Fanfic su artisti musicali > Take That
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Autore: Nerween    02/11/2010    5 recensioni
"La conferma che quella che era la pazzia, il vero sogno della mia vita. Quello che mi stavo immaginando, quello che avrei vissuto… oh, era di gran lunga più di quanto avessi desiderato, molto più grande di quell’incontro che adesso mi sembrava piccolo e insignificante.
Deglutii prima di porre la domanda.
«Di che tour si tratta?»
Lanciai un fugace sguardo a Kevin e vidi che mi sorrideva.
Turner mi guardò e mi parlò fiero «Ovviamente si tratta del Beautiful World Tour, dei Take That.»" [dal Cap. 6]
***
"«Quanto siete eccitati, su una scala da 1 a 10?»
«Non sapevo fossi specializzata in domande idiote, Fabiana» mi rispose Mark. Gli feci una linguaccia e lui ridacchiò.
«Dai Mark, come sei scortese» lo rimproverò Gary.
«Tu trabocchi d’emozione, vero Mr. Barlow?» lo stuzzicò Mark.
Gaz lo fissò con un sorriso di sfida, mentre Mark gli si avvicinava e gli palpava il sedere «Te la faccio vedere io l’emozione.»" [dal cap. 13]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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E' da questa estate che cerco di scrivere qualcosa su questi quattro tipi (ogni riferimento ad un quinto ipotetico componente chiamato Robbie Williams è puramente casuale) che si fanno chiamare Take That. E' la prima (e forse anche l'unica, per adesso mi sto appassionando alle one shot *w*) long che scrivo su di loro. No, aspetta. E' la prima FF in generale che scrivo su di loro, stufa di dedicarmi alla sezione Harry Potter u.u  Sotto incitamento di Giò (<3) e della mia Zukkina (<3) ho deciso di pubblicarla anche qui su EFP.
La protagonista è una ragazza ed ogni avvenimento/dialogo/relazione è frutto della mia immaginazione.
Sì, insomma, buona lettura.






1995.

