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Autore: HappyCloud    04/12/2010    7 recensioni
Una giornalista e una scommessa fatta da ubriaca che le travolgerà la vita, facendole incontrare molti uomini per poi giungere al punto in cui è sempre stata: dal suo Lui.
Sullo sfondo, un intricato caso su cui investigare e al quale trovare una soluzione per aiutare un amico. Guardandosi sempre bene alle spalle, perché il nemico non è mai troppo lontano.
Dal secondo capitolo:
Gli lanciai un’occhiataccia che non lasciava nulla all’interpretazione.
- “Tu sei pazzo se pensi che io possa accettare di prestarmi a tutto questo”.
Nick non si scompose neanche per un secondo.
- “Sammy, tu hai già accettato” mi rispose, sventolando quel dannato foglio che riportava la mia firma, con un dannato ghigno di scherno stampato sul viso.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'C'eral'acca'
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Capitolo cinque. Ballad Of The Girl In Red Shoes.
 
- “Hai incrociato Voldemort stamattina?”. La voce di Valerie mi giunse chiara ed ironica da davanti la mia scrivania. Alzai il volto rassegnata dal computer dell’ufficio e me la trovai dinnanzi, con la solita chioma bionda fluente e uno splendido sorriso sul viso dorato dal sole.
Siete tutti sul libro paga di J.K. Rowling o è pubblicità gratuita?
- “Niente di magico, purtroppo. Solo uno spiacevole tete-à-tete con l’asfalto: sono caduta dalla bici” mi giustificai, notando la sua faccia stupita.
- “Okay, non ti chiederò cosa ci facevi tu su di una bicicletta. Comunque, come è andato il concerto di Ralph J?”.
Ti prego, non me lo nominare nemmeno quell’idiota mammone che è stato eletto all’unanimità dai miei nervi come capro espiatorio di tutti i mali.
- “Una noia mostruosa, dopo cinque minuti ho iniziato a capire perché nessuno volesse andarci” risposi sintetica.
Lei rise e mi ricordò che voleva l’articolo entro il primo pomeriggio, dal momento che il nuovo numero di Music Magazine sarebbe uscito, come di consueto, il terzo giorno del mese successivo.
- “Bene, sposina, ora raccontami del tuo viaggio di nozze alle Bahamas; possibilmente qualcosa di più dell’abbronzatura che mi stai sbattendo in faccia” le dissi con un briciolo d’invidia per via del mio colorito bianco cadaverico che cercavo sempre di celare col make-up.
- “E’ stato fantastico! Ma direi che il tutto è riassumibile in tre parole: mare, spiaggia e camera da letto!” esclamò raggiante.
- “Qualche dettaglio in più?” chiesi maliziosa.
- “Saprai tutto stasera, se accetti la mia proposta. Jonathan è a Manchester per un convegno medico e io sono sola soletta qui a Londra. -fece il broncio- Quindi mi stavo chiedendo se potessimo uscire noi donne”. Soltanto a sentire quel noi mi vennero i brividi, perché sapevo che ciò avrebbe significato che era inclusa anche Katy, oltre a Jade ed Amanda.
Una serata da passare guardandomi alle spalle, insomma.
Però mi mancavano le nostre chiacchierate ed ero davvero curiosa di saperne di più sulla luna di miele di fuoco di Val e, perciò, accettai l’intero pacchetto della serata a scatola chiusa. 
- “Ora che ho detto sì, mi dici cos’hai organizzato?” le domandai, un po’ preoccupata.
- “Non ci penso nemmeno a svelarti i miei piani!”. Mi piantò in asso, divorata dalla curiosità, e si diresse verso il suo ufficio urlandomi di farmi trovare a casa sua per le 8.30.
Fui occupata tutta la mattina con quel dannato articolo su Ralph; il mio commento, in generale, non fu molto positivo. La sua voce non era proprio gradevolissima accostata ad un microfono, ma gli concessi, qua e là nel testo, l’aggettivo dotato che, nella mia mente, nulla aveva a che fare con le sue qualità canore. Dopo averlo letto, riletto, controllato e ricontrollato per la centesima volta, lo lasciai alla segretaria di Valerie per le eventuali correzioni.
Era già ora di pranzo e, così, visto che avevo finito prima del previsto,decisi di tornare a casa, dove avrei completato l’altro pezzo che mi era stato assegnato: le due colonne sugli artisti locali per cui ero stata malamente beccata a dormire in ufficio.
Un grande vantaggio del lavorare nella redazione di MM era che c’era sempre un infinito viavai di persone tra giornalisti, freelance, fotografi, assistenti e segretarie varie e questo permetteva a tutti di sentirsi sempre liberi di sgattaiolare via a qualsiasi orario. Non c’era nemmeno bisogno di farlo di nascosto; ai capi poco importava dove uno scegliesse di stare, l’importante era consegnare un buon articolo e, soprattutto, in tempo.
Presi un taxi - preferivo di gran lunga quattro sicuri pneumatici alle due ruote instabili di una bicicletta - e mi fiondai sulle scale, l’unico allenamento giornaliero che consentivo al mio corpo. In cima all’ultima rampa, sentii la voce di Will che mi chiamava e che mi indusse a fermarmi sul mio pianerottolo.
