Titolo: I can’t wait to see you
Fandom: Axis Powers Hetalia
Pair: Spagna (Antonio Fernandez Carriedo)/Romano (Lovino Vargas)
Genere: Fluff, Romantico
Rating: Verde
Avvertimenti: OneShot
Conteggio Parole: 1.150
Note: Fanfiction scritta per la Maritombola, indetta dalla community Maridichallenge
<3 il prompt è il 62. “Non mi ricordo se ti ho mai detto chiaramente quanto
ti detesto”! Adoro partecipare a questa iniziativa <3 spero davvero che vi
piaccia *_* un commentino è amore, sappia telo <3
-Aria
molto fredda, gelida, in arrivo sul
continente Europeo. Previsti annuvolamenti con possibili nevicate. Vediamo ora
le temperature, ecco le minime-
Lovino
rabbrividì, sfregando inconsciamente entrambe le mani sulle braccia, come per
ottenere maggior calore dal maglione di lana che indossava. Era appena la metà
di dicembre ma l’inverno aveva deciso, quell’anno, di non sforare minimamente sulla
tabella di marcia, entrando a pieno vigore, costringendo Lovino –e un po’ tutta
l’Italia- ad indossare sciarpe, cappelli e guanti.
Si
distrasse dal seguire la televisione, socchiudendo pigramente gli occhi nel guardare
fuori dalla finestra: in realtà, in quel momento, lui era davvero arrabbiato, e non per il freddo –magari solo un pochino- ma
per colpa di Antonio Fernandez Carriedo. Sbuffò al pensiero, borbottando dentro
di sé mentre faceva un sorriso alquanto ironico; quando mai non era arrabbiato
con quel bastardo spagnolo?
Solo
che, quella volta, aveva decisamente superato il limite. Lovino si morse le
labbra al ricordo della conversazione che avevano avuto giusto quella mattina.
-Perché
non vuoi venire qui a Napoli da me?- aveva detto l’italiano, sussurrando contro
la cornetta del telefono.
Era
riuscito a placcare Antonio dopo circa una settimana che si mandavano solo sms
e non aveva intenzione di mollarlo tanto facilmente, anche solo fosse per
litigare. Non l’avrebbe ammesso, neanche sotto tortura, ma aveva un disperato bisogno di sentire la sua voce.
-Ma
lo sai piccolo, il capo mi ha dato una montagna di lavoro da fare e io devo
assolutamente- tentò di farlo ragionare Antonio, con voce tranquilla ma stanca.
Lo
interruppe, secco, lapidario -Non chiamarmi piccolo.- sibilò, arrossendo dall’altro
capo del telefono.
Antonio
sorrise e percepì in qualche modo il suo rossore –Va bene piccolo- disse, rimarcando quel termine che tanto lo imbarazzava -ti
prometto che vengo domani, ok? Te lo prometto davvero-
Lovino
sbuffò –E’ passato un fottuto mese dall’ultima volta, voglio ben sperare che tu
sappia cosa stai dicendo. Se non vieni sappi che puoi anche non presentarti
più- e attaccò, bruscamente.
Non
era serio in realtà; attaccato al telefono da più di dieci minuti, si stava
torturando le mani nel disperato tentativo di non esplodere di imbarazzo per l’essere
sceso a patti con il proprio orgoglio a quel modo. Lasciando cadere la cornetta
del telefono aveva sospirato, come stava facendo in quel preciso momento,
seduto sul comodo divano di casa sua.
Era
appena un mese che non si vedevano –per ragioni di lavoro, oltretutto- e Lovino
era sinceramente sconvolto di essere già in quella fase della coppia dove non
vedere il partner ogni giorno creava un tale scompenso fisico e psicologico.
Sbiancò nel rendersene conto e, stringendo convulsamente il bordo di un cuscino
a caso, sperò vivamente che Antonio non se ne accorgesse mai.
Il
trillo del cellulare –come suoneria aveva parte della sua amata tarantella
siciliana- lo riportò alla realtà, ma non del tutto, visto che rispose al
cellulare senza neanche leggere il nome del mittente.
-Proonto?-
disse con voce strascicata, decisamente annoiata.
-Hola mi amor
¿qué estás haciendo?-
squillò dall’altro capo una voce gioviale, che riportò ad una soglia decente l’attenzione
di Lovino.