Capitolo 1 – Who are Take That?
Il biglietto che avevo in mano segnava il nome della strada in cui mi sarei dovuta fermare, nel piccolo borgo londinese del Brent. Con la mia solita sfortuna sfacciata, il foglietto mi era caduto in una pozzanghera e l’indirizzo era ormai illeggibile.
«Where do I stop?» mi chiese il taxista irritato, per la seconda volta. La prima era andata male, avevo sbagliato strada e avevo suonato al campanello della casa sbagliata.
Ero a Londra, nella cittadina del Brent, e solo un’incapace come me si sarebbe fatta cadere nella pozzanghera il foglietto, dove c'era scritto il nome del viale dove avrei passato un mese della mia estate, in una delle tante case che accolgono i giovani stranieri per un certo periodo di tempo. La cosiddetta full immersion, e per una che adorava le lingue e sognava, un giorno, di abitare e trovare lavoro a Londra magari come fotografa (che era la mia più grande passione), non poteva esserci nulla di meglio.
«I don’t know if this is a R or a S…» risposi, mostrando il biglietto all’irritato autista. Lui lo lesse e dopo un po’ cambiò completamente strada.
Dopo un po’ si fermò in una traversa, mi disse in inglese che era quella e mi invitò a scendere. Pagai e corsi subito alla casa, sperando solo che fosse quella giusta dato che il mio ombrello si trovava in valigia. Intelligentemente, aggiungerei, dato che a Londra pioveva anche in estate. Mi sarei dovuta abituare a quel clima umido e scordarmi del bel sole romano.
Bussai al campanello e poco dopo venne ad aprirmi una signora sulla quarantina.
«Fabiana!» mi salutò ed io tirai un sospiro di sollievo: questa volta ero nella strada giusta.
«Salve» dissi nel mio impeccabile inglese, anche se l’accento romano non mancava.
Mi fece subito entrare in casa.
La famiglia che mi avrebbe ospitata era composta dai signori Powell e dalla loro unica figlia, Christal, della mia stessa età. Ci eravamo presentati a vicenda tramite lettera prima che piombassi a casa loro. Era molto spaziosa per essere una casa di tre persone.
«Mio marito è ancora a lavoro» mi disse la signora Powell «Ma tornerà per cena. Chiamo mia figlia, ti farà fare conoscenza con la casa».
Si avvicinò alla scala che portava al piano superiore e chiamò sua figlia un paio di volte. Si sentirono dei passi e la figura di Christal arrivò sulle scale, sorridendo a trentadue denti.
Aveva proprio l’aspetto di un’inglese: occhi chiari, capelli di un biondo rossastro e poche lentiggini che dominavano sul suo volto.
«Scusa mamma, stavo ascoltando la radio» disse per giustificarsi, poi mi guardò «Fabi, sei arrivata!»
«Ciao, Christal» la salutai, sorridendo per il suo entusiasmo.
«Falle conoscere la casa, Chris» le disse la madre «Fai come se fossi a casa tua, Fabiana».
«Grazie, signora Powell».
«Chiamami semplicemente Judith, cara».
Christal mi prese per mano e mi trascinò ai piani superiori. Mi presentò la casa, proprio come le aveva detto la madre e ripeteva ogni tanto che saremo diventate grandi amiche.
«E questa è la mia camera, dove dormirai anche tu» mi spiegò, aprendo una porta «Non fare caso a tutti i poster che ci sono…».
Entrai un po’ titubante, per poi aprirmi in un’espressione di grande stupore quando vidi le pareti tappezzate di poster raffiguranti dei ragazzi. Non riuscivo a scorgere nemmeno il colore delle mura.
«Wow» fu l’unica cosa che riuscii a dire «Come se fosse possibile non farci caso».
Mi avvicinai ad uno di quei poster, incuriosita. Raffiguravano tutti un gruppo di cinque ragazzi sorridenti ed ammiccanti. Notai che Christal era fornita di molti gadget di quei ragazzi, che a quanto pare erano un gruppo musicale. Aveva CD, riviste, foto e quant’altro su di loro.
«Anche tu segui i Take That?» mi chiese Christal, vedendomi interessata.
«Come, scusa?» dissi, distogliendo la mia attenzione dai poster.
«Conosci i Take That, vero?» disse lei, guardandomi come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Scossi la testa, «Chi sono i Take That?».
Mi stupii della sua reazione. Pensai che se avesse sbarrato ancora di più gli occhi le sarebbero caduti.
«Non… non sai chi sono?» mi chiese balbettando.
Be', in realtà sapevo chi fossero. Chi non ne parlava? Erano gli idoli di tutte le ragazzine, erano sui giornali, in televisione, dappertutto si sentiva parlare di quei Take That. Ma io non li avevo mai ascoltati bene, in realtà. Ora che ci pensavo, mi stavano anche un po’ sulle scatole, dato che ormai si parlava solo di loro.
Prima che Christal potesse rispondere, la voce della signora Powell ci chiamò dal piano inferiore, «Ragazze, è pronta la cena!».
Mentre scendevamo le scale, Christal mi sussurrò all’orecchio «Prima che tu torni in Italia, sarai un thatter».
Quell’affermazione, di cui non avevo afferrato il senso, mi incuteva timore.