- “Sam, Sam! Finalmente! Ieri sei sparita” mi disse senza il minimo accenno di fiatone, nonostante avesse dovuto macinare qualche decina di gradini di corsa per raggiungermi.
- “Sì, scusa, sono stata impegnata” gli risposi evasiva.
- “Capisco. - fece spallucce - Ti va di pranzare insieme?”.
Mi scostai svogliata i capelli dalla fronte.
- “Ho del lavoro da fare entro stasera”.
- “Dai, Sam, non farti pregare. - Se però mi sorridi così… - Ma che hai fatto alla fronte?” mi domandò, avvicinandosi e spostandomi la frangia. Indietreggiai e aprii la porta del mio appartamento.
- “Lunga storia, Will. Entra, su. E niente battute su Harry Potter, ti prego” lo ammonii.
Non appena arrivai in cucina, però, mi maledii.
Sam, prima di invitare qualcuno a mangiare a casa tua, dovresti fare in un giro in un certo posto: il supermercato, questo sconosciuto.
Aprii il frigorifero, piano piano, con lo stesso timore di un terremotato che deve verificare i danni che ha riportato la sua abitazione. Trattenni un urlo di gioia quando vidi che mia madre aveva lasciato la sua impronta: lasagne, arrosti, verdura, frutta e dolci.
Brava, mia vecchia Grace!
Lasciai che fosse Will a decidere il menu - meglio tenermi lontana dai fornelli - e mi rifugiai in camera mia, girando e rigirando il pacchetto di Nick tra le mani. Guardarlo o non guardarlo, questo era il mio problema. No, in realtà, il mio problema era che ero una curiosa patologica e morivo dalla voglia di sapere tutto quanto era successo nella sera passata con le due oche.
Possibile che non riuscissi mai a vincere con lui?! Avevo trascorso una notte - a mia detta - molto trasgressiva con un uomo attento, premuroso, e fa niente se poi si era rivelata una fregatura. Però lui, Nick, era riuscito a portarsi a letto due cantanti, sì talmente stupide da far concorrenza ad una capra, ma, purtroppo per me, conosciute tanto quanto Bill Gates.
Era davvero un peccato che certe doti - come la mia intelligenza, la mia arguzia o il mio intuito - soccombessero miseramente, tra le lenzuola, di fronte ad un paio - no, cavolo, due paia - di tette. Finte per giunta.
Mentre mi arrovellavo il cervello sul da farsi, Will fece irruzione.
- “Sam, dov’è il sale?”.
Cercai di mettere il dvd, i due schifosissimi slip e il biglietto sotto il cuscino del letto sul cui ero seduta a gambe incrociate - e che avrei poi disinfettato con l’acido muriatico - però, lui intercettò i miei movimenti maldestri.
- “E’ nel primo armadietto a destra” dissi nel vano tentativo di distrarlo dal mio spostamento fugace di oggetti. Will mi guardò curioso e malizioso allo stesso tempo e mi fece intendere che per nulla al mondo si sarebbe astenuto dal farmi domande riguardo quanto nascondevo dietro la schiena.
- “M-mm. Che combini?” chiese.
- “Niente. - dissi, ordinando a quella goccia di sudore che si era appena formata sulla fronte di non osare schiodarsi da lì - Cos’è questo sguardo insistente?”.
- “Sam, ho conosciuto due persone a Londra finora: tu e Nick. E mi sono bastati pochi minuti per capire che tra voi due c’è qualcosa di strano. Per questo sono convinto che lui centri con quello che tieni sotto il cuscino ora”.
Frate Indovino doveva essersi trasferito nell’appartamento del signor Hansen ed aver assunto le sembianze di suo nipote.
- “No, ma che dici? Non c‘è nulla sotto il cuscino”. Mi ricordavo un po’ più creativa a inventare le balle.
Scossi i capelli leggermente, nella speranza che ne cadessero alcuni sul mio volto per celare il profondo imbarazzo che mi stava imporporando le guance.
- “Va beh, farò finta di niente. Dai, vieni di là che è pronto”.
Grazie a chiunque ci sia lassù!
Mi alzai, contenta di aver superato in modo indolore la situazione che si era creata.
- “Prego” mi disse Will, lasciandomi passare. Non appena attraversai la porta, però, quel disgraziato la sbatté alle mie spalle e sentii il suono netto della chiave che girava nella toppa.
- “Will, apri subito!”. Sam, come hai fatto a cascarci? Lo sanno tutti che la cavalleria è morta!
- “Apri!” continuai ad urlare, colta da un’ondata di ansia.
- “E questo dvd?”. Lo sentii leggere rapido il biglietto di Nick e desiderai morire di vergogna.
- “Cazzo, Will, apri questa cazzo di porta!”.
- “E questi slip? Non ti ho mai visto indosso niente di così sexy” si lamentò.
Fantastico, oltre il danno pure la beffa.
- “Apro solo se mi spieghi cosa significano queste cose. Voglio sapere tutta la storia; niente bugie, niente omissioni. D’accordo?” mi chiese.
- “Non mi lasci molta scelta” esclamai rassegnata.
- “E’ un sì?” domandò.
- “Sì”. La porta finalmente si spalancò, mostrando un Will a braccia conserte e con un ghigno beffardo.
- “La lasagna può aspettare” disse soltanto.
 
