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Autore: Janet Mourfaaill    17/12/2010    5 recensioni
In quel momento, davanti a un armadio semiaperto, tra polvere e scaffali e mappamondi senza nazioni, stava tremando e battendo i denti come un bambino.
Una mano poggiata sull'anta e l'altra abbandonata sul fianco, purpurea di sangue e piume.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Quassia








La stanza sembrava sul punto di scoppiare per via di quei respiri affannati che spingevano, opprimevano, facevano forza sui muri fino a quasi deformarne la superficie. L'aria bollente premeva sulla pelle come un pollice spietato su una ferita profonda, mentre fuori il vento vibrava secco contro le finestre serrate.
- Acqua. -
Un timbro basso e tremante, esausto ma incredibilmente dignitoso, si impose su quel silenzio smorzato e gonfio. Il respiro frustrato che seguì suonò del tutto impotente.
- Acqua. - Di nuovo, questa volta con una nota di debole insistenza.
- Non ne ho. - Un sussurro bassissimo, acuto e disperato.
Ancora un respiro profondo ad occhi chiusi, poi di nuovo silenzio.



***



Narcissa Black Malfoy aveva appena varcato la soglia e ora guardava le fiamme verdi nel camino mangiarsi tra loro con sguardo indifferente.
Dietro di lei l'enorme Salone aveva improvvisamente assunto le sembianze di un cupo teatro che aveva perduto la sua buona fama, avvolto ora da ombre ora dalle fredde luci verdastre del fuoco che venavano le pareti con riflessi tremuli.
- Cosa succede? - La voce di Lucius Malfoy echeggiò nella stanza, atona e strascicata; la pelle tirata e tesa, lattea, mentre gli occhi grigi indagavano sulle figure che stavano facendo il loro riluttante ingresso.
La donna si voltò senza variare minimamente la sua espressione, guardando incolore il marito prima di rispondergli con freddezza. - Dicono che hanno preso Potter. -
Draco Malfoy sentì le spalle irrigidirsi e serrò la mascella, ancorando lo sguardo a quello trasparente, in tutto il suo gelo, di sua madre. Lei socchiuse appena le labbra e quando parlò lui si era già mosso, in silenzio, anticipando le sue parole. - Draco, vieni qui. -
Avanzò lentamente tenendo il capo ostentatamente basso eppure riuscendo a dare al proprio viso una maschera di discreta indifferenza. Sollevò per un istante gli occhi chiari sul profilo sfigurato di Greyback, poi, con addosso un certo senso di nausea, guardò il ragazzo che il lupo mannaro teneva stretto per la collottola.
- Allora, ragazzo? -
Draco non dovette nemmeno sforzarsi di mantenere un'espressione distaccata o di sufficienza, dal momento che il menomato che gli stava di fronte pareva aver voglia di guardarlo negli occhi quanta ne aveva lui di tirare a sorte riguardo la sua identità. Lo scrutò senza troppa convinzione, soffermandosi con disgusto sul gonfiore esagerato esteso in tutto il lato destro del viso, e poi sulla fronte sudata.
- Allora, Draco? - La voce di suo padre suonò fastidiosamente viscida persino al suo udito, perciò evitò di voltarsi a guardarlo per evitarsi la visione di un'espressione altrettanto viscida. - È lui? È Harry Potter? -
Draco indietreggiò di un passo, deglutendo.
- Io non-- non ne sono sicuro. - Parlò con voce incerta, nel momento esatto in cui sollevò gli occhi sul menomato quello gli restituì uno sguardo indecifrabile. Sembrava quasi che provasse pietà per lui.
Idiota.
Stava per rimangiarsi tutto e affermare di riconoscerlo tutto d'un tratto, ma la voce eccitata di suo padre lo frenò. Lucius Malfoy sembrava impaziente come mai in vita sua. - Ma osservalo bene, dai! Avvicinati! - Draco si voltò finalmente a guardarlo, il volto inespressivo; improvvisamente aveva perso la voglia di parlare, di guardare chiunque in quella stanza, di rimanere in quella stanza.
Eppure i suoi occhi vagarono per un momento su sua madre, che dal suo canto continuava ad osservare le fiamme del camino come se non potesse in realtà vederle. Rimase a fissarla mentre suo padre discuteva con Greyback, e quando gli fu nuovamente chiesto di concentrarsi sul menomato Draco dovette sforzarsi enormemente per non rivolgersi a suo padre come avrebbe voluto.
Guardò per l'ennesima volta il ragazzo deforme, senza riuscire a trattenere un moto di ribrezzo e al contempo spavento, infine scosse lentamente il capo. - Non so. -
Diede le spalle al pietoso quadretto, sentendosi talmente teso da avvertire la presenza di muscoli strappati persino laddove non ce n'erano – fin dentro le gengive, ad esempio, il che lo faceva sentire incredibilmente ridicolo. Raggiunse sua madre senza dire una parola, gli occhi fissi sul pavimento di pietra scura; poi, fermatosi davanti all'enorme tavolo di legno accanto al camino, vi appoggiò entrambe le mani e serrò le palpebre, sfiancato.



