Crossover
Segui la storia  |       
Autore: Feel Good Inc    28/10/2010    1 recensioni
{ III classificata a pari merito nel contest “Alice nel paese di...” indetto da Fabi_ }
Alice in Wonderland x Il Mago di Oz. Tre episodi prettamente nonsense e assolutamente slegati tra loro.
I. Primo atto ~ Si era mossa con l’unico pensiero che forse, come quell’ultima volta, il viaggio le richiedeva di ritrovare la sua moltezza, di ritrovarsi. [ Alice Kingsley; Spaventapasseri – fluff/malinconico ]
II. Interludio ~ Qualcuno ancora si ostinava a dire che gli orologi ticchettavano prima del Giorno Gioiglorioso, ma doveva trattarsi di una sciocca credenza popolare, perché persino il Giorno Gioiglorioso – nessuno si ricordava più quando fosse stato, e il Cappellaio Matto meno di tutti. [ Cappellaio Matto; Spaventapasseri – dark/introspettivo ]
III. Ultimo atto ~ Nel paese dei Mastichini c’erano due sole strade, che si dipanavano come nastri dal cuore del villaggio: una era rossa, e lei non aveva mai saputo dove andasse a finire... [ Dorothy Gale; Stregatto – malinconico/triste ]
{ Cappellaio x Alice / Spaventapasseri x Dorothy }
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Film, Libri
Note: Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Interludio ~ Perdersi

;; I make the path ;;

 

 

 

{ I’m walking down the line that divides me somewhere in my mind

On the border line of the edge and where I walk alone }

 

 

 

Si diceva che a Sottomondo non vi fosse mai stato un cappellaio abile quanto Tarrant Hightopp, e certo doveva essere vero, se neppure le gocce rosse che tossiva in certi momenti riuscivano a fargli interrompere il suo lavoro.

Lo Stregatto soleva miagolare che c’era stato un tempo in cui al Cappellaio Matto – così lo chiamavano tutti – non era importato molto dei cappelli, e in cui tutto ciò che faceva durante il giorno era stare seduto insieme al Leprotto ed al Ghiro a bere tè dal suo servizio di tazze sbeccate e senza fondo. Il Cappellaio rideva di questo, poiché non ricordava nulla del genere: sapeva soltanto che il suo posto era sempre stato il castello della buona Regina Bianca, là dove Mirana gli affidava di tanto in tanto il compito di cucire un copricapo per lei o per un altro ospite della sua corte – compito cui il Cappellaio stava adempiendo anche in questo preciso momento, volteggiando qua e là tra stoffe e nastri e spilli e aghi con l’eccitazione e lo zelo di un bambino. Perché il suo nuovo cliente era un personaggio tutto particolare, oh sì che lo era, e il Cappellaio era stato a lungo molto curioso di conoscerlo, sin da quando Mirana gli aveva parlato per la prima volta di quel forestiero il cui corpo imbottito di paglia si era accasciato una mattina appena fuori dei suoi cancelli.

Un uomo di paglia, capito? Il Cappellaio Matto doveva conoscerlo.

L’occasione era arrivata ed oggi il Cappellaio, tutto contento, prendeva misure e tagliava tessuti e soppesava colori e intanto non perdeva mai di vista il suo ospite, che attendeva in piedi in un angolo della stanza guardandosi intorno con i suoi occhi dipinti e dondolando le braccia lungo i fianchi. Lo aveva invitato a sedersi, ma lo Spaventapasseri – così si faceva chiamare – aveva sorriso e aveva detto che non ce n’era bisogno, che lui non era mai stanco. Il Cappellaio aveva reputato poco saggio chiedergli perché allora si fosse lasciato cadere davanti alla corte della Regina Bianca, adducendo quello stupido dubbio che gli era sorto alla propria consueta follia, e aveva ripreso a lavorare tossendo ogni tanto le gocce rosse che si facevano sempre più frequenti.

Non avrebbe saputo dire da quanto tempo gli succedesse di tossire rosso. Nessuno avrebbe potuto stabilirlo, in realtà; il Tempo a Sottomondo era fermo da – beh, più o meno da sempre. Qualcuno ancora si ostinava a dire che gli orologi ticchettavano prima del Giorno Gioiglorioso, ma doveva trattarsi di una sciocca credenza popolare, perché persino il Giorno Gioiglorioso – nessuno si ricordava più quando fosse stato, e il Cappellaio Matto meno di tutti.

