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Autore: Anne London    23/11/2010    2 recensioni
Un gruppo di musicisti italiani arriva a Londra per una serie di concerti su Vivaldi, peccato che alcuni violini vengano rubati. Ovviamente il nostro detective preferito è chiamato ad investigare.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'avventura del violinista italiano

E’ da parecchio tempo che pensavo di pubblicare questa storia, ma non mi ero mai decisa. L’ho scritta parecchio tempo fa e non mi ero mai azzardata a riprenderla in mano e sistemarla. Sono finalmente riuscita a farlo, ma non a trasformarla nel modo in cui avrei voluto. Credo che certe cose, se non vengono scritte sul momento, siano poi difficili da sistemare… Spero che la storia vi piaccia e che vogliate perdonare un po’ di infantilità in alcuni passaggi (non so, magari li vedo solo io, lascio a voi i commenti in proposito).

L’avventura del violinista italiano.


Ho avuto modo, nei miei numerosi resoconti, di descrivere alcuni aspetti della vita di Holmes in cui, i periodi di lavoro intenso, si alternavano ad altri in cui il mio amico sprofondava in un angolo del divano a fumare una delle sue pipe, oppure con lo Stradivari  sulle ginocchia e intento strimpellare distrattamente, generando suoni ben lontani dall’essere considerati tollerabili. Avevo ormai imparato a conoscere il suo carattere particolarmente difficile e non facevo più caso al cattivo umore, dovuto soprattutto alla cocaina, di cui faceva uso da tempi precedenti al nostro incontro. Era il mattino di un ottobre molto freddo del 1888 che annunciava l’ennesima giornata torrenziale caratteristica di Londra. Mia moglie era andata a trovare la sua vecchia amica e datrice di lavoro, la signora Forrester, e avevo deciso di passare qualche giorno con il mio amico. Mentre finivo di sorseggiare il mio caffè ne approfittavo per mettere ordine tra i miei appunti, che cominciavano ad accumularsi, ed era mia intenzione rivedere quelli riguardanti il furto di gioielli di Lady Cantsbury, mentre il mio amico era completamente assorto nella lettura del Times, seduto nella sua sedia vicino al camino.
«Uhm… questo mi piace.» Lo sentii borbottare all’improvviso. Osservandolo vidi quel famoso  luccichio tanto familiare. Aspettavo che continuasse la frase, ma non lo fece. Alla fine la curiosità mi vinse.
«C’è qualcosa di interessante? »
«Forse». E si voltò per guardarmi con quel suo sguardo ironico che molto spesso mi irritava. Evitai di commentare ulteriormente, mentre speravo si presentasse un cliente con un affare importante per liberarlo da quello stato di apatia in cui era sprofondato. Il fatto che cercasse di irritarmi era già di per sé un ottimo segnale che la sua indolenza andava svanendo. Rimasi pertanto in silenzio per qualche minuto, ma Holmes non accennava a proseguire.
«Insomma Holmes! Vuole dirmi cos’è successo?» esclamai infine spazientito. Ancora una volta mi scrutò  ironicamente.
«Mio caro Watson, le sue mani la tradiscono! Hanno iniziato a dare segni d’impazienza dal primo istante ed era talmente distratto che stava per versare il suo caffè nel piattino. Cercava di fingersi disinteressato, ma il suo nervosismo era più evidente della sua apparente indifferenza. Ebbene, vedrò infine di accontentarla. Il nostro Lestrade è coinvolto in un caso di omicidio. Un uomo sulla cinquantina è stato trovato ucciso con un colpo di pistola alla testa in una baracca del porto. Dev’essere accaduto questa notte perché la vicenda è solo accennata. Credo che presto riceveremo sue notizie.» Continuò a sfogliare distrattamente il giornale, mentre mi avvicinavo alla finestra e osservavo fuori.
«Chissà,» replicai, «forse questa volta Lestrade riuscirà a risolvere il mistero senza bisogno del suo intervento!»  Ero ancora lievemente irritato per il suo comportamento precedente e avevo voglia di stuzzicarlo. Mi rispose con la sua solita aria enigmatica e con un leggero sorrisetto sulle labbra.
«È probabile». Anche lui si alzò dal divano e mi raggiunse alla finestra.
«È sempre un piacere osservare l’avvicendarsi delle persone per la strada. Ognuna di esse ha pensieri propri e un problema da risolvere più o meno importante. Camminando, le potrebbero passare accanto assassini e filantropi senza che lei possa notarlo. Che ne pensa Watson?»
«Che lei è molto filosofico quest’oggi.» lui mi sorrise e continuò.
«Guardi ad esempio quel giovane: indubbiamente non è inglese; mi sembra di carnagione olivastra, anche se da questa distanza non posso stabilirlo con certezza; è nervoso e una persona molto attenta ai particolari, tuttavia oggi mostra chiaramente di avere un problema molto serio perché non manifesta la sua pignoleria come dovrebbe. Dimenticavo: è un violinista.» Tacque e rimase ad osservare la strada.
«Holmes! Non crede di esagerare? Com’è possibile capire da questa distanza il carattere e il mestiere di una persona?» Lui trasse un lungo sospiro come suo solito e iniziò a parlare come un insegnante che si rivolge ad una classe.
«Le ho detto tante volte, Watson, che lei vede, ma non osserva! Quel giovane è vestito elegantemente, con uno stile molto ricercato, ma è chiaro persino da qui che quel tipo di vestiario non ha niente a che fare con la moda anglosassone. Proviene pertanto da un paese dell’area mediterranea, come dimostra la sua carnagione; il suo passo è regolare, ma gli strani movimenti che compie con l’ombrello fanno supporre un certo nervosismo; chiaramente qualcosa lo preoccupa e dev’essere un problema serio perché non si è reso conto di avere abbottonato il soprabito malamente; vede? Il primo bottone è inserito nella seconda asola; una persona perennemente distratta non veste con quell’attenzione che invece il nostro soggetto dimostra e l’elaborato nodo della cravatta ne è una prova.»
«Ma come fa a dire che è un violinista?»