Raccontare della scommessa a qualcuno - soprattutto ad un qualcuno che mai mi sarei aspettata - mi fece sentire un po’ più leggera, nonostante lo sguardo di Will fosse più di stupore che di comprensione. 
- “Ti sei cacciata in un bel guaio, Sam”. Non mi dire.
- “Già” dissi afflitta.
- “Li hai già guardati i video?”.
- “Certo che no!” risposi indignata.
Indignata di cosa che stai impazzendo per vedere che diavolo ha combinato Nick con le due capre?
- “Vuoi che li guardi insieme a te?”. La sua richiesta mi fece enormemente piacere; già il solo fatto di condividerne la visione con qualcuno, mi diede un senso di sollievo. Finsi di credere che Will lo avesse proposto per aiutarmi e non per una naturale propensione del genere maschile ad interessarsi a tutto quanto abbia a che fare con il sesso.
Annuii e lui avviò il lettore dvd. La scena che ci si prospettò davanti, che per fortuna era piuttosto sfocata, consisteva nelle due sorelle Rowell mezze nude su di un letto matrimoniale che salutavano con la mano, neanche fossero state alla giornata mondiale della gioventù.
- “Ragazze - che c’è, Nick, non ti ricordi più i loro nomi? - dite ciao a Sammy!”. Dio, che schifo.
Le due galline obbedirono e - non so bene per quale motivo - mi lanciarono, o meglio lanciarono alla videocamera, i loro reggiseni.
- “Wow” disse Will. Gli diedi una gomitata tra le costole che lo zittì.
- “Che c’è? - rispose corrucciato - Mica capita tutti i giorni di vedere due quinte che ti si sventolano davanti!”.
Decisi di lasciar perdere. Perché vestire i panni di Don Chisciotte e lottare contro i mulini a vento? Un uomo è sempre un uomo.
Vidi Nick comparire nell'inquadratura; bello come sempre, torso nudo, jeans slacciati. Ecco qualcosa che non fa così schifo.
Il resto fu un groviglio di corpi che, all’incirca dopo due secondi, mi diede il voltastomaco. Interruppi la riproduzione e mi voltai verso Will.
- “Sto per vomitare, giuro” dissi.
Lui si avvicinò a me, tentando di buttarsi su mio collo a capofitto.
- “Ma che fai, scemo?” gli chiesi ridendo insieme a lui.
- “Mi sono venute certe idee. - mi rubò un bacio sulla bocca, mentre io tentavo di sfuggirgli, alzandomi dal letto-  Torna qui, non puoi farmi vedere queste cose e pretendere che rimanga indifferente!”.
- “ Dai, Will. Ti ho raccontato e ti ho fatto vedere tutto perché mi aiutassi, non perché ti approfittassi di me” lo sgridai. 
Sbuffò e mi tirò per un braccio, finché, dopo aver opposto una certa resistenza, mi convinse a ritornare seduta accanto a lui.
- “Sam, devi vincere, cavolo” mi disse pensieroso.
- “Lo so, ma la vedo dura” aggiunsi, per la prima volta davvero preoccupata per la piega che stava assumendo la scommessa.
- “Anche io” rispose, lanciando un’occhiata allusiva a quanto c’era dietro la zip dei suoi pantaloni.
- “Sei senza speranza, Will. Sei persino peggio di Nick”. Rise come un ragazzino, salvo poi farsi serio.
- “Vincerai, Sam. Hai un’arma in più che lui non ha: sei una donna. L’unica cosa che devi fare è provarci con lui. Provocalo e ce l’avrai in pugno. - fece un sorriso idiota - In tutti i sensi”.
Cominciammo finalmente a mangiare, con Romeo che ci solleticava le gambe con la coda, reclamando la sua razione di cibo. Lo accontentai, mentre Will mi raccontava del suo lavoro, a Portland e a Londra, delle sue ex e della sua famiglia; la verità è che non lo stavo ascoltando, perché non riuscivo a togliermi dalla testa quella stupida parola che mi aveva detto: provocalo.
 Non gli prestai la minima attenzione e riuscii a capire solo che, se ne avesse avuto il tempo, mi avrebbe chiamato in serata per raggiungermi ovunque fossi stata.
Se ne andò verso le tre ed io, seppur di malavoglia, mi misi al portatile per finire quel dannato articolo che avevo continuato a rimandare. Il risultato non fu granché, - ma nemmeno il duo musicale che avevo ascoltato lo era - però lo inviai senza pensarci troppo all‘indirizzo di posta elettronica di Valerie. Mi rispose qualche minuto più tardi con un’altra mail: Articolo ricevuto. Confermo per stasera: alle 8.30 a casa mia. Cena e poi si esce. Vestiti sexy. Val.
Controllai l’ora e notai che erano quasi le cinque. Decisi che potevo cominciare a prepararmi, tanto sapevo che avrei comunque trovato un modo per arrivare in ritardo. Mi immersi nella vasca per un bagno lungo, caldo e rilassante che mi avvolse totalmente per mezz’ora. Asciugai i capelli con cura e attenzione, pur sapendo che avrebbero scelto loro la piega da tenere, come al solito. Entrai nella cabina armadio e feci passare un abito alla volta, finché il mio interesse si rivolse ad un vestito nero senza spallini e con la gonna a palloncino, con uno scaldacuore rosso abbinato sopra che non ricordavo nemmeno di avere. Doveva essere uno dei - tanti - frutti dei saldi estivi appena passati che ogni anno annoveravano me come vittima.
Lo indossai e vidi che tutto sommato non mi stava affatto male; mi diressi con decisione verso l’armadio dove tenevo le scarpe, puntando direttamente quella scatola che conteneva quelle scarpe. Le avevo tenute in serbo per un’occasione speciale e, nel momento stesso in cui sollevai il coperchio, mi immaginai un coro di angeli intonare un canto di giubilo. Erano ancora più belle di come le ricordassi: rosse, di vernice, tacco dodici e un tasso infinito di bellezza ed eleganza.
