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Autore: Stupid Lamb    14/11/2010    44 recensioni
“Non voglio niente, Davide. Non devi metterti nei guai per me.”
“Ma tu… tu sei povera.”
“Lo so, ma questo non è un tuo problema. Hai già fatto molto per me. Non devi preoccuparti, chiaro?”
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ben tornati, a chi mi conosce

Ben tornati, a chi mi conosce. Benvenuti, a chi capita in una mia storia per la prima volta.

L’idea per questo racconto è arrivata per caso, e devo ringraziare fin da ora Lele Cullen per avermi aiutata a non cestinare tutto.

 

Buona lettura.

---

 

Ti ricordi di me?

 

Capitolo 1

 

1993

 

Camila se ne sta acquattata dietro un cassonetto, contando i bambini che escono uno alla volta dagli spogliatoi. Ha quattordici anni, gli occhi azzurri come quelli di sua madre e i capelli castani di suo padre. E’ alta quanto il cassonetto a cui è appoggiata, e pesa meno di cinquanta kg.

 

Camila odia il venerdì. Lo odia più degli altri giorni. Lo odia fin da quando apre gli occhi al mattino.

Il venerdì è l’ultimo giorno della settimana in cui le è possibile lavarsi.

Ai suoi genitori sembra importare poco. A dire il vero, Camila è l’unica a lavarsi quotidianamente. Lo fa perché vuole sentirsi pulita, perché le piace il profumo del docciaschiuma che usa velocemente sul suo corpo. Lo fa perché, durante il tragitto dalla campagna al campo di calcio, può starsene per conto proprio: lontana dai genitori e dai loro amici.

 

Quando l’ultimo bambino è uscito dagli spogliatoi, la ragazza sa che è arrivato il suo momento. Può entrare. Striscia lungo il muro del campo di calcio per evitare che qualcuno si accorga di lei. Un gesto inutile, visto che finora mai nessuno si è accorto della sua presenza. Camila è un fantasma, e non solo a causa della sua figura malnutrita ed esile. La persone la evitano, a causa dei suoi capelli arruffati e delle grandi labbra che si notano di più sul suo viso incavato.

La sua andatura è dinoccolata, debole a causa del poco cibo che entra nel suo corpo. La gente di solito la guarda, mormora qualcosa e non fa altro. A volta si scostano quando lei passa. Questo accade spesso d’estate, quando Camila non riesce a lavarsi tutti i giorni come vorrebbe.

 

Lo spogliatoio è uno stanzone lungo e stretto, con una serie di armadietti e una linea di panche di legno inchiodate alla parete. C’è poi una porta che conduce alle docce, ovvero il bagno di Camila.

Con sé, la ragazza ha un vecchio asciugamano che una volta è stato bianco. Adesso è grigio.

Camila si guarda intorno, alla ricerca di una confezione di docciaschiuma dimenticata da uno dei bambini. Di solito è fortunata: i piccoli allievi della scuola calcio non custodiscono bene i propri averi. Nel corso dei mesi, Camila ha raccolto un piccolo tesoro in questi spogliatoi: magliette, ciabatte, accappatoi. E tanti flaconi di docciaschiuma. I bambini li lasciano nelle docce e Camila riesce sempre a ricavare da essi un po’ di sapone per lavarsi.

Oggi però sembra i bambini siano stati responsabili. Sul pavimento vi sono soltanto un paio di piccole ciabatte blu. Nessun flacone mezzo vuoto, nessun tubetto di dentifricio fatto cadere per distrazione. Una volta Camila ha usato quello per lavarsi. Aveva i piedi molto sporchi, e non sapeva come altro fare.

 

“Va bene, mi laverò soltanto con l’acqua,” dice a sé stessa, camminando fino all’ultimo ugello della doccia. Appoggia l’asciugamano grigio ad una staffa di metallo ed inizia a spogliarsi.

Camila sa che deve essere rapida, perché fra meno di cinque minuti il magazziniere della scuola calcio verrà a chiudere lo spogliatoio.

Toglie le scarpe, più grandi di almeno due numeri. Le appoggia sulla finestra chiusa, per evitare che si bagnino. Toglie i calzini, neri a causa della terra che entra dalle scarpe, e si ripromette che proverà a sciacquarli dopo aver fatto la doccia. Si libera dei pantaloni troppo grandi per lei e li sistema accanto alle scarpe assieme alla cintura che suo padre le ha dato.

Una volta rimasta nuda, chiude gli occhi con forza, strizzandoli, e apre il rubinetto.

