Anime & Manga > Host club
Ricorda la storia  |      
Autore: Rowena    15/11/2010    2 recensioni
Rioji Fujioka è diventato da poco un padre vedovo e sta imparando a occuparsi da solo della sua bambina. Ma svolgere i suoi compiti, per quanto sia letteralmente innamorato della sua Haruhi, non è sempre così facile... Come fare acquisti, ad esempio, quando l’idea è comprare alla figlia tutti gli abiti più svolazzanti e frou-frou di tutto il negozio per l’infanzia del suo quartiere... Peccato che una cosa così semplice possa avere risvolti davvero inaspettati, se la persona che mette in scena un simile piano è... Ranka!
Genere: Comico, Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Haruhi Fujioka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Angoletto dell'Autrice: questa storia è stata scritta per il contest Deliri di onnipotenza su Writers Arena. Parlando di pazzi esaltati, Host Club è ovviamente in cima alla mia lista. Ho voluto concentrarmi su un personaggio un po' più defilato rispetto alla scelta ovvia (Tamaki!) e alla seconda scelta, i gemelli. XD
Ci sono riferimenti a Sailor Moon e a Hello Kitty, che in giapponico si chiama Haro Kiti... La festa che nomina Haruhi, invece, è una delle più importanti a Kyoto, in cui sfila per le strade della città una parata di personaggi in costumi storici di varie epoche. Host club ovviamente (e purtroppo) non mi appartiene, è invece della sensei Bisco Hatori. Non scrivo a scopo di lucro, pertanto nessuna violazione del copyright è intesa. I personaggi originali in questa storia appartengono a me e se li ritrovassi in giro potrei diventare molto cattiva. Avvisati! XD
Buona lettura!


Ci sono tante cose difficili da portare avanti, nella vita, tipo imparare a camminare sulla fune, o riuscire a mangiare il wasabi a causa di una scommessa. Fare il papà a tempo pieno, ad esempio non è certo facile e Rioji Fujioka l’aveva scoperto in fretta.
In un certo senso, forse era stato meglio così, perché il doversi occupare della sua unica figliola, che amava moltissimo, gli impediva di stare troppo a dolersi della sua perdita.
La sua adorata moglie…
Padre e figlia avevano affrontato insieme il lutto e si stavano lentamente riprendendo, sebbene Haruhi riuscisse a contenere le proprie emozioni in una maniera a dir poco straordinaria per una bambina della sua età, oltre a imparare a gestire le questioni della quotidianità senza la fondamentale presenza di Kotoko.
Il papà aveva trovato un nuovo lavoro con cui pagare le spese e occuparsi della figlia, aveva chiesto in giro ai suoi amici e voilà, eccolo vestito da donna in un okama con il nome di Ranka. La cosa gli dava fastidio? Certo che no, anzi: nel momento in cui era rimasto vedovo, aveva deciso che non avrebbe più avuto una donna, e il suo amore per le cose vezzose lo aveva aiutato a calarsi nella parte.
Era stato più difficile dirlo a Haruhi: non aveva avuto senso nascondere la cosa, Ranka si preparava a casa per andare al lavoro e teneva tutto il suo armamentario a casa, visto che il locale non aveva uno spogliatoio in cui cambiarsi, e quindi la piccola avrebbe in ogni caso scoperto tutto, presto o tardi. Si era preparato un bel discorso, deciso a non creare motivi d’imbarazzo o di turbamento alla figlia, per poi vedere la bambina alzare le spalle come se niente fosse e abbracciarlo forte con tanta tenerezza.
«Tesoro», le aveva chiesto, «puoi farmi qualunque domanda, se hai dei dubbi…»
«Fai un lavoro onesto?», aveva chiesto Haruhi.
Rioji aveva sbattuto le palpebre, perplesso. «Certamente!»
«Allora a me va bene: cosa importa se ti devi vestire da donna? È come se festeggiassimo tutti i giorni Jidai Matsuri, no? Anche se non abitiamo a Kyoto…»
A volte il modo di ragionare di Haruhi, così candido e pratico, spiazzava il genitore, che tuttavia si era messo a ridere di gusto e aveva ricambiato l’abbraccio della bambina con tanto amore. Era così carina!
Eppure, in un certo senso, le gioie della paternità erano ben più altalenanti di quello che si era aspettato.
