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Autore: controcorrente    09/12/2010    2 recensioni
Quei cani venuti dal mare non avevano mantenuto il patto.
Suo marito si era fidato delle loro false promesse, credendo di mantenere il regno degli Iceni. Li aveva visti venire dal suo consorte, con le loro luccicanti armi, vestiti tutti in modo uguale. Presutago li aveva accolti con tutti gli onori, offrendo dei doni ed accettando quelli che quegli stranieri avevano loro portato.
One shot su Budicca, regina degli Iceni
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
- Questa storia fa parte della serie 'Ancient Women'
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 Buonasera a tutti, sono cicina. Qualche tempo fa avevo iniziato a scrivere una storia su Giovanna La Pazza, che ho recentemente cancellato. Vorrei scusarmi con chi aveva recensito la storia ma documentandomi sul personaggio mi sono resa conto che la sua vicenda era molto complessa e non mi era piaciuto il modo in cui l’avevo resa.  Mi è dispiaciuto molto cancellarla senza dare spiegazioni, ma no ho potuto fare diversamente. Prometto che la pubblicherò non appena mi sarà possibile.
Ho scritto ora questo piccolo pezzo e spero che vi faccia piacere.
Buona Lettura!
 
Vendetta
 
Quei cani venuti dal mare non avevano mantenuto il patto.
Suo marito si era fidato delle loro false promesse, credendo di mantenere il regno degli Iceni. Li aveva visti venire dal suo consorte, con le loro luccicanti armi, vestiti tutti in modo uguale. Presutago li aveva accolti con tutti gli onori, offrendo dei doni ed accettando quelli che quegli stranieri avevano loro portato.
Uno di loro si era fatto avanti con una cassa colma di oro e alla presenza dei due sovrani aveva parlato a nome del loro capo, che chiamava con il nome di Cesare. Parlava una strana lingua, che gli Iceni avevano in parte dimenticato. Una volta infatti soldati simili si erano recati nelle loro terre, creando dei primi contatti. Qualcuno dei più anziani aveva tramandato ai più giovani qualcosa della loro lingua, sapere che in quel momento si era rivelato molto utile.
Lo straniero aveva promesso che il suo signore voleva solo la loro amicizia ed alleanza, in cambio di una collaborazione con quel fantomatico Cesare. Il militare parlò a lungo, alla presenza della sua famiglia e dei più insigni tra gli Iceni.
Budicca se ne stava accanto al marito ed ascoltava quello straniero. Le sue parole erano lisce e carezzevoli come il vento primaverile della Bretagna, capaci d’incantare chi le ascoltava, ma allo stesso tempo erano prive di forza e sfuggenti come il movimento di una biscia sulla terra.
Si accarezzò leggermente la collana d’oro che troneggiava, massiccia e pesante, sopra alla sua veste variopinta. Vedeva lo sguardo di Presutago rapito dai bagliori dei pezzi di metallo contenuti nello scrigno, come molti dei presenti che erano stati ammaliati da quella lucentezza.
La regina si passò una mano sulla chioma fulva, per spostare i ciuffi ribelli che le scivolavano sulla fronte. Osservò le armi di cui quegli sconosciuti erano cinti. Avevano molto metallo addosso e sembravano forniti di molti strumenti di difesa e offesa. La loro uguaglianza nel vestiario e la disciplina con cui si erano mossi all’interno del territorio dei Piceni era indice di una grande efficienza sul campo.
Erano troppo strani,  diversi da loro e Budicca non si fidava molto di chi aveva usanze così estranee alle proprie, neppure se questo offriva ricchi doni.
Eppure quello sconosciuto, in tutto il suo discorso, era stato chiaro su un punto: che il suo popolo non avrebbe mai mosso guerra o messo in discussione l’autorità della famiglia del sovrano di quelle terre. Presutago ascoltò queste parole con attenzione, poi la osservò intensamente.
Voleva l’assenso della sua sposa, le cui doti in guerra e in pace erano note a tutti i popoli circostanti. Non c’era nessuno che non sapesse che aveva in battaglia la stessa ferocia di un uomo. Era inoltre una buona madre e le sue figlie sembravano dimostrare le sue stesse capacità. La discendenza degli Iceni poteva dirsi destinata alla gloria, visti simili auspici.
Budicca rifletté per qualche istante, poi fissò nuovamente i doni portati. Quegli stranieri non avevano offerto opportunità impossibili da realizzare ed avere uno scudo in più per proteggere la sua stirpe non era uno svantaggio. Per questo aveva annuito, benché non fosse del tutto persuasa dalle parole dello straniero. La sua lingua era molto sciolta ed abile a nascondere le intenzioni del suo animo. Tuttavia l’offerta di pace e di alleanza, con la promessa che avrebbero mantenuto la supremazia della stirpe di Presutago, proteggendola, non era da rifiutare.
Budicca teneva molto alle sue figlie e desiderava sopra ogni cosa che fossero trattate come meritavano, come principesse Picene.
Fu il suo amore materno ed il desiderio di conferire un ulteriore scudo alle due ragazzine a farla cedere.
Un errore del quale non faceva altro che maledirsi in quel momento.