A quest’ora l’acqua è sempre fredda. Gelida. I bambini hanno consumato quella calda dopo gli allenamenti, rimanendo sotto la doccia più del necessario. Camila spesso li sente ridere e giocare mentre aspetta che vadano via.

 

Si lava usando entrambe le mani, cercando di far sparire il nero dai piedi e dalle mani. Immagina che l’acqua sia calda e che sui suoi capelli vi sia dello shampoo profumato, oppure del balsamo. Ora come ora si accontenterebbe anche di un tubetto di dentifricio.

 

Quando le mani e i piedi sono puliti, Camila decide di terminare la doccia. Chiude l’acqua ed afferra l’asciugamano, che è piccolo ma perfetto per il suo minuscolo corpo.

Trema, mentre cerca di asciugarsi.

Forse è per questo che i suoi genitori evitano di lavarsi tutti i giorni.

Camila pensa a questo e al fatto che non riuscirà mai a pulire i calzini senza un po’ di sapone, quando sente una voce provenire dallo spogliatoio.

“Le ho lasciate qui, arrivo subito!”

La voce è quella di un bambino, e la terrorizza.

Camila sa che non può essere scoperta. Sa che non può farsi vedere da nessuno.

Non venire qui, non venire qui. Non entrare nelle docce, resta negli spogliatoi.

La ragazza prega in silenzio che il bambino trovi in fretta quello che ha lasciato e che vada via senza accorgersi della sua presenza. Si avvicina all’angolo, continuando a tremare, sperando che questo momento passi in fretta.

 

Il bambino è paffuto e sorridente. Il suo nome è Davide, ed ha sette anni. Il calcio non è il suo sport preferito, ma lo pratica perché così può frequentare i suoi compagni di classe anche di pomeriggio, durante gli allenamenti. Davide ha gli occhi marroni e i capelli biondi.

E ha dimenticato le sue ciabattine blu.

Quando entra nelle docce, la prima cosa che vede è Camila. La ragazza è stretta nell’angolo, spaventata almeno quanto lui. Grida, Davide, spaventato dalla presenza che non si aspettava di trovare.

“No, no, no. Non gridare, non gridare! Non gridare, ti prego.”

Il cuore di Davide batte forte. Ha paura che la ragazza possa fargli del male, ma non riesce a spostarsi, ad andare via. E’ fermo lì a causa della paura e dello shock.

Io-io-io-io devo prendere le mie ciabatte.”

“Prendile, e non dire a nessuno che mi hai vista qui. Ti prego, non dirlo a nessuno.”

Davide, gli occhi allargati per lo stupore, annuisce velocemente e si piega per raccogliere le ciabatte blu. Le stringe al petto, sentendosi in parte più sicuro.

“Che cosa fai qui?” chiede avvicinandosi alla porta, pronto a scappare se la ragazza dovesse cercare di fargli del male. “Frequenti la scuola calcio?”

“No,” risponde Camila. “Vai via, adesso. Hai preso le ciabatte, vai via. E non dire al magazziniere che mi hai visto, è chiaro?

“E’ tua quella?” Il bambino indica la cintura, scivolata a terra.

“Devi andare via, ti prego!” Camila non sa più come dirglielo. Deve rivestirsi, deve ritornare a casa.

“Ok,” risponde Davide, annuendo.

“E non dire al magazziniere che mi hai vista qui!”

Lui annuisce lentamente, continuando a sgranare gli occhi. “Ciao,” dice prima di sparire nello spogliatoio.

Camila si riveste in fretta, con il cuore in gola.

Il magazziniere mi scoverà. Non saprò cosa dirgli. Chiamerà la polizia, troveranno i miei genitori.

Indossa le stesse mutandine, gli stessi calzini sporchi, gli stessi pantaloni troppo grandi. Li lega con la cintura ed infila il maglioncino troppo corto di colore marrone. I capelli restano bagnati, come sempre.

Corre fuori dallo spogliatoio dopo essersi accertata dell’assenza del magazziniere. Quando lo vede in mezzo al campo, impegnato a recuperare palloni e birilli, scappa verso il cassonetto e prende fiato.

“Per un pelo…” sospira, stringendo l’asciugamano fra le mani.

 

Camila torna a casa un’ora dopo, a piedi. Casa è un campo abbandonato in cui lei e la sua famiglia vivono a bordo della vecchia auto di suo padre. Non sono soli. Nel campo vivono altre due famiglie, entrambe a bordo di una vecchia auto.

Sua madre, Sofia, la vede arrivare e la chiama a gran voce. “Camila! Dove sei stata? Hai comprato il tonno?”

Oh, no.

