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Autore: Terre_del_Nord    18/12/2010    16 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is
Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Chains - IV.001 - Vigilia di Natale (1)

IV.001


James Potter
Ottery St. Catchpole, Devon - ven. 24 dicembre 1971

Con un “bop” sommesso, ci materializzammo ai piedi di una collinetta, in mezzo al placido turbinio dei fiocchi di neve, trasportati da leggere folate di vento: il cielo color tortora ci sovrastava, carico, come un mantello sospeso ad alcuni metri dal suolo, annunciando una bufera imminente. La mamma mi fece cenno di seguirla e insieme ci accodammo a papà, che con la bacchetta proiettava un incantesimo ancora a me sconosciuto e apriva su su, fino a raggiungere la cima della collina, un sentiero nella neve, caduta abbondante durante tutta la notte. Sulla sommità, sentii prepotente il freddo spirare dal mare oltre l'altopiano, correre per quelle terre brulle e salire fino a me, per infilarsi insistente tra le strette trame del mio mantello; mi calzai meglio il berrettino di pelo sulla testa, raddrizzai gli occhiali e spaziai con lo sguardo sulla distesa ai miei piedi: dall'alto, il mondo sembrava un mare candido e tranquillo, in trepidante attesa della tormenta che stava arrivando, solo un folto boschetto di alberi spogli, disposti lungo i margini serpentini di un fiume ghiacciato, rompeva quel candore ininterrotto. Dovevamo scendere fino al fiume e raggiungere gli altri, che ci aspettavano confusi tra i profili frastagliati della boscaglia: i Babbani naturalmente non lo sapevano, perché dei potenti incantesimi respingenti li confondevano e li tenevano alla larga, ma lì, nel Devon, tra le colline prossime a Ottery St. Catchpole, vivevano numerose famiglie magiche e in quella selva antica c’era uno dei nostri luoghi più sacri. La mamma mi fece cenno di muovermi, mi ero fermato a guardare indietro chi fosse arrivato dopo di noi, quando avevo sentito il “bop” di altre materializzazioni, subito recuperai il leggero distacco correndo, meravigliato nel vedere che la neve, che mio padre faceva “evanescere” dinanzi a noi, subito si ricreava, intatta, alle nostre spalle. Una volta scesi dalla collina, il bosco mi apparve molto più esteso di quanto sembrasse guardandolo dall'alto: doveva essere anche quello un trucco per ingannare le percezioni e limitare la curiosità dei Babbani; appena ci inoltrammo tra gli alberi, superando gli incantesimi di protezione, la mamma mi abbracciò, stringendomi al suo fianco, così che non mi perdessi né mi ferissi: la neve aveva ammantato ogni cosa, celando alberi spezzati, radici, rami caduti, pertanto, per uno che si distraeva sempre, come me, il rischio di inciampare in un ostacolo era piuttosto elevato. Nonostante la mia disattenzione, però, difficilmente, avrei corso il rischio di perdermi: la selva era percorsa da un uggiolio, che saliva dal fiume rafforzandosi a ogni nostro passo, permeando ogni fibra di quel mondo altrimenti silenzioso, in cui persino la natura taceva. Qualcuno stava piangendo.
Guardai mia madre, stretta nel suo mantello scuro e mi bastò un solo sguardo per capire. Potevamo esserci lei ed io, quella mattina, a piangere lì, in quel modo... lei ed io... Mi percorse un brivido e mi strinsi ancora di più a lei, come quando ero molto più piccolo, serrandomi addosso il mio caldo mantello, consapevole che per allontanare quel gelo dell'anima non sarebbero bastate tutte le vesti del mondo, era necessario il suo sorriso e la sua carezza. La sua rassicurazione. Solo il caso, o il destino o il favore della divinità, infatti, aveva fatto sì che, anche questa volta, mio padre fosse riuscito a tornare a casa, da noi. Turbato, seguii a capo chino e in silenzio papà: benché fossi poco più di un bambino, quel giorno non potevo comportarmi da moccioso, dovevo ripetere quello che vedevo fare ai miei genitori e resistere, anche se desideravo trovarmi il più lontano possibile da lì, anche se avrei dato tutto per non dover assistere al dolore di quelle persone che conoscevo da anni. Tremando leggermente, strinsi i denti e rimasi al fianco dei miei, mentre porgevano le condoglianze ufficiali alle mogli di Richard Higgins, di Clark Cooper e di Alfred Podmore e ai loro figli: evitai di fissarli per non mancare loro di rispetto e, soprattutto, per non perdere il controllo. All’inizio, per quella mattina, era prevista al Ministero, a Londra, solo una cerimonia pubblica in ricordo di Alfred Podmore, dopo il funerale privato che si era tenuto a Winchester. Un paio di notti prima, però...
Non avevo sentito con le mie orecchie il racconto completo di mio padre, di ritorno dalla scorta al Ministro Longbottom, e non ero riuscito a leggere nessun giornale in quei due giorni, papà li requisiva tutti per analizzarli fino allo sfinimento, nella solitudine del suo studiolo, fin da subito però avevo intuito che durante quell'ultima missione doveva essere scoppiato l'inferno: mi era bastato guardare i suoi occhi, già turbati dopo quanto era accaduto a Podmore una settimana prima. Era ritornato a casa con oltre mezza giornata di ritardo, nel primo pomeriggio, al termine di una missione durata oltre un giorno intero, aveva mangiato in silenzio, poi si era subito ritirato nella sua stanza, senza quasi rivolgere la parola né a me, né alla mamma: non si era mai comportato così. Non l'avevo visto neanche a cena e mia madre, per rassicurarmi, aveva detto che era solo stanco, che non chiudeva occhio da due giorni, che l'indomani sarebbe stato tutto diverso. Quella sera, però, giù in cucina, quando credevano stessi già dormendo, avevo sentito la mamma piangere e, pur senza comprendere tutto, papà pronunciare le parole “tradimento” e “morte”, con una nota sconosciuta nella voce, fatta d’incredulità, rabbia e disperazione. Ero ritornato in camera mia, spaventato e infreddolito, mi ero nascosto nel tepore delle coperte, senza riuscire a dormire, senza capire: non era questo che avevo immaginato quando, a scuola, avevo pensato alle vacanze di Natale, le prime dopo la mia partenza per Hogwarts, avevo sognato di giocare e ridere con papà, di raccontargli le cose buffe che succedevano a scuola... Invece quella prima settimana a casa era stata un incubo…
Il giorno dopo essere tornato da Hogwarts, per la prima volta nella mia vita, avevo compreso fino in fondo quanto potesse essere pericoloso il lavoro di mio padre: benché io e la mamma avessimo pregato a lungo, benché papà e il suo collega fossero usciti solo per una ronda a Diagon Alley, Alfred Podmore non ce l'aveva fatta e mio padre era ritornato “diverso” da quella missione. A volte non sembrava più nemmeno lui, così nervoso, taciturno, triste... Nell'ultima settimana, la mamma aveva parlato spesso a bassa voce con lui, la sera appena andavo a letto, o la mattina, prima che mi alzassi, per questo non avevo un’idea precisa degli avvenimenti, li avevo sentiti dire che Podmore era caduto da un muraglione ed era morto. Appena avevo avuto l'occasione di restare da soli, avevo chiesto qualcosa di più alla mamma e lei aveva cercato di tranquillizzarmi parlandomi di un tragico incidente, ma ora che mi trovavo in quel boschetto, a dare l'ultimo saluto ad altri due colleghi di papà… No, non potevo più credere a quelle favole: Alfred non era caduto, l'avevano spinto di sotto! I tre colleghi di mio padre, morti negli ultimi giorni, e Roger O’Connor, di cui non si trovava nemmeno il corpo, nonostante le intense ricerche, erano stati uccisi dai Mangiamorte, gli ormai tristemente noti seguaci di Lord Voldemort, il malefico Mago Oscuro che stava facendo ripiombare il Mondo Magico in un terrore che non aveva avuto uguali dall'epoca di Grindelwald. Identici erano l'odio, la crudeltà, persino l'ideologia: il desiderio di sterminare tutti quelli che non erano nati Purosangue e chi, come la mia famiglia, non considerava la purezza di sangue un elemento valido su cui basare il giudizio del prossimo. Era per colpa loro, ne ero certo, era per colpa di quei pazzi assassini se Alfred Podmore, un uomo che frequentava la mia casa da quando avevo ricordi, che il giorno del mio sesto compleanno mi aveva insegnato a giocare con gli aquiloni come facevano i bambini babbani, era morto. Era per colpa loro se tremavo, ormai, ogni volta che mio padre andava al lavoro.
All'apparire del Ministro e della sua scorta personale, guidata da Bartemius Crouch, il capo di papà, e chiusa da Alastor Moody in persona, una leggenda vivente, per me, al punto che ritagliavo gli articoli delle sue imprese come quelle dei campioni dei Tornados, lasciai da parte i miei pensieri confusi e con i miei genitori e tutti i presenti ci disponemmo in circolo attorno al celebrante e ai quattro uomini che rendevano gli onori agli Aurors caduti nell'ultima imboscata. Fu allora che, dai discorsi appena sussurrati da un paio di Streghe dietro di noi, appresi che responsabile del fallito attentato al Ministro era un vecchio Auror in pensione, Gilbert Williamson, ora membro del Wizengamot: ne rimasi a dir poco sconvolto, sapevo bene chi fosse quell’uomo, perché era stato uno degli istruttori di mio padre all’epoca dell’addestramento. Immaginai che per papà, che aveva una fiducia viscerale in quell’uomo e nell'istituzione che serviva ormai da un’intera vita, questo dovesse essere stato l'ennesimo duro colpo. Era questa la vera faccia del Male, l’incubo capace di turbare e abbattere anche persone coraggiose e indomite come mio padre: un amico che tradisce gli amici, un Auror che rinnega tutti i Valori in cui ha sempre creduto... O forse… quelli erano valori in cui Williamson aveva solo finto di credere per tutta la vita... Tremando, iniziai a pensare che se diventare grandi significava questo, dover scoprire, accettare, convivere con questi aspetti della realtà, allora crescere non era bello come avevo sempre immaginato: da sempre volevo crescere in fretta perché papà mi aveva promesso che le mie stupide paure sarebbero scomparse, da grande non avrei più avuto timore, proprio come lui, il mio eroe… Ora però, giorno per giorno, mi accorgevo che nel mondo degli adulti esistono mostri persino più terribili dei Lupi Mannari e più pericolosi dei Giganti, mostri che si muovono giorno per giorno accanto a noi, con noi, che ci sorridono, che ci lusingano, per poi pugnalarci alle spalle.