Cosa se ne fa una donna di un uomo, quando può avere un paio di scarpe?
Mi guardai allo specchio trattenendo un urlo dall’emozione; sì, d’accordo, decisamente infantile e fuori luogo, ma non riuscivo a resistere al fascino di un paio di calzature. E poco importava se mi erano costate uno stipendio!
Optai per un trucco leggero, tranne che per le labbra rosso fuoco, così come la borsa, il braccialetto che mi aveva regalato Lily e lo smalto sulle unghie.
Diamine! Erano già le 20.20 ed io dovevo ancora attraversare metà città per raggiungere Val e le altre nella sua villetta del tardo ‘800, ristrutturata da poco da lei e Jonathan. Presi un taxi al volo, sperando di non beccare il solito vecchio autista in vena di chiacchiere sulla regina e su quanto fosse cambiata la società rispetto agli anni ‘80. E tante grazie! Con che coraggio mi sarei messa le spalline?
Non feci in tempo ad arrivare al cancello, che questo si aprì, mostrandomi Valerie in un tubino giallo che le stava d’incanto, accentuandole le curve. Era adorabile e…
- “Sei in ritardo, Sam! Come al solito!”.
… e ora mi odiava. Le lanciai un’occhiata di scusa da cucciolotta che la fece sciogliere.
- “Mi incanti sempre con quella faccia!”. Mi passò un braccio dietro le spalle e mi condusse nella sala da pranzo dove c’erano Amanda, Jade e Katy-simpatia-portami-via.
- “Finalmente. Sei sempre l‘ultima, eh!” disse quest’ultima, visibilmente scocciata.
- “Scusate” mi limitai a dire, per evitare di saltarle addosso e sbranarla.
Cominciammo a parlare del più e del meno, aspettando che Val si decidesse a servirci la cena. Lei, però, continuava a raccontarci del suo viaggio di nozze e non accennava a portare in tavola alcunché.
Il campanello suonò e lei si precipitò ad aprire la porta, salvo poi ritornare con un’infinità di buste di un ristorante cinese.
- “E’ pronta la cena” urlò raggiante.
- “Dovevo immaginarlo che l‘avresti comprata. Non sei in grado di preparare nemmeno una tazza di latte con i cereali!” la schernii Amanda. Val rispose con una delle sue solite smorfie buffe che ci fecero ridere ancora di più, visto il raviolo al vapore che aveva in bocca. Consumammo il pasto in allegria, divorando qualsiasi cosa la padrona di casa avesse comprato e ascoltando i suoi racconti hot sulla luna di miele. Cercammo in tutti i modi farci dire quale sarebbe stato il seguito della serata, ma lei era muta come un pesce e non volle darci neanche il minimo indizio.
Verso le dieci prese le chiavi della macchina e ci portò in un angolo sperduto di Londra, in un posto dimenticato da dio, chiamato La taverna del grillo. Ora eravamo un po’ tutte scettiche sulla serata; ci eravamo vestite sexy ed eleganti per finire nei bassifondi della città?
- “Val, cara, scusa se te lo chiedo, ma… dove cazzo ci hai portato?” chiese Jade, senza mezzi termini.
Il soggetto in questione si girò di scatto verso di noi, perfino sorpresa che la baracca in cui ci aveva portato non fosse di nostro gradimento.
- “Andiamo ragazze, non date peso all’apparenza”.
- “Come, scusa? Non sei tu quella che ha licenziato la vecchia segretaria perché diceva che i suoi occhi ti mandavano energie negative? - le chiesi ironica, poggiando un braccio dietro la sua schiena - Perché, tesoro, ti informo che anche quello è basarsi sulle apparenze”.
Lei si liberò della mia presa, serissima in volto.
- “No, Sam, quello era basarsi sul fatto che quella - disse con diffidenza - aveva qualcosa di esoterico”.
Lasciai cadere l’argomento con un gesto della mano: su certe cose era proprio fissata.
- “Forza donne, portate il vostro culetto dentro” disse, aprendo la porta.
Entrammo guardandoci intorno e rabbrividii al solo pensiero che sarei potuta uscire da quel postaccio con qualche malattia infettiva. Dio, c’era pure il campanellino sopra la porta. Sembrava di essere in una delle tavole calde americane, solo in una versione più deserta e triste. C’erano soltanto due giovani ragazzi che sorseggiavano due tazze di caffè in fondo al locale e un vecchio signore con un cappello in testa che mangiava qualcosa di vagamente simile ad un’omelette, mentre, dietro al bancone, non c‘era anima viva.
- “Devo aspettarmi di veder entrare Lorelai Gilmore in ogni istante?” domandai a nessuno in particolare.
- “Sam, diamo fiducia a Val” mi rimproverò Amanda, con poca convinzione.
Nel giro di una decina di secondi, notammo che davanti alla vetrina si era radunata un sacco di gente, per di più uomini in giacca e cravatta e donne con il tailleur.
Si fiondarono all'interno della taverna tutti allegri e sorridenti e per un attimo pensai davvero che avessero sbagliato porta d’ingresso.
- “Ehi, Joanne” urlò uno spilungone in completo, rivolto al qualcuno nel retro che comparì all‘improvviso. Era una signora sulla cinquantina, capelli rossi ricci ed arruffati ed un improbabile gilet di jeans.
- “Ciao Al. Sei pronto?” gli chiese, mostrando un sorriso a trentadue denti giallo nicotina.
- “Puoi scommetterci, Jo!” le rispose.
- “E allora gente, che aspettate? Forza, tutti nel seminterrato!” gridò la barista come una pazza.
