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Autore: manubibi    02/12/2010    3 recensioni
Watson si è ormai stabilito con successo nella sua nuova casa, assieme alla sua adorata moglie Mary. Ma se dovesse tornare al vecchio ambiente di Baker Street per una piccola emergenza, che pensieri lo prenderebbero? E Holmes? Avrebbe ancora bisogno di lui? Piccola, stupida one scritta per noia, vi consiglio di non perderci tempo se potete XD niente slash, al massimo un pò di bromance.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Si era liberato di lui, del suo essere appiccicoso, della sua insistenza, delle sue rimostranze nei confronti di Mary.

Quella era la sua vita, erano le sue decisioni. Il punto di rottura era stato proprio quello: la pretesa di Holmes di essere l'unico essere umano degno della sua attenzione, del suo rispetto, della sua affezione. Quello era stato l'unico motivo per rompere del tutto il loro legame.

Ma il dottor John Watson, ora, fissava come ipnotizzato il pavimento, fino a vederlo sfocato, macchioline nere fondersi e sciogliersi di continuo. Sulle labbra aveva il sapore del tè di sua moglie, sotto le mani la pelle inodore della poltrona e nelle narici un odore che ormai era diventato familiare, quello dell'intonaco della nuova casa. Si era abituato alle nuove condizioni, aveva stabilito una routine tranquilla, comoda e piacevole.

Del tutto differente dalle giornate passate a Baker Street, dove ogni pomeriggio quel combina-guai di Holmes rientrava trafelato blaterando di un caso che lo stava occupando completamente. Niente più risvegli nel cuore della notte al suono di quel suo violino, niente più preoccupazioni per Gladstone, niente più minacce, uccisioni, crimini, pericolo costante di venire uccisi.

No, al momento era tutto perfettamente organizzato e non c'era alcun problema. La mattina si svegliava presto, dedicava qualche attenzione alla signora Watson - come amava chiamarla, ancora inebetito dal matrimonio e dal cambio repentino di vita - e si recava al suo studio medico. Dove i problemi si risolvevano con le medicine, non con le risse o le sparatorie.

Ma in quel momento stava ripensando. Certo, non c'erano più rischi, ma così mancava anche qualcos'altro nella sua vita: il brivido. L'eccitazione.

Quello che gli era sempre piaciuto nelle avventure con l'amico, quello che l'aveva sempre spinto a precipitarsi al suo fianco quando sapeva che avrebbe avuto bisogno d'aiuto.

Sbatté le ciglia a lungo, guardandosi attorno come spaesato. Qualcosa che sembrava paura - ma che paura non era - lo fece irrigidire dov'era appollaiato.

Io non appartengo a questo posto.

Io non sono me stesso, qui.

Io appartengo a Holmes.

Queste illuminazioni passarono nella sua mente come un flusso incosciente, quando si accorse di essere balzato in piedi.

-John, caro, cosa c'è?- chiese Mary, voltandosi quando udì il suo scatto.

La guardò, sentendosi combattuto. Non poteva lasciare Mary, era felice...

O no? O forse voleva essere felice con lei? Forse l'aveva solo desiderato, forse non era davvero quello il suo ruolo. 

Coscientemente, si diresse verso la porta, senza una parola ma solo con uno sguardo costernato. Avvertì appena lo sguardo preoccupato della moglie.

Non sapeva nemmeno cosa andava a fare, al vecchio nido. Parlare. Di cosa? Perché?

Non aveva idea di cosa gli avrebbe detto, sempre se non avesse cambiato idea a metà strada - ipotesi altamente improbabile, Watson non lasciava mai azioni a metà.

Salì su una carrozza, continuando a chiedersi perché improvvisamente sentisse questo bisogno nelle interiora di muoversi. Di fare. Di...

Il viaggio lo mise in agitazione, sebbene il tragitto da Cavendish Place a Baker Street non fosse poi così lungo.

Quando si trovò davanti il familiare portone non ebbe più dubbi: quel vago calore al petto era un buon segno. Quella era casa.

