Era
tutto cominciato come un gioco. Il mio essere tenero con lui, le
occhiatine, le battute con dei sottili doppi sensi. Non mi ci era
voluto poi
molto per passare da queste piccolezze alla fisicità: le
pacche sulle spalle, l’appoggiarsi
a lui, gli abbracci, le carezze.
Guy ci marciava su, ricordo bene il giorno in cui ci aveva chiesto di
continuare con queste scenette anche davanti alle telecamere.
“È per il bene del film, ragazzi!
Avevo accettato, a cuor leggero; era tutto uno scherzo, nulla di
più.
E poi me n’ero uscito con quel “Ti amo”
scherzoso, buttato lì per
gioco. Nono sapevo che avevo appena posato il piede sul primo gradino
della
scala che portava all’inferno.
Da quel momento in avanti avevo iniziato a dirglielo spesso, con una
leggerezza che non mi sarei mai permesso di usare con una donna. Glielo
dicevo
tranquillamente, davanti a tutti, col sorriso sulle labbra. Anche lui
sorrideva, ma assumeva quell’aria così tipicamente
inglese che era impossibile
da leggere.
Non so quando mi resi conto che lo pensavo davvero; sul serio, non ne
ho idea.
È stato una sera, lui era venuto a trovarmi in camera; era
preoccupato
per una scena e voleva provarla con me.
“Lei non è umano!”
Recitava le sue battute alla perfezione, con la giusta
intensità e
rabbia che quella scena richiedeva.
Lo guardavo in silenzio, la mia mente era una landa desolata, non
sapevo cosa dovessi dire o fare a quel punto. Mi ero arenato nel suo
sguardo,
tra le sue iridi azzurre contando le pagliuzze grigio/verdi presenti.
Avevo pensato: Chi possiede uno
sguardo del genere?
Nessun essere umano. Mi ero
risposto.
E non ero riuscito a trattenermi. Dalle mie labbra, con un tono tanto
serio da lasciarmi stupito, era uscito un “Ti amo”
appena sussurrato, ma che
nel silenzio della stanza si era amplificato, raggiungendo il suo udito.
Aveva sgranato gli occhi, incredulo, pensando che io stessi scherzando,
come al solito. Ma il mio tono di voce serio sembrava turbarlo.
Stavo scherzando? No.
Non sapevo perché non stessi più scherzando, ma
sapevo, nel più
profondo del mio cuore, che era vero, che era quello che io provavo per
lui.
“Sei serio?” mi aveva chiesto, dubbioso.
Ero rimasto in silenzio, sperando che capisse. D’altronde,
chi tace
acconsente, no?
Lui si era alzato ed era uscito dalla mia stanza. Non avevo avuto
nemmeno la forza di seguirlo, non ce l’avrei fatta.
Il giorno dopo si era comportato normalmente, e io avevo ripreso a
ridere e scherzare con lui, come facevamo prima, come se nulla fosse
successo. Non
ne avevamo più parlato e non l’avremmo mai fatto
nei mesi successivi.
Eravamo stati quasi un anno lontani. Avevo provato a on pensarci, a
dirmi che non era vero, che ero pazzo, malato. La verità era
che ero confuso, perché
sapevo che quel “Ti amo” era vero. Ero confuso
riguardo alla mia sessualità. Ero
stato eterosessuale per metà della mia vita, avevo una
moglie fantastica, che
amavo alla follia, e senza la quale non sarei niente.
Ma gli occhi disumani di Jude mi perseguitavano.
E mi perseguitano anche ora, quando la sua voce mi costringe a voltarmi
verso di lui. Mi fissa, mi incanta. Mi stravolge.
Non credo di riuscire a lavorare con lui. Stargli così
vicino mi fa
male, respirare il suo odore, parlargli, riderci insieme, mi causa un
dolore
all’altezza del petto, fastidioso. Amarlo e sapere di non
poterlo avere mi
riduce a brandelli.
Perché gli uomini si innamorano? Perché
è insito nella natura umana il
soffrire.
Sì, perché l’amore fa schifo. Ti rende
romantico, perciò incline a
lasciarti trasportare dai sentimenti, impedendoti di ragionare con
fredda
lucidità e logico raziocinio; e infine, dopo che ormai ti ha
in pugno, ti
inganna e ti fa a pezzi.
Allora perché gli uomini amano?
“Sì.” Rispondo convinto.
Chiudo gli occhi e mi avvicino a lui, posando la testa sulla sua
spalla, abbracciandolo con delicatezza, per paura di romperlo.
Non posso dire se il nostro amore sarà per sempre. Ma posso
dire che l’amore è
per sempre, perché noi ameremo
sempre qualcuno, o qualcosa.
Gli uomini amano. Amano perché soffrono. È la
loro più grande
disgrazia. Ma è anche la loro più grande forza.
La canzone da cui è tratta la frase sopra è Neutron Star Collision dei Muse.