lembo di materasso, pressato da due rumorosi ed ingestibili rompiscatole.

Da una parte Francis sembrava divertirsi a sfiorargli la nuca con la punta del naso, dall’altra Alfred gli si era aggrappato ad una spalla gemendo assurdità su zombie e creature mostruose che lo avrebbero perseguitato durante la notte. Alla fine si erano entrambi addormentati prima di lui, lasciandolo in mezzo a guardare il soffitto buio e a contrastare le loro manacce che a quanto pare anche nel sonno tendevano ad allungarsi nella sua direzione. Il risultato di quella disavventura era stata una notte perlopiù insonne, ed un crampo al braccio – perché dopo essersi addormentato Alfred aveva inoltre iniziato pian piano ad occupare più della metà dello spazio.

Ma dopo essersi svegliato di malumore (e rincuorato almeno dal fatto di essere solo seccato ma almeno ancora integro), Arthur Kirkland iniziò ad illudersi che quella giornata potesse in qualche modo risollevarsi.

Quando scesero al piano di sotto (una buona mezz’ora dopo), sui vetri delle finestre picchiettava con forza una pioggia insistente e piuttosto fitta. Mentre Alfred si arenava in cucina come una balena alla deriva, Arthur sbirciò l’ingresso lasciandosi andare in un sorriso di pura soddisfazione quando vide tutta la sua collezione di ombrelli al proprio posto. L’idea che Francis fosse lì fuori e che probabilmente si stesse inzuppando disastrosamente gli apriva il cuore e lo riempiva di una strana e maligna soddisfazione.

Non fece caso ad Alfred che frugava una biscottiera alla ricerca di qualcosa con cui riempire lo stomaco, mugolando spensieratamente una storpiatura ridicola e stonata di una versione personale dell’inno americano. Mise a bollire l’acqua per il thè, strusciando le pantofole sul pavimento – non fece caso ad Alfred che issava i piedi nudi sul tavolo ed ignorò la sua richiesta di una tazza di caffè. Imperterrito nella sua ricerca di normalità, Arthur Kirkland si limitò a sfilare una bustina di thè Twinings dalla scatola e ad inzupparla sistematicamente nell’acqua bollente. Osservò le curve ipnotiche di aroma color miele che lentamente iniziarono a colorare il liquido incolore e fumante, sentendosi per un attimo solo, inglese e perfetto.

Il motivetto canticchiato da Alfred a bocca piena si interruppe bruscamente:

«Art?»

«Cosa c’è?»

«Lo sai che questi biscotti fanno schifo, vero?»

Un fitta di dolore acuto raggiunse il petto di Arthur insieme ad una consapevolezza insopportabile ed umiliante. Perché quegli scones non era riuscito a mangiarli neppure il cuoco che con tanto impegno aveva mescolato gli ingredienti confondendo il sale con lo zucchero e sbagliato ancora una volta i tempi di cottura. Non a caso stava silenziosamente tagliando una fetta della torta francese avanzata nella speranza di passare inosservato, e di riuscire a mangiarla tutta prima che Francis tornasse in cucina (ah, già, Francis non sarebbe tornato).

« Non ti ho chiesto di mangiarli.» Concluse, lapidario, affondando con rabbia e crudeltà il coltello nel cioccolato morbido.

E fece finta di non vedere quando Alfred aprì la bocca ed ingoiò tre dolcetti l’uno dopo l’altro, facendo facce terribili solo per ricordargli che quella premura non solo gli costava una grande fatica eroica, ma che lo faceva per semplice e puro altruismo.

Arthur sbuffò, cercando una tazza in cui versare il thè bollente – gli vennero quasi le lacrime agli occhi quando le sue dita afferrarono il vuoto, nel tastare la porzione di mensola che aveva ospitato le bellissime tazzine di ceramica che Alfred aveva rotto. Ne trovò una di plastica con disegnati sopra dei Teletubbies scrostati dal tempo, un omaggio che aveva ricevuto per l’acquisto di tre scatole di cereali. Fece finta di non accorgersi dello sguardo fisso ed allibito che Alfred riservò alle quattro creature sulla tazza.

« Art?»

« Cosa vuoi ancora?»

« Hai un succhiotto sul collo.»

Il thè appena messo in bocca esplose dalle labbra di Arthur in modo a dir poco disdicevole e poco britannico.

