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Autore: Esteliel    20/11/2010    0 recensioni
L'illusione della giustizia può essere un'arma a doppio taglio, che anche dopo molti anni torna a perseguitare i sogni di chi, di proposito, ha deciso di voltarle le spalle. Ed è quando l'illusione viene allo scoperto che si presenta anche un atroce dubbio: la giustizia da che parte stava davvero?
Genere: Azione, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’incrocio tra la Broadway e Victoria Street era un rumoroso e uniforme gorgo di autoveicoli. Le macchine civili in circolazione erano costrette ad accostare ogni pochi minuti di corsa, per lasciare il passaggio libero alle auto di pattuglia che uscivano da Scotland Yard a sirene spiegate. La sede del Servizio di Polizia Metropolitana era in completo subbuglio. La frenesia raggiunse livelli talmente alti durante la mattinata, che persino l’insegna girevole all’esterno sembrò vorticare più velocemente del solito. Molti agenti erano stati chiamati in servizio prima che scattasse l’ora di turno, tanto che si erano presentati con l’uniforme sotto braccio ed erano stati costretti ad indossarla nei bagni. Un ispettore era chino sul distributore d’acqua e si stava picchiettando un fazzoletto bagnato sulla fronte. Gli impiegati civili si spostavano a zig zag tra le scrivanie, urtandosi tra loro nella fretta di raggiungere le stampanti che elaboravano gli identikit degli evasi. I telefoni squillavano con impeto selvaggio, come se chi stesse all’altro capo del filo riuscisse in qualche modo a trasmettere agli apparecchi tutta la sua tensione.
Nell’ufficio del capo della polizia era appena iniziata la riunione d’emergenza, un conciliabolo privato che vide protagonisti tre individui psicologicamente provati. Il direttore Sanders si era precipitato lì subito dopo aver avuto conferma delle modalità dell’evasione; si era preso solo il tempo necessario per trovare una camicia che potesse dare anche la minima impressione di essere pulita. I capelli grigi erano più arruffati sulla sommità della testa, come se un pettine si fosse impigliato in quel punto e lui lo avesse tirato via con un violento strattone. Accasciato su una sedia dal sedile troppo infossato, teneva la testa china, ascoltando rammaricato il discorso del giudice Masters.
«Ha una vaga idea di quanto sia stato difficile sbattere Ramsfield e gli altri nella sua prigione?» stava domandando Masters, con quel tono superbo che gli aveva da tempo alienato le simpatie di molti rappresentanti della legge. «Ricade sempre su di noi la colpa della mancanza di disciplina delle vostre…»
«Abbiamo capito, Charles» intervenne il capo della polizia, con un tono indulgente che celava la sua irritazione.
Seduto dietro la sua scrivania, aveva ascoltato pazientemente il resoconto del direttore del carcere. Sul suo volto disfatto dalla stanchezza si coglievano i segni della tensione. Il suo capo, prematuramente colto da calvizie già da quando aveva vent’anni, si era quasi del tutto stempiato in dirittura d’arrivo dei cinquanta.
«Non è necessario ripetersi» proseguì con voce rauca. «Oliver è responsabile dei suoi uomini, questo è vero.»
Il diretto interessato strizzò gli occhi per brevi istanti, prima di sollevare uno sguardo ferito verso di lui. Il giudice Masters protese il mento all’infuori con fare superbo, soddisfatto di aver ottenuto la conferma della propria tesi. I suoi occhi, d’un azzurro slavato e glaciale, dardeggiarono verso il direttore di Hammersmith.
«Ma non ha senso battibeccare tra noi» precisò il capo della polizia, riservando al giudice un’occhiata di rimprovero. «Ormai è successo, quindi ti prego ti mettere da parte interventi che non siano costruttivi.»
Masters emise un verso irritato, sollevando le braccia e lasciandole ricadere contro le proprie gambe. Sanders azzardò un’occhiata nella sua direzione, sforzandosi di non sogghignare.
«Dobbiamo ritrovarli, Whitmore» sentenziò il giudice, piantandosi davanti alla scrivania, con le braccia accostate rigidamente contro i fianchi.
Martin Whitmore si corrucciò, i gomiti appoggiati sulla carta che denunciava ufficialmente la triplice evasione della notte precedente. Sanders si dondolò sulla sedia per un paio di volte, ma non riuscì a trattenersi oltre.
«A questo intervento costruttivo potevo arrivarci anche io.»
«Non adesso» s’intromise Whitmore, poiché il giudice aveva già assunto il tipico cipiglio di chi sta per iniziare una lunga paternale.
