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Autore: topolinodelburro    29/10/2010    0 recensioni
Sara abbassò lo sguardo, lo posò su quel mantello carminio che amava veder apparire all'orizzonte, e qualcosa, dentro le sue mani, palpitò.
Occhi acquosi e cristallini la guardarono prima di emettere un miagolio stridulo e acuto.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stava passeggiando in giardino mentre il gatto la guardava dalla finestra. La seguiva, costantemente, con quegli occhi che lei sapeva azzurri, mentre il lungo e folto pelo color sabbia gli si arruffava nel miagolio che stava emettendo.
Si guardò ancora un poco attorno, fece qualche altro passo, ma rientrò nel giro di pochi minuti. Salendo le scale della sua torre, Sara pensava agli impegni del giorno dopo, mentre restituiva sbrigativamente il saluto alle dame. Arrivata alla porta dei suoi appartamenti fu annunciata, e le fu aperta la porta, ed il micio che prima l'attendeva alla finestra sgattaiolò miagolante verso di lei, strusciandosi tra le pieghe del suo lungo abito.
Entrò e si sedette alla finestra, prendendo in mano un manoscritto dal tavolino non molto lontano. Il felino le si acciambellò sulle ginocchia, producendo delle fusa quando la mano libera di lei prese ad accarezzare pigramente la sua schiena.
Distolse qualche secondo lo sguardo da ciò che stava leggendo per posarlo sulla creatura che le sedeva in grembo, e fu in quel momento, che gli occhi del felino si alzarono ed i suoi furono catturati da quelle bolle acquose e cristalline, d'un azzurro che si poteva trovare solo nelle acque del mare, prima che l'animale ritornasse tranquillamente a dormire.
Passò nuovamente le mani lungo la sua schiena, con affetto, e il pelo ocra le ricordò le spiagge oltre le montagne.
Sara doveva percorrere lunghe ore in sella alla sua giumenca per poter vedere il mare.
Doveva solcare il passo della catena montuosa che proteggeva il castello di Sasune dai pirati e ridiscendere lungo la valle trattenendo forte tra le mani il suo scialle, perchè il maestrale che spirava dall'oceano su, fino alle pendici delle montagne non glielo portasse via.
Era un percorso faticoso e non privo di rischi per lei, ma lo percorreva da sola, fasciata in abiti di lana e tessuti ispidi che le irritavano la pelle sfregandola e producendo calore.
Partiva sempre ai rossori del tramonto, sicura di poter giungere alla spiaggia per poter scorgere i primi grigiori dell'alba.
Il suo anello di mitrhil le illuminava il cammino notturno, mentre la giumenca percorreva il cammino della stella ad occidente, che si allungava verso il mare.
Nelle sere d'inverno incominciava il suo viaggio appena qualche ora prima dell'anticipato calare del sole, fermandosi a sostare all'approssimarsi del valico che attraversava i monti, in attesa dei minuti più freddi della nottata, così da poter seguitare il cammino senza correre il pericolo di creare valanghe, a causa della neve cedevole.
Delle volte accendeva anche un piccolo fuoco, e si incantava ad osservare il suo bagliore danzare sul manto dell'animale sdraiato accanto a lei, ed in quel danzare vedeva il mare.
Erano lingue rosse di fuoco che salivano verso il blu cupo della notte e si muovevano sinuose, come la spuma del mare negli occhi del suo cavaliere, quando l'orgoglio e la sicumera gli animavano lo spirito.
Sara si sognava immersa in quella spiaggia, accecata dai suoi occhi e sommersa dal profumo e la morbidezza dei suoi capelli, mentre rubavano del tempo insieme.
Sara amava il mare.
Aspettava fantasticando nel gelo finchè questo non diveniva insopportabile, e solo allora impugnava nuovamente le briglie di Agaunar e muoveva dei passi incerti, lungo il costone roccioso, leccandosi il sangue dalle labbra spaccate a causa della temperatura.
Poneva un piede dietro l'altro, mentre i suoi sandali di cuoio stridevano per l'attrito con il ghiaccio e la neve e la giumenca dietro di lei dava segni di irrequietezza a causa dell'altitudine e della strettezza del valico. Allora stringeva più saldamente le briglie tra le mani e serrava i denti, soffocando un'imprecazione e mille brontolii tra le labbra, ripensando al perchè del suo viaggio, e, come tutte le volte, si malediceva, perchè spesso non giungeva nemmeno a vedere il mare, ed era costretta a tornare indietro interrompendo il pellegrinaggio affinchè suo padre non notasse la sua assenza.
Altre perchè a causa di una slavina il passo era diventato invalicabile; o ancora, perchè in realtà era lui a non esserci, e lei aspettava invano tutto il giorno con il cuore che le saltava nel petto e lo stomaco chiuso.
E nonostante tutto continuava a compiere quei suoi viaggi sconsiderati pregando di poter arrivare ad affondare i piedi stanchi nella battigia.
