Crossover
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Autore: FleurDeLys    03/01/2011    3 recensioni
[Supernatural x Doctor Who]
[Personaggi: Castiel/Sally Sparrow]
“Mi chiamo Sally Sparrow, vivo a Londra e gestisco un piccolo negozio sulla Queen Street. Un anno fa ho incontrato un uomo chiamato il Dottore. Da allora è cambiato il mio modo di vedere il mondo. E di pensare allo scorrere del tempo. Il tempo non è quello che le persone pensano che sia. E' qualcosa di molto più complicato. Il tempo vacilla, va e viene, fluttua e traballa. E quando il tempo fa i capricci non si sa mai come andrà a finire. Adesso sta succedendo di nuovo e io mi ritrovo un angelo tra i piedi. Ma questa volta, quando dico angelo intendo un vero angelo: un angelo del Signore.”
[SPOILER 5° STAGIONE DI SUPERNATURAL]
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Telefilm
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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C07

Declaimer: Questa storia è stata scritta senza alcun scopro di lucro. I personaggi di Castiel e di Sally Sparrow non mi appartengono, ma sono proprietà di Eric Kripke (autore dell'universo di Supernatural) e Steven Moffat (geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.

Note:  Alt! Se avete aperto questa pagina attreveso il link  >Ultimo capitolo<  saltate indietro di una pagina. Questo è un doppio aggiornamento. ;)

IX

Per un attimo, Sally ebbe l'orribile impressione che l'agente Henrich si stesse sgonfiando. Sì, proprio sgonfiando. Sgonfiando e restringendo. Gli abiti si appiattirono, le braccia si accorciarono. Tutte le membra parvero rimpicciolirsi, in uno scricchiolio di ossa misto ad altri rumori viscidi e sordi, schiocchi di pelle e di muscoli tirati e poi compressi. I tratti del viso si contrassero come quelli di una maschera di cera impastata. Quando si distesero di nuovo, i lineamenti erano completamente mutati.

L'agente Henrich non c'era più.

Era una donna quella sul divanetto, abbigliata di nero e seduta in una posa lasciva, con le gambe accavallate.

Un lungo vestito le fasciava il corpo, mettendone in risalto le generose curve del seno, della vita e dei fianchi. Una chioma di capelli corvini e ondulati le ricadeva sul petto. Le spalle e la braccia erano nude e la spacco della gonna metteva generosamente in mostra le gambe tornite e slanciate. Lo strascico del vestito ricadeva sul pavimento: un sottile lembo di stoffa, arrotolato come un serpente accanto ai piedi della donna. Lucide e nere erano anche le scarpe dal tacco alto. Si sarebbe potuto definire un corpo perfetto se solo le braccia non fossero state martoriate da un intricato disegno di piccole cicatrici bianche. Erano fitte e numerose attorno ai polsi e si facevano più rade e meno marcate man mano che salivano verso il gomito. Era impossibile indovinare l'età della donna: il suo viso possedeva una bellezza tutta particolare, la bellezza vorace e soffocante di un colorato fiore esotico, dal profumo intenso e il succo velenoso. I grandi occhi verdi, sormontati da sopracciglia erte e leggermente arcuate, erano in incantevole contrasto con il colore ambrato della pelle. Il naso era dritto e stretto, la mascella forte eppure femminile, le labbra piene, scarlatte e ben disegnate.

«Sorpresa» disse la sconosciuta. E sorrise. Era un sorriso cattivo, un sorriso da strega.

Il termine sorpresa era quanto mai riduttivo per descrivere quel che stava provando Sally. La sua costernazione aveva raggiunto un livello tale da non riuscire più nemmeno ad essere espressa in modo visibile. Aprì la bocca un paio di volte e non le riuscì di spiccicare una sola parola.

«Sono o non sono brava con i travestimenti?» continuò la donna, senza smettere di sorridere. Ad ascoltarla bene, la voce non era affatto bella come lo era l'aspetto. Il tono era dolce e carezzevole, ma del tutto innaturale: era come ascoltare una serpe che tenta di imitare il canto di un usignolo.