Lo Spaventapasseri sembrava molto curioso del lavoro del Cappellaio. Continuava a chiedergli spiegazioni ogni volta che lo vedeva preparare un particolare attrezzo o girare una qualche manovella. Di certo era qualcuno cui piaceva apprendere; lo Stregatto non gli aveva mai fatto tante domande mentre lo guardava all’opera: lui si limitava a fluttuargli intorno e a miagolargli all’orecchio che gli sarebbe tanto piaciuto provare ancora una volta il suo cappello – anche se il Cappellaio non riusciva a ricordare quando potesse esser stata l’altra volta. Lo Spaventapasseri invece era interessato a tutto ciò che vedeva.

« Dimmi, Cappellaio, le mie domande ti annoiano? »

Il Cappellaio si voltò infilando alcuni spilli nel cuscinetto che aveva al polso e scosse la testa, sorpreso. « Certo che no, Spaventapasseri. Cosa te lo fa pensare? »

Lo Spaventapasseri, in piedi nel suo angolino, fece un sorriso strano e le labbra posticce distesero il viso increspato. « Devi perdonarmi, ma da quando ho un cervello ho sempre cercato di riempirlo con più cose possibili. So che questo può essere logorante per la persona che tenta di rispondermi. Un Leone mio vecchio amico una volta mi disse che, se non avessi smesso subito di chiedergli notizie della sua foresta, sarebbe diventato erbivoro e si sarebbe dedicato espressamente alla mia paglia. »

Il Cappellaio guardò lo Spaventapasseri con un interesse proporzionale a quello che da lui gli veniva rivolto. « Che cosa vuol dire, ‘da quando ho un cervello’? Non ne hai forse sempre avuto uno? »

« Oh, no » e il sorriso dello Spaventapasseri di colpo divenne triste. « Io sono fatto di paglia, Cappellaio. Tanto, tantissimo tempo fa il mio compito era quello di stare in un campo a spaventare i corvi con la mia sola presenza – ma ero così stupido che persino i corvi si accorsero che non c’era nulla da temere da parte mia. Allora mi dissi che sarei diventato intelligente, che un giorno avrei avuto un cervello al posto della paglia che mi riempiva la testa; e quando all’incrocio è arrivata la persona che per prima mi ha accettato così com’ero, senza indugi l’ho seguita sul lungo sentiero dorato per andare a procurarmi ciò che mi mancava. »

Il Cappellaio Matto non era sicuro delle proprie impressioni, ma gli sembrava che anche la voce dello Spaventapasseri si fosse riempita di tristezza quando il suo discorso si era spostato sulla sconosciuta ‘persona’. Non era famoso per la sua attenzione ai dettagli – gli unici che davvero notasse erano i dettagli dei suoi cappelli; ma ugualmente qualcosa lo spinse ad abbassare lo sguardo, esitante, mentre arrotolava di nuovo il nastro con cui aveva misurato l’ultimo lembo di tessuto che gli serviva – e poi si chinava subito dopo scosso dai soliti colpi di tosse rossa.

« Cappellaio, stai male? »

Lo Spaventapasseri aveva alzato il capo e lo guardava con sincera preoccupazione, ma il Cappellaio scosse con impeto il suo e si raddrizzò.

« Benissimo, sto benissimo. » Guardò dritto dentro gli occhi azzurri dell’uomo di paglia e cercò di figurarsi il cervello oltre la tela del viso. « Ma se hai ottenuto ciò che volevi, allora come sei arrivato qui, Spaventapasseri? »

Quella era l’unica cosa che neppure Mirana sembrava sapere. Quando si era ritrovata lo Spaventapasseri fuori dal castello, naturalmente il suo animo buono e sensibile le aveva suggerito di prestargli aiuto offrendogli ospitalità, ma era stata anche tanto delicata da non chiedergli nulla. Il Cappellaio non era una persona delicata; non c’erano freni ad impedirgli di porre domande scomode o difficili – in fondo i matti non si fanno mai di questi problemi.