Sussultò, quando il gatto si mosse sulle sue ginocchia e cambiò posizione, non prima di averle rivolto un ulteriore sguardo. Quegli occhi, le ricordavano altri due occhi, più intensi, ed il suo manto, le richiamavano capelli morbidi al tatto, dal profumo pungente.
Chiuse il libro, si abbandonò contro lo schienale e socchiuse gli occhi, lasciando cadere le braccia lungo la poltrona.
Il gatto emise un miagolio infastidito, non appena smise di accarezzarlo, sgranando i suoi già enormi occhi marini, strusciando la testa contro il suo ventre per richiamare la sua attenzione. Sara si lasciò scappare un sorriso, mentre tornava nei suoi ricordi.
Pagava ogni sforzo, ogni sofferenza, ogni delusione l'emozione intensa di scorgere, non ancora abbandonate le montagne, dall'ultima altura, quella fascia cupa che rideva luminosa dei giochi della luna, della quale restituiva il riflesso, mentre si arrossava di torpore, l'orizzonte, con l'avanzare dell'alba.
Sara impazziva alla vista del mare, mentre il vento salmastro le scompigliava i capelli creandole mille nodi fastidiosi.
E lei si presentava così, delle volte lui c'era già, e la vedeva arrivare trafelata e sciupata come un panno lavato con troppa energia. Altre lei lo aspettava contemplando la linea tra terra e cielo, e lui giungeva altero, ammantato di broccato, mentre la lunga piuma bianca del suo cappello volteggiava nella brezza tenera. Le regalava il sorriso con una magia e l'avvolgeva nel suo drappo rosso papavero, mentre le toccava i capelli e le carezzava dolcemente il viso.
Alcune volte, entrambi, si erano aspettati tutto il giorno, e non si erano mai incontrati.
Era felice anche se sapeva di non essere bella; lui la raggiungeva elegante e sensuale come una fiammella e lei lo accoglieva stringendo tra le mani crepate dal freddo quelle di lui, callose per l'uso continuo della spada, guardandolo con radiosi occhi solcati da profonde occhiaie, e resa scombinata a causa del lungo viaggio e della sterpaglia tra i capelli dismessi ed increspati dall'umidità marina.
Amava il mare, e con lui la loro promessa, ed il suo buon cuore, nascosto da un carattere così insipido e presuntuoso.
Stava aspettando sugli scogli cullata dal rumoroso infrangersi delle onde. Aspettava da ore, ed il cielo rosseggiava ormai. Avrebbe fatto notte, ed il Guerriero della Luce l'avrebbe raggiunta oppure no? Come la volta prima, e quella prima ancora; mentre la sua illusione veniva cullata dal canto dei grilli fino a spegnersi, e lei imbrigliava Agaunar e delusa, partiva.
Ricordava ancora, quand'aveva ricevuto quel micio così protettivo nei suoi confronti, e ripensandoci, a mente lucida, dovendo paragonare l'animale ad un essere umano, quello sarebbe stato il suo cavaliere.
Com'era nobile, e ricco d'ideali l'uomo che amava, quand'ancora entrambi erano più giovani e ciò che è oscuro non predominava sulla luce. Il suo cavaliere combatteva con valore e Sara aspettava ancora, su quegli scogli.
Attendeva anche all'ora, alla sua finestra. Il gatto vagava per la stanza, indeciso, prima di saltare elegantemente sul letto della sua padrona e miagolare. Annusò l'aria tutt'attorno, e fremette con le orecchie, prima di emettere nuovamente il suo verso, come un richiamo.
Sara si alzò, dirigendosi verso un mobiletto di palissandro, estraendo delle ciotoline che appoggiò sul pavimento, facendole tintinnare.
Mandò a chiamare dalle dame, del latte e della carne, evidentemente, era giunta l'ora del pasto. Ritornò nuovamente alla sua poltrona, mentre il micio, giunta la cena, era disceso dal letto per banchettare. Riportò di nuovo la sua attenzione fuori dalla finestra, anche quella sera di anni fa, attendeva.
Imbruniva, ma lo vide, rosseggiante, mentre il suo chocobo attraversava la piana e s'arrestava sulla spiaggia e lui discendeva dall'animale con un balzo ed immergeva gli stivali nell'acqua, camminando verso di lei, fino agli scogli.
-Hai aspettato-
-Ho aspettato-
Lo osservò portare la destra all'elsa della spada, istintivamente.
-Ho qualcosa per te, ma aspetterà, più tardi-
Le sue mani fremevano di toccarla, e Sara lo vide. Si avvicinarono, e nella sabbia, come conchiglie, si lasciarono baciare dall'acqua mentre la loro essenza combaciava l'una con l'altra.