    Com'è possibile? Com'è possibile fingersi un amico e rivelarsi un traditore? Come può un amico tradire?

Mio padre mi aveva insegnato che gli amici sono il tesoro più prezioso, l'ancora cui aggrapparsi nel pieno della tempesta, che “l'amicizia è un legame a volte persino più forte di quello del sangue”: me lo ripeteva spesso da piccolo quando, di ritorno da una casa piena di bambini, mi vedeva triste perché il destino mi stava facendo crescere da solo, senza fratelli o sorelle, come solo era cresciuto anche lui. Allora mi raccontava degli amici che aveva trovato a scuola e che un giorno avrei incontrato anch'io, mi diceva che sarei diventato un uomo insieme e grazie a loro, che a Hogwarts non avrei solo studiato per diventare un vero Mago, ma avrei conosciuto le persone più importanti della mia vita, la mia seconda famiglia. Era per questo, per andare incontro al dono che il destino mi doveva, per ricompensarmi di un'infanzia passata in solitudine, che ero partito per la scuola carico di entusiasmo: per loro, quei “fratelli” sconosciuti che non vedevo l'ora di incontrare, quei “fratelli” che aspettavo da undici anni. Nel grigiore e nel freddo di quel mattino, dove il dolore e l’angoscia superavano qualsiasi altra sensazione, pensai ai miei compagni di stanza, ai tre ragazzini con cui sarei cresciuto: già mi mancavano, il pensiero dei loro volti era stato in quei giorni tristi la mia isola di felicità, lontano dalle paure e dalla preoccupazione per mio padre e per il mondo oscuro che cercava di strapparmelo via ogni volta che doveva allontanarsi da me. Sì, quei tre ragazzini promettevano bene, stavamo diventando amici, avevamo già compiuto delle piccole imprese, piccole ma importanti per me. Ero fiducioso, sognavo che tra noi sarebbe stato sempre tutto perfetto, che ci avrebbe uniti per la vita un affetto sincero e profondo, che niente e nessuno ci avrebbe mai messo in discussione, e per crederci mi bastava pensare alla luce che vedevo guardandoli negli occhi: saremmo sempre stati un'anima sola, una forza sola, avremmo vinto qualsiasi battaglia ci attendesse nella vita.

    Insieme... 

Mentre mi estraniavo dalla Cerimonia aggrappandomi al pensiero dei miei amici, il Celebrante invocò la protezione della divinità sulle anime dei defunti ed eseguì i classici Riti di Commiato, poi lasciò spazio al discorso del Ministro Longbottom che si avvicinò, per parlare ai presenti: osservai quell’uomo così importante, cercai in lui qualche elemento, qualche somiglianza con Frank, ma vidi solo un vecchio totalmente annichilito e sconvolto dall’orrore e dallo sgomento. Fece un discorso sbrigativo, ufficiale, senza sentimento, lo pronunciò senza mai staccare gli occhi da terra, la voce bassa non tanto per l'emozione quanto, forse, per il senso di colpa. Lo ascoltai mentre diceva che il Ministero non avrebbe mai dimenticato il sacrificio degli uomini caduti e non avrebbe mai lasciato sole le famiglie che avevano perso così tanto: guardai mio padre, manteneva un'espressione turbata, che non riuscivo a interpretare, da qualche mormorio tra i presenti compresi che molti lo ritenevano responsabile e quelle parole troppo formali e distaccate. Scivolai con lo sguardo sulle persone che avevo davanti, incrociai quelli di Sturgis, un paio d'anni più grande di me, studente di Grifondoro: sembrava non rendersi conto di quello che gli stava accadendo attorno, gli occhi fissi sulla neve, rigido come un ramo piantato a terra. Il corpo esile della madre era aggrappato al suo, a quel figlio che era per lei, ormai, l’unica ragione per non soccombere al dolore. Distolsi gli occhi, quando, nella mia fantasia, i capelli biondi di Sturgis diventarono scuri e scompigliati e il volto di sua madre mi apparve troppo simile a quello della mia mamma: mi guardai attorno, furtivo, trattenendo una lacrima, mentre calavano nella terra gelida di quell’antico cimitero magico i due Aurors. Non capivo se fossero passati pochi minuti, un'ora o la mia intera esistenza, sembravano imprigionati tutti in una bolla d’irrealtà in cui lo scorrere regolare del tempo era sospeso: ci ridestammo però quando il cielo ruppe la sua tregua e i leggeri fiocchi di neve, che ci avevano accompagnato per tutta la mattina, diventarono via via più grandi, scendendo su di noi veloci e fitti. La mamma si rivolse a Virginia Podmore e a suo figlio, invitandoli a passare qualche giorno da noi, poi fece cenno a me e a papà di muoverci, mio padre, però, non parve nemmeno ascoltarla, immobile e in silenzio, fisso in un mondo tutto suo. Alla fine, lentamente, mi passò il braccio attorno alle spalle, gli occhi bassi e la voce sofferta, come se fosse di colpo invecchiato talmente tanto da aver bisogno di me per sostenersi.

