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Autore: blackdeviljack    16/11/2010    2 recensioni
Cosa potrebbe accadere se una ignara ragazza del XXI secolo perdesse la propria famiglia e venisse catapultata nel mondo dei nostri adorati fuorilegge?
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Salve ragazzi!!! inizio scusandomi infinitamente per l'immenso ritardo ma ultimamente alcuni impegni improrogabili ( leggasi compiti in classe a tutte le ore e per tutti i gusti), mi hanno tenuto occupata e probabilmente continueranno a farlo. Inoltre devo dedicarmi anche alla scrittura del nuovo capitolo di un'altra long fic pubblicata in un altro fandom e di un abbozzo particolarmente ispirante che mi è stato sottoposto recentemente dalla mia beta.

Ringrazio come sempre tutti voi per il sostegno e la pazienza, e per avermi donato parte del vostro tempo interessandovi alla mia storia. Mi dispiace non poter ringraziare ognuno di voi uno ad uno ma vado piuttosto di fretta, quindi rimando tutti i meritati oneri delle mie lettrici al prossimo capitolo.
Detto questo non vi intrattengo oltre e vi lascio alla lettura.

Un saluto a tutti.  blackdeviljack


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La pioggia battente impedisce di vedere ad un metro dal naso.

Nonostante la stanchezza non ho chiuso occhio tutta la notte e ho vegliato sul sonno di Archer, che solo verso l’alba è riuscito ad addormentarsi; ho cercato di godere al massimo degli ultimi istanti in sua presenza, momenti che potrebbero non tornare più perché per quanto ne so potremmo non rivederci per molto tempo o per sempre.
È tenero quando dorme, ma non perde l’aria da combattente e guerriero solitario neanche nel sonno;  mi è difficile non pensare che se tutto dovesse andare secondo i suoi piani, non dovrò intromettermi mai più nella sua vita: potrò limitarmi a fargli da angelo custode, ma per farlo devo andarmene alla svelta prima che il gallo canti.

Mi alzo silenziosamente dal pavimento e mi dirigo verso il tavolo; ho avvolto la spada in degli stracci per evitare che faccia rumore, il desiderio di lasciargli un messaggio d’addio è tanto, ma mi è impossibile.
Noto che all’angolo del tavolo ha lasciato uno dei pugnali che porta sempre con sé; so che non dovrei farlo ma lo prendo e lo lego alla cintura, per poi andarmene silenziosamente con la promessa di averne cura e di restituirglielo se mai ne avrò occasione.

Il cavallo non ha fatto tante storie nonostante l’orario, sono stata costretta a procedere a piedi fino al cancello per evitare di essere scoperta, in vista della piazza ho calato il cappuccio sul volto e sono montata in sella. Dopo aver lanciato un ultimo sguardo malinconico verso quella che per poche ore è stata anche la mia casa, sono partita al galoppo per la foresta, mentre il mio cuore andava in frantumi.
Ed eccomi qui, appollaiata sul ramo più alto di una quercia secolare ad osservare il cielo e la natura che mi circonda.

Mi manca già.                                                          

Mi mancava anche quando eravamo insieme a casa e quando mi ha comunicato la sua assurda decisione.
Continuo a ripetermi che l’ho fatto per lui, ma non sono più tanto sicura neanche di questo, so solo che sto male e che a mandarmi avanti è solo il desiderio di vederlo felice insieme alle persone che ama.
Sarà all’incirca mezzogiorno e solo ora mi accorgo di non aver messo nulla sotto i denti da quasi due giorni: ho una fame mostruosa ma non posso certo andare a York, mi viene in mente che potrei andarmene lontano da qui per un po’, se si farà arrestare oggi è molto probabile che finirà per essere impiccato fra tre giorni, a meno che non riesca a fuggire prima.
In entrambi i casi ne avrei notizia quindi non vedo il perché non possa andarmene in giro.
Alla fine mi decido ad andare e recupero il cavallo poco distante da lì, intento a brucare l’erba; monto in sella e imbocco la prima via che trovo, contando sul fatto che tagliare per la foresta  mi permette di viaggiare con una via di fuga a portata di mano.
È altresì vero però che potrei fare brutti incontri, ma non mi preoccupa molto il rovescio della medaglia visto che so difendermi; ho la mano destra ancora fasciata e dolorante quindi ho fissato il balteo in modo da poter usare la sinistra e in ogni caso ho un coltello con cui proteggermi alle peggio.