C’era stata quella volta, ad esempio, la prima in cui si era recato a fare acquisti per la piccola Haruhi: era partito da casa con l’idea di comprare alla figlia tutti gli abiti più svolazzanti e frou-frou di tutto il negozio per l’infanzia del quartiere in cui vivevano, anche se il compleanno della bimba era molto distante ancora, come Natale, del resto.
Non aveva importanza: il papà amava viziare la sua piccolina anche senza un’occasione particolare.
Aveva deciso di muoversi nel pomeriggio, quando Haruhi era a scuola, quindi era partito a passo spedito ed era entrato deciso a fare man bassa. Doveva essere una totale sorpresa!
Si presentò come Rioji – ancora limitava la sua esistenza da Ranka all’ambito lavorativo, sebbene non lo disturbasse minimamente mostrarsi in pubblico vestito da donna – e forse anche per questo una commessa l’aveva subito raggiunto al suo ingresso con il miglior intento di aiutarlo.
Non avrebbe potuto fare mossa peggiore, la signorina: certo, gli uomini comuni che andavano a comprare vestitini per i figli o per i bambini di amici in genere erano completamente spaesati, o peggio, non sapevano cosa cercare, non si destreggiavano tra le taglie, alcuni di loro sembravano perfino confusi sull’assoluta verità secondo cui, normalmente, si comprava l’azzurro per i maschietti e il rosa per le femminucce… Gli uomini normali, ma non Rioji.
Infatti, quando la ragazza gli si accostò con un sorriso smagliante e disse: «Benvenuto! Posso aiutarla, signore?» con voce deferente, Rioji la fissò con una strana luce negli occhi, quella che in genere hanno i folli prima di commettere qualcosa di grave.
La signorina Komachi – così si chiamava la ragazza – non intuì il ginepraio in cui si stava cacciando.
«Buongiorno, cara! Cerco dei vestiti per la mia bambina», spiegò l’uomo con un sorriso smagliante.
«È un’occasione particolare?»
«No no, è solo che la mia piccola non si veste in maniera sufficientemente femminile per i miei gusti, vorrei rinnovarle i guardaroba».
Era una richiesta singolare, agli occhi della commessa. «Quanti anni ha sua figlia?»
«Nove».
«Beh, allora mi permetto di suggerirle una soluzione diversa; anche se io sono la prima a difendere i vestitini pieni di volant, forse per quell’età è meglio un abbigliamento più sportivo, i bambini tengono a correre e a sporcarsi giocando, e…» s’interruppe vedendo che il cliente era scoppiato a ridere. «Ho detto qualcosa che non va?»
L’uomo si appoggiò a uno stand di completi alla marinaretta, soffocato dalle risate. «No, mi scusi, ma ha supposto che mia figlia sia una piccola atleta attiva e portata allo sport!»
Certo la signorina non poteva saperlo, non aveva mai avuto rapporti con l’insegnante di ginnastica della scuola elementare che frequentava Haruhi: erano bastate due lezioni perché fosse decretato che la piccola Fujioka non sarebbe mai stata una campionessa olimpica. «No, è inutile cercare abbigliamento sportivo, e poi la mia piccolina è troppo graziosa per quel genere di vestiario».
Detto questo, Rioji fece cenno alla ragazza perché lo seguisse e cominciò a prendere in rassegna diversi abitini pieni di volant, crinolina, pizzi… «Oh, questo non è un amore?», trillò con un sorriso raggiante. Haruhi sarebbe sembrata una principessa in quel vestito.
La signorina Komachi annuì debolmente prima di guardarsi intorno per cercare aiuto in una collega più esperta, sentendosi in difficoltà; era stata assunta da poco e non aveva molta competenza in un negozio del genere. Già era molto, molto raro vedere un uomo – bastava guardarsi intorno in quel momento e notare che il suo cliente era l’unico di sesso maschile per capirlo – ma non sapeva come trattare con un personaggio del genere, proprio no.
Quel signore si destreggiava tra i vari set di abiti come solo alcune delle donne più vezzose che aveva incontrato sul lavoro, lei stessa difficilmente sarebbe stata così entusiasmo nel fare shopping per se stessa… Non aveva figli, ancora, ma difficilmente avrebbe mai esultato così per una gonna a balze pensata per una bambina di nove anni che sfumava da una tonalità di fucsia molto accesa al rosa pallido.