La donna si alzò, con un gesto lento ed eleganza, un gesto adatto alla languida eroina di un melodramma.

Sally indietreggiò d'istinto.

La donna era alta, più alta di lei.

Sally chiuse le mani a pugno. Calma, doveva restare calma e lucida. E pensare, ragionare, capire.

«Tu non sei un essere umano» affermò.

«Bambina intelligente» sospirò l'altra, soave.

Sally deglutì.

«Chi sei?»

«Fossi in te non mi preoccuperei tanto del chi sono, ma del perché sono qui».

Sally fece un altro passo indietro.

Parlava con un lentezza nervosa, prendendo un respiro ad ogni pausa.

«Bene... allora, che cosa vuoi da me?»

La reazione della sconosciuta le fece saltare il cuore in gola.

I lineamenti della donna si indurirono, gli occhi si infiammarono di rabbia. Fece un passo verso Sally. «Io!» urlò la donna. La voce non era stridula, ma altisonante. «Io volere qualcosa da te? Cosa credi che possa volere io da un piccolo, patetico, insignificante esemplare di essere umano come te?» All'improvviso, la donna abbassò la testa e chiuse gli occhi, premendo le mani, strette a pugni, contro le tempie. «Tu sei come lui!» strillò, in preda a quello che sembrava un attacco d'isteria. «Sarete la rovina della mia felicità!» Strillava e muoveva le testa, come un serpente agonizzante sotto gli artigli di un rapace.

Sally trattenne il fiato, impietrita, con la mente che faticosamente annaspava alla ricerca di una mossa intelligente da fare.

«P-perché ti sei...» cominciò la ragazza, in un balbettio insicuro.

La donna abbassò le mani per guardare Sally. Sembrava essersi calmata. Gli occhi avevano perso la scintilla di pazzia.

«Perché ti sei finta un poliziotto?» riuscì a domandare Sally.

La sconosciuta le sorrise. Era nuovamente quel sorriso serafico e inquietante.

«Perché voi umani siete così portati a parlare apertamente con gli uomini che indossano una divisa» disse, col tono gentile di chi si sta rivolgendo a una bambina. «Avevo bisogno di informazioni e quello era il modo più semplice per ottenerle. Oh, certo, anche la tortura era un opzione, ma» sollevò una mano sfiorandosi la fronte con un gesto leggiadro, «ho i nervi delicati io. Le urla e i pianti proprio non li sopporto».

«Quali informazioni?» continuò Sally, adocchiando la porta dell'appartamento con la coda dell'occhio.

La donna guardò Sally inarcando le sopracciglia in un'espressione di candida sorpresa.

«Sciocchina, dovevo pur essere sicura che fossi la ragazza giusta».

«Giusta?»

«Sì, quella giusta da uccidere».

«Ah».

Non fu un grido quello di Sally, solo una vocale pronunciata piano, e a mezza bocca.

Che qualcuno mi svegli, stava pregando inorridita la ragazza.

Lassù dovevano aver un pessimo senso dell'umorismo. Lei desiderava un po' di movimento nella propria vita e in che cosa finiva con l'incappare? In cruenti omicidi, in fantasmi centenari, in strambi viaggiatori nel tempo e, per ultimo, in una non ben specificata creatura, palesemente squilibrata, con il vizio del travestimento e il pallino dell'omicidio. Tutti nella stessa giornata. La tragedia stava scivolando nel ridicolo.

«Beh, sta a sentire, mister Hyde... » Sally prese ad indietreggiare verso la porta, un passo dopo l'altro. «Trovati qualcun altro da uccidere, perché io con i mostri e morti per oggi sono davvero a posto...»

La donna rise di cuore. Aveva un'argentina risata da bambina. Orribile da sentir uscire dalle labbra di una donna.