A causa del trambusto nelle docce e della paura di essere scoperta, Camila ha dimenticato di fare l’unica cosa che sua madre le aveva chiesto, ovvero comprare il tonno per la cena. Il campo di calcio si trova proprio accanto ad un supermercato: Camila avrebbe dovuto fare l’acquisto dopo l’ultima doccia della settimana, ma se ne è dimenticata.

Camila sa quale sarà la sua punizione. L’ha provata spesso, fin da quando era una bambina.

 

Nella stessa notte in cui Davide, il bambino paffuto e sorridente, dorme beato nel suo lettino, con le ciabatte blu chiuse nella scarpiera, Camila resta sveglia fuori dall’auto, tremando a causa del freddo e maledicendosi per non aver ricordato di comprare la cena.

I suoi genitori dormono all’interno della vecchia Golf color amaranto, mentre lei sconta la sua punizione.

 

***

 

E’ lunedì.

Camila è nascosta dietro il cassonetto, pronta a scattare.

Il campo resta chiuso durante il fine settimana, e ciò vuol dire che per due giorni non è riuscita a lavarsi.

 

Quando anche l’ultimo bambino ha lasciato gli spogliatoi con addosso il borsone sportivo, la ragazza entra e va dritta alle docce. Pur sapendo che l’acqua fredda è tutto ciò che l’attende, non vede l’ora di sentirla scorrere sul suo corpo. Per qualche minuto desidera sentirsi normale, pulita, libera.

Come immaginava, l’acqua è gelida. La fortuna però ha voluto che sul pavimento ci fosse un flacone di docciaschiuma.

Camila lo usa sorridendo, felice come non mai di potersi profumare con del buon sapone. Spreme la confezione su una mano fino a svuotarla e cerca di insaponarsi ovunque: sul collo, fra le dita dei piedi, sui capelli. La schiuma è inesistente, ma a lei sembra di trovarsi in una di quelle grandi vasche in cui le persone ricche fanno il bagno e si rilassano. Una di quelle vasche in cui la schiuma è simile alla panna montata.

 

Il suo stomaco brontola, al pensiero della panna montata. L’ha assaggiata una sola volta, quattro anni fa, e se ne è innamorata.

Quando va al supermercato per conto di sua madre, che non lascia mai la loro casa per paura che possano portargliela via, Camila si diverte a tenere fra le mani tutte le cose che non potrà mai comprare. Pacchi di biscotti al cioccolato, vasetti di Nutella, bombolette di panna montata. Annusa le confezioni, cercando di inebriarsi del profumo dolce, ed immagina quanto sarebbe bella la sua vita se potesse fare colazione con del latte e una brioche. A volte osserva le figure sulle confezioni, e sogna ad occhi aperti. Se avessi un tavolo su cui appoggiare una tazza. Se avessi una tazza bianca e candida. Se potessi spalmare la marmellata di castagne su una fetta di pane.

Spesso i commessi del supermercato la guardano senza dire niente. Sanno che la sua famiglia è povera, e sanno che quello di Camila è solo un sogno ad occhi aperti. Si fidano di lei, sanno che non ruberebbe mai nulla, per cui le permettono di gironzolare nelle corsie, anche se tutto ciò che le occorre è una scatoletta di tonno, o una di lenticchie, o una birra scadente per suo padre.

 

Camila sogna ad occhi aperti anche adesso, e non si rende conto della voce di Davide che proviene dagli spogliatoi.

Il bambino, che stavolta ha dimenticato i pantaloncini della divisa, sente scorrere l’acqua della doccia. “C’è ancora qualcuno?” chiede guardando verso la porta. “Giuliano, sei tu?”

Camila riconosce immediatamente la sua voce. Chiude l’acqua e trova riparo nell’asciugamano grigia, pregando in silenzio che il bambino vada via.

“Giuliano?” Con i pantaloncini fra le mani, Davide va alle docce e grida di nuovo quando si accorge di Camila.

“Vai via,” gli dice lei. “E non dire a nessuno che mi hai vista.”

Davide è spaventato, ma solo perché non si aspettava di ritrovare la ragazza. Non ha paura come l’altra volta. Non teme che lei possa fargli del male.

“Come ti chiami?” le chiede.

“Vai via,” risponde lei. “E non dire a nessuno che mi hai vista.”

Davide non riesce a capire perché lei non voglia far sapere che è qui.

“Come ti chiami? Io sono Davide.”

“Davide, vai via.”

Camila ha freddo. Vuole rivestirsi ed tornare a casa. E magari trovare un altro posto in cui potersi lavare senza interruzioni.

“Perché ti lavi qui?” chiede Davide. “Se non ti alleni e non fai parte della scuola calcio non puoi usare gli spogliatoi…

Il bambino è incuriosito. Vuole capire.

