Speechless ~
Storia di un piccolo principe
{ you suddenly
appeared: it was cloudy before, now it’s
so clear
you
took away the fear and you brought me back
to the light }
La donna grida. Ha il
volto arrossato e umido di sudore, i capelli sporchi appiccicati alle guance,
le labbra screpolate, secche e sanguinanti per via dei morsi che però
non riescono a placare il dolore. Sui vestiti, l’odore e i resti mollicci
della nausea. Cerca di nascondersi alla sua vista, di non fargli capire quanto
pudore provi nello stare così, indifesa,
davanti a lui.
«Non
guardarmi, non guardarmi. Sono orribile.»
Articola
quelle parole tra gli ansiti, è costretta a spezzarle con un altro urlo
per via dell’ultima fortissima fitta. Si vergogna. Non dovrebbe vederla
così: non lei, lei che è sempre stata quella forte e che non ha
avuto paura di fare questa cosa per lui – e che adesso sta gridando al
cielo la propria impotenza.
Ma
l’uomo al suo fianco non sembra curarsi di tutto questo. Le tiene la
mano, stretta, e le scosta i capelli
biondi dalla fronte: i suoi occhi sono più luminosi di quelli di un
bambino e per un istante il buio doloroso in cui la donna è caduta con
le prime contrazioni s’illumina di quella presenza.
«Sshh. No, no. Va bene così. È perfetto. Sei
bellissima.»
La
voce gli trema di una tale dolcezza e di una tale emozione da farla commuovere –
non fosse che le lacrime scorrono già. Serra gli occhi, cerca di
calcolare il tempo: da quante ore dura questo martirio? Venti? Di più,
sicuramente. Respira a fondo, come sa che deve fare, ma è così
fottutamente inutile; non ha più neanche la forza di imprecare come
prima – con lui che le suggeriva di non usare certi termini e la faceva
ridere: tutto è così puro e facile, con lui.
«Morirò,
Michael, morirò!»
«No
che non morirai. È perfetto così. Non piangere.»
Il
suo respiro sul viso accaldato, le sue labbra piene e morbide a raccoglierle le
lacrime sulle guance, il suo profumo dolce e naturale di uomo buono. Come
può non credergli? Le dita intrecciate insieme si stringono di
più. Lui non li lascerebbe
andare, né lei né il bambino. Lui è lì. Crede in
lei. In loro.
E
all’improvviso lo sente.
È il momento.
«Michael...»
«Va
tutto bene, Debbie, sono qui con te. Coraggio.»
Respira. Uno, due – uno,
due. Spingi. Le sembra quasi di
sentire ancora la musica che hanno scelto insieme per questo momento, anche se
nel turbinio di dolorose sensazioni non vi ha più fatto caso. Brava, così. E intanto lui
continua a stringerle la mano nella sua, a darle coraggio, a darle forza, ed
è con un nuovo slancio d’amore che lei si svuota di un ultimo urlo
mentre gli fa dono di questa vita.
Solo
quando il suono del suo pianto si fonde con quello del bambino, sente la
stretta allentarsi e sfuggirle. Allora apre gli occhi che non si è
accorta di aver chiuso.
Michael
è là, chino su suo figlio, e in volto ha qualcosa che Debbie non avrebbe mai sognato di vedere e che la fa
sciogliere in nuove lacrime che, stavolta, non sono di dolore ma di
felicità. È una luce inedita, una magia antica, quella cosa che
provano tutti i genitori e che però nessuno potrebbe mai provare quanto
lui: è tutto questo a brillare negli occhi di Michael.
Incurante
del sangue e del resto, per lui esiste soltanto quella figurina adagiata tra le
sue braccia. Ride incredulo, si emoziona per ogni suo vagito e per ogni
movimento delle manine strette a pugno, lo sfiora con la delicatezza di chi
tocca un sogno con il timore di vederlo sparire. E Debbie
sorride e piange, piange, piange. Di fronte a quegli occhi, stanchezza e dolore
non sono più nient’altro che un fievole ricordo.
Michael
si scuote dal suo mondo di felicità immensa e la guarda. Non l’ha
mai guardata così. È come se la vedesse per la prima volta.