«Lei è un medico, Watson, osservi attentamente la strana posizione della spalla sinistra e della testa leggermente reclinata: soltanto una persona che studia il violino fin da bambino ha questo difettoGuardai attentamente anch’io e dovetti ammettere che tutte le sue spiegazioni corrispondevano. Mentre Holmes parlava, il giovane si era fermato di fronte a casa nostra.
«Credo caro Watson esclamò Holmes sfregandosi le mani «che avremo presto qualcosa di interessante.» Si udì infatti un’energica scampanellata e il passo di due persone per le scale.
«Avanti!» La porta si aprì e di fronte a noi entrò il giovane visto in strada, preceduto dalla signora Hudson che ci lasciò immediatamente dopo averlo annunciato. Lo osservai attentamente: era di carnagione scura, sulla trentina, non molto alto e con due grandi occhi castani molto espressivi che in quel momento mostravano soltanto indecisione.
«E’ lei il signor Holmes?» disse rivolto al mio amico; aveva un forte accento straniero che sul momento non riuscii ad identificare. Holmes fece un cenno d’assenso e gl’indicò la poltrona di fronte al divano.
«È un onore per me conoscerla, signor Canali Il giovane spalancò gli occhi  e arrossì leggermente.
«Lei mi conosce?» Holmes sorrise compiaciuto.
«Non proprio. Ho una buona conoscenza di molte lingue e ho afferrato immediatamente la nazionalità italiana del suo accento. Deve scusarci, ma la stavamo osservando dalla finestra e dalla posizione della sua testa ne ho dedotto che lei è un violinista. Ora che posso vederla da vicino i calli sulle dita me lo confermano. So che un quartetto d’archi italiano è qui a Londra per eseguire alcuni concerti  su Vivaldi e, poiché è composto da tre uomini di mezza età, da una donna e da un giovane di grande talento, sono giunto all’ovvia conclusione che questo giovane era di fronte a me.» Tacque e vidi il violinista guardarlo con nuovo rispetto.
«Lei è esattamente come mi è stato descritto. Sono venuto qui perché ho bisogno di aiuto.» Respirò profondamente e iniziò a tormentarsi le mani. Holmes gli offrì una sigaretta che accettò; dopodiché si allungò nella sedia come suo solito, prendendo distrattamente il tabacco dalla babbuccia persiana per accendere la grossa pipa d’ambra, socchiudendo gli occhi.
«Cercherò di essere il più preciso possibile.» Iniziò Canali. «Come lei stesso ha affermato faccio parte di un quartetto d’archi e cembalo e stiamo girando l’Europa per eseguire concerti. Tutto è filato liscio finché non siamo venuti qui a Londra.» Aspirò profondamente dalla sigaretta e continuò. «Alloggiamo nell’albergo Queen Elizabeth in Tottenam Court Road. Con me viaggiano Alessandro Castelli, Mario Olivieri, Francesco Severi e Linda Della Corte. I primi  sono tre uomini di mezza età, come anche lei ha accennato prima, mentre io e la signorina Della Corte siamo più o meno coetanei. Siamo a Londra da due giorni, ma sono stati i più assurdi della mia vita». Fin dall’inizio aveva iniziato a gesticolare nella maniera tutta italiana, ma lo vidi che iniziava ad agitarsi e Holmes si sporse per toccargli il ginocchio con l’indice.
«Cerchi di espormi la sua situazione con la maggior chiarezza possibile». Detto questo, riprese la sua precedente posizione e congiunse i polpastrelli.
«Mi scusi, devo calmarmi. Questa misteriosa storia è iniziata proprio l’altro giorno, quando abbiamo ricevuto questa lettera». Frugò nella tasca del cappotto e ne trasse una busta che porse a Holmes.
«È indirizzata al Quartetto D’Archi. Non c’è indirizzo, è stata recapitata a mano?»
«Si, signor Holmes. È stata portata in albergo da un uomo, alto e con la barba nera, che l’ha consegnata all’ingresso perché ci venisse recapitata.» Intanto, Holmes aveva aperto la busta ed estratto la lettera.
«La carta utilizzata è molto cara, direi mezza corona al pacchetto. Sia la busta che la lettera sono state scritte a stampatello. Ci sono numerose impronte digitali che appartengono sicuramente a lei e ai suoi amici. Inoltre, il messaggio è scritto in inglese: “Spariranno tutti, uno alla volta.” Signor Canali, lei e il resto della compagnia avete dei nemici in comune?»
«Assolutamente no, signor Holmes. Non credo di avere dei nemici, anche se non posso dire di conoscere perfettamente i miei compagni. Ci siamo incontrati per la prima volta poco più di tre mesi fa quando, cioè, abbiamo iniziato la nostra tournee in Europa. Conoscevo gli altri solo di nome.»
«Continui pure.»
«Adesso c’è la parte più strana di tutta la vicenda. Dopo aver ricevuto quella lettera abbiamo tutti quanti riso molto perché la ritenevamo uno scherzo. Voi inglesi, vi chiedo scusa, siete famosi per avere uno strano senso dell’umorismo e non ci facemmo più caso. Quella stessa notte iniziarono a verificarsi i primi incidenti. Deve sapere che alloggiamo in cinque camere disposte sullo stesso piano e verso le tre fui svegliato da qualcuno che urlava. Riconobbi subito la voce della signorina Della Corte e mi precipitai fuori per vedere cos’era accaduto. Uscii contemporaneamente agli altri e vedemmo la sua porta  aperta e lei seduta a letto. “C’era un uomo nella mia camera!”, disse.  Le chiedemmo se avesse capito chi fosse. “No – rispose - aveva un lungo mantello nero con un cappuccio e nell’oscurità non sono riuscita a vedere nulla. Ho sentito qualcuno chiamarmi e ho alzato la testa per vedere chi fosse; era davanti alla porta e stava per uscire.” Non ricorda nient’altro, ma subito dopo vide che mancava il suo violino».
«Non è stato rubato nient’altro?»