Lo Spaventapasseri rimase per un po’ in silenzio e guardò il cielo al di là della finestra aperta. Era di un grigio slavato e compatto, quasi bianco, che non lasciava trasparire né il sole né le nuvole – a Sottomondo non si vedevano più né l’uno né le altre, da chissà quanto tempo, forse da sempre. Alla fine il fantoccio parlò di nuovo, anche se nel suo tono non c’era più traccia dell’allegria che aveva animato le sue domande poco prima.

« Sono andato a cercarla, ma ho smarrito la strada. Temo sia impossibile poter arrivare a piedi dall’altra parte dell’arcobaleno. »

Il Cappellaio Matto rimase a contemplarlo senza dire niente, chiedendosi quanta saggezza fosse racchiusa in quel cervello che lo Spaventapasseri si portava adesso dentro la testa, e se quell’uomo di paglia fosse in grado allora di rispondere a qualsiasi domanda e di risolvere qualsiasi enigma – perché un corvo assomiglia a una scrivania? Non l’aveva mai saputo. Avrebbe potuto chiederglielo; avrebbe potuto…

Tossì di nuovo, e le gocce rosse che si ritrovò sul palmo della mano lo riscossero e lo riportarono con la mente al suo lavoro ormai pressoché completo.

« Ho quasi finito, Spaventapasseri » disse già dal di sopra delle ultime modifiche al cappello destinato al suo nuovo fragile conoscente.

« Davvero? » Lo Spaventapasseri tornò allegro e festoso; batté le mani rese tali dai guanti grezzi e saltellò sul posto. « La signora Mirana mi aveva detto che saresti stato veloce. »

Quando il Cappellaio aveva accettato di creare un nuovo cappello per lo Spaventapasseri venuto da chissà quale regno lontano, aveva pensato ad un lavoro uguale a qualsiasi altro. Adesso che conosceva la storia dello Spaventapasseri, con una minuscola parte della propria mente – quella che era un pochino normale, quella che non lasciava mai emergere: quella che aveva scelto di dimenticare – si rendeva conto che forse il nuovo cappello gli serviva a mantenere in buono stato il cervello che gli era stato donato. Forse, per lo Spaventapasseri raggiungere l’altra parte dell’arcobaleno era tanto importante che lui non voleva correre il rischio di perdere per strada il suo proposito. Forse, lo Spaventapasseri non era come lui, non era disposto a rinunciare tanto facilmente ai ricordi in nome di un posto tranquillo come la Corte della Regina Bianca o di un bel lavoro come quello del fare cappelli.

Il Cappellaio aveva dimenticato se il Tempo fosse mai trascorso, e il Giorno Gioiglorioso, e le tazze da tè sbeccate e senza fondo di cui parlava lo Stregatto. E aveva dimenticato anche una persona – non ricordava, ovviamente, come si chiamasse o che viso avesse. Invece lo Spaventapasseri forse, semplicemente, non voleva dimenticare.

« Spaventapasseri, tu mi sapresti dire perché un corvo assomiglia a una scrivania? »

Il fantoccio di paglia lo guardò con aria mortificata. « Mi dispiace, Cappellaio… Da quando lei se n’è andata, non ricordo più come si fa a pensare. »

Oh, era per questo allora che faceva così tante domande? Il Cappellaio Matto credeva di capire, ma non ne era sicuro. Si limitò ad avvicinarsi e ad iniziare a scucire in silenzio i punti che tenevano il vecchio cappello logoro dello Spaventapasseri unito al sacco che gli reggeva su il cervello.

E quando anche l’ultimo punto saltò e il Cappellaio si ritrovò a stringere tra le dita i lembi della testa dello Spaventapasseri, ebbe un sussulto al vedere che quel cervello di cui tanto aveva congetturato e immaginato si rivelava esser diventato un ammasso di paglia muffita e frantumata.

« Spaventapasseri… Il tuo… »

« Lo so. » Poco più in basso, gli occhi del fantoccio erano ancora di quell’azzurro luminoso, ma così da vicino sembravano un po’ meno vivi e un po’ più dipinti. « Te l’ho detto, Cappellaio. È per questo che devo ritrovarla. Senza di lei, tutto quello che ho avuto si è guastato e io sono tornato ad essere lo stesso pupazzo stupido di una volta. »

Il Cappellaio guardò costernato il cappello nuovo pronto sul tavolo accanto a sé. Era stato un lavoro inutile; non sarebbe più servito a mantenere caldi e sicuri i pensieri e i ricordi della persona speciale dello Spaventapasseri – ma era pur sempre il suo compito, ed ogni compito andava portato a termine. Così il Cappellaio prese su il suo lavoro e ricucì insieme con silenziosa solerzia la stoffa e la tela, richiudendo il vuoto sopra il cervello andato a male di quel povero uomo non umano che anche adesso si teneva dolorosamente stretto il suo bisogno di rivederla.