    “James... ”

Non riuscì a continuare, però, dovette interrompere quello che, lo sentivo, sarebbe stato uno dei suoi discorsi importanti, una delle sue lezioni di vita: mentre tutti ormai si smaterializzavano dal bosco, Bartemius Crouch, il mantello e la bombetta completamente imbiancati di neve, si avvicinò e mise una mano sul braccio di mio padre per attirare la sua attenzione.

    “Ci siamo, Charlus... Alastor ha già pronta una squadra, andiamo ad arrestarlo... ”
    “Arrestarlo? Che cosa dici? Con quali prove? Io non sono sicuro di quello che ho visto, era buio ed ero distante... Non possiamo andarlo a prendere all'estero senza qualcosa di concreto... ”
    “Non si trova all'estero, Potter! Ci ha ingannato, ha attirato il Ministro con la scusa di quel viaggio lungo e impegnativo, ma non si è mai allontanato dalle Terre! Ho analizzato i traffici delle Passaporte: benché fosse predisposta, nessuno ha ancora valicato i confini... Al contrario è stato attivato un collegamento illecito per Maillag... Andiamo Charlus! L'assassino di Alfred ci aspetta, dobbiamo assicurare Sherton alla giustizia, prima che scappi davvero... ”

Mio padre lo fissò turbato ma, alla fine, pur poco convinto, fece un segno di assenso, senza una parola, senza guardarmi, mi accompagnò da mia madre e mi affidò alle sue cure. Io, impietrito e spaventato per la pericolosità di quella nuova improvvisa missione, lo guardai smaterializzarsi nella neve, mentre nelle orecchie la voce di Bartemius Crouch rimbombava, ripetendo all'infinito il nome del nemico.
   
    Sherton…

***

Sirius Black
12, Grimmauld Place, Londra  - ven. 24 dicembre 1971

Stavo sognando beato, non so più bene cosa, probabilmente Herrengton o Meissa, quando un'ondata di luce penetrò nella stanza attraverso le tende parzialmente tirate del mio baldacchino. Subito immersi la testa sotto il cuscino, con un grugnito: detestavo con tutta l’anima essere svegliato dalla vocetta biascicata e irritante di Kreacher, dal suo “zompettante” buongiorno, fatto di elogi e salamelecchi rivolti alla mia “augusta” genitrice, e da quel lungo, salmodiante elenco di virtù della mia Antica e Nobile Casata, che non m’interessava né volevo sentire. Soprattutto se stavo ancora sognando qualcosa di infinitamente più importante e più bello.

    “In piedi! Muoviti!”

Già sorpreso nel sentire quell’ordine secco, impartito da una voce imperiosa, ben diversa da quella del nostro vecchio elfo, rimasi sotto shock quando le coperte si sollevarono via da me, lasciandomi inerme e infreddolito in mezzo al letto. Con gli occhi ancora semichiusi e la bocca impastata dal sonno, cercai di scendere dal letto evitando di cadere e provai a mettere a fuoco il mio aggressore, ma non avevo ancora nemmeno capito da che parte fosse nella stanza, che sentii l'effetto di un incantesimo pulente in faccia e il corpo fu spogliato del pigiama e rivestito da una delle tuniche da Mago che portavo in casa. Infine, con un altro incantesimo, mi sistemò i capelli per guardarmi per bene in faccia. Di fronte a me, con la consueta aria arcigna e distaccata, un’elegante toga scura e la bacchetta in mano, troneggiava mio padre, evidentemente pronto per ricevere ospiti o per uscire.

    “Tra poco avremo visite... finisci di prepararti e scendi di sotto… il prima possibile!”
    “Padre…”

Mi ero rivitalizzato al pensiero che stesse per arrivare uno degli Sherton, anche se era impossibile, ma mio padre, con una delle sue occhiate truci e infastidite, mi fece capire che dovevo stare in silenzio e sbrigarmi, e che probabilmente non si trattava di una visita di piacere.

    “… Non è successo nulla a Meissa, vero?”

Mio padre mi fissò, mentre m’infilavo le scarpe che aveva evocato davanti a me e armeggiavo con la cintura che mi serrava la tunica addosso, aveva un’espressione strana in faccia, sembrava volesse dirmi qualcosa, ma era combattuto se farlo o meno: oramai era una scena che si stava ripetendo fin troppo spesso, da quando ero tornato a casa, infatti, mio padre con me, giorno dopo giorno, aveva un comportamento sempre più bizzarro.

    “Il nostro ospite arriverà tra poco, ti aspetto di sotto entro cinque minuti e… porta con te tutto ciò che ti sei tolto dalle vesti l'altra mattina, di ritorno da Herrengton... e lo sottolineo, per il tuo bene... voglio che porti proprio tutto...  Ora muoviti, tua madre sta per tornare e vorrei evitare di coinvolgere anche lei e tuo fratello in questa fastidiosa faccenda!”