-Bastardo!-
esclamò, aggrappandosi al bracciolo del divano –Sei tu!-
Antonio
rise divertito, sistemandosi meglio l’auricolare del bluetooth nell’orecchio –Non
so come io sia salvato sul tuo cellulare ora, ma l’ultima volta che ho
controllato c’era un unico Antonio nella tua rubrica...- lo punzecchiò, senza
distrarsi dalla guida del veicolo che aveva noleggiato una volta arrivato a
Napoli. Era un uomo di parola, dopotutto.
Lovino
aggrottò le sopracciglia, sopraffatto nuovamente dalla rabbia –Chi ti ha dato
il permesso di controllare il mio cellulare bastardo? Mh?- lo rimbeccò,
accavallando le gambe in modo teso –E comunque. Sono le dieci di sera. E’
tardi.- disse, cercando di comunicargli il proprio disappunto con quelle poche
parole -Dove sei?- chiese ancora,
dando per scontato il fatto che lui, a quell’ora, doveva già essere lì da un
bel pezzo.
-In
macchina- rispose lo spagnolo, mantenendo lo stesso sorriso di prima, felice e
un po’ sornione –sto guidando- ammise, cercando di non scoprirsi troppo e nel
frattempo si ritrovò a maledire la città che il suo compagno tanto amava:
davvero, come poteva non esistere un parcheggio libero?
-E
questo a me cosa dovrebbe interessare?!- urlò, spazientendosi senza capire le
vere intenzioni dell’altro –Perchè non
sei qui?-
Antonio si morse distrattamente un
labbro per non ridere, o avrebbe ottenuto l’effetto contrario a quello
desiderato –Perchè voglio farti una sorpresa- sussurrò con voce bassa e calda, come
quella che Lovino tanto odiava e amava allo stesso tempo.
-Una sorpresa? E che razza di
sorpresa vorresti farmi?- borbottò stizzito, alzandosi in piedi nel sentire lo
stomaco stringersi di strana curiosità.
Antonio esultò silenziosamente nel
momento in cui spense la macchina –parcheggiata dopo grandi e strategiche
ricerche-, togliendosi frettolosamente la cintura. Non rispose alla domanda vagamente
acida di Lovino, stringendosi addosso il cappotto mentre cominciava a correre
verso il suo appartamento.
-Ehi, coglione, sei ancora lì?-
chiese dopo qualche secondo di attesa, battendo un piede per terra.
-Ci sono, ci sono- rise Antonio,
ansimando quasi sottovoce per la corsa che terminò di fronte alla porta del
condominio, che trovò miracolosamente aperta.
-Bene, scongiurato il pericolo morte prematura, mi dici di che cazzo di
sorpresa stavi parlando?-
-Apri la porta- disse
semplicemente Antonio, allargando ancora di più il sorriso.
-...eh?- soffiò Lovino, muovendosi
inconsciamente verso l’ingresso –Perchè? Questa conversazione sta cominciando a
non avere più senso, idiota-
-Tu apri la porta, piccolo- furono le sue ultime parole,
ghignando sottilmente.
-Basta! Ti ho detto di non chiarmarmi- alzò la voce, aprendo la
porta di casa senza rendersi conto di quello che stava facendo e fu costretto a
sobbalzare quando vide che il suo stupido bastardo era proprio lì, davanti a
lui, con una terribile faccia da schiaffi -...piccolo- concluse in un sussurro,
abbassando il telefono da vicino all’orecchio.
Antonio si tolse l’auricolare,
allungando una mano per accarezzargli il viso di sfuggita –Sorpresa- disse poi, avvicinandosi per rubargli un primo bacio a
fior di labbra.
La bocca di Lovino aderì perfettamente
a quella di Antonio –motivando l’ipotesi dello spagnolo che le loro labbra
erano semplicemente nate per baciarsi-, cercando nel frattempo di fermare i
piccoli brividi che gli scuotevano il corpo.
Antonio era lì per lui, aveva
mantenuto la promessa, quella stupida, fottuta, importantissima promessa.
-Non…-
Lovino deglutì a fatica, stringendo una mano attorno al colletto del suo cappotto
-non mi ricordo se ti ho mai detto chiaramente quanto ti detesto…- arrossì,
troppo attonito per poter formulare un insulto più sprezzante di quello.
-Forse
un paio di volte- disse Antonio, spingendosi dentro casa mentre si chiudeva la
porta alle spalle –ma c’è sempre tempo per ridirmelo ancora, ancora e ancora
tante volte- sorrise, catturando nuovamente le sue labbra in un bacio che, di
certo, non gli avrebbe evitato la ramanzina che sarebbe seguita di lì a poco.
Anche
se forse, pensò Antonio mentre stringeva finalmente a sé l’italiano, l’avrebbe
attutita un pochino.