Bloccato sul principio del discorso, Masters ingoiò con difficoltà le sue proteste. Non potendo arrischiarsi a scatenare una lite proprio nell’ufficio del capo di Scotland Yard, si limitò a lisciarsi i risvolti della costosa giacca in principe di Galles, adocchiando con eloquenza l’abbigliamento trasandato del direttore Sanders.
Whitmore si lasciò sfuggire un sospiro, adagiando stancamente la schiena contro la spalliera della sua sedia. Quasi senza pensarci, roteò gli occhi di lato, per contemplare una fotografia appena al muro del suo ufficio, sopra il tavolo del fax. Il volto autoritario di Walter Coughly sembrò restituirgli un’occhiata altrettanto pensierosa. Adocchiando i lineamenti indeboliti dall’età dell’ex capo di Scotland Yard, avvertì una bruciante sensazione di sconfitta. Se Coughly fosse stato ancora vivo, gli ultimi eventi l’avrebbero certamente prostrato. Era passato quasi un anno dal suo omicidio, ma Whitmore ancora dubitava di essere la persona adatta per sostituirlo. E l’evasione di Ramsfield non aveva fatto altro che confermare questa sua tesi.
«Coughly si starà rivoltando nella tomba» insinuò il giudice Masters.
Whitmore non distolse subito lo sguardo dalla fotografia, limitandosi ad annuire in modo impercettibile. Sanders corrugò la fronte e si portò una mano a grattare la base della nuca.
«Che vuol dire?» domandò, rivolgendosi testardamente a Whitmore ed evitando così qualsiasi altro spiacevole contatto con il giudice Masters.
L’attuale capo di Scotland Yard staccò gli occhi dalla fotografia di Coughly, riservando uno sguardo talmente mortificato al direttore del carcere, da farlo quasi pentire di aver posto la domanda. Masters serrò le labbra in un’espressione quasi commossa, cosa che ebbe il potere di mettere maggiormente a disagio il direttore Sanders. Nonostante gli squilli dei telefoni continuassero imperterriti a martoriare il silenzio nelle altre stanze, fra i tre sembrò calare una cortina di inquietudine, impermeabile a qualsiasi rumore molesto che provenisse dall’esterno.
Quando quel velo iniziò a diventare soffocante, Whitmore prese un profondo respiro, quasi volesse farsi coraggio.
«Il caso Ramsfield fu l’ultimo di cui si occupò Coughly, prima di essere costretto a ritirarsi.»
Sanders dischiuse la bocca, mentre chiazze rossastre si facevano largo sul suo volto esangue. Colpito da tale risposta, evitò accuratamente di incrociare lo sguardo del giudice, che invece lo stava fissando con un’espressione a metà tra il biasimo e il disgusto.
«Mi dispiace, non sapevo» si scusò Sanders, puntando gli occhi castani su un punto al di sopra della spalla di Whitmore, per risparmiarsi l’imbarazzo di dover sostenere il sottile rimprovero che animava i suoi occhi chiari. «Avevo solo letto i capi d’imputazione, come da procedura.»
«Forse è il caso di riprendere i suoi rapporti» suggerì Masters con tono velenoso.
Il direttore del carcere gli scoccò uno sguardo ostile, piantandosi le unghie della mano destra sulla gamba, per evitare di esternare tutte le volgarità che avrebbe volentieri urlato contro di lui. Il rispetto per la palese frustrazione di Whitmore e la consapevolezza dei suoi errori lo aiutarono a mantenersi saldo nel suo intento di tenere la bocca ben chiusa.
Intuendo la difficoltà di Sanders, il capo di Scotland Yard scosse la testa, sforzandosi di riprendere in mano la situazione, prima di essere schiacciato dal peso del passato.
«Sarebbe opportuno che li rileggessimo tutti» concordò, premendo il pulsante di comunicazione e passando l’ordine di prelevare dallo schedario i vecchi rapporti sui tre evasi.
Chiusa la comunicazione, si alzò dalla scrivania e si avvicinò alla finestra, stringendosi le braccia dietro alla schiena. Il giudice Masters lo tallonò da vicino.
«In quei rapporti manca il quarto elemento.»
Il direttore Sanders inarcò le sopracciglia, sorpreso da una tale dichiarazione. Si alzò a sua volta, ma rimase nei pressi della sua sedia. Lo sguardo di Whitmore corse nuovamente alla fotografia di Coughly. A giudicare dalla sua aria assorta, sembrava aver dimenticato i suoi interlocutori. Ma un istante dopo annuì, voltandosi a fronteggiarli.
«Uno dei suoi uomini ci sfuggì» spiegò, a beneficio di un ignaro Sanders. «Tutti i nostri tentativi di ritrovarlo andarono in fumo. Avevamo pochissimi elementi per identificarlo, se escludiamo un nome di battesimo che porta almeno un terzo della popolazione londinese...»
