Pomeriggi infiniti
di tra ottobre e settembre,
spenti nel tambaràre
del vento, che s’involve a sospirare –
e minacciosamente
tutte le foglie crepa,
quanto un fantasma di soffitta grida –;
una disperazione
di fuoco, pomeriggi,
voi ammantate nel mio non comprendere.
Immobile e muto autunno d’ovatta,
che pendi come gravide
lacrime – e pesantezza –,
come il cadavere di un impiccato
che piega, per il peso
della sua condanna,
l’umido ramo che gli è di sostegno:
m’incurvi nella pioggia
dei pensieri più storti –
ed improvvisamente faccio un singhiozzo!