“Non ce l’hai una casa? Perché vieni a lavarti qui? L’acqua è fredda.”

La guarda dalla testa ai piedi, con gli occhi grandi. “I tuoi piedi sono neri. Che cosa hai fatto?”

Camila non sa come rispondere. Non vuole gridare, perché sa che attirerebbe l’attenzione del magazziniere.

“Io sono povera,” dice senza pensarci. “Non ce l’ho una casa. Adesso vai via.”

“Sei povera?” chiede Davide. “E la tua mamma? Non ce l’hai una mamma? E dove vivi?”

“Vai via,” lo implora Camila. “Ti prego.”

Davide infila una mano nella tasca dei jeans puliti, e da essa tira fuori una barretta al cioccolato. L’ha appena comprata, allo stesso supermercato in cui Camila sogna di poter fare colazione con latte e biscotti.

“La vuoi? E’ una barretta. E’ buona.”

Camila ha assaggiato quel dolcetto una sola volta, quando una delle cassiere gliel’ha regalata. Era Natale.

“Tieni, mangiala. E’ buona.” Davide percorre la distanza che li separa senza paura.

Quella ad avere paura è Camila, che si chiude nell’angolo e guarda Davide come se fosse un mostro in procinto di aggredirla. E’ più basso di lei, ma ciò nonostante rappresenta un pericolo ai suoi occhi.

Davide appoggia la barretta sulla finestra, accanto alle scarpe. Le osserva per un attimo, il tempo di accorgersi che sono rotte in corrispondenza dei talloni.

“Queste sono le tue scarpe?”

Camila gli fa segno di sì con la testa. “Devo rivestirmi,” gli dice. “Devi andare via. Per favore.”

Davide continua a fissare le scarpe. “Come ti chiami?”

“Camila,” risponde lei esasperata. “Adesso vai.”

“Camilla?”

“No, Camila. Con una L.”

“Camila,” ripete lui, sorridendo per quello che pensa sia un errore. “Verrai anche domani? Io verrò anche domani. Se vuoi… se vuoi posso portarti un’altra barretta. Sono buone, sono le mie preferite.”

“Ok,” dice lei per liberarsene. “Adesso vattene.”

“Ok,” risponde lui, dispiaciuto per i modi un po’ bruschi di lei. “Ciao, Camila.”

 

Il giorno dopo, martedì, Davide aspetta che suo padre vada a prenderlo e si accorge di Camila, nascosta dietro il cassonetto. Corre verso di lei e le lascia tre barrette al cioccolato. La ragazza le mangia mentre torna a casa, felice per essere riuscita a mettere qualcosa sotto i denti.

Mercoledì, Camila trova una confezione di docciaschiuma sulla finestra, nel posto in cui appoggia sempre i vestiti prima di fare la doccia. Dietro il docciaschiuma c’è una barretta al cioccolato. La mangia mentre fa la spesa nel supermercato, felice per avere – una volta tanto – la pancia piena.

 

Camila sa che è stato Davide a lasciarle il sapone e la cioccolata.

Vorrebbe dirgli grazie, ma anche di smetterla. Ha paura, Camila, che il bambino possa metterla in un guaio. Che il magazziniere possa rendersi conto di ciò che succede nelle docce quando gli allenamenti sono finiti. Che i suoi genitori possano per questo punirla di nuovo, facendole trascorrere la notte all’aperto, seduta sul terreno scuro del campo in cui vivono, mentre loro dormono nella vecchia Golf.

Giovedì, Camila vede Davide, ma lui non riesce a vedere lei. Il bambino ha una busta di plastica fra le mani e Camila vorrebbe tanto sapere cosa nasconde, ma non può. Non può approfittare del bambino e non può rischiare di essere scoperta dagli altri.

Entra nelle docce con l’asciugamano e il flacone di docciaschiuma fra le mani, felice all’idea di potersi lavare come si deve.

Il giorno dopo, venerdì, Davide aspetta Camila nelle docce. E’ lei ad urlare, stavolta, quando lo vede.

“Ti ho portato queste,” dice lui porgendole la busta di plastica che aveva in mano giovedì. “Sono di mia sorella. Le ho prese in soffitta, sono vecchie, ma non sono rotte come le tue.

Un paio di scarpe. Davide le ha portato un paio di scarpe.

“Sono da femmina,” le spiega lui. “Sono di mia sorella. Ti vanno? Provale.”

“No,” risponde lei. “Non posso accettarle.”

“Perché? Priscilla non le usa, e le tue sono rotte. Prendile. Vuoi una barretta?” Dalla tasca dei jeans tira fuori tre barrette e gliele mette in mano. “Sono buone, non è vero?”