«Solo quello, ma è un grave danno: la signorina Della Corte appartiene ad una nobile famiglia di musicisti e il suo violino era un Guadagnini. Non appena entrammo nella sua stanza, Olivieri notò questo pezzo di carta con un lembo di stoffa incastrato nello stipite della porta.» Lo porse a Holmes che lo osservò attentamente. Mi sporsi un poco per vederlo:
20/10 h. 10.00, 5 Braham S
«Non sappiamo che cosa possa significare quel numero e nessuno di noi conosce qualcuno con quel nome.» Holmes rimase in silenzio a riflettere, mentre osservavo anch’io quel pezzo di carta. Non riuscii sul momento a comprendere la loro perplessità, la questione mi sembrava alquanto ovvia e Holmes me lo lesse in viso. Si rivolse prima al nostro cliente.
«Il nome Braham non è riferito ad un uomo, ma ad una via: Braham Street è una via di Whitechapel e il cinque è sicuramente il numero civico di una casa. Deve sapere Watson che gli indirizzi, in Italia, vengono scritti in modo diverso rispetto a noi. Prima il sostantivo “via”, poi il nome della stessa e solo alla fine il numero; da qui la perplessità dei signori. Si tratta di un appuntamento per le 10.00 di domani mattina al 5 di Braham Street».
«Whitechapel? Ne ho sentito parlare come un quartiere malfamato…»
«E lo è. Signor Canali, c’è qualcun altro che viaggia con voi?»
«Si, signor Holmes, è il nostro agente teatrale, Antonio Berelli, e stavo proprio per aggiungere un altro particolare che riguarda lui. La sua stanza è accanto a quella di Linda e non vedendolo fuori dopo tutto quel baccano abbiamo notato che la sua porta era solo accostata. Quando siamo entrati non siamo riusciti a svegliarlo e intorno a lui c’era uno strano odore di cloroformio.»
«Avete notato qualche particolare strano? Anche la cosa più assurda può essere di grande interesse.» Il violinista pensò per qualche istante.
«L’unica cosa fuori posto era il fazzoletto per terra inzuppato di cloroformio e nient’altro.» Holmes annuì e riprese.
«Adesso voglio che mi dica esattamente la disposizione delle stanze in quel piano.» 
«Certamente. La camera della signorina Della Corte è l’ultima in fondo al corridoio: subito dopo viene quella di Berelli e questo crediamo sia il motivo per cui è stato messo a tacere;  dopo viene Olivieri, io, Severi e Castelli.» Holmes rimase nuovamente silenzioso per qualche minuto con gli occhi semichiusi. Vidi il violinista farsi sempre più nervoso e sembrava stesse per dire qualcosa quando Holmes lo prevenne.
«La signorina Della Corte ha detto che l’uomo della sua stanza era vestito di nero. Ricorda più o meno la statura?»
«Ricorda molto poco, ma se non erro ha detto che era di statura media.» Holmes pareva non ascoltarlo neppure e dovette avvertire che il nostro cliente lo osservava molto sorpreso e lievemente irritato.
«Deve scusarmi per quest’atteggiamento. Come il dottor Watson potrà confermarle, i casi particolarmente interessanti mi assorbono completamente e il suo presenta degli aspetti oscuri su cui vale la pena indagare.»
«Ne sono felice, signor Holmes: mi metto completamente nelle  sue mani».
«Potrebbe ora dirmi per quale motivo non è venuta la signorina Della Corte a denunciare il furto del suo violino?»
«Beh, vede signor Holmes, è stato Antonio Berelli a consigliarci di chiedere il suo intervento, aveva sentito molto parlare di lei e abbiamo deciso che, giacché la questione riguardava il futuro dei nostri spettacoli, di mandare un solo ambasciatore per esporre la situazione…» Fu improvvisamente interrotto dal bussare alla porta.
«Signor Holmes, c’è una signorina che chiede di lei. Dice di conoscere il signore suo ospite.»
«Grazie signora Hudson, la faccia accomodare. Credo, signor Canali, che la signorina Della Corte alla fine abbia deciso di raggiungerla qui.» Holmes, momentaneamente sprofondato sulla sedia, si drizzò di scatto con gli occhi che brillavano di eccitazione. La porta si aprì nuovamente e la signora Hudson fece entrare la signorina in questione, Linda Dalla Corte, una giovane donna bruna, lievemente ansante, di piccola statura, di una bellezza tipicamente mediterranea e dai lineamenti dolci, ma decisi.
«Mi dispiace interrompervi, ma è successo di nuovo. Lei è il signor Holmes?» Ad un cenno affermativo si avvicinò per dargli la mano. «Io sono Linda Della Corte. Vorrei che veniste in albergo.» Si rivolse a Canali. «Anche il suo violino è stato rubato.» Il giovane scattò in piedi diventando prima bianco come un lenzuolo e improvvisamente porpora di rabbia. Holmes lo prevenne.
«Credo sia opportuno recarci immediatamente nel luogo della sparizione e vedere di persona. Signorina, spero che niente sia stato spostato.»  
«Io credo di no, sono corsa subito qui.»Scendemmo in strada e prendemmo una carrozza per Tottenam Court Road.
«Che tipo di violino è il vostro, signor Canali?» Chiese Holmes non appena fummo partiti.
«Un Amati! Sono molto affezionato a quel violino e potrei uccidere chi me lo ha rubato!»
«Si calmati, signor Canali, il signor Holmes farà di tutto per ritrovare i nostri strumenti.»
«Può esserne certa, signorina. Dov’era, il violino, al momento del furto?»
«Nella stanza del signor Canali.»
«La porta è stata forzata?»
«Si.»
«Saprebbe dirmi, più o meno, quando è avvenuto?»
«Ci siamo assentati da quel piano per mezz’ora: eravamo in un salottino della hall a noi riservato e stavamo accordando gli strumenti.»
«Qualcuno si è allontanato per qualche tempo dal salotto?»
«Un po’ tutti… ma non vorrà insinuare che il ladro sia uno di noi?» Notai che anche la ragazza si era subito infiammata, come in precedenza avevo visto fare Canali.
«Io non insinuo niente, analizzo solo i fatti.» Rispose freddamente Holmes. «Le chiedo di rispondere alla domanda.»