Tuttavia, rimase immobile, mordendosi il labbro e chiedendosi cosa fare. Mary, Mary, Mary.

Mary lo aspettava a casa, Mary gli stava dando una vita dolce e piena d'amore. Perché tornare alle diavolerie di Holmes? Perché doversi disturbare per qualcuno che sembrava mettersi deliberatamente in pericolo e che doveva salvare ogni singola volta?

Era quello il motivo per cui non muoveva un passo: non lo sapeva. Ma non voleva nemmeno tornare indietro.

Alla fine, per principio, decise di spingersi fino in fondo a quell'uscita fuori programma e bussò alla sua vecchia porta.

Nessuna risposta dall'interno, ma sapeva che il motivo poteva essere uno dei frequenti picchi di pigrizia dell'investigatore. 

La porta era chiusa a chiave, chiaramente. Per qualche secondo pensò di tornare indietro, ma un pensiero quasi estraneo, per quant'era assurdo, si fece strada in lui.

Forse non sta bene, forse è malato, forse ha esagerato con la cocaina.

Forse, forse, forse. Scosse la testa mormorando fra sé e sé che quelli non erano più affari suoi. Voleva intossicarsi? Con comodo...

No, non riusciva a non preoccuparsi. Maledizione, non poteva proprio. E non era una questione di motivazioni, semplicemente all'idea che Holmes potesse stare male il proprio corpo reagiva, con fitte allo stomaco e un ritmo cardiaco accelerato.

Sta male? Perché non risponde?

Al diavolo.

Prese a bussare più forte, quasi in modo disperato. Sentiva il proprio cuore galoppare per la preoccupazione, Holmes poteva essersi ficcato in un affare più grande di lui, poteva essere morto ed effettivamente non aveva più sentito notizie di lui.

Sapeva quanto quell'uomo fosse infantile, quanto gli piacesse rispondere alle sfide. E quell'uomo, Moriarty, era ancora in giro, probabilmente. Anzi, sicuramente. Che Holmes avesse cercato le tracce di Irene?

E se anche fosse, perché sentiva il bisogno di entrare nel suo appartamento? 

Sedette sui gradini finché non sentì la porta aprirsi. Si voltò di scatto e trovò davanti a sé Mrs. Hudson, che lo squadrò stupefatta.

-Dottore! Cosa ci fa qui?- esclamò con voce acuta.

Sbattendo le palpebre, Watson si ricompose alzandosi in piedi e sorrise nervosamente.

-Volevo soltanto prestare visita al signor Holmes. Sta bene?- si informò.

La donna lo fissò per qualche secondo e tentennò.

-Non troppo bene, dottore, da quando se n'è andato mangia sempre poco, mi sono addirittura preoccupata per lui.

Certo, della malriposta antipatia della donna per l'amico, Watson lo sapeva. Spalancò gli occhi per la sorpresa e per un vago senso di colpa e fece un paio di passi verso di lei.

-E' lì dentro?- chiese, accennando alla porta socchiusa dietro di lei.

-Sì, signor Watson, prego- rispose lei, senza poter impedire ad uno sguardo di commiserazione di attraversarle il viso.

-Grazie. Lei dove va?- chiese avviandosi verso la porta.

-Oh, il signor Holmes mi ha detto che ha bisogno di stare solo- replicò. -Non sarò certo io a contraddirlo- aggiunse, leggermente stizzita.

Non fosse la preoccupazione rinnovata, Watson avrebbe ghignato divertito. Invece le sorrise appena ed entrò nell'appartamento, affrettandosi su per le scale ed aggredendo la porta del suo studio.

Il disordine ormai era una regola, in quella stanza, niente a che vedere con l'ufficio pulito e militare ma soprattutto vuoto che aveva usato una volta.

L'interno era nella penombra e quel poco di luce che entrava dalle finestre quasi del tutto abbassate era sporcato da granelli di polvere che saturavano l'aria.