Anche le altre clienti, che fino a qualche minuto prima si erano occupate solo dei loro acquisti, si voltarono per capire meglio che stesse facendo quello strano tipo.
«Oh, un padre che fa compere per i figli?»
«Mio marito non viene mai con me, neanche quando devo portare i nostri tre bambini!»
«Non me ne parli, mio marito lascia tutto in mano a mia suocera, che manderebbe mia figlia vestita in giro sempre in kimono o con lo yukata… Parliamo di una bambina di tre anni, principalmente si rotola per terra o smania per giocare in giardino, riesce a immaginare che sfacelo, quanti abiti costosi rovinati per nulla?»
Ascoltando questi discorsi, Rioji si distrasse un attimo dalla sua smaniosa ricerca – forse quel paio di pantaloni tutti ricoperti di strass e perline era troppo eccessivo, e poi Haruhi stava meglio con le gonne – e si mise a discorrere con loro, ridacchiando tutto contento. Era buffo, sembrava che l’avessero preso per uno di loro, ed era un ottimo esercizio per il suo lavoro.
Solo dopo un poco, quando le donne alzarono le spalle e tornarono ai loro affari, si voltò di nuovo verso la commessa, che era sempre immobile nello stesso punto dove l’aveva lasciata e che lo stava fissando con una strana espressione in viso.
«Va tutto bene, signorina?»
La signorina Komachi era incerta sul da farsi. «Forse è meglio se la lascio da solo, signore, mi sembra già così ferrato sul da farsi…»
Rioji si avvicinò con passo svelto e le prese le mani, scuotendo la testa. «Oh no, signorina, la prego! Io sono tutto in teoria, so che la mia bambina dovrebbe indossare solo bianco e rosa, come ogni bambina del resto, e che non dovrebbe fissarsi sui pantaloni come le capita spesso», esclamò tutto d’un fiato, e i suoi occhi splendevano per i lucciconi. «L’unica gonna che mette di buon grado è quella della divisa scolastica, si rende conto? Io ho letto che la donna che non mette le gonne – mai troppo corte, però, sono pur sempre un padre all’antica – dimostra in realtà una scarsa autostima, e io non voglio questo per la mia Haruhi!»
«È… uno scherzo, per caso? L’ha mandata qui il direttore per testare le mie capacità nell’accontentare anche il più strano dei clienti?»
Stupefatto, Rioji sbatté le palpebre, sempre stringendo tra le braccia un sacco di vestitini molto graziosi: non capiva cosa stava succedendo, sembrava che la ragazza faticasse a prenderlo sul serio…
Ah, ma certo! Si ricordò di una discussione avuta con Kotoko molto, molto tempo prima sul suo modo di comportarsi in pubblico, specie nei negozi. Era successo un giorno in cui stavano passeggiando in un centro commerciale e lui si era fiondato in un punto vendita di Harō Kiti, saltellando entusiasta in ogni direzione e terrorizzando a morte il commesso.
«A volte le persone sono in difficoltà, Rioji, non tutti sono preparati a confrontarsi con una personalità frizzante come la tua».
Certo, come aveva fatto a non pensarci subito? Eppure sua moglie gli aveva ripetuto così spesso di contenersi un poco per non mettere a disagio gli altri… Con termini e modi molto meno delicati, forse, ma il succo era quello.
A lui sfuggiva come fosse possibile che il suo atteggiamento potesse mettere in difficoltà qualcuno – anzi, a volte gli veniva da rannicchiarsi in un angolo a deprimersi, al pensiero – ma nel tempo aveva imparato a controllarsi almeno un poco.
La commessa era rimasta un po’ impaurita – perché non aveva pensato che un uomo dovesse apparire insolito, in un negozio simile? – e Rioji decise di fare quanto gli era possibile per metterla a suo agio. Lasciò sul bancone tutti i capi che aveva selezionato per Haruhi fino a quel momento, si scusò con la ragazza per il disturbo e uscì frettolosamente.
Il suo piano, si disse, era semplicemente geniale: nello zaino aveva uno degli abiti che si metteva per andare al lavoro, una tenuta sobria e modesta, oltre a un paio di scarpe con i tacchi, che doveva imparare a indossare, e a tutto l’occorrente per il trucco.