«Certo che ci siamo allontanati, un po’ tutti credo: chi aveva finito la pece, chi il lucido per gli strumenti, chi per prendere le corde di ricambio, qualcuno è anche uscito per ordinare qualcosa da bere… io stessa sono stata l’ultima a salire in camera e a vedere la porta semiaccostata. Ho chiamato il signor Canali, pensando fosse già rientrato,ma non ottenendo risposta mi sono permessa di entrare. Sapevo che il violino era tenuto in quella stanza e ho notato subito la sua assenza. Non lo aveva portato con sé per venire da lei, lo avevo visto uscire senza.» Holmes rifletteva con la fronte aggrottata.
«Nella camera del signor Canali ha notato qualcosa di strano? Qualche oggetto fuori posto o altro?»
«Questo non so dirglielo, signor Holmes. So solo che la stanza era perfettamente in ordine.» Dopo questo breve dialogo arrivammo di fronte all’albergo dei due italiani e il nostro cliente sembrava dominarsi a fatica. Nella hall ci attendevano gli altri membri del gruppo che ci furono immediatamente presentati, dopodiché salimmo di sopra nella camera di Castelli. Al nostro arrivo non abbi il tempo di osservare con attenzione i quattro uomini a cui ci eravamo uniti, ma ne ebbi l’opportunità quando Holmes iniziò come di consueto le sue ricerche nella camera incriminata.
Alessandro Castelli era il più alto della compagnia e la carnagione chiara era in netto contrasto con il nero dei capelli: quel che più colpì il mio sguardo furono le sue mani incredibilmente grandi; Mario Olivieri aveva un portamento eretto e quasi altezzoso, baffetti a punta e capelli castani: notai, soprattutto, la sua ricercatezza nel vestire e l’eccessiva arroganza delle pieghe della bocca; Francesco Severi era un omino basso e tozzo, piuttosto robusto, quasi totalmente calvo: i suoi occhi verdi da gatto seguirono Holmes per tutta la stanza, sembrava, quasi, volessero trapassarlo da parte a parte; Antonio Berelli era di media statura, magro, con una barba nera che nascondeva in parte una cicatrice che, diversamente, avrebbe deturpato il suo viso: aveva un’aria simpatica e i suoi occhi grigi non sembravano poi tanto freddi quanto mi era sembrato in precedenza. Holmes finì la sua ispezione, ma mi sembrava deluso del risultato.
«Ho bisogno di parlare con lei signor Berelli e vorrei vedere la sua camera se possibile.»
«Certamente, mi segua.» Uscimmo dalla stanza di Canali ed entrammo nell’altra, praticamente identica alla precedente, ad eccezione di un treppiedi che si trovava vicino alla porta.
            «Avrei una richiesta da farle signor Berelli. Potrebbe mostrarmi l’esatta posizione in cui si trovava quando è stato trovato?» Berelli spalancò gli occhi e rise di gusto alla strana richiesta.
«Potrei farlo, ma non lo ricordo con esattezza.»
«Credo che i signori qui presenti potranno aiutarla a ricordare.» Seppur con qualche incertezza, obbedirono agli ordini di Holmes e Berelli si sdraiò con il corpo girato verso sinistra, il braccio che ciondolava fuori del letto e con il volto tanto proteso all’esterno da guardare quasi il pavimento. Holmes sorrise.
«Vi ringrazio per esservi prestati per questo mio piccolo esperimento, credo che ora possiamo uscire di qui I nostri clienti ci condussero nel salottino riservato dove ci fu portato il tè. Non appena tutti fummo serviti, il mio amico si rivolse ai presenti con sguardo malizioso.
«Vorrei porvi una domanda: perché avete deciso di rivolgervi a me e non alla polizia?» Il primo a rispondere fu Severi e lo fece guardando fisso negli occhi il mio amico.
«Vede signor Holmes, non vogliamo che la nostra avventura in Inghilterra divenga nota per il furto di un violino. Berelli aveva molto sentito parlare di lei e ci ha convinto tutti.»Detto questo si voltò verso il suddetto che sorrise.
«È così, infatti» continuò Berelli «avevo letto qualche resoconto del dottor Watson in un mio precedente viaggio in Inghilterra e ultimamente anche in Italia le hanno dedicato un articolo dove tessevano le sue lodi. Siamo disposti a fare qualunque cosa per riavere indietro i violini rubati e contiamo tutti sulle sue capacità.» Sapevo che questo genere di discorsi lusingavano alquanto il mio amico, ma non lo diede a vedere, mantenendo il suo solito atteggiamento calmo e distaccato.
«Le assicuro che io e il dottor Watson faremo il possibile per recuperare i vostri strumenti. Domani mattina alle dieci ci recheremo a Whitechapel e daremo un’occhiata alla casa in questione; poi vi faremo sapere.» Si alzò in piedi e, dopo aver salutato la compagnia, ci avviammo verso l’uscita. Berelli ci aprì personalmente la porta del salottino e quando stavo per uscire Holmes mi bloccò con un braccio.
«Watson, credo che dovremo dormire in albergo stanotte: quelle tubature rotte potrebbero causarci brutte sorprese, tanto più che anche la signora Hudson mi ha comunicato che farà la stessa cosa». Mi volsi per chiedere di che diavolo stesse parlando quando incrociai il suo sguardo e annuii fingendo di essere d’accordo con lui. In strada chiamò una carrozza e ci dirigemmo a Baker Street. Quando fummo entrambi accomodati non seppi più trattenermi.
«Holmes! Che cosa diavolo significa questa storia? Di quali tubature sta parlando?»
«Un piccolo espediente mio caro Watson.»
«Un piccolo espediente per cosa?» Ma Holmes non rispose e si trincerò dietro ad un silenzio da cui era impossibile tirarlo fuori, se non di sua spontanea volontà. Ero molto curioso di sapere il motivo di tutta quella sceneggiata, ma cercai di frenare la mia curiosità e di non disturbare le riflessioni di Holmes. Il viaggio non era lungo e arrivammo in fretta a Baker Street.