È come se lui fosse solo un uomo, come se loro fossero una qualsiasi famiglia, come se
nient’altro per lui contasse quanto ciò che sta vivendo in questo
momento.
Torna
più vicino a lei, a condividere la gioia e la luce del proprio sorriso,
mentre le mostra il bambino e lo posa nel suo abbraccio.
«È...
È bellissimo, Debbie.»
Non
aggiunge altro, ma a lei basta il tremito della sua voce per capire.
Accoglie
a sé suo figlio – il figlio
di Michael – ma fa sì che il padre non lo lasci mai. Cerca di
comunicarglielo con gli occhi: questo è il suo dono per lui.
Perché Michael Jackson dà tanto al mondo, in ogni canzone, in
ogni parola, in ogni sorriso, in ogni respiro; ora, finalmente, ha in cambio lo
stesso calore e la stessa felicità. Ha un figlio. Ha il più bel
dono che esista, la cosa migliore che una donna potesse dargli – e Debbie Rowe è felice di
aver potuto essere quella donna.
Michael
resta in silenzio, anche lui capisce che non c’è più
bisogno di parole. Circonda lei e il bambino delle sue braccia e del suo amore;
tiene tutti e tre uniti, un insieme indivisibile. Posa le labbra sulla fronte
di sua moglie, poi su quella delicata del piccolo. Gli canticchia qualcosa all’orecchio,
a bassa voce – e, Dio, Debbie sarebbe disposta
a morire e a rinascere mille volte pur di sentire ogni volta quanta dolcezza c’è
in questo suo canto.
Con la
mano libera, la stessa che prima si aggrappava a lui, accarezza piano la
guancia di Michael. Lui sorride e rafforza la stretta. Una famiglia. Ecco cosa
sono. Il suo – il loro bambino
non piange più; ora sembra voler semplicemente assaporare quel calore
che lo circonda. Forse già sa di essere il piccolo principe che ha reso
felice un re.
Anche
la musica, rispettosa, tace. Nella stanza resta il silenzio della
felicità: quella vera, quella che non ha bisogno di definizioni. Quella che
solo i bambini e le favole sanno dare.
{ now I wake
up every day with this smile upon
my face
no more tears, no more pain,
‘cause you love me }
Credits: I versi in corsivo
sono tratti da You are my life
di Michael Jackson.
Note dell’autrice: Avevo in testa
questa shot fin da quando ho visto Take Two, il
documentario realizzato come risposta alla famosa [schifosa] intervista di Martin Bashir
finalizzata a far passare Michael Jackson per uno psicotico dalle manie strane.
L’intervista originale è tutta un’altra cosa, e guardarla,
veramente, fa piangere. Perché ci si rende conto di quanto si possa fare
male a una persona, strumentalizzando le parole che dice e infarinandole di
mille salse: proprio come è stato fatto a Michael.
E
c’è un punto in particolare, in Take Two, in cui Debbie
Rowe parla del momento del suo primo parto. Nelle sue
parole commosse si ritrova l’immagine di un uomo che ama la vita, e suo
figlio, in un modo indescrivibile se non tramite le lacrime di chi quel momento
l’ha vissuto in prima persona insieme a lui.
Dopo aver
visto quella scena ho totalmente rivalutato il rapporto tra Michael e Debbie – capendo la forza di questa donna che, se ha ‘abbandonato’
i suoi figli, lo ha fatto solo perché sapeva che suo marito sarebbe
stato un padre unico al mondo – ma soprattutto, ho trascorso giorni
interi ad immaginare l’espressione di Michael mentre cullava per la prima
volta tra le braccia il primogenito Prince.
Non mi
aspetto certo di aver rappresentato tutta la sua gioia: sarebbe umanamente impossibile
per noi che non l’abbiamo neppure conosciuto davvero. Ma ho voluto scrivere lo stesso queste righe, perché
un uomo come lui non si merita solo un pensiero e basta. Merita di essere compreso. Proprio ciò che,
purtroppo, ben poche volte è stato fatto.
Per Debbie, per Prince, per Michael e per tutta la sua famiglia.
Per voi che state leggendo. God bless you all <3
Aya ~