Quel che accadde subito dopo Sally lo avrebbe sempre ricordato come una sequenza confusa.

Ebbe a mala pena il tempo di notare il movimento della mano della donna. Poi si sentì strappare a forza da terra e sollevare in alto, come se fosse afferrata da tante mani invisibili. Finì dall'altra parte della stanza, scagliata contro la parete. L'urto tra la schiena e il muro fu così forte e doloroso da mozzarle il fiato. Ricadde pesantemente sul pavimento, sbattendo il fianco e la testa. E restò lì, stordita, con la testa che le faceva così male da renderla quasi incapace di pensare. I passi della donna che attraversava il soggiorno erano un suono lontano e ovattato. La sconosciuta si fermò di fronte a Sally. Si accovacciò sul pavimento, piegandosi sui talloni. Sally si sentì scostare i capelli dal viso, con un amorevole cura. E udì la donna parlare, in un impeto di tenerezza.

«Dopotutto, mi dispiace ucciderti».

La sconosciuta costrinse Sally a sollevare il busto da terra e a mettersi seduta. A dispetto dell'apparente corporatura esile, la creatura era molto forte. Teneva la ragazza ferma per le braccia. Le belle mani affusolate avevano una presa di ferro; era come essere tirati su da due tenaglie.

«Ma devi riconoscere che non ti ho costretta io a fare la puttanella per quell'angelo. In tempi bui come questi che altro si può fare se non pensare alla propria felicità, alla propria sopravvivenza? Mors tua, vita mea».

Il dolore alla testa aveva annebbiato i sensi di Sally. Il discorso della sconosciuta, pronunciato con voce tanto dolce, non aveva per lei più senso del ringhiare di un cane. Ma per frastornata che fosse, Sally conservava abbastanza coscienza da rendersi conto di essere a un passo dalla morte. Sapeva che sarebbe morta senza mai saperne il motivo. Sotto le palpebre socchiuse, i suoi occhi castani si erano fatti lucidi.

«E poi, io ho così tanta fame» sussurrò la donna. Sally vide la donna sorridere, famelica, mentre sentiva la mano di lei scivolarle lungo il collo, dove pulsava la vena calda del cuore spaventato.

Fu in quello stesso istante che si udì uno scoppio e poi uno sfrigorio: il neon del lampadario era appena esploso in una cascata di scintille elettriche.

Ma tutto si aquietò presto, e al suono di un frullare di ali, la luce nella stanza era tornata debole e livida.

«Che cosa vuoi?» chiese la donna, a voce alta, in tono annoiato, ma senza smettere di sorridere. Non si voltò, continuava a tenere le sottili dita strette attorno al collo di Sally.

«Lo sai» rispose una voce bassa e roca, estranea a qualsiasi traccia di turbamento.

La donna ritirò la mano dal collo di Sally. La ragazza riuscì a fatica a mantenere la testa sollevata, mentre la sconosciuta si alzava in piedi.

Castiel era nella stanza, accanto alla finestra. I suoi occhi blu, seri e pieni di un controllato astio, erano fissi sulla misteriosa donna bruna. Le tende bianche si stavano riadagiando leggere al loro posto, come se fossero appena state mosse da un soffio di vento.

«E come potrei mai saperlo?» cinguettò la sconosciuta, con melliflua sorpresa. Si era spostata di qualche passo e ora Sally poteva vederla di profilo. La donna abbassò leggermente il mento e sorrise, civettuola, accarezzando con entrambe le mani una lunga ciocca dei suoi lucidi capelli. «Credevo di piacerti davvero tanto, visto che hai deciso di seguirmi attraverso il tempo, ma...» parlava con un tono di altezzosa ironia, « ...vedo che mi hai già sostituita con un'altra». La donna imbronciò le labbra, fingendosi offesa, mentre si voltava a guardare Sally, la quale, confusa e spaventata, se ne stava ancora seduta sul pavimento con la testa che le pulsava per il dolore e il cuore che le batteva forte.