«Ah, il nostro Lestrade ci sta aspettando.» Questa volta non mi fu difficile capire il ragionamento di Holmes, mi bastò seguire il suo sguardo per vedere la sagoma tozza dell’ispettore vicino alla finestra.
«Ricorda il cadavere trovato stamattina, Watson?» Detto questo si volse a guardarmi mentre saliva le scale con un sorriso ironico. Entrò nel nostro salottino e salutò Lestrade.
«Gradisce un sigaro ispettore?» Dopo averne preso uno si sedette nel divano imitato da noi.
«Questa volta signor Holmes,»iniziò l’ispettore di Scotland Yard «ho un caso veramente strano da proporle.»
«Si tratta per caso dell’uomo trovato al porto?» Vidi un sopracciglio dell’ispettore alzarsi con un movimento impercettibile e si tolse il sigaro dalla bocca.
«Sicuramente ne sarà già informato, come sempre. La particolarità del caso non sta nella sua originalità, ma nell’assurdità degli indizi trovati. Il cadavere è stato rinvenuto in una di quelle baracche del porto dove i marinai sono soliti riporre i loro attrezzi verso le cinque del mattino. Probabilmente era stato appena ucciso perché il corpo era ancora caldo. Addosso non aveva documenti, ma non sembrava un inglese.»
«Che aspetto aveva?»
«Tutto l’opposto di come voleva apparire: i capelli avevano un taglio alla moda e i suoi baffi erano troppo curati per appartenere ad un mendicante; aveva addosso dei pantaloni laceri, una camicia che un tempo doveva essere bianca e una giacca scura con degli strappi nelle maniche».
«Non aveva nessun oggetto con sé?»
«Aveva il suo orologio da taschino, che è saltato subito all’occhio, e questo strano rettangolo di seta rossa rinvenuto sotto il cadavere; li ho portati con me per mostrarglieli.» Prese gli oggetti in questione e li porse al mio amico.
«Potrebbe passarmi la mia lente Watson? Grazie. Un Roskoff, trattato con molta cura, graffi praticamente inesistenti. Questa seta è effettivamente molto strana.» Holmes aveva, intanto, preso fra le mani il tessuto e lo stava annusando.
«Infatti, signor Holmes. Non si tratta di uno scialle e non presenta strappi, solo quella G d’oro cucita su un lato.» Vidi Holmes fissare improvvisamente dinanzi a sé con gli occhi che brillavano, ma si volse subito verso Lestrade.
«Com’erano le mani del morto?»
«Questo è un altro particolare importante e non le chiederò come sempre in che modo ha capito senza saperne nulla: le mani erano molto curate, non presentavano nessun callo per essere quelle di un poveraccio e le unghie non erano né sporche né mangiate.» Holmes rimase in silenzio per qualche minuto, sbuffando il fumo del sigaro con notevole avidità e tenendo lo sguardo fisso nel vuoto. Lestrade lo guardava perplesso e bloccò il corso dei suoi pensieri per dire che doveva andarsene.
«Spero di non averla disturbata, signor Holmes.» Disse mentre si alzava, cercando di sorridere, a dire il vero, in maniera molto forzato.
«Al contrario Lestrade, credo che domani mattina saprà il nome del suo cadavere.» Lestrade scoppiò a ridere ed uscì dalla stanza con un cenno della mano. Non riuscivo a capire che cosa lo rendesse così fiducioso e non dissi nulla al riguardo. Per una buona mezz’ora rimase nella stessa posizione e l’unico suo gesto fu quello di prendere la sua pipa di radica. Soltanto poco prima che la signora Hudson ci portasse il pranzo, balzò in piedi per sedersi alla scrivania e scrivere un biglietto. La nostra padrona di casa entrò presto con i nostri piatti.
«Ho bisogno che questo telegramma venga fatto partire immediatamente. Troverà sicuramente Wiggins nei paraggi, o un altro degli Irregolari.» Consegnò il biglietto e alcune monete.
«Va bene signor Holmes.» Senza dire nient’altro la nostra padrona di casa si ritirò, accertandosi prima che entrambi ci fossimo seduti al tavolo davanti al nostro pasto.
«Riguarda i violini rubati? »
«Esatto Watson» disse mentre piluccava dei pezzetti di arrosto «e il telegramma era destinato all’Italia. »
«E’ probabile che i ladri siano italiani? »
«Non ne sono sicuro, potrebbero benissimo essere inglesi o anche russi: due violini del genere sono ambiti da tutto il mercato nero internazionale. Fatto sta che sono stati rubati e bisogna agire immediatamente prima che scompaiano nell’anonimato. In tal caso ritrovarli sarebbe davvero impossibile. »
«Pensa di trovare qualcosa domattina a Whitechapel?»
«Assolutamente no, tanto più che noi non andremo da nessuna parte. »
«Che cosa? Ha trovato qualche indizio di cui non mi ha parlato?»
«Qualcosa del genere.» Mi guardò sorridendo e pensai che stesse prendendomi in giro.
«Non mi ha nemmeno spiegato quella storia delle tubature!»
«Tutto a suo tempo, mio caro amico, le prometto che domani mattina, o quanto meno stanotte, saprà tutto. Ora deve ascoltarmi attentamente: verso le sei di stasera noi usciremo con delle borse che conterranno l’occorrente per una notte fuori casa, ho già scelto un ottimo alberghetto in Edgware Road che consiglierò anche alla signora Hudson. Naturalmente noi non dormiremo lì, ma torneremo nella nostra confortevole Baker Street per fare la guardia.»
«Per fare la guardia a che cosa?» Ma Holmes era già sprofondato nel divano con il suo violino tra le mani e stava eseguendo L’Inverno di Vivaldi. Non capivo il senso di tutta quella messinscena né, tanto meno, il suo collegamento con le indagini. Decisi di non pensarci ulteriormente e, poiché la serata era la meno ideale per una passeggiata, sprofondai nella lettura di un trattato di oculistica che, insieme allo Stradivari di Holmes, contribuì soltanto a farmi cadere in un sonno agitato.
 
Quando mi risvegliai, il mio amico mi stava scuotendo la spalla.