L’idea di viaggiare da sola mi ha sempre allettato, andare dove ti porta il vento senza nessuno che ti imponga restrizioni o regole;
 mi soffermo solo un attimo nel constatare che sto diventando un fuorilegge.
Stranamente la cosa non mi sconvolge, probabilmente perchè la mia mente mi suggeriscedi aver fatto la mia scelta due giorni fa, quando ho ucciso quell’uomo, infondo non si può ignorare quello che è stato scritto col sangue: sono un bandito.
 


Da piccola adoravo leggere libri di avventura, quel genere di romanzi in cui l’eroe se ne va a zonzo per salvare la fanciulla in pericolo o per vendicare l’amico ucciso.
Sognavo di essere come loro, una ragazza ribelle senza famiglia né casa che seguiva il codice d’onore e non aveva paura di niente; ricordo bene di aver fatto a botte  col pitone del vicino a otto anni per dimostrare che non avevo paura dei serpenti, di essermi arrampicata in cima alle scale e calata con una corda come Indiana Jones per imitarlo a nove e di aver quasi dato fuoco alla casa l'anno successivo nel mero tentativo di costruirmi una fiaccola.
I miei genitori erano disperati e alla loro morte ho deciso che non avrei fatto mai più nulla di tutto questo; naturalmente alla scomparsa di Simon la promessa ha perso importanza e a ritrovarmi in una foresta, di notte nel Medioevo, non avevo certo pensato.

La cosa mi piace parecchio ed è per questo che ho deciso di proseguire il viaggio anche col buio; finora l’unica sosta che mi sono concessa è stata quella per mangiare qualcosa ad una taverna di passaggio e per far riposare il cavallo. I soldi naturalmente li ho rubati ad un disattento passante urtato per errore, con un’abilità che non credevo mi appartenesse.
Secondo le informazioni che ho raccolto dovrei essere a qualche ora di viaggio da Nottingham; la mia memoria va peggiorando ma ricordo ancora che la foresta nei pressi della città è la mitica Sherwood, e superstizione, leggenda, mito ecc… mi hanno insegnato a starne lontano se non voglio fare brutti incontri.
Non che abbia paura, ma se il mitico Robin Hood fosse in realtà un maniaco e la sua banda una truppa di assassini senza pietà? Preferisco evitare di scoprirlo ora sulla mia pelle, e col beneficio del dubbio mi allontano dalla foresta e proseguo per una strada secondaria che la aggira, in vista delle mura della città.
È ormai l’alba quando arrivo in vista dei cancelli; il ponte d’ingresso è circondato ai lati da migliaia di poveri, di vecchi e di affamati e la situazione è la peggiore che abbia mai visto, cosa che non migliora di certo nella città, dove nonostante sia giorno di mercato la piazza è mezza vuota.

Il mio pensiero va ad Archer, di cui non ho notizie dalla partenza, ciò significa che entro sera dovrò partire per York ed escogitare un piano per tirarlo fuori di lì.
In giro ho sentito parlare bene dei fuorilegge, la cosa mi rincuora perché una mano potrebbe risultarmi utile in futuro: se tutto andrà bene avrò bisogno di un posto dove andare dopo la liberazione di Archer e l’idea di unirmi a loro non mi dispiace; addento una mela recuperata furtivamente su qualche carro e un ricordo mi torna lucido alla mente, come pochi ormai:

-Qualsiasi cosa accada io ci sarò, finché lo vorrai- la voce di Aylwyn e la sua espressione dolce mi risollevano il morale e suscitano in me una domanda a cui tento di sfuggire da quando sono arrivata qui: cosa voglio in realtà io? Non lo so, mi sono risposta più volte, ma la verità è che ho una paura immane di deludere le poche persone che mi restano, di perderle e di rimanere sola senza qualcuno per cui valga la pena lottare; ho paura e continuo a nascondere a me stessa la risposta.