Si guardò attorno fra i cimeli, gli strumenti chimici, gli esperimenti e le carte che riempivano l'ambiente. 

Finalmente individuò un grosso fagotto sdraiato sul tappeto di pelliccia di tigre sul pavimento, si muoveva appena per respirare: per il resto, sarebbe sembrato un oggetto inanimato. Si avvicinò e nel mentre individuava le caratteristiche fisiche dell'amico, ma non come le ricordava.

Era dimagrito, questo era palese. I capelli si erano allungati ed una barba incolta era visibilissima perfino da dove si trovava il dottore.

Nell'avvicinarsi, sentì anche un odore di sporco che poteva essere attribuito solo ad una mancanza palese di igiene e con questo si preoccupò davvero. Holmes, ovviamente, non era mai stato molto pulito, ma non aveva mai raggiunto certi livelli.

Dormiva, evidentemente. Il respiro era regolare.

Watson lo raggiunse ed approfittò dello stato di incoscienza per esaminarlo: portava gli stessi abiti di sempre, macchiati all'inverosimile, anche di sangue.

Il viso era in tensione, anche nel sonno, le sue mani si muovevano incoscientemente.

Lo sorprese a mugolare qualcosa e se ne stupì.

-Watson...

Rimase impietrito e si sedette accanto a lui, osservandolo più attentamente: occhiaie scure, labbra screpolate, postura fetale.

-Watson- lo sentì ripetere flebile, quasi in un guaito, decise che tutto questo era abbastanza. Lo scosse per una spalla, vincendo l'odore, chiamandolo chiaramente.

-Holmes! Holmes, si svegli!

Gli occhi del detective si aprirono immediatamente, probabilmente per un automatismo sviluppato in anni di esperienza nel proteggersi da solo. Le sue pupille saettarono verso quelle dell'amico ed il suo viso rimase inespressivo. Watson sapeva che stava registrando informazioni per capire il motivo per cui si trovasse lì.

-Watson?

-Sì, Holmes. Come ha fatto a ridursi così?

-Nel solito modo, Watson. Facendo quello che dovremmo fare insieme- lo pungolò in tono infastidito.

Watson roteò gli occhi. Non gli aveva nemmeno fatto qualche festa. Lo stava trattando come se non si fossero mai separati. Ignorò la provocazione e lo afferrò per un braccio.

-Andiamo, Holmes. Ha bisogno di una ripulita. Si è reso conto che puzza come un cane bagnato?

Holmes borbottò qualcosa e si alzò, puntando di nuovo lo sguardo in quello chiaro e stizzito dell'amico.

-Cosa ci fa qui?- chiese, come se la sua presenza lo infastidisse.

-Mrs. Hudson mi ha detto che si sta trascurando troppo- rispose, voltandosi per dirigersi verso il bagno.

Non notato, il volto di Holmes si illuminò per un istante di gioia quasi infantile. Il suo dottore si era preoccupato per lui, non se ne era dimenticato, come aveva pensato in tutto questo tempo. Si ricompose e ribattè:

-Non mi sto trascurando. Sto solo facendo quello che ho sempre fatto.

Watson sbuffò, pensando a quante volte aveva avuto l'impressione di avere a che fare con un bambino.

-Avanti, facciamo il bagno- disse, non rendendosi conto del fatto che Holmes prendeva tutto alla lettera.

'Facciamo'? Si era infatti chiesto quest'ultimo, ghignando inavvertitamente, senza rispondere.

Raggiunsero insieme la stanza da bagno, Watson fece per uscire ma le mani di Holmes lo trattennero premendo sul suo petto.

-Edhnving?- chiese, fissandolo negli occhi.

Watson lo fissò di rimando, stranamente senza sentire nemmeno la sua voce.

-Watson?

Sbatté le palpebre, riguadagnando una dimensione reale.

-Cosa? 

-Le ho chiesto dove ha intenzione di andare!- ripeté Holmes, sghignazzando.