“No,” dice Camila con un nodo alla gola. “Non posso accettare tutto questo… no.”

I suoi genitori accetterebbero tutto, e probabilmente chiederebbero qualcosa in più. Ma Camila prova vergogna, e si sente in colpa. Un bambino di sette anni non dovrebbe occuparsi di lei in questo modo.

“Se non le prendi lo dirò al magazziniere,” dice Davide sollevando la testa. “E chiamerò anche mio padre. Prendile, Camila. Sono soltanto delle scarpe. Sono rosa. Sono da femmina. Ti piacciono? Provale.”

Camila le prova. Sono grandi, ma non troppo grandi. Sono calde.

“Ti piacciono?” chiede lui sorridendo.

“Sì,” risponde lei commuovendosi. “Grazie.”

“Prego,” dice Davide. “Adesso prendi anche le barrette. Mangiale.”

Lo stomaco brontola di nuovo quando morde la prima. Davide se ne accorge.

“Aspettami qui, ok? Torno subito, Camila. Non ti muovere.” Fa per allontanarsi, ma lei lo trattiene per un braccio.

“Stai andando a chiamare qualcuno?” chiede terrorizzata.

“No,” dice lui. “Aspettami, torno subito.”

Camila potrebbe fuggire, portando con sé le barrette e le scarpe, ma non lo fa. Davide è stato talmente gentile e generoso che lei non riesce a muoversi dalle docce.

Quando il bambino rientra, ha un involucro giallo fra le mani.

Camila capisce subito di cosa si tratta. Il suo olfatto elabora il profumo velocemente.

“Tieni,” le dice Davide. “Ti piace il prosciutto cotto?”

Scarta il panino e glielo porge. “Vuoi anche una Coca Cola? Posso andare a prendertene una se vuoi.”

“No,” dice lei a bassa voce. “No. Grazie,” aggiunge guardando i suoi occhi marroni. “Grazie, Davide.”

“Prego,” risponde lui.

La osserva mentre mangia fino all’ultima briciola, soddisfatto e contento.

“Domani il campo è chiuso, dove andrai a lavarti?” le chiede ad un tratto.

Lei scuote il capo. “Non mi laverò fino a lunedì,” risponde.

“Vuoi venire a casa mia? Potresti conoscere Priscilla. Potresti usare il nostro bagno.”

“No,” risponde subito lei. “Non posso.”

“Perché? Possono venire anche i tuoi genitori, se vogliono.

“No,” ribatte Camila. “Meglio di no. Adesso devo andare,” dice raccogliendo le vecchie scarpe.

“Aspetta,” dice lui. “Come farai… come farai a mangiare fino a lunedì? Ci sarà qualcun altro che… come farai?”

Camila scrolla le spalle. “In un modo o nell’altro riuscirò a mangiare. Non preoccuparti,” dice arruffandogli i capelli biondi. “Grazie per le scarpe e per il cibo. E per il sapone.”

“Verrai lunedì? Vuoi che ti porti qualcosa di speciale? In soffitta ho trovato anche un giubbotto, lo vuoi? Posso nasconderlo nel borsone. Il prosciutto cotto ti è piaciuto? Posso portare un panino da casa, come quello che mia madre prepara per me.

“No,” dice lei con veemenza. “Non voglio niente, Davide. Non devi metterti nei guai per me.”

“Ma tu… tu sei povera,” risponde lui sottovoce, vergognandosi quasi.

“Lo so, ma questo non è un tuo problema. Hai già fatto molto per me. Non devi preoccuparti, chiaro?”

Davide non è convinto delle sue parole, ma abbassa gli occhi ed annuisce. “Verrai comunque lunedì?”

“Sì,” risponde la ragazza. “Ciao, Davide.”

“Ciao, Camila. Ci vediamo lunedì.”

Davide la guarda andare via, con ai piedi le scarpe di sua sorella e nello stomaco il panino che lui le ha comprato con i soldi della paghetta.

E’ contento di averle dato una mano, anche se ci sono molte cose che ancora non sa.

Non sa, Davide, che Camila passerà la notte all’aperto, in punizione, perché non dirà ai genitori da dove arrivano le nuove calzature.

Non sa, Davide, che da lì a quarantotto ore la ragazza partirà con i suoi genitori per la Germania.

Non sa, Davide, che dovranno passare diciassette anni prima di rivedere Camila.

 

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E’ la seconda volta che scrivo qualcosa in terza persona. Fatemi sapere se è il caso che continui o che lasci perdere XD

Grazie fin da ora.

 

 

   
 
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