Suo marito era morto ed i romani, così si chiamavano, avevano invaso le sue terre, saccheggiandole. Budicca aveva quindi protestato vivamente, reclamando i suoi diritti di sovrana e quelli delle figlie, quali eredi del padre, ma il generale romano non l’ascoltò, anzi non si risparmiò di offenderla dicendo che doveva rimanere al suo posto.
La donna dai capelli fulvi non comprese il significato delle sue parole: era la regina e come tale doveva governare il suo popolo. Come si permetteva quell’uomo di rivolgersi a lei in modo così oltraggioso? Budicca iniziò allora a gridare a gran voce che era la regina dei Piceni e che il suo posto era quello di regina di un popolo. Disse che erano dei traditori e che non rispettavano il patto che avevano stipulato con il defunto Presutago.
Era furibonda ed agitò in aria il bastone che simboleggiava il suo rango.
Il militare allora fece un cenno e senza darle il tempo di reagire Budicca si ritrovò bloccata da alcuni dei sottoposti di quell’invasore. Provò a divincolarsi ma la presa era molto salda.
Così immobilizzata, la trascinarono fuori in uno spazio aperto, dove si trovava il resto dell’esercito romano. Il suo popolo invece, alla vista delle truppe si era rifugiato altrove, mentre lei e le sue figlie non avevano fatto in tempo a scappare. Budicca inoltre era convinta che il suo status nobile sarebbe stato sufficiente a proteggerle.
Tale convinzione però si infranse quasi subito, con la stessa velocità con cui le strapparono tutte le vesti di dosso, mostrando il suo corpo nudo agli sguardi curiosi e derisori dei soldati. Budicca spalancò gli occhi grigi: nessuno aveva mai osato tanto. Nessuno mancava di rispetto ad una regina e, soprattutto ad una valida guerriera.
Prima però che potesse dire qualcosa, la frusta si abbattè sulla sua schiena. La regina urlò e tentò di liberarsi ma le corde erano troppo strette e non le era possibile riuscire nell’intento.
I colpi calarono a lungo ma proprio nel momento in cui era prossima a perdere i sensi, vide qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere. Alcuni dei soldati trascinarono le sue figlie dietro ad una piccola palizzata che tuttavia non le risparmiò la scena successiva. Budicca le vide tentare di divincolarsi dalla stretta ma senza risultato. Sentì lo schianto con cui furono gettate a terra.
Lo strappo delle loro vesti preziose.
I pianti e le urla  delle ragazzine.
Le risate dei soldati che si divertivano con la loro sofferenza.
Poi fu il buio.
Quando riprese i sensi, si ritrovò sdraiata su un giaciglio e coperta dai suoi abiti usuali. Un servitore, vedendo i romani allontanarsi, era tornato a palazzo e aveva portato via lei e le sue figlie. Le dissero che avevano medicato le loro ferite e che doveva passare del tempo prima della loro completa guarigione. Budicca li ascoltò in silenzio, mentre nuovi pensieri si affollavano nella testa.
Si erano fidati della protezione di serpenti infidi ed avevano ottenuto solo violenza e umiliazione.
Quegli stranieri non si curavano delle leggi britanne e si comportavano come se fossero figli di divinità. Non avevano avuto rispetto di un re e della sua famiglia e non faticò a capire che con quella condotta non sarebbero serviti i diritti che i Britanni possedevano. Per i romani essi non valevano nulla.
Se essi umiliavano così una regina e la sua famiglia, come poteva interpretare la loro presenza sulla sua terra se non come una cieca volontà di dominio? Le sue figlie, il suo più grande tesoro, avrebbero pagato lo stupro subito con la sicurezza di vedere i responsabili liberi di andarsene indisturbati sul suolo britanno e di ridere delle violenze commesse, godendo della possibilità di ripetere l’umiliazione verso le donne del suo popolo e questo Budicca non poteva permetterselo.
Gettò lo sguardo sulla spada che le apparteneva e che si era salvata dal saccheggio avvenuto nella sua dimora, lunga, pesante e tagliente. Un sorriso minaccioso si fece strada sul suo viso ed una nuova decisione iniziò ad occupare i suoi pensieri, come un incendio nella foresta.
Quegli invasori che disprezzavano gli usi e i costumi britanni avrebbero pagato caro la loro impudenza.
Con l’unico linguaggio che ogni uomo e bestia è in grado di capire.
La spada.
 
Questa è una one shot dedicata a Budicca, la regina degli Iceni. Non mi dilungherò molto sulla vicenda. Vi basti sapere che era una regina britanna che alla morte del marito si vide invadere e saccheggiare le sue terre ad opera dei romani, con i quali suo marito aveva firmato un’alleanza, in cambio della sopravvivenza del regno degli Iceni. I romani spogliarono e picchiarono Budicca, mentre le figlie furono violentate. Budicca allora guidò la rivolta contro i romani per vendicarsi e proteggere le terre. Sconfitta, si uccise per non cadere nelle mani dei nemici.
Spero che sia una lettura gradevole e spero ripaghi la cancellazione della precedente storia.
 
Cicina

   
 
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