Non voglio soffrire ancora, non voglio cadere in ginocchio e vedere le mie convinzioni andare in frantumi un’altra volta; stringo forte l’impugnatura del coltello di Archer: se dovesse accadergli qualcosa non me lo perdonerei mai; d’’un tratto un discorso interessante mi giunge alle orecchie:

-Sì sembrerebbe quasi che Gisborne si sia alleato con il suo peggior nemico per salvare un fantomatico fratello sbucato dal nulla, come si chiama … - a parlare è un soldato, che sta ciarlando con un uomo di mezza età, che sembra seguire il discorso con crescente attenzione;

-Ah sì un certo Archer, un furfante che ha truffato lo sceriffo di York, a quanto pare verrà giustiziato domani al tramonto- ascoltate le ultime parole smetto di interessarmi all’allegro scambio di battute.

domani al tramonto” le ultime parole mi ronzano nella testa, passando per la via che ho preso all’andata rischio di impiegare troppo tempo e probabilmente non ho speranze di arrivare prima dell’esecuzione, ma tagliando per la foresta ci metterò sicuramente la metà, guadagnando un po’ di tempo per pensare ad un piano decente.
Monto velocemente in sella, decisa a rischiare il tutto per tutto se necessario e sprono il cavallo ad una corsa sfrenata.
 
I primi raggi del sole fanno capolino timidi all’orizzonte, tingendo di colori pastellati e pittoreschi il cielo ancora stellato. Chiudo gli occhi per quello che a mio parere è solo un breve istante, e finisco col ritrovarmi a terra, stremata dalla lunga cavalcata notturna, dalla stanchezza e dall’ansia.

Mugolo sofferente sentendo scariche di dolore irradiarsi dalla spalla, e mentre scarto lateralmente per evitare di finire “investita” dagli zoccoli del mio cavallo, finisco in quella che ha tutta l’aria di essere una trappola ben organizzata e mi ritrovo appesa come un insaccato a testa in giù.
Non ho il tempo di realizzare l’accaduto quando un sibilo taglia l’aria e mi ritrovo di nuovo con i piedi per terra, anche se tutto tranne i miei piedi si trova per terra.

-Diamine- impreco a mezza voce passandomi una mano sul volto sudato e sporco di polvere e fango; mi sento così dolorante e malmessa che dubito perfino di essere tutta intera, apro gli occhi e cercò di risollevarmi velocemente per difendermi dal possibile pericolo che l’aria presagisce, ma le gambe non mi reggono e mi piegò su me stessa, in preda ad un capogiro.

Tossisco e quello che vedo non mi piace: ho le mani piagate e sporche di sangue, il mio sangue, ci manca poco perché rimetta e mi accasci definitivamente al suolo, ma Archer è in pericolo e questo non è affatto il momento migliore per fare la bambina schizzinosa.
In un breve lampo di lucidità penso che tutto il tempo che avrei potuto risparmiare passando per la foresta è andato a farsi benedire e che, probabilmente, l’unico piano che avrò modo di formulare sarà quello per cavarmi d’impiccio da questa situazione. Strizzò gli occhi in cerca di una visione più nitida, che fortunatamente non fatico a raggiungere, e quello che vedo non mi piace per niente.
Un uomo mi punta la spada alla gola, sorpreso di trovarsi di fronte una donna, mentre due di loro mi tengono sotto tiro con gli archi tesi e pronti a scoccare;

-Chi siete?- mormoro in un inglese stentato con quel poco di voce che mi rimane,

-Siamo gli uomini di Robin Hood- risponde spavaldo il mio aguzzino afferrandomi per un braccio, mugolo di dolore notando con disappunto che probabilmente sarà inservibile per un po’.

