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Autore: MusicDanceRomance    02/12/2010    17 recensioni
Giacomo Leopardi ricorda una donna, sulle note del ritornello di "Con le nuvole" di Emma Marrone.
Genere: Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
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DANZERO’ DI NOTTE CON LE NUVOLE
 
Ella non si intratteneva mai invano a discorrere con me. Con lei non necessitavo di esprimermi nelle più alte formule letterarie, parlavo semplicemente da Giacomo. Da Giacomo dubbioso ed impaurito. Parlavo e la ascoltavo.
Quando si apprestava a tessere ella cantava, e di un canto soave che ancor oggi rimpiango.
Era anche ribelle e caparbia, la sola a possedere quell’indicibile sfrontata sicurezza di opporsi a ciò che non le andava bene; non accettava di assoggettarsi a nessuno, talora anche le tesi del padre confutava, per poi dichiarare con sottile allegria al mondo intero di fidarsi unicamente di me.
Ella menava il giorno non col lavoro, bensì coi sogni.
Ella sognava instancabilmente.
 
Danzerò di notte con le nuvole
 
Ella affermava che il cielo sopra di noi nei giorni di tempesta era volto a rinnovarsi, e infine il sereno non tardava a ricomparire. E poiché io replicavo che il sereno si limitava a fungere da intervallo tra due tempeste, ella mi sorrideva impunemente e così obiettava: “Va' nel Regno di Napoli, e vedrai come lì è solo la tempesta l’intervallo tra il cielo sempre azzurro e ridente.”
Il lampo prevaricante nel cielo nero non le incuteva paura, per lei la natura serbava fascino in ogni evento.
Ella amava le nuvole.
 
Bacerò la sorte senza piangere
 
Ragionavamo anche d’amore: ella segretamente amava qualcuno, un bel giovine; nulla a che vedere con me, come potevo pretendere di apparire ai suoi occhi migliore di lui? Io ero lo schivo e solitario figlio del padrone, nonché il suo più grande confidente.
Trascuravo per Teresa Fattorini le sudate carte: lei cantava ed io mi beavo della sua voce armonica, viva, sospesa tra il sogno e la voglia di esistere perennemente. Lei era sicura che sarei divenuto un gran letterato.
E Teresa era così combattiva, desiderosa di avventure, smaniosa di una vita che travalicasse le aspettative dei suoi genitori.
Ella non temeva il fato avverso giacché desiderava costruirselo da sola il suo fato, certa di saper affrontare a testa alta anche destini imponderati e la facinorosa madre nostra natura.
 
Come se fosse pioggia, come se fosse aria
 
Insieme abbiamo letto un’opera del Tasso, l’Aminta. Ella adorava quegli scritti, e osava affermare che io non ero da meno del Tasso. Ah, l’innocenza e la sua spontaneità in tali squisite illusioni mi trascinavano!
“Giacomo”, mi sussurrava, “Non vedere tutto tristo, tosto e nefasto, la vita è bella anche perché possiamo migliorare grazie ai momenti meno facili che passiamo, siamo un eterno cambiamento. Le cose belle e brutte che mi verranno addosso io le sosterrò, pensando sempre al futuro migliore. Guarda il fuoco e l’acqua. Non abbiamo bisogno di entrambi per sopravvivere?”
Non demordeva, Teresa non rinunciava ad accecarsi di illusoria e labile felicità.
Teresa, le speranze tue e mie cos’erano, se non evanescenti foglie perse nel vento della realtà mortale?
 
Per rendere la vita più complice
 
L’ultima volta che ti vidi fu in quel freddo letto della tua camera. Le tue condizioni peggioravano, io ero al colmo della disperazione e tu cosa facesti, se non bisbigliarmi, con quel filo di voce agonizzante che conservavi per me:
“Ho promesso che quando guarirò e mi sposerò il primo figlio lo chiamerò Giacomo come te, amico mio”.
Oh, Teresa, non mi vedesti piangere, quella sera, quando rincasai, con la frustrante certezza di non rincontrarti mai più!
Non facesti in tempo ad indossare l’abito bianco. In quell’inverno infernale il morbo assassino impietosamente ti tacciò, la morte ti baciò chiudendoti occhi e cuore per sempre per condurti lontano da me. Quanto ho desiderato morire al posto tuo! Quanto ho desiderato che le mie teorie, e non le tue, fossero errate!
Ma la vita e la natura sono beffarde! Ti rapirono perché nutrivano troppo timore nei tuoi riguardi, tu sapevi oltraggiarle.
 
Per me e per te
 
Dieci anni trascorsi senza la tua voce, senza i tuoi pensieri, senza di te. L’umida terra ti accolse e con te accolse anche la mia ultima felicità.
Per dieci anni mi sono sforzato di non pensare più a te, Teresa Fattorini.
Ma stanotte, rifugiato a Pisa, non chiudo occhio, perché il tuo dolce spettro mi alletta. Sì, Teresa, qualcosa per te farò, non vivrò più muto dopo averti conosciuto. Comporrò una poesia per te.
Il tuo nome sarà mascherato dietro quello che entrambi amavamo nel leggere l’Aminta del Tasso. Silvia.
Per cui, adesso che danzi libera e leggiadra tra le somme nuvole, levo io il mio canto a te. Io sfiderò per la prima e ultima volta la sorte in tuo ricordo, rendendoti immortale nei secoli.
Una traccia di te vivrà sempre in me, una scia della tua anima rimarrà intrappolata nel nuovo lavoro che mi accingo a redigere per ricordarmi di te, che forse sei stata l’unica vera e sincera amica di Giacomo Leopardi. A Silvia.


  

   
 
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