Varcò la porta col suo solito incedere imperioso: anche se, da Black, non voleva dimostrarlo, sentivo che era preoccupato per qualcosa e mi chiesi se, per caso, la visita che avremmo ricevuto di lì a poco, non fosse quella di Bartemius Crouch o, peggio ancora, di Rodolphus Lestrange. La mamma era ritornata da Manchester piuttosto tardi, la sera precedente, dicendoci che le condizioni di Bellatrix, curata a casa degli zii, erano ancora piuttosto gravi, mentre suo marito si era già ripreso e si trovava a Londra, ospite dei Rookwood: naturalmente, con mio sommo disgusto, lei l’aveva invitato a soggiornare da noi o almeno a venire qualche volta a pranzo a Grimmauld Place. Avevo visto mio padre impallidire a quelle parole e farfugliare una serie incredibile di scuse ridicole per sostenere che l’ospitalità dei Rookwood fosse senz’altro più opportuna della nostra; la mamma l'aveva fulminato con uno sguardo carico di disprezzo, ma alla fine aveva lasciato cadere il discorso, di certo non perché mio padre l’avesse convinta, piuttosto per non mostrare quanto erano in disaccordo su questa faccenda alla presenza di Regulus e me. Mi ero chiesto per tutta la notte che cosa significasse veramente quel teatrino… Avevo preso tutto: guardai l'involto che avevo nascosto negli stivaletti, non avevo ancora avuto modo di controllarlo, a causa della presenza costante dell’Elfo, poi osservai la stanza intorno a me, chiedendomi dove potessi nasconderlo, un posto sicuro a prova di Kreacher e della mamma... Infine, raccattai tutto quello che avevo in tasca al mio ritorno da Herrengton, compresa la pietra che mi ero ritrovato in tasca sere prima a Grimmauld Place, e m’infilai di trafugo in camera di mio fratello, ispezionai per bene il suo armadio e scovai la vecchia scatola di latta in cui teneva dei pupazzetti con cui non giocava più da tanto tempo: aveva un sottofondo che s’incastrava, l’aprii e misi l’involto lì sotto. Quella sera stessa avrei potuto recuperare il mio tesoro senza essere scoperto, era ormai la vigilia di Natale e la nostra casa si sarebbe riempita di odiosi ospiti, nessuno dei quali si sarebbe curato di me, il Grifone dei Black.
Soddisfatto della mia idea geniale, richiusi l'armadio avendo cura di rimettere tutto al suo posto: mio fratello era di una pignoleria assurda e se avessi commesso anche un minimo errore, avrebbe capito subito che avevo frugato tra le sue cose. Scesi le scale, infine, chiedendomi dove diavolo mia madre avesse portato Regulus tanto presto: quando, però, passai davanti al pendolo sul secondo pianerottolo, vidi che erano già le 11.20 e mi sorpresi ancora di più, perché mio padre detestava le persone pigre, lui stesso, pur amando la vita comoda, non si alzava mai più tardi delle 7 e di solito strepitava e ci puniva quando Regulus ed io ci attardavamo in camera oltre le 7.30. Che cosa gli stava succedendo? Perché mi aveva lasciato dormire fino a tardi?

    “Padrone attenda padroncino in Sala dell'Arazzo…”

La voce di Kreacher emerse alle mie spalle, e subito tremai chiedendomi se per caso non mi avesse spiato e mi avesse visto entrare nella camera di Regulus, poi però mi tranquillizzai, quando lo vidi dirigersi verso la cucina, sgambettando solerte davanti a me: sì, mio padre doveva avergli ordinato di occuparsi del nostro misterioso ospite, perciò non poteva aver avuto tempo di spiare me. Dopo essermi risistemato i capelli e spianato le pieghe della tunica, curioso di capire chi avesse messo tanto in agitazione mio padre, entrai: la Sala dell'Arazzo, quando non ricevevamo ospiti, era sempre immersa nella penombra perché, anche se eravamo magicamente invisibili in quella casa dotata di tutti i migliori ritrovati “respingi e confondi” Babbani, non venivano accesi i candelieri e le tende erano tenute tirate, per non vedere la “feccia” che viveva così prossima a noi. Quel giorno, nonostante la presenza di un ospite, tutto ciò che di solito era acceso per mostrare la magnificenza della nostra famiglia agli estranei, era stranamente spento e l’oscurità era spezzata solo dal fuoco nel caminetto e da un paio di candelieri sistemati vicino all’Arazzo. Una figura, completamente vestita di scuro, con il mantello antracite ancora indosso e il cappuccio che gli copriva buona parte del volto, stava in piedi e osservava la parte più antica del tessuto, assorto, come se ci fosse sopra un’informazione di vitale importanza; in mano reggeva una tazza fumante da cui si spandeva per la stanza un intenso aroma di the e chiodi di garofano, che nascondeva appena lo stravagante odore d’incenso che proveniva dalla sua persona. Lanciai uno sguardo interrogativo a mio padre che fece finta di non essersi accorto di me.

    “Hai ragione, Black... seppur alla lontana, siamo imparentati, ma questo per me non... ”

Sgranai gli occhi quando riconobbi quella voce: il cuore si mise a galoppare impazzito al pensiero di quali fossero i motivi che avevano portato il temibile Fear a Grimmauld Place, perché volesse vedermi, perché volesse parlarmi… Un senso d’inquietudine mi prese: ecco perché mio padre era tanto agitato, ecco perché non vedeva l’ora che l’ospite se ne andasse, prima ancora del suo arrivo… Mi chiesi che cosa si fossero detti quando li avevo lasciati soli per seguire Emerson. Il vecchio si voltò verso di me, i suoi occhi chiari sembravano balenare sinistri dall’oscurità del cappuccio, io sentii i peli della schiena rizzarsi come quando Bellatrix, ci raccontava spaventose storie di fantasmi nei pomeriggi estivi passati a Zennor, mentre fuori si scatenava la tempesta.

    “Vedo che finalmente il principino ci degna della sua presenza... mi era giunta voce che uno dei tuoi figli fosse interessato al Cammino del Nord, Black... evidentemente non si tratta di questo: le nostre Tradizioni mal si adattano ai mocciosi che dormono fino a mezzogiorno... ”
    “Non siamo qui per questo, Fear... Chiedi al ragazzo ciò che devi e ... ”

Il vecchio Mago del Nord lo squadrò con un’occhiataccia in tralice, un misto di derisione e parole offensive, mio padre, quasi gli avesse letto nella mente, strinse la mano intorno alla bacchetta e lo osservò minaccioso, ma Fear tornò subito a fissare me, restando immobile presso l’arazzo.

    “Certo… certo… Non perdiamo tempo… Sono qui per un motivo preciso: devo farti delle domande, ragazzino... e ti sarei molto grato se volessi rispondermi con il massimo della sincerità... ”

Papà, che dal mio ingresso, si era avvicinato a me, in maniera impercettibile, fino a mettersi in mezzo, come per proteggermi persino dallo sguardo del vecchio, mi ordinò di svuotarmi le tasche sul tavolo, rivelando così a entrambi il loro contenuto.

    “Spero per te che ci sia davvero tutto…”

Cercai di sostenere lo sguardo di mio padre e annuii, ma dal modo in cui mi fissò il vecchio, compresi che non mi credeva per niente e che probabilmente avrebbe colto presto un’occasione per mettermi in difficoltà, dovevo perciò fare molta attenzione; per il momento mi lasciò stare e iniziò a toccare e studiare gli oggetti che avevo messo sul tavolo, finché, nel silenzio teso, la sua voce si levò di nuovo, improvvisa, stavolta calda e ammaliatrice, quasi ipnotizzante.

    “Vorrei che mi raccontassi che cosa è successo dopo che Emerson ti ha riportato da tua madre, gli istanti precedenti a quando Alshain ha ripreso i sensi... e vorrei che fossi sincero e preciso, perché dalle tue parole può dipendere la scelta della cura migliore per lui... ”
    “Volete dire che non sta ancora bene?”