Alfred lo seguì con lo sguardo mentre rischiava di affogare e si aggrappava al tavolo rischiando quasi di rovesciare il resto del thè sul pavimento – quando l’inglese trovò il coraggio di guardalo nuovamente, nonostante il thè gli gocciolasse ancora dal mento, l’espressione afflitta dell’americano era lo spettacolo più avvilente a cui avesse mai assistito. Anche se in quel momento dubitava potesse esistere qualcosa di più avvilente di essere Arthur Kirkland.

« Chi è stato? » il tono di voce di Alfred avrebbe probabilmente convinto un assassino seriale a pentirsi dei propri peccati e costituirsi in centrale.

Ma mentre con le mani tentava in un modo o nell’altro di occultare la pelle della gola, Arthur Kirkland lo guardò con la faccia sporca di thè e gli occhi che fiammeggiavano, perché ormai una funzionalità extra per analizzare le facce di Alfred si era impiantata nel suo cervello e in quel momento gli gridava non fidarti di quella faccia! Non fidarti, imbecille!

Ma per prima cosa, tentò di negare – certo, sarebbe stato più minaccioso se solo non fosse stato in pigiama, non avesse avuto la faccia in ebollizione e le sopracciglia spettinate:

« Se mi stai facendo uno scherzo, non mi sto divertendo.»

Alfred scosse il capo, mettendo in bocca un altro biscotto disgustoso – parlò a bocca piena, con le guance gonfie e gli occhi socchiusi e sofferenti per sottolineare la propria azione caritatevole:

« In realtà non diverthe nepphure me vedherti addossho una cosha del genere e shapere di non esshere shtato io a fharla.»

Arthur, comprendendo con una lentezza inaudita il significato nascosto da quelle parole, letteralmente, inorridì.

Proprio in quel maledetto istante, dall’ingresso provenne il solito motivetto stonato che scomodava l’elegante ed inglese campanello di casa Kirkland per annunciare l’imminente intrusione di Francis Bonnefoy.

Arthur Kirkland maledisse il mondo.

Si impose di ignorare il campanello mentre faceva un ripasso mentale dello stato dei suoi cassetti e del suo armadio, chiedendosi disperatamente dove avesse buttato la sciarpa l’ultima volta che se l’era tolta di dosso. Abbandonò la tazza dei Teletubbies sul tavolo insieme al suo thè ed alla fetta di torta, fiondandosi sulle scale ed in bagno. Il campanello si dimenava e gemeva e chiedeva pietà, ma al momento la cosa lo tangeva quanto la persona che aspettava una benedizione dal cielo aldilà dell’ingresso. Perché accidenti, forse fuori stava diluviando e il francese si sarebbe sciolto in una pozzanghera – ma il giorno dopo Arthur doveva presentarsi davanti ad una classe di cinquanta studenti, e non poteva farlo con un livido sul collo che la diceva lunga sulle sue abitudini sessuali.

« Non apri a Francis?» la voce squillante di Alfred lo raggiunse dal piano di sotto, rimbombando attraverso le pareti. Rischiando di scivolare sul tappetino, cadere all’indietro e rompersi l’osso del collo sbattendo la nuca sul water, Arthur si piazzò davanti allo specchio rettangolare:

« No! E se osi farlo entrare ti ammazzo!» e la sua voce era più alta di almeno un’ottava mentre piegava la testa, scopriva il collo spostando il colletto del pigiama ed esaminava con le dita la pelle chiara della gola.

Continuare a scrutare disperatamente ogni centimetro del proprio riflesso (per un  buon quarto d’ora) ed infine accorgersi che in fin dei conti sulla sua accidenti di gola pallida non si stagliava ALCUNA macchia scura da pervertiti, lo fece sentire stupido. Ma non semplicemente stupido; si sentì un idiota di proporzioni esorbitanti. Perché d’altronde il suo cervello lo aveva avvertito, o no? Non gli aveva gridato nell’orecchio di non fidarsi della faccia di Alfred F.Jones?

