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Autore: blackdeviljack    07/11/2010    2 recensioni
Cosa potrebbe accadere se una ignara ragazza del XXI secolo perdesse la propria famiglia e venisse catapultata nel mondo dei nostri adorati fuorilegge?
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Allora, prima di lasciarvi al racconto voglio mettere in chiaro alcune cose molto importanti.
Innanzitutto nulla di tutto questo è stato scritto a scopo di lucro e i personaggi (ahimè) non mi appartengono, fatta eccezione per quelli introdotti e creati dalla mia mente perversa.
Secondo, vorrei avvertire tutti che il primo capitolo non sarà ambientato nella nostra adorata Inghilterra nè in epoca medioevale ma in tempi relativamente attuali; per i capitoli successivi si ritornerùà alla normalità (per quanto possibile).
Detto questo vi lasciò alla lettura e vi ringrazio per l'interessamento.
Un bacio  Blackdeviljack


-Eileen!!!!
Un urlo che ha poco a che fare con la natura umana di mio fratello, su cui nutro tra l’altro anche seri dubbi, mi richiama alla realtà. Con aria scocciata chiudo l’ennesimo libro di letteratura inglese e mi dirigo verso il pianerottolo, dove lo trovo appoggiato al corrimano con un sorriso ebete stampato sulla faccia.

-Che c’è, non c’era bisogno di gridare- esclamo imbronciata. Lui mi guarda per un istante e sembra perdere la sua sicurezza, per ritornare il cucciolo indifeso ripreso dalla sorella maggiore;

-Scusa, è solo che oggi è giovedì- mi dice con fare timido, che in un attimo cancella tutto il nervosismo: è giovedì e ogni settimana lo porto a fare un giro da qualche parte, una tradizione ereditata dai nostri genitori che purtroppo sono morti anni fa in un incidente d’auto; da allora abbiamo vissuto in riformatorio e non appena ho raggiunto la maggiore età sono venuta ad abitare in città con Simon, mio fratello minore.

-Hai ragione me ne ero perfettamente dimenticata- esclamo correndo in camera e lanciando in aria tutto quello che mi capita sottomano.
“accidenti al mio disordine, possibile che ogni volta che cerco le chiavi dell’auto è sempre la stessa storia? Devo ricordarmi di metterle sempre nello stesso posto” penso per l’ennesima volta con la convinzione che questa specie di tradizione avrà lunga vita nonostante il promemoria; intanto Simon mi fissa dall’ingresso, comodamente seduto su una sedia: è incredibilmente più alto di me ma dai tratti del volto si nota subito che è ancora un ragazzino sedicenne, lui sembra accorgersi che lo sto guardando e sorride con una punta di ironia.

-Cerchi queste?- chiede estraendo dalla tasca un paio di chiavi, rimango paralizzata con l’istinto sempre più forte di prenderlo a pugni.

-Le ho trovate in cucina- si giustifica mentre il mio volto diventa livido dalla rabbia,

-Simon Evans ti conviene iniziare a correre se tieni alla tua vita- ringhio per niente scherzosa fulminandolo con lo sguardo: non pronuncio mai il suo nome per intero se non quando sono profondamente arrabbiata, e quando lo sono divento pericolosa.
Mi precipito giù per le scale, inseguendolo, ma arrivata in salotto mi fermo, incuriosita dal fatto che si sia fermato; con attenzione sposto lo sguardo in direzione dell’oggetto che sta fissando,

-E quello cos’è?- gli chiedo indicando uno specchio dall’aria piuttosto antica che fa bella mostra di sé nel mezzo della stanza;

-Non chiederlo a me- esclama in risposta – questo prima non c’era- spiega poi posando una mano sulla superficie riflettente dello specchio. Come per magia il vetro sembra alterarsi e viene attraversato da piccole onde argentee; Simon perde l’equilibrio e io scatto in avanti afferrandolo per un braccio nel tentativo di tirarlo fuori.

-Accidenti non devi toccare cose di cui non sai la provenienza, te lo ripeto da quando sei piccolo- sbraito sforzandomi di tirarlo fuori mentre continua inesorabilmente la sua caduta verso l’ignoto, sento i piedi perdere terreno e venir trascinati sempre più verso lo specchio.