«Andiamo Watson, metta qualcosa nella sua borsa, qualsiasi cosa purché dia volume e non dimentichi la sua pistola.» Obbedii ancora leggermente assonnato e ricordo di aver infilato nella borsa la mia vecchia camicia da notte insieme a dei pantaloni ormai inutilizzabili. Sistemai la pistola nella giacca sperando di non doverla utilizzare. Fatto questo scendemmo dalla nostra padrona di casa, dopo aver infilato cappello e cappotto e preso i bastoni da passeggio.
 «Signor Holmes.» Disse lei visibilmente irritata. «Spero che tutto questo sia veramente necessario!»
«Mi dispiace infinitamente, signora Hudson, per il disturbo che le stiamo arrecando, ma è fondamentale che lei non corra nessun tipo di pericolo.» La signora annuì brevemente con le sopracciglia inarcate e pensai che Holmes dovesse provvedere ogni mese con qualche extra nell’affitto per compensare a tutti i disagi che le creava. Raggiungemmo in un attimo Edgware Road e, depositate le nostre borse nelle camere assegnateci, lasciammo la nostra padrona di casa in un albergo piccolo, ma notevolmente accogliente. Prima di uscire, Holmes si avvicinò al portinaio che gli consegnò una busta e, infilata questa nella tasca del soprabito, uscimmo. Prendemmo una carrozza che con mio stupore non girò in Baker Street.
«Questa volta dovremmo usare un’entrata non convenzionale.» Holmes non disse altro e la carrozza si fermò in un’altra via parallela alla nostra. Lo seguii senza capire dove stessimo andando, quando giungemmo in un vicolo semi-nascosto dall’oscurità. Con un po’ di fatica capii di trovarmi nel retro della nostra casa. Vicino alla finestra di Holmes c’era una scala a pioli e le persiane non erano chiuse.
«Ho lasciato la mia finestra aperta.» Detto questo salì agilmente ed entrò seguito da me. Pensai che se un bobby fosse passato avremmo trovato molto difficile spiegare la nostra condotta. Fortunatamente questo non accadde e ci trovammo ben presto nella sua stanza, illuminata da due sole candele.
«Aspetteremo qui.»
«Vuole dirmi, Holmes, da chi ci stiamo nascondendo?»
«Ebbene Watson, credo sia ora che lei sappia tutto. Ma prima forse vorrà mangiare. Prima di uscire ho chiesto alla signora Hudson di prepararci dei sandwich.» Acconsentii, vista l’ora, e presi il primo sandwich, osservando come il viso di Holmes fosse teso e gli occhi simili a quelli di un segugio che aspettavano di poter mettere le mani sulla preda. Ovviamente non toccò cibo.
«Deve sapere Watson» disse sedendosi sul bordo del letto, «che non appena il signor Canali ci parlò del furto del Guadagnini, pensai al contrabbando di oggetti di valore. In me si era accesa la debole luce di un ricordo che sul momento rimase tale. Ricorderà che alcuni anni fa esisteva una banda di criminali italiani che contrabbandavano oggetti d’arte, soprattutto reperti archeologici sottratti segretamente agli scavi, e quadri di notevole valore rubati scambiati con delle copie praticamente perfette.»
«Si, ricordo che ci fu un grande scandalo perché vi erano coinvolte persone d’alto rango.»
«Esattamente. Una di queste era il conte Barbero, una specie di Mecenate allora, e il suo arresto, insieme ad altri complici che raccontarono ogni cosa, fece si che numerosi membri dell’alta società fossero coinvolti in uno scandalo da cui ne uscirono a fatica, anche se la maggior parte degli accusati vennero rilasciati per mancanza di prove. Tra questi figurava anche il nome di Barbero e del capo della banda, un certo Giacomo Diletti, personaggio inquietante che allora non aveva alcuna barba e la sua cicatrice era ben visibile.»
«Berelli!»
«Precisamente. Dopo la sua scarcerazione sparì dalla circolazione per alcuni anni e nessuno ne seppe più nulla. Tuttavia ebbi modo di conoscere, al tempo delle indagini, un giovane ispettore di polizia milanese che era venuto in Inghilterra seguendo alcune piste lasciate da complici inglesi. Ricordo che riuscì ad arrestarne due. Il telegramma che ho spedito oggi era indirizzato a lui in Italia. Ho chiesto di rispondermi in albergo e il suo responso è arrivato con sorprendente velocità. Eccolo qui, mi è stato consegnato all’uscita. Ultimamente, in Italia, controllavano gli spostamenti del conte Barbero e mi ha gentilmente comunicato che adesso si trova nel nostro paese.»
«Quindi questa banda sta ora contrabbandando violini!»
«Già, anche se ormai non si può più parlare di banda, ma di un’unica persona che trarrà profitto da questi furti se non viene fermato. Ho buoni motivi per credere che il cadavere senza identità sia proprio il nostro conte.»
«E lo avrebbe ucciso Berelli?»
«Indubbiamente.
«Ma per quale motivo?»
«Probabilmente non era più disposto a dividere la somma. Ricorda quella seta rinvenuta sotto il cadavere? Se ha fatto attenzione ai miei movimenti mentre l’analizzavo, ricorderà di avermi visto annusarla. Anche se debole profumava di pece greca, profumo che soltanto uno strumento ad arco può avere. Vista la grandezza della stoffa poteva appartenere solo ad una viola o un violino ed è stata la lettera ricamata a mettermi sulla buona strada. » Rimasi un attimo in silenzio a pensare.
«Ma allora, quella G sul tessuto sta per Guadagnini?»
«Giusta osservazione Watson. Esattamente, quella seta serve per avvolgere il violino della signorina Della Corte. Probabilmente quella baracca era il luogo d’incontro tra i due e il conte deve aver avuto il violino tra le mani prima di essere ucciso. Berelli non si è accorto nella fretta che il cadavere era caduto sulla seta.»
«C’è ancora un’altra cosa che non capisco: chi è stato a rubare il Guadagnini?»