L’orda umana si affollò sulle scale e Valerie cominciò a spintonare anche noi per seguire la massa di corpi in movimento.
- “Ma dove andiamo?” osò dire Katy. Oh, una domanda intelligente.
- “Ho la bocca cucita. - rispose Val - Sappiate solo che è il momento di scaldare le ugole!” esclamò al settimo cielo.
Rimasi pietrificata pensando a quanto mi sarebbe toccato fare; quella frase poteva dire solo una cosa:
- “KA-RA-O-KE” urlò la trentina di persone che si era radunata al piano inferiore della baracca.
Mi girai verso Amanda, Jade e addirittura Katy per trovare comprensione, ma ciò che vidi fu sola una grande, gigante, immensa eccitazione all’idea di esibirsi di fronte ad una massa di sconosciuti.
- “Fantastico, Val! Sei un genio! - sentii dire dalle mie amiche - Hai già scelto la canzone?”.
- “Certo! Ho pensato a tutto”. Sghignazzarono fra di loro mentre io avrei tanto preferito essermene rimasta a casa. Non avevo mai cantato di fronte a qualcuno che non fosse lo spruzzino della doccia o Romeo mentre facevo le pulizie domestiche e, a giudicare dal miagolio che faceva ogni volta, avrei giurato che non gradisse particolarmente quello che sentiva.
- “Canteremo Give it to me right di Melanie Fiona. Adoro quella canzone!” terminò Valerie, traendo dalla borsa dei fogli con il testo stampato.
Tutte presero il loro foglio - tranne me - e Amanda lanciò un gridolino di approvazione; ci credo, erano due anni che era divorziata ed aveva un serio bisogno che qualcuno give it to her right.
Vidi due ragazze impadronirsi dei microfoni e cominciare ad improvvisare un balletto sexy con tanto di coreografia - provata in ufficio? - di Lady Marmalade. Al si avvicinò a noi, presentandosi perché era la prima volta che ci vedeva in quel posto e ci disse che sarebbe stato il nostro turno un quarto d’ora dopo circa.
- “Ragazze, siete impazzite? Io non voglio farlo!” gridai disperata.
- “Uffa, Sam, sei sempre la solita guastafeste” mi rimproverò Jade, parlando a nome di tutte e facendosi abbindolare da un signore che si era avvicinato a lei per invitarla a ballare.
- “Dai, se la bimba se non la sente, lasciatela in pace” intervenne Katy. Brutta megera. Presi l’ultimo foglio rimasto sul tavolo e, per evitare di sbranarla, decisi che sarebbe stato meglio fare una tappa alla toilette e fare un po’ di training autogeno. 
- “Val, se suona il mio cellulare rispondi. Dovrebbe essere un mio amico; digli dove siamo che ci raggiunge” le urlai per farmi sentire sopra il caos generale che c’era tra la canzone e la gente che si strusciava l’una contro l’altra.
- “E’ una serata per sole donne” disse corrucciata.
- “E’ giovane e sexy” le risposi con aria di sfida. Le due parole magiche di Val.
- “Perché non è già qui?” esclamò elettrizzata. Scossi la testa e andai in bagno, anche per fare pipì, onde evitare di peggiorare la situazione sul palco, facendomela addosso.
Sollevata dalla tavoletta e con il sedere a mezz’aria - come mi aveva insegnato la mamma da piccola - ripassai mentalmente le strofe della canzone che sapevo a memoria, visto che Val la canticchiava ogni volta che le era possibile. 
Mi guardai allo specchio e mi convinsi che in quel locale non mi avrebbe visto nessuno, che ero una sconosciuta agli occhi di tutti, oltre le mie amiche, e che in fondo non avrei fatto nulla di male.
Uscii dal bagno e notai che le ragazze si stavano dando parecchio da fare con i maschietti del posto. Rintracciai Val e le chiesi se Will aveva chiamato.
- “Chi?” mi disse, senza smettere di ballare.
- “Il mio amico” gridai.
- “Ah, sì, sarà qua tra poco. Ciao!” rispose, lanciandosi in uno sfrenato ballo con Katy.
Tornai a sedermi al mio posto e Al mi raggiunse per dirmi che mancava ormai poco alla nostra esibizione. Stavo per mettere il cellulare nella borsa, prima che in quella topaia mi rubassero qualcosa e ormai rassegnata all’infame destino che mi aspettava, notai che stava vibrando: Will. Ha cambiato idea e non viene! Uno in meno che vedrà lo spettacolino!
- “Non vieni?” dissi bruscamente e da perfetta maleducata.
- “Dove?” mi rispose sorpreso con il suo solito accento yankee.
- “Alla Taverna del grillo, genio! Avevi detto che saresti stato qui - consultai l’orologio - ora”.
- “Non so di cosa tu stia parlando” replicò.
- “Quando prima hai chiamato…”.
- “Alt, Sam, è la prima volta che ti chiamo stasera! Comunque la conosco e sono in zona, quindi cerco di raggiungerti. Ciao”.
Riattaccò e io scorsi velocemente il menù del telefonino fino ad arrivare alle chiamate ricevute. Non dirmi che hai parlato con lui, non dirmi che sa che sono qui e che vedrà noi che ci rendiamo ridicole in questo squallidissimo locale.
- “Sam, è il nostro turno” mi disse Jade.
Il suo nome era lì, subito dopo quello di Will. Nick.
Non ebbi il tempo di riflettere che lo vidi scendere le scale della Taverna del grillo e accomodarsi al tavolo numero 7, a pochi metri da palco.
Cazzo!
Riuscii per un pelo a riporre il cellulare nella borsa, prima che un braccio mi strattonasse fino ai microfoni.  Vidi il suo sguardo su di me; era curioso ed impaziente ed io sentii una morsa d’acciaio allo stomaco. Valerie, che tu sia maledetta!
La base musicale partì ed io iniziai a tremare. Mi avevano affidato la prima parte del ritornello, in sostanza il pezzo più compromettente.