Papà tossicchiò irato per quell’improvvisa mancanza di rispetto, ma il vecchio parve non curarsene, anzi lasciò da parte i suoi modi arroganti e sbrigativi e si mise seduto sul divano di fronte me, che restavo in piedi, mi fissò con i grandi occhi d'acciaio che parevano sempre sondare l'anima del prossimo, questa volta però, non avevano un’espressione malevola e minacciosa.

    “Ho ascoltato la testimonianza di quasi tutti i presenti, Sirius Black, le giustificazioni che mi sono state date sono per lo più fantasiose e poco convincenti, mi manca solo la tua... di solito non mi fido dei ragazzini... sono spesso stupidi, imprecisi, paurosi… ma è evidente che nutri per Alshain Sherton un affetto autentico, confido in questo per conoscere la verità... ”
    “Io... io non ho idea di cosa sia accaduto, io… ”
    “Non devi aver paura di parlare... anche un dettaglio insignificante può essermi utile…”
    “Io non gli ho fatto niente, però… Alshain si è ripreso per un po' quando gli ho stretto la mano... poi è svenuto di nuovo quando mi sono allontanato: Abraxas Malfoy mi ha imposto di togliermi dai piedi e forse Alshain si è alterato con lui, a causa mia... ”
    “Malfoy? Nessuno mi ha parlato di lui! Era presente dunque… Si è avvicinato ad Alshain? L'ha toccato? Gli ha parlato? Gli...”
    “No... io… io ho… ho osservato ogni suo gesto: Alshain non ha toccato nulla che fosse prima passato nelle mani di quel Mago e Malfoy...  non ha avuto modo né di toccarlo né di parlargli… Sta molto male, ancora? Non si è ancora ripreso?”

Il vecchio non mi rispose, tutto preso, ora, da qualcosa che brillava sul tavolo.

    “Questa pietra, io... Che cosa... Dove l'hai presa, ragazzo?”

Guardai la pietra verde, probabilmente uno smeraldo, che mi ero ritrovato in tasca dopo aver parlato con Mirzam, anche mio padre la fissava, sbalordito e incredulo, notai che le sue mani tremavano appena.

    “Ti conviene rispondere, subito, Sirius! So per certo che questo smeraldo appartiene all’anello di Meissa... quello che le è stato rubato l’altra notte... per quale motivo ce l'hai tu?”   
    “L'anello di Meissa? No, ti sbagli… non è il suo... non faceva parte del suo anello… Meissa aveva il suo anello quando abbiamo visto i fuochi sulla terrazza... mentre io ho ricevuto questa pietra molto prima... qui, a Grimmauld Place…”
    “Hai ricevuto questa pietra, qui? Quando? Da chi?”

Tremai per le voci ansiose dei due Maghi, sembravano entrambi spaventati, o per lo meno preoccupati, soprattutto mio padre era quasi fuori di sé; deglutii, ripensai alle parole di Phineas, si era raccomandato di averne cura, di proteggerla, non sapevo che cosa dovessi fare... se potevo fidarmi almeno di mio padre… e di Fear…

    “La sera della festa per Mirzam... lui mi ha chiesto indietro l'anello che mi ha regalato Alshain... Rodolphus Lestrange aveva insistito tanto per vederlo e… diceva che non avevo diritto di tenerlo…”
    “Mirzam Sherton ti ha detto che non avevi diritto di tenere il tuo anello?”
    “No, non lui… è stato Lestrange… Mirzam anzi mi ha detto che lo prendeva per poi ridarmelo, appena si fosse sistemato tutto… quando se ne sono andati... io… mi sono ritrovato quella pietra in tasca...”
    “Te la sei ritrovato in tasca! Certo! Come no? A chi vuoi darla bere, ragazzino?Sono tuo padre, e non sono nato ieri! È meglio per te se dici la verità o ti giuro…”
    “Calma, Orion... calma... so che sembra strano, ma sono sicuro che tuo figlio ora sia sincero… Tu avevi perciò quest’anello in tasca... Ti ha chiesto Mirzam di portarlo con te?”
    “No... lui non me ne ha mai parlato chiaramente, andandosene mi ha solo detto “avrai la tua ricompensa quando meno te l’aspetti…” non ha citato anelli o pietre… mi è caduto dalla tasca e quando l’ho raccolto, è stato Phineas a dirmi che dovevo averne cura...”
    “Phineas? Come sarebbe? Che c’entra quel vecchio intrigante? Phineas! PHINEAS!”
    “Aspetta, Orion... questo è un punto importante, molto importante… voglio capire... tu avevi questo smeraldo in tasca casualmente l’altra sera? Volevi darlo ad Alshain? Phineas ti ha detto di...”
    “Volevo solo capire perché Phineas mi avesse detto di averne cura… volevo capire cosa fosse e me lo sono portato dietro... ma forse volevo solo una scusa per parlare con Alshain...”

Fear e mio padre si scambiarono un’occhiata piena di significato, ma non aggiunsero altro, il vecchio anzi fece finta che di colpo il mio coinvolgimento in quella storia, per lui, fosse chiarito e non fosse necessario parlarne più.

    “Parlerò con Mirzam per chiarire gli ultimi dubbi… per ora tenete la pietra e cercate di non perderla, non parlatene con nessuno, nemmeno con i vostri familiari, se non vi chiedo troppo... sarebbe meglio tenerla al sicuro, protetta dalla Magia, se capisci cosa intendo, Orion… poi, quando starà meglio, sarà Alshain a decidere cosa farne…”

Il Mago del Nord rimase in silenzio, assorto, poi fissando l’arazzo continuò, impassibile.

    “Non è che, per caso, in tasca o da qualche altra parte avevi anche un anello di ferro... piuttosto antico, insignificante e tutt’altro che prezioso né bello...”
    “Non crederai che mio figlio! Io... non...”

Non ascoltai le rimostranze di mio padre, ero sbiancato a quella descrizione, lo sapevo, perché anche se era da diverso tempo che non lo vedevo più, all’incirca sei mesi, conoscevo molto bene un anello simile a quello descritto.

    “Lasciami fare, Black! Allora, ragazzo? Hai o hai visto un anello simile quella sera?”

Guardai mio padre, chiesi il suo aiuto con gli occhi, si trattava proprio dell'anello che mi aveva fatto rubare a Roland Lestrange, lo capivo dall'espressione atterrita e al tempo stesso fosca con cui mi fissava: non dovevo parlarne con nessuno, l’avevo giurato, tanto meno con Fear... D’altra parte poteva essere importante e infondo il vecchio mi aveva chiesto solo di quella sera, non era necessario raccontare tutta la storia.

    “In realtà… Sì, credo proprio di aver visto un anello simile quella sera...”
    “Dove? È molto importante per Alshain…”
    “In questo momento, se non gliel’ha preso nessuno, credo si trovi al dito di Alshain… mio padre aveva dato a Emerson l’anello del Nord di Sherton, perché lo ruotasse e vi chiamasse, quando è svenuto nei corridoi... così, quando nella Sala di Habarcat si è saputo che Rigel aveva bisogno di aiuto, prima di raggiungervi, Deidra ha visto che non l’aveva più e ha preso un anello che aveva tra le vesti e gliel'ha messo al dito... poi mi ha detto di ruotarlo per comunicare con gli altri…”
    “Questo è impossibile! Che cosa diavolo ci faceva l’anello tra le vesti di Dei?”
    “Dopo, Orion, dopo… continua per favore… Deidra ha detto qualcosa sull’anello, oltre a come ruotarlo?”