Che cosa poteva fare dunque, se non cercare la prima cabina telefonica in zona che avesse le pareti oscurate, chiudercisi dentro e cambiarsi? Rioji aveva voglia di saltellare, tanto era eccitato; si sentiva un supereroe, anzi, un’eroina giunta da un mondo lontano per difendere la Terra dai mostri più crudeli.
Si fece prendere così tanto dall’immaginazione che si distrasse dalla vestizione per alzare una mano verso il tettuccio della cabina e gridare a squarciagola: «Potere del cristallo di luna, vieni a me!», ispirandosi a un anime di successo.
Non successe nulla, ovviamente, ma Rioji continuò a canticchiare a mezza voce la musichetta che accompagnava la trasformazione fino a che non ebbe finito. Adorava quell’anime, era così entusiasmante e pieno di pathos…
Haruhi aveva detto che lo trovava stupido, eppure Rioji continuava a guardarlo nonostante la scusa “tengo compagnia a mia figlia” non reggesse più, ormai. Aveva un debole per Mamoru, in realtà, ma era tutta l’idea dei superpoteri che lo mandava in solluchero.
Bene, non era tempo per quei pensieri, ormai doveva arrivare al termine della sua missione.
Il vestito era a posto, non si era neanche spiegazzato troppo nello zaino, e a pensarci bene le scarpe non gli facevano poi così male. Come ultimo tocco, dopo essersi truccato gli occhi e le labbra – fortunatamente si era fatto la barba, quella mattina! – si sciolse la coda, che portava legata stretta sulla nuca, e si spazzolò i capelli, prima di agitare la testa così che prendessero una forma più mossa ed elegante.
A un ultimo sguardo nello specchietto che aveva con sé, Rioji si vide perfetto e uscì dalla cabina ridacchiando. Ranka stava per entrare in azione!
Camminò dondolando sui tacchi e civettando con i passanti, tutto contento, e rientrò nel negozio di abbigliamento infantile.
Komachi era di nuovo alla porta con le mani giunte e un largo sorriso e vedendo una persona sulla soglia si piegò in un piccolo inchino sperando di avere più fortuna. «Benvenuta nel nostro negozio! Oh…»
«Oh grazie, grazie cara. Ma come sei graziosa, oh oh oh!», trillò Ranka prima di portarsi una mano davanti al viso. Com’era stato intelligente, la commessa non sarebbe mai riuscita a capire che era la stessa persona di prima… Si sarebbe dato un bacio per tanta arguzia!
In realtà, la signorina Komachi stava rischiando di cadere a terra tanto era il suo shock: perché l’uomo di poco prima si era travestito da donna? Non erano in uno shojo manga!
E perché mai si atteggiava come se non si fossero mai visti prima?
Voleva andare in pausa pranzo, no, voleva licenziarsi e cercare un impiego in una ditta di pulizie, o in un negozio di sandali ortopedici per anziani! Lì di certo non avrebbe fatto incontri così strani…
Mestamente, stette al gioco di quello strano soggetto, che si muoveva per il negozio con aria di trionfatore e ogni tanto lanciava frecciatine che stabilivano la superiorità della sua mente geniale. Doveva liberarsene al più presto, e solo facendogli comprare tutto quello che voleva ci sarebbe riuscita. Almeno lei poteva liberarsene…
Quella povera figlia, pensò, chissà com’era dover gestire un genitore del genere!
Ignaro di questi ragionamenti, Ranka ricominciò a cercare una camicetta fiorata che stesse bene con i grandi occhi castani della bimba di casa, sempre più orgoglioso di sé. Nessuno poteva essere geniale quanto lui, come doveva sentirsi fortunata la sua piccola Haruhi!
 
 
*
 
Un paio d’ore dopo, Ranka tornò soddisfatto verso casa reggendo con difficoltà una quantità disumana di buste e borse. Era davvero contento: aveva trovato un sacco di abiti che avrebbero reso la sua bambina ancora più bella di quanto era già, e di certo Haruhi ne sarebbe stata più che contenta.
S’immaginava già la scena: la piccola sarebbe tornata da scuola, lui le avrebbe passato le borse con un sorriso e lei avrebbe guardato i vestiti con una gioia sempre più grande, felice del regalo ricevuto, e gli sarebbe saltata al collo ringraziandolo di tutto cuore.