I don’t want it all the time,
But when I get it,
I better be satified
So give it to me right,
Or don’t give it to me at all.

Forse è un segno del destino, Sam: il mondo ti vuole sgualdrina!
Arrivò anche Will e si andò a sedere accanto a Nick. Ci mancavano soltanto i miei e il vescovo di Londra e potevo dire che ci fossimo davvero tutti.
Val cominciò a cantare, stonata come una campana, ma c’era da riconoscerle un certo impegno che, infatti, i presenti parvero apprezzare. Fu poi il turno di Katy che si diresse direttamente verso il tavolo sette, puntando Will che sembrava ormai condannato ad essere stretto tra le sue grinfie. Lui stette al gioco, assecondando i movimenti molto poco espliciti di lei. Traditore! Sei mio amico, non di quella scema. Certo, dovevo ammettere che non era proprio una carretta e che aveva una qualche sorta di fascino nascosto sotto lo strato - molto spesso - di cattiveria: trent'anni, capelli scuri, occhi grandi ed azzurri, denti talmente sbiancati che il suo dentista doveva essersi fatto parecchie vacanze con tutti i soldi ricevuti da lei.
Oddio, tocca a me… che faccio? SCAPPA! Lo sguardo intenso di Will mi fece restare incollata dov’ero.
Provocalo, Sam. Sì, facile a dirsi.
- “I don’t want it all the time” dissi timida, guadagnandomi un’occhiata ilare e divertita di Nick. A parte lui, - e Will che cercava di dirmi qualcosa che immaginai avesse a che fare con il discorso del pomeriggio - il pubblico e le mie amiche erano tutti intenti ad incitarmi a sciogliermi e a dimenarsi come ossessi per ogni angolo del locale con grida allusive al testo.
- “But when I want it, I better be satisfied”. Avevo la stessa convinzione di un ateo che recita una preghiera. Per fortuna, Will mi venne incontro nel vero senso della parola; salì sul palco, si posizionò dietro di me e cominciò ad ondeggiare, permettendomi di acquisire una certa sicurezza ed evitare così di apparire come una perfetta idiota. Il volto di Nick sembrò sorpreso nel vedere che ad un essere umano potesse venire anche solo in mente di aiutarne un altro, soprattutto me - sarà poi che il suo passatempo preferito  era quello di mettermi in difficoltà più che darmi una mano.
Cantammo il resto del ritornello tutte insieme, sentendoci delle quindicenni bimbominkiose ma poco c’interessava, visto che ognuno in quel locale aveva il diritto di rinfacciare a chiunque di aver fatto altrettanto. 
Provocalo, Sam. Non capivo più se fosse la mia fantasia o se fossero davvero le parole che Will mi stava bisbigliando all’orecchio.
Concessi a Val di ballare con lui, perché ormai ero cosciente di dover fare una cosa: render pan per focaccia a Nick. Lo puntai quando ancora era seduto al tavolo numero sette - il mio numero fortunato. Un segno? - e presi a cantare a squarciagola la mia parte, attingendo a tutto il sex appeal che trovai nel repertorio dei miei canti da doccia. Mi sentii una spudorata, però, cavolo!, dovevo pur onorare al meglio le mie scarpe rosso fuoco. Brucia all’inferno ora, Nick.
Gli feci una specie di giravolta attorno alla sedia, con la mia gonna a palloncino che svolazzava a destra e manca. Mi sedetti sulle sue gambe e strusciai la mia schiena contro il suo petto. 
La mia coscienza scorse in lontananza un principio di remore; però, quando i miei occhi constatarono che, non solo nessuno mi stava osservando come fossi una ninfomane, ma che, al contrario, tutti si stavano dando piuttosto da fare, continuai a molestare - verbo più che lecito in questa circostanza - Nick. Lo vidi, per la prima volta da quando l’avevo conosciuto, un po’ a disagio, con le mani alzate che non sapeva dove mettere. Mi girai verso di lui…
- “So give it to me right, or don‘t give it to me at all”.
… e incontrai le sue iridi chiare che, per un attimo, mi fecero perdere la lucidità; sì, perché io non ero come le sorelle Rowell; per fare certe cose dovevo pure concentrarmi!
Mi voltai di scatto, con la sensazione di essere stata scottata: ma non era lui che doveva bruciare nell’inferno delle mie scarpe?!
Tentò di scostarmi con delicatezza, ma io mi aggrappai al suo collo a mo’ di koala e mi piazzai in braccio a lui, sfoggiando un casqué inedito che, con molta probabilità, gli diede un’ampia visuale sul golfo di Napoli che c’era tra le mie gambe.
