Le luci di Manhattan.
[Jason - Nathaniel]
Le luci di
New York splendevano ancora alle tre di mattina: quella
città non smetteva mai
di brillare, di emanare la sua luce, di illuminare i lontani turisti
europei e di
portare alla disperazione i propri cittadini.
Jason si
svegliò lentamente, avvolgendo la coperta attorno al corpo
nudo ed osservando i
pub ancora aperti dal suo appartamento al quindicesimo piano, mentre
sentii il
ragazzo nel suo letto svegliarsi ed avvicinarsi lentamente a lui, in
tutta la
sua stupenda nudità che però, non scosse
minimamente Jason.
“Ti chiami
Jason, bellissimo?”
Non aveva
mai amato i ragazzi particolarmente effeminati ma spesso, soprattutto
nell’ultimo
periodo, ci passava oltre se l’attrazione e il fisico del
ragazzo erano
abbastanza soddisfacenti.
Sesso. Era
l’unica cosa che animava ancora Jason, che non rendeva
solamente il suo corpo
un involucro vuoto. Spesso era convinto che il sesso spingeva la sua
anima
sempre più a fondo, nascondendola dentro di sé,
in modo da far finta che essa
non esistesse nemmeno, eppure era lì, all’interno
di lui e talvolta bruciava
ancora, portandolo alla disperazione lacerante.
“..Non
importa.”
Il ragazzo
si scostò, offeso, non solo per la conversazione assente ma
anche perché in
tutta la nottata, tra le vari grida d’entusiasmo dovute
all’orgasmo, quel Jason
non gli aveva mai chiesto nemmeno il suo nome.
Per lui
era solo una buona scopata, come per la maggior parte dei ragazzi di
Manhattan.
Si mise
velocemente i jeans, chiudendo la cinta di pelle marrone. “Un
medico eh?”
Jason s’irrigidì
ancora di più, lanciando per la prima volta un serio sguardo
al ragazzo:
sembrava veramente interessato a lui, alla sua vita. Voleva
conoscerlo e magari far nascere qualcosa. Aveva sbagliato
ragazzo: lui non stava con nessuno, non più perlomeno. I
tempi per amare erano
finiti tanto tempo prima, quando il suo cuore emetteva ancora
qualcos’altro oltre ai
battiti fisici normalmente accettabili.
“Lo ero un
tempo. Ho ancora l’abilitazione ma, non pratico
più.”
Il ragazzo
lo guardò, annuendo. Era chiaro che non doveva andare oltre,
che non poteva.
Sapeva
benissimo capire quando le sue parole si erano imbattute in una ferita
evidentemente non ancora del tutto guarita: quella di Jason sembrava
ben aperta
e ancora sanguinante.
“Io vado.”
Disse con un tono lieve e simile al sussurro, lasciando un piccolo
biglietto
sul comodino.
Jason
sentì il rumore della porta, quando voltandosi per un
secondo chiese: “Come ti
chiami?”
“Nathaniel.”
La porta sbatté, lasciando Jason da solo, di nuovo.
[…]
Era un
ragazzo, era stato del sesso, come molte altre notti eppure Jason si
sentiva
diverso, un po’ meno apatico. Era un giorno strano, uno di
quelli che gli
avrebbero cambiando la vita, soprattutto quando, girando un angolo a
Soho, si
ritrovò davanti a qualcosa di inaspettato e terribile,
qualcosa per cui non era
ancora pronto.
“Un
medico! Qualcuno chiami l’ambulanza!” Una donna
particolarmente minuta stava
chinata, mentre gridava, sul corpo di un uomo abbastanza corpulento
ricoperto
dal sangue.
Jason non
poteva aspettare. Non era questione del suo cuore, della sua paura o
del suo
passato ma del motivo per cui aveva passato cinque anni a Stanford,
laureandosi
in medicina e che l’aveva portato alla specializzazione in
chirurgia: l’unico
scopo della sua vita erano gli altri, poter salvare qualcun altro,
combattere
contro la morte prematura.
Jason fece
un lungo respiro, poi iniziò a correre verso
l’uomo. Ogni secondo era
importante.
“Sono un
medico.” Disse solamente, prima di cercare di fermare
l’emorragia. Mentre le
sue mani si sporcavano di sangue e i ricordi gli mischiavano la paura
ai suoi
stessi battiti, cercò di non fermarsi, di combattere per un
uomo innocente.
[…]
La
giornata nella sala operatoria passò velocemente:
assisté il chirurgo, cercando
di salvare la vita di quell’uomo.
“è bello rivederti
da queste parti, Jase.” Kendra –la sua migliore
amica e capo infermiera del suo
vecchio ospedale- gli sorrise. “Sai che puoi tornare quando
vuoi, Jas?”
“Lo so.”
Si tolse i guanti macchiati di sangue. “Ma Ken, non credo di
essere ancora un
medico.”
“Dopo
tutto questo, Jason? Dopo oggi? Non esiste nessun’altro al
mondo che è più
medico di te. Se non vuoi farlo per te, fallo per me ma soprattutto
fallo per
Alec.”
Jason
sussultò. Sentire il nome di Alec
era
ancora qualcosa di penetrante e doloroso.
“Ci penserò.
Devo andare ora, Ken!” Jason prese il biglietto dalle tasche
dei pantaloni. Per
la prima volta dopo Alec, voleva vedere un ragazzo.
Abitava a
Soho.
Appena
suonò il campanello, Nathaniel si presentò
davanti alla porta.
“Jason,
cosa ci fai qui?”
Jason si
toccò i capelli biondi, quasi agitato. “Volevo
chiederti se ti andava di andare
a prendere una birra, o magari un Daiquiri.”
“Hei, mica
sono una femminuccia. L’ombrellino nel cocktail non
è la mia passione! Vada per
la birra.”
Jason gli
sorrise. “Ok, Nathaniel!”
“Chiamami
solo Nate.”
Questa storia partecipa alla Challenge dal nome alla storia (only Slash) di Nonna Papera.
Jason: medico che guarisce.
Ho cercato di puntare sulla cura di se stesso, del suo essere medico che guarisce gli altri e se stesso. Nel prossimo capitolo si capiranno più cose, soprattutto su Alec.
Dovrebbe essere composta da tre capitoli.
Spero vi piaccia ^^