«Berelli stesso. Ricorderà che quando siamo entrati nella sua stanza, chiesi di mostrarmi la posizione esatta in cui era stato trovato. Soltanto una persona con il sonno molto agitato può assumere una tale posizione, oppure qualcuno che aveva poggiato da sé un fazzoletto imbevuto di cloroformio sulla bocca e voleva fare in modo che questo, una volta addormentato, cadesse a terra. In questo modo si creava un alibi inattaccabile.»
«Poteva semplicemente fingere di essere stordito senza creare ulteriori complicazioni.»
«Non sarebbe stata la stessa cosa. In questo modo era veramente fuori uso al momento del ritrovamento e nessuno avrebbe pensato alla strana posizione se io non avessi chiesto di mostrarmela. È stato questo a confermare i miei sospetti. Quella notte è entrato nella camera della signorina Della Corte, ha rubato il violino, ha infilato il pezzo di carta nella porta e l’ha svegliata, dopodiché è tornato nella sua stanza, si è tolto il mantello e lo ha nascosto insieme al violino, probabilmente sotto al letto. Nessuno avrebbe pensato di guardarvi. Il resto lo sappiamo e così facendo si è creato un alibi.»
«Ma il furto del violino di Canali?Per quello non aveva nessun alibi.»
«Non ce n’era più alcun bisogno. Chi aveva rubato il primo aveva rubato anche il secondo e lui non avrebbe avuto nessun problema ad uscirne pulito.»
«Un piano incredibilmente diabolico!»
«Già, molto astuto, ma ha commesso l’errore di tirarmi dentro alla faccenda.» Vidi i suoi occhi brillare, anche con la fievole luce.
«Ma Holmes, allora chi stiamo aspettando qui al buio?»
«Berelli naturalmente.»
«E per quale motivo?» Lui mi guardò con un sorriso indulgente.
«Veramente non lo immagina Watson? In questa casa c’è uno Stradivari che farebbe gola a qualunque ricettatore.»
«Il suo violino? Ma come…» A quel punto mi fermai e non completai la frase perché conoscevo perfettamente la risposta.
«Berelli ha confessato apertamente di aver letto alcuni dei suoi scritti in un precedente viaggio in Inghilterra dove, nella maggior parte, lei ha fatto cenno alla mia dote di violinista. Non se la prenda, caro Watson, se non l’avesse fatto ora non avrei tra le mani un caso così interessante da risolvere.» Lo guardai negli occhi e vidi che non  era affatto turbato all’idea di poter perdere il suo prezioso violino, anzi, era eccitato al pensiero che qualcuno avesse osato sfidarlo fino a quel punto.
«Mi è sembrato subito chiaro, » riprese dopo, «che anche il mio violino era nella lista. Chi è stato a consigliare ai musicisti di non chiamare la polizia, ma di rivolgersi a me per evitare uno scandalo? Soltanto Berelli, che in un certo qual modo mi conosceva, poteva preparare un piano simile.»
«E quell’indirizzo di Whitechapel? Che importanza ha in tutta questa storia?»
«Era soltanto un piano per allontanarci da casa per qualche ora e per farlo ha scelto un quartiere lontano da qui e tra i più malfamati di Londra. Probabilmente è stato il conte a scrivere la lettera e a portarla in albergo. Non trovando nessuna casa, avremmo indagato a fondo per trovare qualche indizio. Dicendo ad alta voce, stamani, che avremmo dormito fuori sia noi, sia la signora Hudson gli abbiamo facilitato l’impresa. Non resisterà alla tentazione di entrare in una casa vuota in piena notte e così facendo cadrà nella mia trappola. Ho mandato un telegramma anche a Lestrade e credo che in questo momento stia aspettando fuori con i suoi uomini.»
«E Berelli avrebbe corso il rischio di entrare a rubare in casa in piena mattina?»
«È molto astuto, non lo dimentichi. Avrebbe semplicemente detto alla signora Hudson, naturalmente travestito, di volermi incontrare e la nostra cara padrona di casa lo avrebbe fatto accomodare nel nostro salotto per attenderci. Avrebbe atteso qualche minuto, dopodiché se ne sarebbe andato con il mio violino, probabilmente nascosto in una valigetta.» Ascoltavo quelle spiegazioni come sbalordito. Tutto il piano era incredibilmente ben pensato, ma anche estremamente semplice.
«So a cosa sta pensando, » mi disse Holmes allora «ma ricordi che soltanto un uomo veramente intelligente può creare un piano talmente semplice da passare quasi inosservato.»
«Crede entrerà dalla porta?»
«È una notte molto fredda e nebbiosa, nessuno si accorgerà di nulla.» Tacque e da quel momento rimanemmo zitti per molto tempo. Dovemmo spegnere le candele che in seguito ci sarebbero servite e cademmo nella totale oscurità. Il tempo passò interminabile, Holmes parlò pochissimo e, anche se il sonnellino del pomeriggio mi aveva aiutato a passare senza quasi nessuna sonnolenza le prime ore, rimanere sveglio diventava sempre più un’impresa ardua. Non avendo chiuso del tutto le persiane della camera di Holmes, vidi ad un tratto che l’alba non era lontana. Fu a quel punto che mi chiamò con una voce impercettibile.
«Watson, ha sentito anche lei?»
«No…» Ma non continuai perché sentii il suo braccio sulla mia spalla e tacqui. Nell’oscurità accese le candele e udii anch’io quel che l’orecchio sensibile di Holmes aveva inteso per primo: qualcuno armeggiava nella serratura del portone d’ingresso.
«Watson, prenda la pistola, rimarremo vicini alla porta finché non sarà entrato nel salotto, dopodiché entreremo anche noi e lei gli punterà la pistola.» Annuii e mi avvicinai con lui alla porta. Sentii distintamente dei passi per le scale e, subito dopo, qualcuno che entrava nel nostro salotto. Fu in quel momento che Holmes spalancò completamente la porta con il piede e io puntai la pistola dinanzi a me: Berelli, colto di sorpresa era vicino al divano, con una lanterna cieca nella mano destra.
«Buonasera Berelli, anche se dovrei dire buongiorno.» Disse Holmes con il suo solito sarcasmo. «Forse cercava questo?» Così dicendo vidi, con la coda dell’occhio, che nella mano sinistra reggeva il suo Stradivari. Berelli si girò e stava per correre verso la porta, ma la voce del mio amico lo fermò.