Fui colta da un impulso della bacchettona che viveva, seppur relegata, in un angolo recondito della mia anima e serrai d’istinto le cosce, quando ancora ero a testa in giù. Pensai di cadere, di procurarmi un trauma cranico e, magari, di finire in coma: era la mia punizione per aver sfidato il dio dello strip-tease.
E, invece, avvertii la sua mano forte afferrarmi la nuca e riportarmi alla posizione originale, i nostri visi ad una distanza millimetrica l’uno dall’altro. Sperai che il gesto fosse passato come una mossa coreografica.
Mi alzai velocemente prima di perdermi di nuovo ad osservare i suoi occhi color ghiaccio, le labbra carnose, il naso diritto e i capelli spettinati. Okay, forse mi ero incantata un attimo.
Andai dietro di lui, lontano da quelle pupille indagatrici che mi leggevano dentro come un libro aperto e cominciai a sfregare le mani contro il suo torace, su e giù, senza, però, mai giungere alla terra di mezzo che sanciva il confine col pube. Lo sentii irrigidirsi sotto il mio tocco, ma non manifestò apertamente di volermi allontanare.
Questa canzone non finisce più! Ero preoccupata sul serio, visto che non sapevo più che inventarmi per apparire seducente. 
Se non finisce entro qualche secondo, sarò costretta a sfoggiare Il ballo del mattone.
Improvvisamente, fu Nick a porre fine ai miei dilemmi; balzò in piedi dalla sedia, turbato in volto, mi afferrò per il polso e mi trascinò, quasi correndo nella confusione, fino ad un atrio stretto e piccolo, dietro ad una porta trasparente, chiusa da un maniglione antipanico. Mi spiaccicò contro la parete e senza alcuna possibilità di fuga.
Ma chi voleva andarsene?!
Non c’era nessun altro a parte noi nello stanzino, dove la musica della sala accanto ci giungeva ovattata. 
Sentivo il suo respiro sul mio volto, il sapore di menta del suo alito mi lambiva la bocca.
- “Che stai facendo?” disse quasi in un sussurro che mi provocò la pelle d’oca.
- “Niente” risposi con una voce flebile, mentre alternavo lo sguardo dalle sue labbra ai suoi occhi.
Sotto pressione, proprio non mi riusciva di dare delle risposte di senso compiuto.
- “Smettila” bisbigliò sottovoce, con un tono sexy non voluto.
Sta giocando con te, Sam. Provocalo e comincia a ripagarlo con la stessa moneta. Gioca!
- “Di fare cosa, Nick?” lo rimbeccai, accennando un sorriso beffardo.
- “Stai giocando con il fuoco, Sammy”.
- “Io non ho paura di scottarmi. - cercai di divincolarmi, ma lui serrò ancora di più la presa sui miei fianchi - E tu, Nick?” lo sfidai, inclinando il viso. Esitò un istante che mi sembrò eterno, mi fissò duro negli occhi e, con foga, mi baciò.
Non fu romantico, né tanto meno tenero; fu brusco, veloce, inaspettato, a tratti violento. E tremendamente breve. Durò giusto qualche secondo, prima che la canzone finisse e si portasse via con sé la magia - quella sì di Harry Potter - nata in un ambiente triste e squallido.
Fu casto, perché non vi fu neanche il tempo di approfondirlo, di esplorarci, di pensare con razionalità a quanto stava succedendo. Si staccò dalle mie labbra con la stessa fugacità con cui vi si era incollato, abbassò lo sguardo - sulle mie scarpe? - allentando la stretta in cui mi aveva rinchiuso e poi se ne andò da dove eravamo arrivati, ma, questa volta, senza di me.
Borbottò solo un devo andare e mi lasciò da sola, scossa e confusa ad osservare il pavimento sotto ai miei piedi, sotto alle mie scarpe.
Io avevo giocato. Lo avevo provocato e avevo vinto. Il quesito era se anche lui avesse fatto altrettanto.
D’un tratto le odiai, odiai quelle stupide scarpe rosse che mi fissavano, che avevo scelto di preservare per un’occasione speciale e che, invece di farmi sentire bella e sicura di me, mi avevano trasformato in una sciocca ragazza dall’aria smarrita.
Accampai una scusa qualsiasi e me tornai a casa insieme a Will, con il quale misi subito in chiaro che non ero in vena di chiacchiere.
Lo salutai frettolosamente e mi rinchiusi in casa. Mi tolsi le scarpe, le riposi nella loro scatola come un automa, promettendo a me stessa che lì sarebbero rimaste per molto tempo. Mi misi a letto, con la testa che mi scoppiava per la lotta in atto tra i miei neuroni e uno stato confusionale che non mi spiegavo, ma con la mini rivincita di averla avuta vinta almeno una volta.
Ma, a giudicare dall’emicrania che mi era venuta, non era nemmeno una magra consolazione. Era proprio anoressica.