Non aveva mai pianto in un modo così disperato, abbandonato, liberatorio in tutta la sua vita.
Persino da piccolo i suoi pianti – non che fossero stati poi così frequenti, d'altronde - venivano rapidamente soppressi con freddi rimproveri, se non direttamente annullati con un colpo di bacchetta.
Ecco perché Draco per molto tempo si era convinto che piangere fosse un'attività sostanzialmente silenziosa: ogniqualvolta si sentiva triste e dava sfogo al suo malessere, qualcuno imponeva al suo pianto un silenzio forzato che con gli anni era diventato silenzio e basta.
Singhiozzava senza sentirsi, asciugava lacrime che a malapena si rendeva conto di aver pianto.
In quel momento, davanti a un armadio semiaperto, tra polvere e scaffali e mappamondi senza nazioni, stava tremando e battendo i denti come un bambino.
Una mano poggiata sull'anta e l'altra abbandonata sul fianco, purpurea di sangue e piume.




La voce leggermente ansiosa di sua madre raggiunse due punti indefiniti appena sopra le orecchie come in due rivoli d'acqua scroscianti, affluenti allo stesso fiume.
Sentiva la propria testa vacillare come un bicchiere troppo pieno lasciato in bilico su un dito, mentre ancora attraversava la stanza chiedendosi quando quei conati di vomito si sarebbero concretizzati, esentandolo una buona volta dal presenziare a quel nauseante interrogatorio.
- Sì... sì, era da Madama McClan con Potter. Ho visto la sua foto sul “Profeta”. Draco, non è quella Granger? -
Il menomato ebbe un fremito e Greyback lo strattonò con forza, gli occhi impazienti e smaniosi puntati sulla ragazza.
Draco aveva le sopracciglia appena aggrottate e la gola secca, quando sollevò lo sguardo su di lei si sentì più arido di un pugno di sabbia bruciata.
Sostenne l'odio profondo schiaffatogli addosso da quell'occhiata fredda, sentendosi inspiegabilmente rafforzato dall'unico sentimento limpido in grado di trasparire in mezzo al disgusto che tutto il resto gli infondeva.
Hermione Granger teneva il mento alto, pietosamente fiero di chissà che cosa, altero come se a condurre il gioco fosse stata lei e il suo sangue sporco.
Draco indagò brevemente il suo viso sporco e pallido; si disse sovrappensiero che le labbra le tremavano un poco. Inumidì le proprie senza neanche pensarci.