-Non mi sembra il momento adatto per litigare- esclama cercando di tenere lontano il viso dall’oggetto –mi sta risucchiando!- esclama con una nota di preoccupazione nella voce mentre cerco disperatamente di rassicurarlo.

-Lasciami andare o farai la stessa fine!- grida divincolandosi dalla presa, lo riafferro saldamente scuotendo la testa –tu non vai da nessuna parte- ribatto recuperando lucidità; lui mi guarda e sorride, un sorriso da bambino che non vedevo dalla morte di mamma e papà, quando cercò di consolarmi nonostante avesse più paura di me;

-Ti voglio bene- la sua voce diventa un sussurro, sento la sua mano lasciare la mia e lo vedo sparire dentro lo specchio, mentre immobile osservo la scena.

 

Anche l’ultimo raggio di sole abbandona la stanza, spegnendosi silenziosamente e lasciando spazio al buio; sono seduta sul pavimento da ore, precisamente da stamattina, senza mangiare né bere; non piango, non grido, semplicemente sto in silenzio ad osservare un punto qualsiasi innanzi a me, senza reale interesse, mentre un fiume di ricordi mi inonda insieme alla convinzione di una scomparsa assurda.
Simon non c’è più.
Continuo a ripeterlo nella mia testa, ho voglia di ribellarmi ma non ci riesco, non vedo altra soluzione se non quella di fare la sua stessa fine, ci ho anche provato a dire il vero, ma lo specchio è tornato ad essere semplicemente uno specchio, uno stupido ed inutile oggetto d’arredamento, che riflette il mio aspetto distrutto e la mia aria assente.
Simon non c’è più e io non posso fare nulla per farlo tornare.

3 anni dopo


-Sei stata grande- mi volto sentendo la mano di qualcuno sfiorarmi la spalla, mi rilasso notando che si tratta di Aylwyn, il mio allenatore, che mi sta facendo i complimenti per l’ennesima vittoria.
Dalla scomparsa di Simon ho deciso di cambiare radicalmente le mie abitudini: prima odiavo correre in auto, ora amo la velocità; soffrivo di vertigini, ora faccio free climbing; odiavo la violenza, faccio boxe; odiavo le armi, sono un asso della scherma e del tiro con l’arco. Giro il mondo senza trovare qualcosa che realmente mi soddisfi e le persone che incontro sono solo figure che ben presto non avranno importanza nè identità per me. Aylwyn è l’unica di queste che ha interesse a seguirmi, l’unica con cui scambio qualche parola che non sia il saluto di cortesia, l’unica con cui mi sento libera di sfogarmi e mostrarmi per quello che sono.
 
Non vivo più nella mia casa d’infanzia, preferisco viaggiare anzi si può dire che vivo su un furgone: se qualcuno volesse inviarmi della posta dovrebbe farlo al più vicino motel o autogrill, avrebbe più possibilità di chi si ostina a chiedermi di tornare a casa. Ci sono tornata una sola volta dopo quel giorno, l’ho fatto per prendere le bollette che Aylwyn non aveva avuto occasione di recuperare l’ultima volta, ho pianto tantissimo e ho deciso di non tornarci mai più.
Mi sono iscritta all’ennesima stupida gara di scherma per passare il tempo e per distrarmi, giacchè domani dovrò ritornarci; avevo giurato di non farlo ma sono stata costretta a farlo: c’è stato un furto e voglio assicurarmi che almeno lo specchio sia rimasto al suo posto: è l’unico oggetto per cui provo interesse, nella speranza che mi permetta un giorno di raggiungere Simon.

-Grazie- biascico con aria assente, mentre vedo il suo sorriso inclinarsi e la sua espressione incupirsi;

-Non è necessario che tu venga, posso benissimo farlo da solo- si sta preoccupando per me e lo ammiro per questo, ma non ho intenzione di scaricare l’ennesimo problema su di lui;

-È una mia responsabilità, è giusto che affronti le mie paure- ribatto glaciale, un tono che ormai adotto senza accorgermene, in cui è difficile cogliere la leggera sfumatura di cordialità o di gratitudine.

-Ricordati che non sei sola- sorrido pensando che Aylwyn è l’unico in grado di leggere dentro il mio cuore, ama tutti in modo incondizionato e non si lascia scoraggiare dalla prima difficoltà: somiglia molto a Simon in questo.