«Henry» gli venne incontro Masters, con aria saputa.
«Henry» confermò Whitmore, riprendendo a percorrere il suo ufficio con passi lenti e incerti. «Forse si trattava persino di un nome falso. Alla fine fummo costretti a rinunciare. Non vi nascondo che in molti sperarono che fosse semplicemente fuggito.»
«Invece si è solo nascosto, aspettando il momento opportuno per liberare gli altri» insisté il giudice, scoccando un’occhiata eloquente in direzione di Sanders.
«Ho già denunciato alla Corte il secondino responsabile» precisò Sanders, imbronciato. «Era fuori da ogni sospetto, lavorava per me da quasi cinque anni.»
«Nonostante questo, si è lasciato facilmente corrompere, da quanto possiamo arguire» incalzò Masters, compiaciuto di poter continuare a rigirare il coltello nella piaga.
«Quando lo prenderemo, potrà fargli la sua bella ramanzina sulla rettitudine morale» borbottò il direttore tra i denti, avvicinandosi di qualche passo al giudice, il volto contratto dalla rabbia. «Io ho fatto il mio dovere, ho ammesso la colpa della giurisdizione di Hammersmith. E poi, come potevo sapere di un complice sfuggito all’arresto?»
«Ormai avrà passato la Manica» mormorò Masters con alterigia, accantonando con un gesto della mano la mancanza di informazioni dimostrata da Sanders.
In compenso, quando lo raggiunse l’odore che proveniva dal direttore, arricciò con gesto teatrale il suo lungo naso aquilino.
«Allora chiuda il becco, una buona volta» tagliò corto Sanders, tornando ad affondare nella sedia dinanzi alla scrivania di Whitmore.
Il giudice Masters aprì la bocca per protestare, ma il capo della polizia si riscosse dai suoi pensieri in tempo per quietare nuovamente le acque.
«Charles, trattieniti» consigliò. «L’inchiesta sarà avviata a tempo debito. Ora dobbiamo preoccuparci di cosa Ramsfield ha in serbo per la città.»
«Ho letto sui giornali che il loro ultimo colpo portò parecchi danni» intervenne subito Sanders.
«Il centro commerciale di East Court rischiò di collassare» annuì Whitmore, cupo in volto. «La stessa gente distrusse molte strutture, nel panico della fuga.»
«E quei criminali si bearono dello spettacolo.»
«Non sono criminali da quattro soldi, Charles» lo contraddisse Whitmore. «Mettere su un simile spettacolo, come lo chiami tu, deve aver richiesto una precisa sincronia. Se consideriamo che quattro persone sono riuscite a mobilitare un alto numero di pattuglie…»
«Ora li ammiri, Martin?» lo interruppe il giudice, trattenendo a stento una risatina di scherno.
«Semplicemente non li sottovaluto» chiarì Whitmore, scoccando a Masters un’occhiata penetrante.
«Questi pezzenti si prendono gioco di noi» ribatté lui, sputando ogni singola parola come se fosse puro acido.
«Le fa bruciare il sedere, eh?» lo schernì il direttore Sanders.
Il giudice si limitò ad inclinare lo sguardo verso di lui, ma al capo di Scotland Yard non sfuggì il movimento delle sue mani, le cui dita si aprivano e richiudevano come gli artigli di un vecchio rapace.
«Si può dire che lo fa bruciare a tutti» scherzò Whitmore senza troppa convinzione.
Il giudice Masters strinse le labbra, assumendo la sua tipica espressione contrariata e offesa; Sanders ebbe la decenza di mostrare un leggero imbarazzo al tentativo di Whitmore di sdrammatizzare la situazione.
«Mi sta dicendo che la loro intelligenza media è superiore a quella della feccia che marcisce ad Hammersmith. Giusto?» domandò il direttore a mezza voce.
Il capo di Scotland Yard gli restituì un’occhiata preoccupata, che da sola rispondeva alla perfezione a quel quesito. Alla vista del suo volto avvilito, persino il giudice Masters abbassò lo sguardo, chiudendosi in un silenzio meditabondo. Sanders si mosse a disagio sulla sedia, concentrando l’attenzione sul documento d’evasione da lui stesso redatto, aperto sulla scrivania.
«Cos’è che li spinge a creare scompiglio?» volle sapere, pur non avendo il coraggio di affrontare ancora l’espressione affranta degli altri due. «Voglio dire, a che serve?»
Masters sbuffò il suo disappunto, voltando loro le spalle. Alle orecchie di Sanders giunse il successivo sospiro di Whitmore, che si risedette dietro la scrivania e si passò una mano sulla nuca stempiata.
«Non lo so» ammise, lo sguardo perso nel vuoto. «Non so cosa passa per la testa di Victor Ramsfield.»
  
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