- Non. Fiatare. -
Quelle due sole parole gli erano costate tutto il suo dannato autocontrollo; le aveva pronunciate con una tale disperazione, con un tale evidente malessere tra una lettera e l'altra che la ragazza non aveva osato muovere un muscolo per divincolarsi dalla sua stretta e allontanare quella mano salda sulla propria bocca semiaperta.
- Incarceramus. -
Dopo aver proferito l'incantesimo a voce bassissima, rimase immobile inspirando ed espirando profondamente e pressandosi contro di lei senza curarsi minimamente della sua evidente fatica a respirare.
Quando interi minuti dopo ritenne di aver riacquistato sufficiente calma per aprire gli occhi e allentare un poco la presa, trattenne il fiato con una tale violenza da far trasalire entrambi. La parte inferiore del volto di Hermione Granger era completamente insanguinato, così lui ritrasse istintivamente la mano fissandola con orrore – sangue persino sotto le unghie, scurissimo e denso, impregnato.
- Ma quello-- è sangue. -
Stupida, stupida, stupida ragazzina. Sentiti ringraziamenti per avergli dato lumi al riguardo.
- Adesso non metterti a frignare. Non è il tuo sangue sporco, se è questo che ti preoccupa: in tal caso ti assicuro che vorrei scrostarmelo di dosso molto più di quanto non lo vorresti tu. - Fece appena in tempo a premerle con forza le mani sulla bocca già spalancata e a gettarle la bacchetta in un angolo con un calcio, prima che urlasse di indignazione o peggio, riuscisse a Schiantarlo.
- Sta' ferma. - L'occhiata raggelante che lei gli rivolse andò totalmente sprecata; Draco non la guardava né sembrava minimamente turbato dall'odio puro che gli stava dedicando in quel preciso istante.
- Come hai fatto ad entrare? - Glielo chiese con una nota di frustrazione evidente, lei parve notarlo perché il suo sguardo divenne quasi una muta domanda aperta. Draco la fissò per quelli che gli parvero istanti lunghissimi, prima di allontanare una seconda volta la mano dal suo viso imbrattato. - Ti stavo seguendo. Fuori c'è Harry a fare la guardia, se non mi lasci andare capirà che mi hai aggredita e stai certo che troverà il modo per fartela pagare, Malfoy. -
Sembrava che non avesse aspettato altro fino a quel momento che sputargli addosso quelle parole, precipitosamente, forse per impedirgli di metterla di nuovo a tacere senza prima aver finito o forse per liberare l'ansia che attanagliava lei per prima.
- Potter? - Soffiò lui, ridendole addosso senza ilarità alcuna. - Allora sei in una botte di ferro, Granger. Con un po' di fortuna tra qualche decennio comincerà a realizzare che qualcosa non torna, e forse, dico forse, riuscirà a recuperare il tuo corpo prima che vada in putrefazione. - Questa volta gli fu notevolmente più difficile trattenerla: era scattata furiosamente in avanti, il volto trasfigurato dalla rabbia; per poco non cadde all'indietro nel tentativo di tenerla ferma e zitta al contempo.
- Stupida, così ti fai solo male. - Strinse i denti guardandola con disprezzo e reprimendo a stento un'imprecazione. Affondò gli occhi nei suoi, sentendosi improvvisamente invaso da un dolore insensato e totale, chiedendosi che cosa ancora poteva fallire in quel suo piano così miseramente imperfetto. Quale ulteriore sbaglio lo avrebbe portato a rimetterci le ossa, una volta per tutte.
Gli parve che la frustrazione e l'imbarazzo lo stessero mangiando vivo quando si rese conto della scia umida che gli aveva appena rigato una guancia - una goccia di argento diluito con acqua salata, in tiepido contrasto con il pallore insano della sua pelle.
Lo stupore di Hermione Granger fu equiparabile solo alla rabbia che provava verso se stesso. Indietreggiò istintivamente, come se la sola idea di avere un contatto fisico con lei lo ustionasse nel più profondo dell'anima.
Si lasciò osservare, impotente, sentendosi umiliato da pensieri non espressi ma chiari a entrambi. - Sono stanco. - La lamentela mormorata tra un affondo e un altro nella dormiveglia, la protesta avvilita, l'abbandono delle forze una volta arrivati a casa dopo una giornata estenuante.
Era stanco.
Si passò una mano sulla fronte e fu quasi sollevato nel constatare che non era sudata. Il momento dopo la stava guardando ancora, arreso alla pesantezza di quel momento e di tutta la sua esistenza, e lei l'aveva guardato a sua volta con un misto di meraviglia e autentico panico impressi sul suo viso.
Senza pensarci Draco sollevò la mano pulita e gliela passò sul labbro inferiore, ripulendolo dal sangue con un gesto lento, quasi assonnato. L'istante dopo la stava guardando di nuovo, e quello dopo ancora fu talmente nitido nella sua spietatezza che, si disse, non lo avrebbe mai dimenticato.
Lei lo stava guardando con un tale trasporto da lasciarlo totalmente annichilito. Gli ci volle un battito di ciglia per realizzare cosa sarebbe successo di lì a poco. Per capire che non si trattava di trasporto.
Massima concentrazione.
Incantesimo non verbale.
Non fece in tempo nemmeno a pensare di difendersi – ma forse non avrebbe tentato anche se ne avesse avuto il tempo: la bacchetta di Hermione Granger sfrecciò verso di loro e lei la impugnò con decisione prima di far scattare il braccio in un ampio movimento circolare e aggredirlo con tutta la forza che aveva in corpo, senza esitazione alcuna.
- Stupeficium! -