Lo fissai, ci pensai a lungo, infine ricordai.

    “Sì… ha detto... “questo è l'anello che Mirzam mi ha affidato prima di prendere l'anello nuziale...” poi mi ha spiegato come ruotarlo e se n’è andata con gli altri…”
    “Perciò l’anello era al dito di Alshain quando tu gli hai stretto la mano, e in tasca c’era la pietra… per questo Habarcat ha subito la trasformazione che ho visto e Alshain si è ripreso… ”
    “Si tratta dell’anello di Salazar, vero? Solo quell’anello domina Habarcat… è grazie a questo che Alshain ha ripreso i sensi… Dovete prendere la pietra e riunirla all’anello… solo così Sherton si salverà… prendete…”

I due Maghi mi guardarono e si guardarono tra loro, c’erano diverse cose poco chiare in quella storia, ma la verità delle mie parole era evidente a tutti: mi chiesi però perché Meissa avesse quell’anello, come e chi gliel’avessero sottratto e diviso in due parti, e perché Mirzam, perché ero sicuro che fosse coinvolto, avesse dato la pietra a me e il metallo a sua madre… Non capivo e dalle espressioni smarrite, anche mio padre e Fear avevano le idee poco chiare.

    “Che cosa dobbiamo fare, Fear? È stato Alshain a dividere l’anello? E credi che davvero sia per l’anello che…”
    “Devo parlare con Alshain e con Mirzam, ho idea che abbiano agito l’uno all’insaputa dell’altro, anche se per i medesimi scopi… o almeno lo spero… qualcuno ha rapito Meissa per rubarle l’anello, credendo fosse quello vero… presto scopriranno che non funziona… perciò… dobbiamo fare qualcosa per tuo figlio, Orion, e sistemare l’anello al sicuro… Dovrei occuparmi anche di te: quest’anello, anche se diviso, può suscitare interessi morbosi, non possiamo sapere che cos’altro potrebbero fare per ottenerlo… perciò… ti consiglio di rendere i vostri ricordi… adatti a qualsiasi tranello… non so se mi spiego…”
    “Preferisco che lo tenga tu, Fear… Non voglio più avere nulla a che fare con quell’anello… Quanto alla nostra mente… hai molta più abilità di me con certi incantesimi oscuri… ti autorizzo a usare la tua Magia su di noi… tutto pur di non restare coinvolti…”
    “Io non voglio dimenticare! Io voglio capire da Alshain che cosa…”

Fear mi fissò, poi sorrise, un sorriso strano, enigmatico, pieno di mistero… mi sentii mancare il respiro.

    “Sei ancora troppo giovane, Sirius Black… Comprendo il fuoco dell’orgoglio e del coraggio, sei un Grifondoro… ma è troppo presto… troppo, troppo presto, per te… Alshain ha visto giusto… Per questo non mi perdonerebbe mai se ti lasciassi correre certi pericoli… forse un giorno, se e quando prenderai le tue Rune… capirai…”

La sua voce si abbassò di colpo, quasi perdendosi in un sussurro, il suo corpo iniziò a tremare, di una vibrazione appena percettibile, solo all’ultimo vidi che i suoi palmi, tenuti bassi, si alzavano lentamente verso di me: cercai di sottrarmi, ma sentii il corpo irrigidirsi e mi ritrovai incapace di muovermi e di parlare… Tutto era diventato freddo, i suoni attutiti, c’era solo quella voce morbida e melodiosa, mi sembrava quasi di vederla materializzarsi, simile a spire sottili, che mi legavano in quella malia come fossero catene leggere, mi permeò la pelle e mi danzò nel sangue, si fissò alla base del cervello e nascose i miei ricordi, a me stesso e a chiunque mi avesse guardato dentro.

    “Chiudi i tuoi ricordi al mondo, Sirius Black, conserva nell’antro più segreto della tua anima la chiave di ciò che sei e di ciò che sai… La tua mente si svelerà di nuovo, nella sua completezza, a te e a te solo, se e quando il Cammino del Nord ti metterà in grado di scorgere la verità…”

Alla fine mi sentii svuotato, incapace di reggermi in piedi, la testa confusa, mio padre mi sorresse, poi Fear, sorridendogli, si avvicinò a lui, appoggiò le labbra al suo orecchio: in un ultimo impeto di lucidità e di dubbio per quanto stava accadendo, papà cercò di sottrarsi, invano…

    “Non ribellarti Orion… abbi fiducia in me e ti garantirò la salvezza, tua e dei tuoi cari…”

Gli occhi di mio padre diventarono improvvisamente assenti e, nello stesso istante, sentii la mia testa girare in un turbinio folle e sconvolgente, dopodiché, tutto divenne buio e silenzio.


***

Rodolphus Lestrange
Old Shotton, County Durham - ven. 24 dicembre 1971

I nostri passi risuonavano pesanti nel lungo corridoio di pietra, spoglio e oscuro, un timido chiarore si librava solo dal fondo di quella teoria di colonne rovinate e capitelli antichi, di alti finestroni dai vetri spezzati, da cui entrava, spirando gelido, il vento del mare del Nord. Nell’oscurità, sotto di me, dormivano ignari valli e villaggi, quel mondo pieno di Babbani schifosi che volevo sterminare, bruciare, annientare, soprattutto in una notte come questa, una delle loro notti più sacre, una notte in cui la mia anima oscura poteva librarsi più alta, nutrendosi di puro odio e desiderio di distruzione. Non sarebbe stata una notte di sangue, però: sarebbe stata solo una notte di penitenza.

    La mia penitenza.

Un senso di oppressione m’impediva quasi il respiro, avrei dato tutto pur di non trovarmi lì, non perché avessi timore, sapevo di dovermi assumere le mie responsabilità, e che non sarebbe stata di certo una passeggiata… non era nemmeno per la vergogna o per l’orgoglio ferito, mi ero esposto tanto, avevo proposto tanto, mi ero impegnato tanto, e il risultato era stato un disastro quasi totale. No, non era per il timore, lecito, della punizione, anche se sarebbe stata feroce, inesorabile, devastante: lo meritavo, era giusto che fossi ripreso e punito, ed ero pronto a ricevere il mio castigo. Era per lei. Era per lei, che giaceva in quel letto tanto grande, le labbra di solito rosse e vogliose, ora pallide ed esangui, i lunghi capelli corvini appiccicati al volto da un gelido sudore mortale. Era per lei, per l’immagine di lei, così fragile, che non riuscivo nemmeno a respirare. Non sopportavo di vederla così, non lei che era fuoco e vita, lei che era rabbia e furore e passione; non potevo sopportare che fosse inerme in quel letto, a causa mia e della mia incapacità! Non riuscivo a respirare perché il cervello si macerava in quella voce, quella voce dentro di me che mi tormentava, per quanto cercassi di zittirla in ogni modo… Dentro di me… quella voce… No, non c’era bisogno di ascoltarla, lo sapevo bene anche da me.