Forse un tempo il Cappellaio Matto era stato come lui; chissà, magari lo Stregatto se lo ricordava.

Lo Spaventapasseri saggiò con le dita impagliate il nuovo copricapo e sorrise. « Ti ringrazio, Cappellaio. Sei davvero bravo come dice la signora Mirana. »

« Non ringraziarmi; è bello fare il mio mestiere » gli sorrise in risposta, salvo poi portarsi le mani alla bocca e tentare di sopprimere un ulteriore scoppio di tosse che come sempre gli macchiò i palmi di rosso. Lo Spaventapasseri sobbalzò e fece come per aiutarlo a sollevarsi, ma il Cappellaio glielo impedì schermendosi e riprendendo il discorso in fretta – per non rischiare di dimenticare anche quello. « Perdonami, Spaventapasseri, ho ancora un’ultima domanda. Quella persona che dicevi… »

L’uomo di paglia annuì, in attesa.

« Ti ricordi almeno il suo nome? »

Questa volta il sorriso dello Spaventapasseri fu più allegro che mai, e per un attimo al Cappellaio sembrò di poter vedere nella stanza un po’ di quella cosa che doveva essere il sole.

« Certo che me lo ricordo. Non potrei mai dimenticare Dorothy. »

Poco più tardi, mentre lo guardava dalla porta aperta allontanarsi lungo il corridoio deserto del castello, dondolandosi sulle sue lunghe gambe prive di ossa, il Cappellaio tossì ancora, più forte, e si rammaricò di non essere uguale allo Spaventapasseri.

Il Tempo – sì, era il Tempo ad uccidere tutto: i ricordi, i cervelli, forse persino gli indovinelli. Quelli troppo difficili, quelli per cui non si sarebbe mai trovata una risposta. Come quello del corvo e della scrivania, che forse lui aveva posto a qualcun altro prima del Giorno Gioiglorioso, e che sicuramente mai nessuno aveva saputo risolvere.

Eppure, nonostante tutto, nonostante la sua testa stesse marcendo, lo Spaventapasseri ancora ricordava, e continuava a cercare quella sua persona e a sperare di raggiungerla dall’altra parte dell’arcobaleno.

E il Cappellaio che invece stava lì a tossire gocce rosse – forse stava sputando il suo cuore, che era ugualmente marcito da quando il tempo lo aveva fatto dimenticare di Alice.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Credits e annotazioni

- Il sottotitolo corrisponde alla battuta “Lo decido io il percorso” che Alice rivolge a Bayard in Alice in Wonderland;

- I versi iniziali sono tratti da Boulevard of Broken Dreams dei Green Day;

- Il nome Tarrant Hightopp è quello che Tim Burton ha dato alla sua versione del Cappellaio Matto, dunque non è mia invenzione.

 

 

Note (ulteriori) dell’autrice

Questo capitolo è il più cupo dei tre, e onestamente è stato più facile da scrivere rispetto al primo. Forse perché Alice in Wonderland mi ispira davvero molta inquietudine, e così l’immagine di un Cappellaio Matto malato nel corpo e nella mente mi ha ossessionata a lungo, specie se messa in relazione con la figura disperata eppure così terribilmente positiva del mio amato Spaventapasseri. Sì, perché, se non si fosse capito, lo Spaventapasseri è il mio grande amore. <3 x’D

Forse questo è il capitolo che preferisco, ma naturalmente non mi dispiacerebbe un giudizio da parte dei lettori ^^

Ringrazio, a proposito, Carolillina per aver inserito la storia tra le preferite, e PaytonSawyer che l’ha inserita tra le seguite. Spero che anche questo episodio sia di vostro gradimento.

Aya ~






   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Crossover / Vai alla pagina dell'autore: Feel Good Inc