Era confuso, non capiva il senso di quella domanda.

-Fuori. Deve fare il bagno, mi sbaglio?- disse, allontanando quelle mani da sé.

Holmes stava per protestare, ma si arrese, a quanto sembrava. Annuì e lo lasciò uscire. Watson, ancora pieno di domande, si affrettò verso l'armadio, afferrando una camicia e dei pantaloni puliti, poggiandoli sulla sedia fuori dalla porta. Poi visitò il suo vecchio studio, così vuoto e senza personalità. Annotò che quella stanza non era mai stata usata.

Aspettò che Holmes finisse il bagno, accendendosi la pipa e pensando che quelle abitudini costituivano di per sé una routine. Meno rigida e precisa, certo, ma pur sempre un insieme di azioni che solo in quella casa, in quel contesto, riusciva a riacquisire. 

Quelle che, gli sembrava, lo definissero di più in quanto a persona. Doversi prendere cura di Holmes era qualcosa che ormai non poteva più distaccare dalla definizione di "vita".

Salvare la sua gli dava sempre una masochistica soddisfazione, assieme al sollievo di vederlo vivo.

Accese un'altra volta la pipa.

Rifletté sul suo stile di vita in quella che considerava la sua casa, con Mary, trovandola improvvisamente evitabile e poco appetibile. Sì, c'era amore ma mancavano gli imprevisti, era una trappola. Entro poco lei avrebbe voluto dei bambini, che Watson desiderava da tanto ma che gli avrebbero tarpato le ali in caso avesse voluto seguire il suo istinto.

No, un momento, pensò. L'istinto è fuorviante. La cosa giusta era rimanere con Mary: l'aveva sposata e sarebbe rimasto con lei. Holmes avrebbe potuto cavarsela...ricordò i dieci minuti precedenti. No, Holmes non poteva cavarsela da solo.

Ma io non posso passare la mia vita a rimboccargli le coperte e ad allacciargli le scarpe.

Quando Holmes uscì dal bagno, vestito in modo ben diverso da come se l'era immaginato il dottore, che pensava riuscisse a portare qualcosa in modo elegante, gli fece un cenno - forse di riconoscenza? - e si sedette sul divano. Watson notò che nel frattempo si era anche tagliato la barba ed osservò come lo sguardo di Holmes fosse pieno di aspettativa, come se volesse essere elogiato per quel tocco di buongusto. Farsi la barba però è fin troppo ovvio, quando si nota vuol dire che c'è qualcosa di sbagliato. Chiederci cosa ci fosse nel detective che andasse contro le convenzioni, però, era altrettanto evidente, inutile discuterne.

Perciò Watson si limitò a restituirgli sguardi seccati e al limite di rimprovero.

Ad un certo punto, leggendo il giornale, Holmes ridacchiò. Il dottore si chiese se fosse per qualche caso che la polizia seguiva senza vedere indizi assurdamente palesi o per lui.

-Holmes?

-Sì?- chiese, con aria indifferente.

-Cosa c'è di tanto divertente?

Holmes lo squadrò da capo a piedi, prima di rispondere.

-E' evidente, Watson. Lei che fa di tutto per allontanarsi da me, ma che ora rifiuta di tornare a casa.

Il medico lo guardò stupito ed aprì la bocca per replicare, ma l'altro lo precedette, spiegandosi.

-Mrs. Hudson deve averle detto che non ero nelle mie condizioni migliori, vero? E lei si è precipitato. E' rimasto ad aspettarmi ed ora se ne sta inchiodato sul suo sofà, come una volta. E non ha intenzione di alzarsi fino al prossimo pasto.

Watson rimase a fissarlo, a corto di argomentazioni contrarie, perciò Holmes rincarò la dose.

-La cosa più divertente però è che lei ci ha provato davvero a stare lontano da me e dalla nostra vita. Ma la conosco troppo bene per dubitare. Lei ha bisogno di cambiare di giorno in giorno, di viaggiare, di fare. Lei è un uomo d'azione, lo sappiamo fin troppo bene entrambi. 

