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Autore: Unsub    19/12/2010    5 recensioni
Sono passati quattro mesi da quando Brunet ha sparato a Collins che a seguito delle lesioni riportate è finita in coma. I medici dicevano che non c'erano speranze, ma ora Reid riceve una telefonata e...
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Spencer Reid
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Sarah Collins '
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it's a rainy day AUTORE: Unsub
TITOLO: It’s a rainy day
GENERE:  introspettivo.
AVVERTIMENTI: one-shot
PERSONAGGI: Spencer Reid.
DISCLAIMER: I personaggi non mi appartengono(tranne quelli da me inventati), sono di Jeff Davis. Criminal minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
NOTE: questa one-shot si colloca a metà fra Chimera e Carry me.


It’s a rainy day

Corro in ospedale con il cuore pieno di speranza, lei si è svegliata. E’ tornata da me, contro tutti i pronostici medici è tornata. Inveisco silenziosamente contro il tassista, reo di andare troppo lento. I minuti sembrano ora nell’attesa di poterla riabbracciare.
Voglio essere il primo ad entrare nella sua camera per farle sapere che non ho dimenticato, io l’ho aspettata impazientemente per quattro lunghi mesi e ora sono pronto a riprendere da dove abbiamo lasciato. Penso che sia stata una vera fortuna che la telefonata sia arrivata mentre ero ancora in casa, cosi ho potuto prendere l’anello. Ho deciso di darglielo per prima cosa, voglio che lei porti il mio anello subito, che tutti sappiano che ci amiamo e che siamo pronti al grande passo.
Mentre entro sorridente in ospedale penso che sia ironico che uno dei giorni più belli della mia vita piova in questo modo. Il tempo cupo stride con l’euforia che provo in questo momento. Ho preso le scale perché l’ascensore potrebbe andare troppo lento. Ho fatto i gradini di corsa a due a due per arrivare prima da lei.
Non vado neanche a chiedere notizie al dottore, troppo preso dalla mia felicità. Mi fermo davanti alla sua porta con il cuore in gola, pregustando il momento in cui i nostri occhi si incontreranno di nuovo e lei mi sorriderà in quel modo dolce che riserva solo a me. Prendo un respiro profondo per allentare la tensione del momento e con un sorriso che m’illuminava il volto, apro la porta.
Lei è seduta sul letto con i capelli in disordine e lo sguardo vacuo di chi non sa esattamente dove si trovi. L’infermiera accanto a lei sta prendendo la pressione e lei la osserva incuriosita. Sono ancora sulla porta quando si voltano entrambe. Il sorriso mi muore sulle labbra quando mi rendo conto di come mi guarda Sarah, come se non mi avesse mai visto e mi stesse studiando. Mi avvicino al letto e le prendo la mano, mentre lei continua a studiarmi.
-    Chi sei tu?
Quelle parole e il modo in cui aggrotta la fronte come per venire a capo di chissà quale articolato problema, mi gelano. Mi sento come se mi stessero strappando il cuore dal petto. L’infermiera mi ha visto varie volte in quella camera, mentre le leggevo un libro e le tenevo la mano nell’attesa che aprisse gli occhi.
-    Dottore, credo sia il caso di lasciare la paziente riposare, è ancora un po’ confusa.
Lascio quella mano che ho stretto tante volte, che ha accarezzato il mio viso con infinita dolcezza, ed esco. L’infermiera ha intuito il mio stato e gentilmente mi fa accomodare nella sala d’aspetto per i familiari annunciandomi che il dottore sarebbe arrivato a breve.
-    Dr. Reid? – il dottor Robertson, che ha avuto in cura Sarah negli ultimi quattro mesi, è fermo sulla soglia e mi osservava.
-    Perché non si ricorda di me? – chiedo trafelato.
-    Mi dispiace, certe volte non sappiamo esattamente cosa succeda nella mente di un paziente in coma…
-    Vuol dire che è solo temporaneo, giusto? Lei si ricorderà tutto appena passato l’intontimento - mi permetto di sperare, la speranza è l’unica cosa che mi è rimasta.
-    Mi duole comunicarle che non sappiamo esattamente quanto esteso sia stato il danno cerebrale dovuto a ipossia. L’amnesia potrebbe derivare da quello o da qualche altro genere di trauma. La signorina Collins potrebbe non recuperare mai più la memoria.
Con la coda dell’occhio vedo Erin Strauss entrare nella camera di Sarah. Lascio il dottore alle mie spalle e mi avvicino pronto a dare spiegazioni alla zia della mia ragazza, sul perché quest’ultima non ricordi.
Il mio mondo si ferma definitivamente mentre osservo la scena. Il capo sezione Strauss si siede sul letto e Sarah annuisce mentre le viene riferito qualcosa. Poi improvvisamente si slancia in avanti ad abbracciare sua zia con gli occhi colmi di lacrime.
Mi appoggio alla parete mentre il corridoio prende a girare vorticosamente intorno a me. Il dottor Robertson si avvicina e mi afferra per un braccio.
-    Si faccia forza ragazzo. Non c’è niente che noi possiamo fare adesso. Chissà, forse un giorno…
Mi scosto e m’incammino lungo il corridoio. Non ho più fretta di andare da nessuna parte, il tempo ha perso qualsiasi significato. Le porte dell’ascensore si aprono facendo uscire la squadra al gran completo. Mi guardano tutti sorridenti, ma anche loro diventano subito seri vedendo il mio sguardo perso.
Non rivolgo la parola a nessuno e premo il pulsante del piano terra. Morgan s’intrufola fra le porte prima che si chiudano e comincia a tartassarmi di domande. Non riesco neanche a capire cosa stia dicendo, vedo le sue labbra muoversi ma non afferro il significato delle parole.
Un’unica frase riempie il mio cervello: potrebbe non recuperare mai più la memoria, potrebbe non recuperare mai la più memoria, potrebbe non recuperare mai più la memoria.
Morgan si arrende non appena io mi avvicino alle porte scorrevoli che danno direttamente sulla strada, torna indietro e mi urla qualcosa, ma non credo abbia importanza capire cosa. Ora come ora niente ha più importanza per me.
Cammino lentamente senza badare troppo a dove vado, guardo fisso il marciapiede ormai allagato dalla pioggia battente. Strano, non mi accorgo quasi della pioggia, troppo perso dietro i miei pensieri e il mio dolore. Lei si è svegliata oggi, pensavano tutti che non ci fossero più speranze e mi rendo conto per la prima volta che per “noi” non ce ne sono veramente più.
Guardo in alto verso la pioggia e chiudo gli occhi, lasciando che l’acqua lavi via le mie lacrime che non mi accorgo quasi di versare. Lei amava la pioggia, adorava passeggiare sotto un bell’acquazzone. L’ultima volta che mi aveva convinto a uscire con la pioggia, camminavamo a braccetto mentre cercavo di coprirla con l’ombrello. Improvvisamente si era girata verso di me, aveva spostato l’ombrello e mi aveva baciato mentre la pioggia ci bagnava. Voglio ricordarla così per sempre, felice sotto la pioggia mentre mi mormorava il suo amore per me.
   
 
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