 
 
The boy in the red shoes is dancing by my bed 
Put them in a box somehere, put them in a drawer 
Take my red shoes, I can't wear them anymore. 

 
 
Bonsoir! Uffa, ultimamente sono sempre in ritardo, accipigna! Questa settimana ero persino in anticipo, ma ho ben pensato di lasciare il capitolo a Trento (dove studio) prima di tornare a casa. L’ho presa con filosofia, interpretandolo come un segno divino che mi invitava a riscrivere la storia.
Non so se fosse già ora di far avere a Sam e Nick un incontro ravvicinato, ma il momento sembrava propenso. Fatemi sapere cosa ne pensate!
Il titolo del capitolo fa riferimento a “Ballad of the boy in the red shoes” di Elton John.
Ora scappo, lasciandovi come sempre un GRAZIE grosso quanto un ippopotamo! Baci a tutte!

HappyCloud

 
SunshinePol: cacchio, era Snookie per forza la tizia al concerto di Ralph. Mi scuso con te perché ti avevo detto che avrei aggiornato ieri e invece l’ho fatto solo oggi. Purtroppo ieri mi sono partiti alcuni capillari dell’occhio e mi stavo addormentando sul pc. Aggiorna pure te, zia! 
 
Emily Doyle: stavolta ci è andata vicina al saltargli addosso! Però purtroppo è un po’ troppo razionale… per capirci, io mi sarei scaraventata su di lui! Tutte lo avremmo fatto, ahahhah… un bacione!
 
Aryanne: Sì, Nick è proprio sexy! Purtroppo è talmente perfetto nella mia testa, l’ho talmente idealizzato che fatico a trovare l’immagine di un modello/attore/cantante che sia soddisfacente ai miei occhi. Accetto suggerimenti! :D Baci
 
Rose in Winter: non so come farei senza le tue recensioni!!Sei sempre molto carina e questo non può far altro che farmi estremamente piacere. Sono contenta che ti sia piaciuto lo scorso capitolo e quasi mi hai fatto commuovere quando hai scritto che questa storia ti ha sollevato il morale. Grazie, cara! *-*
 
Wingedangel: ho dei seri problemi a scrivere il tuo nome ogni volta! Devo rileggerlo due o tre volte per memorizzarlo :D è una specie di sfida! Potrei fare copia e incolla, ma perché privarmi di questo test ogni volta?! Nick è Nick, però anche Will...
   
 
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