Watson si accigliò.

-Se sapeva che sarei tornato, perché...

...denutrirsi, sporcarsi e rendersi generalmente peggiore la vita?

Lo sapeva. Era il solito stratagemma di Holmes per ottenere quello che voleva. Fingere, il che gli riusciva anche troppo bene.

E lui ci era cascato, come sempre.

Poteva essere considerato un gesto nobile? Dopotutto l'aveva fatto perché teneva al suo migliore - se non unico - amico. Ma così facendo metteva di nuovo i bastoni fra le ruote del matrimonio e questo era inammissibile.

Ancora più stupefatto fu Watson quando finirono per parlare della Salomè che aveva scandalizzato l'Europa.

-E' solo una testa tagliata! Quante ne abbiamo viste noi, Watson?

-Da quando in qua si interessa di teatro? Intendo dire, sul serio.

-Oh, seguivo un sospetto mentre passava una serata con la sua signora, ne ho approfittato per godermi la messa in scena. Affascinante come un pubblico si faccia coinvolgere tanto da morte, lutti e orrori. Ci dev'essere qualcosa nell'animo umano che li attrae verso l'orrido.

Watson rimase qualche secondo in silenzio.

-Come quello che mi fa rimanere con lei, Holmes.

Holmes alzò un sopracciglio.

-Quello, ed altro.

Nessuno dei due aggiunse parole inutili e rimasero in silenzio per il resto del pomeriggio, Holmes nel suo antro a sperimentare sostanze, veleni ed antidoti, Watson ad esaminare carte, senza rendersi conto che Mary lo aspettava a casa, ad onor del vero anche in ansia.

Quando se ne ricordò era ormai tardi e Holmes l'aveva convinto a rimanere per cena, sapendo che subito dopo sarebbe arrivato Lestrade con il resoconto di un'indagine che gradiva sottoporgli.

Watson se ne interessò, a sua detta sfortunatamente, mezz'ora dopo quindi stavano già discutendo il caso. E l'eccitazione che provò il dottore; il tono cospiratore di Holmes; l'interesse provato da entrambi per il crimine e, soprattutto, la complicità che rinasceva fra loro in quel momento, gli fecero capire perché volesse restare lì, al 221B di Baker Street.

 

[Questa doveva essere una PWP ed è finita per essere tutt'altro :D direi che è una delle poche volte in cui non li shippo esplicitamente! Evviva XD No, in realtà questo è frutto della noia. sono in collegio e la linea wi-fi non funziona, motivo per cui non sto ruolando ç___ç e così scrivo stupide fic. Out of boredom, really. E perché ho appena finito di studiare .___. mmmh, è abbastanza inutile, comunque la piazzerei fra la fine del primo film e l'ipotetico secondo film, e dato che non conosciamo ancora alcun dettaglio della trama mi sono sbizzarrita u.u cioè, non è il massimo della fantasia, tutte speriamo che watson si levi dalle grinfie della donnaccia, ma vabbè LOL

Mh, Salomè dovreste sapere tutte cos'è, ma comunque è una tragedia in francese di Oscar Wilde, che aveva subìto feroci critiche ed era stata soggetto di censura un pò ovunque, dato che trattava un tema religioso e dati i contenuti scabrosi.

Il titolo l'ho preso da Atonement (Espiazione) che ho visto ieri notte, in qualche modo deve essermi rimasto impresso. Forse perché c'era Benedict Cumberbatch *Q* Che però faceva il cattivo, uffa ç_ç solo perché ha gli occhi di ghiaccio >.< (Benny interpreta Holmes nella nuova serie della BBC, e ve la consiglio caldamente dato che quella è una sinfonia di bromance e slash da saziare tutta la vita di una slasher come si deve *__________________________* oltre ad essere scritta benissimo u.u)

Vabbè, parentesi-cultura a parte, spero vi piaccia :) ]

   
 
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