Non rispondo e vado a cambiarmi, raggiunto lo spogliatoio mi infilo sotto la doccia e mi rilasso al contatto con l’acqua calda; poi penso a quanto dolore starà provando mio fratello, perso in chissà quale posto lontano dalla sua casa, quella che amava e che non avrebbe lasciato per nulla al mondo, le lacrime sgorgano confondendosi con le gocce d’acqua bollente che converto prontamente in un getto glaciale. Non è giusto che io provi felicità sapendolo sofferente.
Quando esco dalla doccia sono pallida e tremo per il freddo, indosso i miei jeans e la mia maglia abituale ed esco dallo spogliatoio senza degnarmi di salutare le altre schermitrici, uscita dall’edificio scorgo Aylwyn a bordo del furgone argentato su cui viaggiamo abitualmente. Mi guarda con una leggera preoccupazione negli occhi ambrati, gli sorrido timidamente ed apro lo sportello, lanciando il borsone sui sedili posteriori e accomodandomi al posto laterale a quello di guida, mi guarda ma cerco di evitarlo, ho gli occhi arrossati e sto mordendo il labbro inferiore per trattenere le lacrime.

-Hai pianto?- mi lascia spiazzata ma in fondo avrei dovuto aspettarmelo: è così evidente per lui.

Non rispondo e annuisco piano con la testa, Aylwyn mi abbraccia senza commentare, in un silenzio carico di parole e denso di significati mentre scoppio in lacrime per l’ennesima volta.


-ehi- Aylwyn mi scuote dolcemente per svegliarmi, il viaggio è stato così lungo e stancante che mi sono addormentata con la testa sulla sua spalla, anche se in realtà per sonno intendo uno stato di immobilità ed incoscienza totali, è passato molto tempo dall’ultimo vero sonno della mia vita e credo rimarrà uno dei tanti rimpianti della mia triste esistenza.
-hai una spalla comoda- sorride del mio breve stato di allegria, mi stropiccio gli occhi ancora assonnata e guardo fuori dal finestrino, un crampo allo stomaco mi assale alla vista della mia casa.
-senti è tardi forse è meglio tornare domattina- deve essersi accorto del mio repentino cambio d’umore perché mi sta carezzando una spalla per rassicurarmi,
- non ho alcuna intenzione di prolungare questa agonia fino a domani-ribatto scendendo decisa dal furgone e estraendo dalla tasca dei jeans le chiavi. Aylwyn mi osserva in disparte, rispettando la mia decisione e soprattutto l’importanza che ha quel luogo per me; esito stringendo forte la maniglia mentre uno sconforto profondo cerca di farmi desistere nell’intento ma so bene che non cederò stavolta. Prendo un respiro e spalanco l’uscio: sento il cuore fermarsi e i miei ricordi affollarsi per poi andare in frantumi, mi appoggio allo stipite per rimanere in piedi mentre osservo sconcertata la casa messa a soqquadro. Aylwyn mi si avvicina ma ad un mio cenno rimane indietro, senza commentare, mentre con passi incerti entro nella stanza. Non è rimasto più nulla di ciò che ricordavo, i vetri delle foto infranti, alcuni vasi in cocci, la biancheria sparsa un po’ ovunque; non c’è traccia dell’argenteria ma in compenso alla pallida luce della luna scorgo la figura imponente dello specchio che, intatto, sembra osservarmi nascosto nell’angolo più buio della stanza. Meccanicamente mi avvicino osservando stupita la mia figura riflessa; da quel giorno ho sempre evitato di osservarmi allo specchio salvo poche rare eccezioni, e ora per la prima volta colgo l’immagine dai tratti incerti di una ragazza dall’aria adulta, la chioma riccioluta ricade morbida ma disordinata sulle spalle, gli occhi ambrati illuminati da riflessi smeraldini brillano al buio: fatico a riconoscermi. Tutto accade senza che possa rendermene veramente conto, allungo una mano verso la superficie lucida dello specchio, è fredda ma non oppone resistenza e al contatto sembra scivolare via dalle dita e avvolgermi in una candida morsa d’argento; perdo l’equilibrio e mi volto per un istante a guardare verso l’uscio, Aylwyn mi sta fissando con il terrore dipinto negli occhi, sta correndo verso di me, tenta di afferrarmi ma è troppo tardi, la vista si annebbia e tutto intorno a me si dipinge del nero più anonimo.


  
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