    Io, Rodolphus Roland Lestrange, sono solo un piccolo uomo, meschino e debole. Tutto ciò che credevo di me stesso, tutte le mie certezze, tutto il mio sprezzo, la mia sicurezza, la mia totale indifferenza… tutto è caduto ai miei piedi, lassù, al freddo di quella stupida torre, nei boschi delle Highlands…  Mi è bastato stringere Bellatrix, esanime, tra le mie braccia… Che cosa mi sta succedendo? Che cosa? Non io… non a me… Salazar, no… non a me… Io non sono così… debole… miserabile… fallace…  Io non devo essere così, l’ho giurato a me stesso… Io non ho un cuore, io non ho paura, io non mi faccio travolgere…  Io cavalco la vita, libero dagli stupidi orpelli, rido di fronte alla vita e alla morte… Addirittura sono io, spesso, la vita e la morte… del prossimo…
    Perché io? Perché a me? Perché quel singulto dell’anima? Ho giurato di seppellirla, quella mia anima… Di divorare a morsi la vita, di mettere me stesso sopra ogni altra cosa… sopra qualsiasi altra cosa… Sono potere, sono furia, sono istinto, sono desiderio, sono piacere… Sì, io sono questo… sono voglia e piacere… sono assenza di regole, assenza di limiti… Io sono colui che tutto può, che tutto prende, che tutto sbrana… Noi siamo solo carne ed io mi nutro di essa, soddisfo me stesso, non m’importa di null’altro: ho sempre agito così… io sono così…
    Perché dunque ora dovrebbe essere diverso? Perché? Che senso ha provare questo brivido lungo la schiena? Che senso ha questa voce che mi spinge a pregare? No, io non prego… io ho pregato una sola volta, e non lo farò mai più! Pregare non ha senso, la preghiera è per chi è debole, spaventato, incapace… Io sono sopra queste cose… avevo sedici anni quando ho giurato che sarei sempre stato sopra a queste cose… Io non sarò mai più quel genere di uomo…

Il mio Signore aveva ragione: Bellatrix era per me una pericolosa debolezza, una meravigliosa, intrigante, disperata debolezza… L’avevo desiderata per il suo corpo, per il suo nome, per il suo sangue per quasi già metà della mia vita e ora potevo prenderla e possederla ogni volta che ne avevo voglia, potevo averla come mai nessuno l’aveva avuta prima di me. Come nessuno l’avrebbe avuta mai, dopo di me… Ma finiva lì… non c’era altro tra noi… C’era solo il suo dovere di darmi un figlio… Allora cos’era quel… dolore? Cos’era quella paura? Non certo quella di restare solo, potevo averne mille altre come lei…

    E invece no… No, perché  non c’è nessun’altra come lei… Cos’è, Bella? Cos’è quest’incantesimo che mi hai lanciato addosso? Con quale malia mi hai maledetto?
    Morirei se ti perdessi, sì, morirei! È questa la verità che non mi fa respirare… Io, proprio io, Rodolphus Lestrange! Posso negarlo quanto voglio, ma darei tutto per te!
    Che cosa mi hai fatto Bella? Come mi sei entrata così profondamente nel sangue e nel cervello? La mia bocca si apre e ti prega, Morte, ti prega…
    Perché… Perché lei… non puoi prendermi anche lei…

Strinsi le mani a pugno e rallentai il passo… sentivo il cuore accelerare e poi rallentare in modo turbinoso, la necessità di sorreggermi al muro, di forzare l’aria a entrare dentro di me, per non cadere a terra, svenire, come uno stupido moccioso impaurito. Vidi Augustus, accanto a me, fermarsi: immaginai l’espressione derisoria che gli illuminava il volto, là, sotto la maschera e il cappuccio, immaginai come avrebbero goduto tutti nel vedermi piegato e umiliato, come avrebbero banchettato sognando di poter salire al mio posto nelle preferenze del mio Signore. Era giusto che fosse così… o meglio… sarebbe stato davvero giusto, se… Mi ero fatto fregare così, come un pollo, da quella ragazzina, da Black… e da mia moglie… E ora avrei chinato il capo di fronte al mio Signore, non per essere punito del mio fallimento, perché, personalmente, io non avevo fallito, ma della mia debolezza: meritavo di essere punito, sì, perché avevo lasciato che il mio stupido cuore battesse, come quello di un insignificante, piccolo, debole, uomo qualunque.
Rookwood scivolò davanti a me, nella penombra di quella stanza priva di soffitto, lì nell’antica villa abbandonata, teatro dei nostri fugaci incontri nella contea di Durham: rami innevati penetravano tra le pareti in rovina e lontani, nel buio, si sentivano le voci delle creature della notte. Alcuni attendevano già raccolti in gruppetti di tre o quattro persone, sparuti e infreddoliti, stretti nei loro mantelli, le maschere a celare i loro volti; da terra, la luce dei fuochi nei bracieri illuminava quelle figure, dando loro un’aria di demoniaca minaccia. Spaziai con gli occhi su di loro, Milord non era ancora arrivato, lo capivo da quel chiacchiericcio sottile, da quella totale mancanza di contegno: poi, all’improvviso, la folla si divise davanti a me per lasciar passare un uomo, alto e autoritario, completamente avvolto nel suo mantello fatto di notte, il cappuccio che gli celava completamente il volto pallido: dalla tunica emergevano appena le sue mani, la destra serrata con grazie attorno alla bacchetta. Mi preparai a subire all’istante una Cruciatus, ma il mio Signore, forse intuendo, forse sperando, si fermò davanti a me, avvicinandosi lentamente, ancora, percorrendo leggeri cerchi, delle spire avvolgenti, fino a troneggiare a un solo passo da me; io mi tolsi la maschera e chinai il capo davanti a lui, ma con un cenno secco Milord m’impose di guardarlo in faccia.

    “Ti sei ripreso, finalmente… sei di nuovo tra noi, Rodolphus… voglio sentire dalla tua voce le notizie della missione a Herrengton…”

Tremai, impercettibilmente, ma non abbastanza perché non se ne accorgesse, non capivo il perché di quella commedia, erano passati quasi due giorni, ormai tutti sapevano qual era stato il risultato della nostra missione, cercai di resistere al suo sguardo, ai suoi occhi rossi d’ira, sembrava volesse incenerirmi solo osservandomi, ed io volevo sprofondare, annegare, svanire nel nulla. 

    “Mio Signore… sono infinitamente dispiaciuto di come…”
    “Non m’interessa sapere quanto tu sia dispiaciuto, Lestrange… voglio sapere il perché… perché non ho ricevuto le notizie che mi auguravo? Perché, Rodolphus… Perché? Perché nessuno mi ha portato la testa del Ministro, come mi avevi promesso? Perché nessuno mi ha portato la bambina, come ti avevo chiesto? Perché l’anello di Salazar Slytherin non è al mio dito?”
    “Mio Signore… a tutto il resto no… ma a questo… posso porre rimedio immediatamente…”

Lord Voldemort mi fissò, come se l’aria del mare gli avesse portato la mia voce distorta all’orecchio: quello che avevo appena detto era impossibile, incredibile, ai più, ma in fondo lui sapeva che era la verità; i suoi occhi si riempirono non di sospetto, ma di meraviglia e di bramosia, perché l’espressione afflitta e colpevole, sul mio volto, lasciò subito spazio alla soddisfazione per aver, ancora una volta, io, il discepolo a Lui più vicino, evitato di deludere il mio Signore.