-Lasciatemi andare- protesto divincolandomi dalla presa del biondo con le poche energie messe insieme, la sinistra corre a sfiorare la spada, mentre il cerchio di fuorilegge si stringe intorno a me in modo poco rassicurante. Con un sospiro abbandonò qualsiasi speranza di poter lottare e mi appoggiò ad un albero, colta dall’ennesimo capogiro; uno dei banditi mi si avvicina sorreggendomi, non voglio che mi tocchi ma non posso far nulla per evitarlo, così mi limito ad accettare il suo aiuto, ringraziandolo.

-Dovete lasciarmi andare, è estremamente importante che io mi metta in marcia- ribatto tossicchiando e recuperando un po’ di zelo e di forze; passò in rassegna i volti di ognuno, diffidente, fino a soffermarmi su quello che più mi interessa.

-Non sei in grado di tenerti in piedi, è alquanto improbabile che tu possa rimetterti in viaggio- il primo pensiero che mi passa per la testa è quello che sarei benissimo arrivata a York senza problemi se non si fossero intromessi nella faccenda, non ho alcuna intenzione di transigere su questo: devo sbrigarmi.

-Non è affar vostro- mi risollevo contro ogni aspettativa e faccio per muovermi quando l’uomo che fino a pochi istanti prima mi aveva puntato l’arma alla gola mi afferra per un braccio.

-Non vi permetteremo di rischiare la vostra vita- ma bene, ci mancava l’eroe provetto e l’allegra banda di scampanati in calzamaglia, mi libero dalla presa, infastidita.

-E io non permetterò a nessuno di voi di impedirmi di andare- ringhio in risposta, nella speranza flebile che non decidano di metter mano alle armi;

-Ragazzi!!! Correte! Il padrone e Guy sono in pericolo! Isabella sta andando a …- l’uomo appena sopraggiunto si ammutolisce di colpo, voltandosi e osservandomi, basito, per poi rivolgere uno sguardo confuso al biondo, che continua a tenermi per un braccio, e al resto della banda. 

-Ehm scusate non sapevo che…- lo fisso con sconcerto incapace di capire fino in fondo il senso delle sue parole, lui sembra capirlo e scuote la testa, allarmato;

-Cioè no.. io non volevo affatto insinuare che.. insomma io non mi permetterei mai, non davanti ad una donzella indifesa e…- abbasso il capo cercando di mantenere la calma; stringo forte i pugni fino a far sbiancare le nocche,

-Ripeti..- sibilo senza sollevare lo sguardo da terra, segue un silenzio imbarazzato che mi fa dubitare della già precaria sanità mentale dell’allegra compagnia di rimbambiti che ho davanti: può esistere un gruppo di fuorilegge peggio di questo?

-i-io volevo solo dire che..- ok la mia pazienza ha letteralmente toccato il fondo, nulla può impedirmi di fare una sfuriata colossale ora…

-ascoltami bene, sottospecie di ottuso essere con i pollici opponibili, nel caso in cui non lo avessi capito non mi importa un fico secco né di te- e lo addito livida di rabbia – né di loro- mi ergo in tutta la mia altezza ( e che altezza!!! 1 metro e 68 di pura pazzia), e con molta calma preciso uno dei concetti che più mi sta a cuore:

-e poi IO NON SONO UNA DONZELLA INDIFESA!!!!!-

Osservo le loro espressioni basite con una punta di orgoglio tutto femminile, risollevo l’arma da terra quando una freccia si conficca con un sibilo a poca distanza dalla mia mano.

-Se fossi in te io non lo farei…- soggiunge una voce in lontananza, facendomi trasalire.

  
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