I riflessi delle fiamme verdi si riversavano ovunque nell'enorme Sala: ricoprivano pareti, corpi, volti. Pareva che tutti si stessero muovendo all'interno di un freddo focolare di pietra.
I folti capelli bruni della ragazza le ricadevano sulle spalle e le inondavano il petto, vaporosi, lunghi, quasi selvaggi.
Non era neanche bella.
- Io... -
Inspirò, avvertendo le forze svuotarlo e abbandonarlo poco per volta, sentendosi un po' una giornata da buttare via con nient'altro in testa se non il bisogno disperato di passare al più presto a quella successiva.
Era stanco.
- Forse. Sì, forse. - Non la stava più guardando e nemmeno lei ora lo guardava, anche se avrebbe giurato di aver intravisto nei suoi occhi scuri, per un solo istante, un barlume di rimorso.
Le diede le spalle, passandosi il pollice appena sotto il labbro inferiore e allontanandosi senza aggiungere altro.



***



Le tempie sembravano sul punto di scoppiare per via di quei respiri affannati che spingevano, opprimevano, facevano forza contro i suoi polmoni fino a quasi deformarli. L'aria bollente premeva sulla pelle come un pollice spietato su una ferita profonda, mentre fuori era già buio.
- Acqua. -
Fu quasi come pronunciare un nome. Stupidamente, quasi si aspettò che il solo pronunciare quella parola potesse dissetarlo.
- Acqua. - Di nuovo e ancora fino a quando non lo avessero accontentato, come sempre. Era rimasto disteso pur immerso in quell'orribile sensazione di avere la mano stretta in una morsa di ghiaccio. Al suo fianco lei gemeva piano, disperata, mentre grosse lacrime scendevano lungo le sue guance bianche.
- Non ne ho. - La sua voce suonò desolata e immensamente triste.
Draco deglutì, mettendo a fuoco il soffitto della Stanza delle Necessità e, solo in un secondo momento, il viso esangue della ragazza inginocchiata al suo fianco. Non le chiese come aveva fatto a trovarlo, non gli importava e anche se gli fosse importato non aveva abbastanza forze in corpo per rivolgerle una qualsiasi domanda e, per giunta, ascoltare una possibile risposta. - Non fa niente, Mirtilla. -
Ancora un respiro profondo ad occhi chiusi, poi di nuovo silenzio.



  
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