Ingus s'era fatto aspro nel prenderla, ma non se ne lamentava. Dopotutto, continuava a tornare a quella spiaggia, alla loro promessa, e Sara poteva bearsi della sua presenza e della sua prestanza guerriera. Era annullarsi, per entrambi, e non esistere per qualche ora; senza pensare per una notte, a nulla, se non al piacere, ed a loro insieme, mentre i cuori si toccavano ed accarezzavano nello stesso modo delle loro labbra.
Era dolce, il dopo, sotto le stelle, emozioni che Sara credeva nemmeno una principessa, sarebbe riuscita a provare, mentre lei era lì, distesa ed arruffata, dolorante e completa, a contemplare il viso del suo cavaliere rilassarsi al bagliore del fuoco.
Poi Ingus si alzava, si rivestiva, sotto il chiarore della luna, e lei lo seguiva con lo sguardo, gettandosi sulle spalle la coperta in lana per nascondere la nudità, aspettando che la baciasse ancora una volta, prima di partire. Lo guardava girarsi, e sporgersi verso di lei, e sorriderle, mentre abbottonava la camicia, e continuava a volgerle degli sguardi, di tanto in tanto, a controllare che lei fosse sempre lì e non fuggisse. Infine si infilava il cappello, e lisciava con un tocco la lunga piuma. Allora, le si avvicinava.
Quella mattina aveva qualcosa tra le mani, avvolto nella stoffa del suo mantello, e glielo porse. -E' il mio cuore- le disse, e rideva.
Lasciò dolcemente il fagotto tra le sue mani, mentre con un ultimo affettuoso gesto le accarezzava, prima di allontanarsi.
Salì in groppa alla sua cavalcatura, e salutandola, tirò le redini, e partì.
Sara abbassò lo sguardo, lo posò su quel mantello carminio che amava veder apparire all'orizzonte, e qualcosa, dentro le sue mani, palpitò.
Occhi acquosi e cristallini la guardarono, prima di emettere un miagolio stridulo e acuto.
Lo sentì ancora, era il gatto che si agitava nuovamente sul suo grembo, ad aver interrotto il suo dormiveglia, in quel soleggiato pomeriggio. Lo fece scendere dolcemente, e si mise in piedi, stiracchiando le braccia.
Congedò le dame, ed uscita dalla sua stanza ridiscese la torre, diretta nuovamente verso i giardini.
Questa volta, il micio l'accompagnava, ed il suo folto pelo dorato volteggiava disturbato dal vento autunnale. Giocava con le foglie, mangiandone qualcuna, di tanto in tanto, ed i suoi occhi roteavano, spalancati come finestre nell'osservare ciò che gli stava attorno. I baffi fremevano, con la testa aveva iniziato e seguitare il volo di una farfalla, e tutto il resto per lui, aveva perso importanza. Sara si godeva l'aria di fine estate, seduta sull'erba, all'ombra di una pineta.
Era passato del tempo, il giovane cuore era cresciuto.
Il loro, ed il suo tempo si assottigliava, ed il suo cavaliere sbiadiva, mentre la sua anima mutava, di anno in anno, con l'avanzare della guerra.
La promessa vacillava, eppure l'illusione era cresciuta, e con essa la sua delusione.
Sara continuava a tornare, alla spiaggia, ed aspettava, e si chiedeva, sarebbe rimasta ancora abbandotata sulla sabbia, con i piedi che dolevano, le labbra tumefatte, mentre l'illusione cresceva, come un bagliorino nell'oscurità?
Il gatto le si era fatto vicino ora, e la guardava. E Sara nei suoi occhi rivedeva gli occhi del suo cavaliere, e l'illusione cresceva. Quante volte, con quegli stessi occhi, lui l'aveva guardata?
-Non so se potrò tornare- Ingus era di spalle e lei sentì la gola stringersi e le forze farsi meno -Non venire più-
-Verrò, è un viaggio che non mi dispisce-
-S'è fatto tutto così difficile, e l'Oscurità ci sfugge dalle mani, noi dobbiamo partire-
-Non importa, ho detto che verrò, la guerra finirà, e tu tornerai, tornerai?-
-Tornerò, tratta bene il mio cuore-
Non s'erano più trovati, e sebbene quella spiaggia continuasse a vederla aspettare di anno in anno, non aveva ancora potuto godere nuovamente, del loro amore.
Ogni viaggio, portava a Sara una nuova delusione, e l'amaro in bocca le cresceva. Sapeva, che era l'Oscurità, a tramare per la loro separazione, ma nonostante ciò, non poteva, non rimanerne ferita.
E più la delusione cresceva, più l'illusione della loro promessa, aumentava, sollecitata da un torpore, credendo fortemente, che anche quella guerra, come le altre, sarebbe finita.
Il gatto aveva smesso di giocare con la farfalla e le si era avvicinato, la guardava ancora, e quegli occhi azzurri come il mare sembravano quelli del suo cavaliere, erano il mare.
Se Ingus voleva essere sicuro che l'avrebbe amato per l'eternità, c'era riuscito.
Sapeva, che erano quegli occhi felini, a legarla in quella dolce magia.
   
 
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