***

«Allora, dato che anche oggi piove» disse Christal, guardando alla finestra della sua camera «Cominceremo l’insegnamento».
«Insegnamento?» chiesi divertita, seduta sul letto.
«Ti ho detto che diventerai un thatter».
«In termini umani?».
Christal alzò gli occhi al cielo «Ti devo spiegare proprio tutto a quanto pare».
Si sedette di fronte a me, con le gambe incrociate.
«Vediamo di ravvivare un po’ i tuoi gusti musicali…» disse, e prima che potessi sentirmi offesa prese un poster e lo mise davanti ai miei occhi.
«Questi sono i Take That» disse.
«E fin qui ci sono».
«Lui è Gary» mi indicò il ragazzo biondo «Ed è, diciamo, il cantante del gruppo».
«Gary» ripetei tra me, sorridendo per la situazione assurda in cui mi trovavo. Sarei dovuta stare lì a Londra per ampliare la mia cultura e perfezionare il mio inglese (già ottimo, a detta dei Powell). Se i miei avessero saputo che ero lì per informarmi sulla boyband del momento mi avrebbero diseredata. Ma infondo non era colpa mia se la pazza che c’era di fronte a me era decisa a farmi diventare una… com’è che si diceva?... una thatter, si.
Qualcuno bussò alla porta, ma Christal disse «Parola d’ordine?».
«Al diavolo le tue parole d’ordine, Chris» disse Judith.
Christal roteò gli occhi e mi sussurrò «La parola d’ordine è Everything changes», poi disse alla madre di entrare.
«Vedo che ti stai già dando da fare, Chris» osservò Judith, vedendo che la figlia mi stava mostrando i suoi idoli.
«Ti assicuro, mamma, che è meglio così, non immagini la musica che ascolta».
«Solo perché non ascolto cinque ragazzini non significa che i miei gusti musicali siano penosi» dissi, allegando alla mia risposta una linguaccia.
«Dopo che diventerai loro fan vedremo se li considererai solo cinque ragazzini».
«Ti assicuro che non riuscirai nel tuo diabolico intento».
«Va bene ragazze, battibecchi a dopo! Giù c’è la colazione!» ci informò la signora Powell.
Scesi con loro. A tavola c’era già il padre di Christal, che leggeva il giornale mentre sorseggiava il suo latte. Anthony Powell era un uomo gentile, ma molto silenzioso. La sera prima, quando aveva cenato per la prima volta con loro, non avevo scambiato molte chiacchiere con lui, eppure mi sono sempre considerata una ragazza fin troppo socievole.
«Buongiorno» salutai educatamente.
«Salve, cara», rispose l’uomo.
La colazione fu veloce. Christal era impaziente di farmi ascoltare tutte, e dico tutte, le canzoni dei suoi cinque ragazzini preferiti, non sapendo che ci sarebbe solo voluto un miracolo per farmi cambiare idea su di loro… ecco una delle mie caratteristiche, la testardaggine, ma penso che quella ce l’abbiano un po’ tutti.
«Non voglio colpe se quando tornerai a Roma riempirai la tua camera di poster» aveva scherzato la signora Powell «Non vorrei che i tuoi se la prendessero con me per il lavaggio del cervello che ti farà mia figlia!».
Christal mi aveva di nuovo spinta in camera prima che potessi rispondere.
«Dunque, dov’eravamo?».
«A Gary» risposi. Avevo deciso di fare il suo gioco, di assecondarla, così forse mi avrebbe lasciata libera di sentire la musica che volevo io.
«Bene, facciamo progressi» disse entusiasta.
Ci rimettemmo nella stessa posizione di prima e ricominciò a presentarmi i Take That.
«Lui è Howard», mi indicò quello che era il componente più grande della band.
«Che capelli» osservai.
«Poi c’è Jason…»
«Mica male, lui» dissi con un sorriso.
Lei scoppiò a ridere «E non hai visto come balla!» esclamò, per indicare gli ultimi due «Loro sono Mark e Robbie».
Quello che si chiamava Mark sembrava essere il più piccolo della band, ma Christal mi spiegò che era solo il più basso e il più tenero.
Robbie, invece, era il minore.
«E’ quello che fa più casini, in realtà» disse Christal, con gli occhi a cuoricino. Evidentemente era il suo preferito «Litiga spesso con Gary, alcuni dicono che voglia lasciare il gruppo, ma a mio parere sono solo rumors… e poi è appena uscito il loro ultimo album!».
Prese tra le mani un cd, “Nobody else”, e me lo porse. Lo guardai con un sopracciglio alzato, mentre Christal metteva in stereo un altro CD.
«Questo è il primo» mi spiegò.
Mi misi ad ascoltare, mentre Christal canticchiava qualche parola sottovoce.
Probabilmente non si li avevo ascoltati nemmeno attentamente, infatti dopo un po’ dissi «Mi spiace Chris, ma il loro genere non mi piace».
Christal alzò gli occhi al cielo.
«D’accordo, ho capito quali sono le canzoni che fanno per te» disse, cambiando CD.
Andò avanti di qualche canzone, poi disse «Ecco, ascolta questa».
Come al solito fui scettica all’inizio. La canzone, Pray, che mi stava facendo ascoltare, mi sembrava esattamente come le altre, finchè non arrivò il toccante ritornello a colpirmi. Il mio secondo pensiero fu che Pray non era affatto male come canzone.
Sorrisi a Christal, e lei mi guardò raggiante.
Nei giorni successivi canticchiai quella canzone continuamente.



Voglio rispondere alle recensioni delle mie due one shot postate precedentemente in questa sezione, "Now they'll never dance again" e "Hold on".
Ceci: anguria <3 oh Dieu, grazie mille! Mi fa piacere che ti piacciano, e tranquilla, da ora in poi ti avvertirò ogni volta che posto qualcosa xD
Zukki: tesoro <3 mi fa piacerissimo che tu abbia letto le mie FF su questi "due ragazzuoli", anche se i Take non sono esattamente i tuoi cantanti preferiti u.u Visto, alla fine ho postato anche questa, così ora non mi rompi più con i tuoi "DaiKiaquandopostichevoglioleggere?"


<3
   
 
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