Quando tornò in cucina, battendo forte i piedi sugli scalini, trovò due maledetti scocciatori seduti al tavolo – Alfred aveva ovviamente aperto la porta e stava giocherellando con il dito lungo il bordo dell’orribile tazza dei Teletubbies. Francis si era trascinato in casa lasciando una scia bagnata e leggermente fangosa sul parquet lucidato e – bloody hell, cosa diavolo era quella macchia sul tappeto indiano? Ora aveva poggiato le sue compere sul tavolo, se ne stava comodo sulla sedia, la camicia oscenamente appiccicata al petto e le ciocche fradice che gli aderivano alla fronte e alle guance. E se entrambi non avessero avuto sulle labbra il sorriso sardonico di chi sta per scoppiare a ridere, probabilmente l’incazzatura di Arthur Kirkland sarebbe rimasta costante.

« Mi dispiace, petit.» biascicò Francis Bonnefoy mentre una sorta di strana compassione gli attraversava gli occhi « So che in fondo ti sarebbe piaciuto.» Forse si riferiva al succhiotto inesistente, ma Arthur stava letteralmente per detonare sul posto, quindi non fu tanto facile interpretarlo.

L’ultima cosa che sentì prima di afferrare la prima cosa avesse a portata di mano e scagliarla verso di loro, fu la risata spaccatimpani di un americano senza cervello:

« Art, avresti dovuto vedere la tua faccia!*»

Alfred scansò una statuetta di ceramica, sentendola sibilare in volo ad un soffio dal suo ridicolo ciuffo antigravità. Arthur Kirkland la vide fracassarsi contro la credenza e cadere in terra tintinnando: il pezzo più prezioso e raro della sua collezione di fatine in scala, dipinte a mano.

..Voleva morire.

« Oh, com’on, Art! Stai ancora piangendo per quello sgorbietto di ceramica?»

« No.» Arthur tirò su con il naso cercando di farlo nel modo meno rumoroso possibile, battendo le palpebre per camuffare le lacrime tra le ciglia. D’altronde aveva ufficialmente smesso di lamentarsi almeno un’ora prima, dopo aver fissato immobile per lunghi minuti i resti di porcellana ammucchiati nella spazzatura.

Alfred ebbe la brillante idea di consolarlo con una pacca sulla schiena – quel genere di gesto affettuoso che avrebbe anche potuto tranquillamente ucciderlo:

« Rotta una fatina se ne fa un’altra!*»

Arthur rischiò di affogare con la propria saliva, ma alla fine tossicchiò e riuscì a risollevarsi, riempiendo i polmoni d’aria:

« Alfred, chiudi quella boccaccia.»

Sentì la bassa risatina di Francis alla propria sinistra, decisamente troppo vicino all’orecchio:

« Se sei triste per il succhiotto, si può rimediare subito, mon petit chere

« Stammi lontano!»

Francis obbedì, senza tuttavia rinunciare a stampargli un bacio sulla tempia prima di allontanarsi; Arthur storse la bocca, rivolgendogli uno sguardo bieco e quasi disgustato – certo vedergli indossare uno dei propri soprabiti di riserva non era il massimo per tenere a bada l’isteria. Francis sembrò quasi lusingato da quelle occhiate piene di odio e in tutta risposta sollevò il colletto fin sopra il mento:

« Se solo volessi, potrei farti cambiare umore in un attimo.»

Arthur lo guardò, la bocca dischiusa deformata appena da una smorfia:

« Ma quanto fai schifo?»

Che facesse schifo o meno, stava comunque andando con lui ed Alfred a spasso per le strade di Londra, senza una meta e senza un motivo. Giusto per farsi vedere dal mondo insieme a due deficienti. Arthur Kirkland metteva semplicemente un piede davanti all’altro, troppo shockato dalla nottata terribile, dalla cena che l’aveva preceduta e dal ricordo avvilente della statuetta distrutta. Inoltre orribili parole francesi come “chere”, “petit” e “tresor” stavano cozzando rumorosamente contro le pareti del suo cervello, impedendogli di pensare in maniera sana e costruttiva.

« E fammi il favore di piantarla con quei nomignoli disgustosi, perché al prossimo ti giuro che vomito!»

Francis gli sorrise, caricando il proprio sguardo di una dose aberrante d’affetto:

« Come vuoi tu, Arrtiùr.» E fece attenzione ad imprimervi l’accento francese in maniera evidente e dura, accentuando le erre ovunque gli fosse possibile. L’inglesissimo Arthur Kirkland avrebbe volentieri sollevato un ginocchio per piantarglielo in mezzo alle gambe.