«Oh, non lo farei fossi in lei: il mio amico Watson era nell’esercito un tempo ed ha conservato un’ottima mira. Se non sbaglio questi passi per le scale devono essere di Lestrade… Infatti.» Mentre diceva questo entrò Lestrade seguito da altri quattro uomini.
«Signor Holmes, è lui l’uomo di cui parlava nel telegramma?»
«È così. Può portarlo via.» Berelli, che non aveva aperto bocca per tutto il tempo, sembrò recuperare la voce in quel momento.
«Come ha fatto a capirlo?» Mantenne un certo contegno mentre lo ammanettavano e solo il suo sguardo tradiva la rabbia che provava. Holmes tenne lo sguardo ben saldo sul suo per tutto il tempo.
« Si è lasciato prendere dalla fretta e ha lasciato un indizio di troppo.»
«Quale?»    
«Non si è accorto che il corpo del conte Barbero è caduto sopra alla seta del Guadagnini.» Berelli rimase impassibile per qualche istante, dopo iniziò a ridere. Notai subito che la risata dell’uomo era data dall’isteria e, con un tacito segno di assenso, l’ispettore diede l’ordine di portare Berelli a Scotland Yard.
«Mi deve delle spiegazioni, signor Holmes.» Disse Lestrade sulla porta, guardando il mio amico col suo sguardo da furetto.
«Le avrà Lestrade, all’hotel Queen Elizabeth in Tottenam Court Road alle nove.» L’ispettore non disse nulla, anche se era visibile la sua irritazione, ed uscì.
«Mi dispiace, Watson per la notte di sonno che le ho fatto perdere, ma spero che l’eccitazione per la caccia le abbia dato eguale soddisfazione.» Annuii e cercammo di mettere insieme qualcosa per la colazione.
«Holmes!» Dissi mentre stavo per mangiare il mio uovo a la coque. «Ma i violini rubati dove sono?»
«Credo non abbiano ancora lasciato Londra. Non penso che Berelli sia stato tanto audace da nasconderli entrambi in albergo, ma non si può mai dire. Il Guadagnini sarà certamente da qualche altra parte, mentre non credo abbia avuto il tempo di spostare l’Amati per timore di essere visto.» Holmes era particolarmente di buon umore, malgrado la notte in bianco e, dopo esserci rinfrescati e cambiati d’abito, uscimmo per raggiungere i nostri clienti musicisti. Li trovammo alzati ed in ansia per la scomparsa di Berelli.
«Signor Holmes!» Canali ci venne incontro all’ingresso. «Non riusciamo a trovare Berelli.»
«Lo so, ma non dovete preoccuparvi. Ora seguitemi.» Tutti lo guardarono allibiti, ma nessuno protestò e salimmo di sopra nella camera di Berelli.
«Potrei anche sbagliarmi, ma… Infatti!» Si era chinato ed aveva tolto da sotto il letto una custodia.  
«Questo è sicuramente il suo.» Con un grido soffocato di gioia il signor Canali aprì la custodia e potei vedere lo strumento al loro posto.
«Credo, signorina, che potrà avere il violino e la relativa seta dall’ispettore Lestrade. Non credo ci vorrà molto prima che ritrovi anche il suo.»
«Ma cosa significa tutto questo?» Sbottò ad un tratto Olivieri. «Perché uno dei violini era in questa camera?»
«Se volete seguirmi di sotto, avrete tutte le spiegazioni necessarie.» Nella hall trovammo Lestrade e, nel salottino riservato al gruppo, Holmes ripeté la sua storia. Il viso avvilito dell’unica donna presente spiccava in mezzo al resto dei suoi compagni, più arrabbiati di fronte alla notizia di Berelli.
«Non si preoccupi signorina Della Corte, l’ispettore Lestrade qui presente riuscirà sicuramente a ritrovare anche il suo violino.»
«Abbiamo avuto un farabutto del genere con noi per tutto questo tempo senza saperlo!» Esclamò Castelli. «Meglio per lui se non lo rivedo in circolazione.» Lestrade, intanto, si era alzato per congedarsi.
«Congratulazioni, signor Holmes, per aver risolto la questione.»
«Non deve ringraziarmi Lestrade, in questa storia non voglio che il mio nome venga fatto: il mio Stradivari potrebbe avere qualche altra brutta sorpresa altrimenti.» L’ispettore se ne andò notevolmente ringalluzzito da quella notizia e Holmes scoppiò in un’allegra risata.
«Domani mattina, Watson, si ricordi di leggere gli articoli che riguardano questa storia altrimenti si perderà l’occasione di farsi quattro risate.» A quel punto ci alzammo in piedi anche noi, ma il signor Canali ci trattenne.
«Signor Holmes, vorremmo offrirle questi due biglietti per la prima a Londra del nostro concerto, domani sera. Avevamo pensato di rinviarlo, ma grazie a lei tutto filerà liscio.»
«Questa è la miglior ricompensa che potessi avere, vi ringrazio infinitamente.» Quando fummo in strada mi volsi verso di lui.
«Holmes, una volta ricordo di averla sentita commentare il fatto che preferiva la musica tedesca a quella francese e italiana.»
«Infatti la preferisco, ma se mi si chiede di assistere ad un concerto in cui i due violini sono, rispettivamente, un Amati e un Guadagnini, allora, mio caro Watson, sarei veramente un idiota a rifiutare.» Sorrisi tra me a queste osservazioni e ripensai, ancora una volta, a quel gran punto interrogativo di nome Sherlock Holmes.

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C'è una cosa in particolare che tengo a precisare. Soltanto qualche anno dopo la stesura di questa storia, ho scoperto che è altamente improbabile che un gruppo di musicisti italiani andasse in giro a suonare Vivaldi. Per secoli è stato completamente ignorato e riscoperto soltanto dopo la seconda guerra mondiale. Non era considerato un grande compositore, praticamente non se lo filava nessuno... Vi prego di perdonare questa mia licenza musicale.

  
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