Ranka sospirò, al colmo della felicità: era così bello essere padre! Di certo poi avrebbero improvvisato una piccola sfilata, così che Haruhi potesse mostrargli come le stavano bene i vestiti che aveva scelto per lei.
Oh, sarebbe stato così bello… Questo pensava l’uomo, mentre tornava a casa.
Arrivato nel piccolo appartamento che divideva con la figlia, si tolse le scarpe, che cominciavano a fare incredibilmente male, cercò una tuta pulita da indossare e si preparò un tè. Haruhi sarebbe arrivata solo dopo un’oretta, perciò aveva tutto il tempo per pregustarsi il momento di cosa stava per succedere, e l’uomo rimase davvero così per un’ora, gongolando dei suoi sogni.
Fu un po’ strano, infatti, rientrare a casa per Haruhi: trovò il padre seduto in salotto che sussultava, le gambe aperte a farfallina e le braccia incrociate sul petto. Sussultava per le risate trattenute con difficoltà, il che aveva un qualcosa d’inquietante.
«Ciao papà, tutto bene? Che cosa hai fatto mentre ero a scuola?», domandò candidamente la bambina – ma con anche il mezzo sospetto che il genitore non si fosse comportato bene in sua assenza.
«Sono andato a fare spese, tesoro, guarda quante belle cose», fu la risposta del padre, spingendo le buste di plastica verso la figlia.
«Sono tutti vestiti», commentò Haruhi allungando il nasino nei sacchetti, «papà, ma ti serve tutta questa roba per il tuo lavoro?»
«Ma no, tesoro, sono tutti per te», trillò con voce buffa Rioji stendendosi a terra.
Effettivamente, notò la bambina, la taglia era un po’ troppo striminzita, anche per le nuove manie del papà di mantenere una linea perfetta; decise di vedere che cosa il padre le avesse preso… Vestitini da principessa, gonne lunghe di tutte le sfumature di rosa che erano contemplabili nel campionario Pantone, che pure erano già parecchie allora, piene di volant, poi maglioncini, scarpe di vernice con il cinturino, borse a forma di fragola e di margherita, camice decorate con stampe di arcobaleni e fiorellini.
Haruhi rimase gelata sul posto, avvertendo uno strano sentimento di rigetto che non aveva mai provato prima: non si vestiva mai così, mai! E anche se il papà non aveva mai partecipato allo shopping con la mamma, come poteva aver scelto per lei tutta quella roba, visti gli abiti che teneva nell’armadio e che si metteva quando non doveva andare a scuola?
«Allora, allora?», domandò il padre tutto eccitato. «Ti piacciono, non è vero? Suvvia, perché non fai vedere a papino come ti stanno?»
Haruhi sollevò lo sguardo dal mucchio di vestiti che aveva tirato fuori, uno dopo l’altro, con orrore e cercò di contenersi, ma disse con tutta semplicità che non aveva intenzione di metterseli, che era tutta roba scomoda e che non era adatta a lei.
Ogni affermazione fu come un colpo al cuore per il povero papà che aveva speso tempo e dedizione – oltre a buona parte del suo stipendio dell’okama, in realtà – per lo shopping di quel pomeriggio.
«Ma ma… Io l’ho fatto con tanto amore, Haru-chan, possibile che non ti piaccia niente?»
«No, inoltre non voglio pensare a quanto tu abbia speso…» commentò freddamente la bimba. Era un vero spreco, per buttare i soldi così avrebbe potuto portarla a mangiare sushi, era il suo più grande desiderio!
Rioji non seppe che replicare: si alzò lentamente da terra e si recò nella sua stanza, dove si stese per terra a faccia in giù. Che disperazione, sua figlia non apprezzava le sue dimostrazioni d’affetto! Che poteva fare un povero padre come lui? Possibile che Haruhi stesse affrontando la ribellione adolescenziale con un simile anticipo?
Haruhi lo osservò senza capire: aveva detto forse qualcosa di sbagliato? Eppure i suoi genitori le avevano insegnato a essere onesta, sempre!
Tuttavia, seguì il papà e lo abbracciò forte, senza dire nulla.
Sorpreso, Rioji la guardò per un attimo e chiuse gli occhi, sorridendo. La paternità poteva essere più difficile di quello che si era immaginato, eppure era davvero un’esperienza bellissima.
   
 
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Host club / Vai alla pagina dell'autore: Rowena