Ma dall’altra parte c’era ancora Alfred F. Jones che ridacchiava e gli dava del noioso vecchio, perciò fu costretto a riorganizzare le proprie priorità – punire quel ragazzo sfacciato sfrecciò di colpo al primo posto:

« E tu non solo sei un americano dislessico, ma anche una specie di disastro ambulante! Non credere che mi sia dimenticato delle tazze che hai rotto cercando le tue maledette coppette di gelato!» Sentì la mano di Alfred aggrapparsi alla sua spalla e spingerlo contro il suo petto, facendolo incespicare. « Come se del gelato potesse nascondersi nella credenza! Sono ancora mortalmente arrabbiato! E non dovevamo parlare di filosofia, oggi, eh?» Sentì la presa di Alfred farsi più salda sul proprio corpo e si accorse che il suo sorriso da ebete diventava più ampio. « Ti giuro che questa volta non la passi liscia, non osare mai più chiedermi mpfgh-!» Alfred aveva appena messo in atto la sua tattica infallibile per zittirlo senza sforzo: e come previsto bastò infilargli la lingua in bocca per placare qualsiasi fastidiosa rimostranza.

« Ah, l’amour.» fu il commento sospirato di Francis, mentre regalava una palpata divertita al fondoschiena di Arthur.

Doveva esserci qualcosa di decisamente sbagliato in quegli individui.

Doveva esserci.

« Bene!*» Esclamò Alfred F.Jones dopo essersi allontano dal volto dell’inglese ed aver lasciato Arthur a barcollare per il marciapiede. « Non accetto obiezioni! Tutti i prossimi week-end li passeremo a casa di Art!»

« No!» E Arthur avrebbe voluto dirglielo in tutte lingue, ma al momento la confusione e la disperazione gli permettevano di usufruire solo della sua madrelingua inglese.

Forse un giorno lo avrebbero fatto impazzire e lo avrebbero ritrovato mezzo nudo in mezzo alla strada mentre beveva whisky e biascicava maledizioni che li dannava per l’eternità.

Ma per ora li avrebbe sopportati.

Ancora per un poco.

 

 

Nota dell’autrice:

Si, ribadisco che mi piace tanto il triangolo dei biondi. Che mi piace tanto l’accostamento Blu/Bianco/Rosso in tutte le sue varianti. Che probabilmente scriverò FrUKUS finché scriverò di Hetalia. Che probabilmente continuerò a tormentare Arthur Kirkland ogni volta che ne avrò l’occasione C:

 Questo sanissimo e lecito attentato alla sanità mentale di Inghilterra si conclude qui ;D Ho apportato le modifiche necessarie ad ovviare alcuni problemi che mi sono stati fatti notare dall’amministratrice nel capitolo precedente <3
Regalo anche la seconda parte alle ispiratrici di questa cosa assurda e fondamentalmente priva di senso logico, Juju e Angi: mi avete sfidato/chiesto di scrivere roba che non fosse angst o deprimente, e spero di esserci riuscita xD

Diecimila grazie e ai recensori che mi hanno resa felice! Alicyana (perché è bello leggere una recensione formato fanfiction xD <3!), ballerinaclassica (grazie per la tua approvazione, per la segnalazione e per avermi spinta a riaprire questo file xD), Aerith1992 – leggere recensioni fa sempre crescere un po’ la mia (scarsa) autostima e la mia voglia di scrivere <3

E voi che avete aggiunto la storia tra i preferiti, tra le storie seguite o tra le storie da ricordare, vi voglio bene anche se non mi avete ancora detto il perché u_u (sguardo eloquente d’accusa).

Per ora non ho in programma di scrivere altre scempiaggini simili, ma se mi accorgo che la cosa potrebbe fare piacere a qualcuno, credo che riorganizzerò volentieri le mie priorità in favore di questi tre dementi xD

 

 

Alla prossima! Cough.
Alfred, Francis, lasciate perdere quell’inglese isterico e amatevi tra di voi! Viva il FrUSA


*Copia/incolla dal primo capitolo: a causa della mia incapacità e della mia pigrizia che non mi permettono di gestire a dovere Nvu, gli asterischi censurano le stelline che inserisco spesso nella parlata di Alfred. Odio Nvu, e forse un giorno mi impegnerò e troverò il modo per lasciare intatte le battute di America.

   
 
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