Disclaimer: i personaggi sono copyright di Amano-sensei.
Prompt:
42.I want
you to know, with everything, I won't let this go. These words are my heart and
soul. (Tabella)
Note: flashfic
senza pretese, per festeggiare il
D18 day <3
I
want you to know
With everything, I won't let this go
These words are my heart and soul
Kyoya era sempre stato quel tipo di persona.
Di quelli che vivono soli, e che da soli
hanno intenzione di rimanere; Dino aveva avuto quella sensazione quando lo
aveva incontrato sapendo a malapena chi fosse, e quell'idea taciuta e tenuta
per sé non era mai sparita del tutto.
Né con il passare degli anni – e di cose ne
erano successe, di combattimenti ne avevano fatti e sì, di confidenze ce
ne era stata almeno qualcuna, involontaria o meno – né con il
mutare del loro legame.
Kyoya era una persona difficile.
Osservava, annoiato da tutto, alla costante ricerca di
qualcosa che stimolasse il suo interesse per un intervallo di
tempo maggiore ai cinque minuti.
E Dino non rientrava affatto
nella categoria, piuttosto era irritante: lui e quella mania di chiamarlo per
nome senza che nessuno glielo avesse mai permesso.
Solo perché aveva accettato di combattere con lui,
quello aveva deciso che la concessione si estendeva a tutto e Kyoya si era
ritrovato dietro uno troppo stupido per evitare almeno
di inciampare da solo.
Kyoya odiava averlo fra i piedi.
Dino era troppo incomprensibile, e lui di impegnarsi a
capire gli altri non aveva mai avuto voglia.
Di sé, a Dino, non ha mai completamente parlato.
La cosa che lo ha stupito è
stata che l'altro non ha mai forzato la conversazione in proposito; il che,
considerando l'insistenza genetica di quell'idiota, è strano.
Comunque quell'inaspettata gentilezza nei suoi confronti
gliel'ha fatta scontare: Dino si è prepotentemente
fatto largo nella sua esistenza e non si è più smosso da
lì.
Non è servito picchiarlo – a volte teme che all'altro faccia piacere, seriamente – e non è
servito minacciarlo di morte: lo stupido più veniva minacciato,
più ridacchiava come se lui gli avesse fatto un complimento.
Ha sempre, fastidiosamente continuato a perdonargli ogni
cosa.
E Kyoya ha sempre, fastidiosamente continuato ad
approfittarne.
Non lo tocca direttamente, ma con il tonfa.
Quel cretino ha deciso che, a quanto pare, quello è
il giorno del mese in cui si cimenta in un'auto analisi psicologica per lui
troppo difficile, durante e dopo la quale generalmente si deprime senza un
perché.
Kyoya non sa consolare le persone. Non lo ha
mai fatto, ma soprattutto non ha mai voluto imparare a farlo; nemmeno Dino fa
eccezione.
Nemmeno lui, che è un'eccezione vivente – e sia
chiaro, non per sua volontà, questo Kyoya lo ripeterà fino alla morte.
«Ohi.» è il massimo del richiamo, e come
se fosse una regola Dino alza lo sguardo e gli
sorride.
Lo fa sempre.
Senza un motivo, non sa fare altro che sorridergli; gli
dà sui nervi.
«Ahi, Kyoya» si lamenta: «perché mi
hai colpito?»
«Mi irriti quando fai il
depresso.» replica senza un minimo tatto; e si siede, per terra e al suo
fianco, sul tetto di una scuola che non frequenta più.
«Aw, Kyoya si preoccupa per
me!» gongola il biondo, e si ripromette di pestarlo. Magari più
tardi, per ora gli lascerà strusciare infantilmente la guancia contro la
sua testa.
Perché ha sonno, non per altro.
E perché di capire senza obbligarlo a pronunciare
stupide frasi imbarazzanti, almeno di quello deve dargli atto.