    “Mio Signore… non è stato possibile portarvi qui la bambina, vero, perché non è stato possibile smaterializzarci dalle Terre, come per voi non è stato possibile entrarvi… Non so come sia stato possibile, ma… qualcosa o qualcuno ha impedito che cadesse la protezione  di Habarcat sul maniero di Herrengton… io, però, mio Signore… ho provato a portare a termine il mio compito per vie traverse… non potendo portare lei, ho prelevato i ricordi della ragazzina… li ho conservati, qui, nell’ampolla, per Voi… ed ecco qui… per Voi, mio Signore… l’anello che Meissa Sherton aveva al suo dito, prima che io la sottraessi alle cure della sua famiglia…”

Sentii rumoreggiare attorno a me, sentii chiaramente il bastone di Abraxas Malfoy colpire il terreno, preda di stupore e al tempo stesso di risentimento: il mio fallimento poteva risultare, per la sua famiglia, un’ottima occasione per scalzarmi dal mio posto; sapevo che, da mesi, s’incontrava segretamente con il mio Signore, solo per cantargli le lodi di suo figlio, di Lucius, sostenendo che sarebbe stato un valido Mangiamorte, al termine degli studi, che avrebbe servito in maniera più che soddisfacente il Signore Oscuro, che avrebbe dimostrato quanto la causa fosse importante, per la famiglia Malfoy, molto più che per chiunque altro dei suoi discepoli… No, io non avrei lasciato che quella manica di damerini… Mi prostrai davanti al mio Signore, inginocchiandomi quasi, chinando il capo e porgendogli sopra la mia testa l’ampolla con i ricordi e il piccolo anello: era davvero semplice, con una sola pietra verde, uno smeraldo, come la tradizione antica narrava da circa mille anni.

    “Alzati, Rodolphus… e seguimi…”

Con un sorriso, senza guardare nessuno degli altri, m’incamminai dietro il mio Signore, mentre tutti i presenti si aprivano in due ali e restavano interdetti, incerti se fermarsi o seguire me e il Signore Oscuro all’interno della villa, là dove Abraxas Malfoy aveva posto in precedenza l’antico bacile del pensatoio per studiare i pensieri, per lo più, d’impiegati e funzionari del Ministero.

    “Come hai prelevato questi ricordi alla ragazzina? Sai che il dolore può alterare i ricordi…”
    “Mio Signore… voi mi avevate chiesto di portare la ragazzina integra al vostro cospetto ed io… ho rispettato le vostre indicazioni… sarebbe stata qui accanto a me se solo fossi riuscito…”
    “Va bene, Rodolphus, lo so, mi avresti accontentato qualsiasi cosa ti avessi chiesto… so bene, che potrei chiederti qualsiasi cosa, davvero qualsiasi cosa! Ora fammi vedere questi ricordi!”
    “Sono molto interessanti, mio Signore… pare abbiamo commesso un errore nel giudicare gli Sherton… va contro il mio interesse dirlo, lo so, ma… voi lo apprenderete comunque molto presto… Io credo che se non fossimo intervenuti, vi avrebbero personalmente ceduto l’anello…”
    “Credi veramente a quanto dici, Rodolphus? Credi davvero a questi ricordi?”
    “Mio Signore… Sherton ha un solo vero interesse, nella sua vita conta solamente la sua famiglia… se avesse temuto per i suoi cari… se avesse pensato di poter garantire loro la salvezza, cedendo quell’anello, io credo davvero che ve l’avrebbe donato…”

Milord guardò fuori dalla finestra, nel buio gelido di una notte piena di stelle, vidi le sue labbra sottili arricciarsi appena in un sorriso sinistro, immaginai, conoscendo le sue teorie sui sentimenti, che stesse ridendo dell’assurda debolezza che aveva Sherton, uno dei pochi Maghi che forse potevano avere sufficienti conoscenze per contenere econtrastare la Magia del mio Signore. Con un brivido, riflettei sulla mia condizione, comprendendo quanto fosse temibile per un Mago provare dei sentimenti, quanto una debolezza simile esponesse a errori, ricatti, fallimenti.

    “Lascia qui l’ampolla e l’anello, Rodolphus… Avevo deciso di punirti, per questa battuta d’arresto nei nostri piani: avevo creduto di potermi liberare del Ministro, questa volta, e invece… quel buono a nulla di Williamson… Si è fatto scoprire, quello stolto ha avuto anche la prontezza di farsi prendere, per sfuggire alla mia ira! Ma non uscirà dal carcere, puoi credermi… farò in modo che non possa in alcun modo parlare, non otterrà favori vendendo la propria collaborazione… Ora vai… domattina saprai cosa ho deciso per te…”
    “Mio Signore…”
    “Che cosa vuoi ancora, Rodolphus?”
    “Mio Signore… lasciatemi porre in parte rimedio alla delusione che vi ho provocato l’altra notte… lasciate a me il compito di liberarvi di quel piccolo, fastidioso problema…”

Lo fissavo, la mia voce si librava emozionata, Milord mi osservò, mi scandagliò con un sorriso compiaciuto, i suoi occhi vibravano di benevolenza, di piacere, di soddisfazione.

    “Chiuderò un occhio sulla mancata visita a Herrengton, per questa volta… ti auguro una piacevole vigilia di Sangue, mio caro Rodolphus…”

Mi fece cenno di allontanarmi, in uno svolazzare sinistro del suo ampio mantello si avvicinò al pensatoio e lo vidi versare il liquido madreperla nell’antico bacile, io mi ritrassi senza dargli le spalle, fino a raggiungere il corridoio, Rookwood era lì, in trepidante attesa, voleva sapere le ultime novità, ma io non avevo di certo tempo da sprecare con lui. Il richiamo del sangue mi portava lontano da lì. Alla fine, contro ogni mia previsione, a soddisfare la più piacevole delle mie attuali speranze, quella sarebbe stata davvero una notte di delirio e furore, di sangue e perdizione. Il modo migliore per soffocare le voci della mia mente. Il modo migliore per ricordare a me stesso quanto fosse oscura e perduta la mia anima.



*continua*



NdA:
Eccomi qua, so che la mia caratterizzazione di James può suonare strana, che può sembrare troppo “adulto” soprattutto perché, abitualmente, si pensa a James Potter solo come a un ragazzino viziato, che aveva tutto per essere felice e non aveva alcun turbamento, però da brava figlia unica ricordo che non è tutto rose e fiori e che certi pensieri sono possibili quando un bambino cresce da solo, in particolare riguardo alle aspettative che si riversano sull’amicizia. Anche riguardo a Rodolphus,  alcuni passaggi possono sembrare bizzarri, soprattutto riguardo ai sentimenti combattuti per Bella e il discorso della preghiera, ma fa parte della caratterizzazione che ne sto facendo un po' per volta. Passo ora ai consueti ringraziamenti a quanti hanno letto e recensito, aggiunto a preferiti, seguiti, ricordati, ecc…
Un bacione a tutti, alla prossima!

Valeria



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