Anche Castiel, senza muovere la testa, portò il proprio sguardo sulla ragazza. Ma fu uno sguardo volutamente sfuggevole e rapido, così rapido che Sally non riuscì ad incrociarlo.

«Da quando ti piaccio bionde e umane?» se ne uscì la donna bruna, tornando a guardare Castiel. Subito dopo batté le palpebre e si sfiorò le labbra con le dita, in un gesto di sorpresa. «Oh, a meno che...» la mano sollevata scivolò sul petto e la donna guardò Sally, impietosita. «Povera cara, gli angeli sono così cattivi ed egoisti». Si rivolse a Castiel e scosse la testa con aria di rimprovero. «Usare la povera ragazza per trovare me, vergogna Castiel! E ora che mi hai trovata e lo hai fatto, come presumo, per uccidermi, non vorrai almeno negarmi un ultimo pasto. Tutti i condannati a morte hanno diritto a un ultimo pasto». La melensa dolcezza che la donna infondeva alla voce era irritante. Tutto in lei sapeva di artefatto e sarcastico; un continuo farsi beffe dei suoi interlocutori, che si rivolgesse a Castiel o a Sally.

Con un scrocchio secco, la donna voltò il lungo collo verso Sally. Lei vide di nuovo quel sorriso simile al ghigno di un lupo affamato. Ebbe uno spasmo di spavento, come se non riuscisse a più a respirare. Guardò Castiel, ma lui non guardava Sally. Non si muoveva e non parlava. Non c'era né timore né preoccupazione sul suo viso severo. Castiel si limitava a starsene semplicemente lì, in piedi, con indosso il suo impermeabile chiaro, ad osservare la sconosciuta.

Come se avesse capito i pensieri di Sally, la donna disse:

«Non riporre in lui tanta speranza. Non ti salverà. Tu, per quelli della sua specie, sei poco più una scimmietta ammaestrata».

E poi fu un attimo.

Nel preciso, medesimo istante in cui la donna chiuse la bocca, Castiel scomparve da accanto alla finestra per ricomparire nel bel mezzo della stanza, frapponendosi tra la carnefice e la vittima: ora, senza dire una parola o fare un solo movimento, Castiel fronteggiava la sconosciuta, dando le spalle a Sally.

La donna rise di una risatina bassa e soddisfatta.

«Ho trovato un bambino geloso del suo giocattolino» cantilenò, avvicinandosi a Castiel.

Con un movimento svelto, come un gatto che allunga la zampa per graffiare il muso del cane che gli ringhia contro, la donna si accostò a Castiel. Gli passò una mano dietro al collo e con l'altra strinse la stoffa dell'impermeabile sulla spalla. Il volto di lei era tanto vicino a quello di lui da sfiorargli quasi la guancia con la propria. Sally non poteva vedere l'espressione di Castiel, ma quella della donna sì: ed era un'espressione di vittoriosa malizia. La vide schiudere le labbra cresimi per mormorare qualcosa all'orecchio di Castiel, ma Sally non riuscì a udire nemmeno una sillaba.

La donna arretrò, con la stessa rapidità con la quale si era avvicinata, e Castiel crollò in ginocchio sul pavimento. Sally si premette una mano contro le labbra. La donna rideva senza fiato.

«Povero il mio bell'angelo, ti hanno tarpato le ali! Sei debole! Se perfino più debole dell'ultima volta». La donna calmò l'eccesso di risa, svoltolandosi una mano davanti al viso. Poi socchiuse le palpebre, intrecciò le dita e portò le mani unite sotto al mento. «Il viaggio. È stato il viaggio, non è vero? Non riesci a viaggiare nel tempo senza indebolirti. Salti indietro di un anno e tanto basta a fiaccarti. Stai perdendo i tuoi poteri».

Tuttavia Castiel si era già ripreso. Le dita della mano sinistra stringevano la stoffa dell'impermeabile all'altezza del cuore, ma lui si stava rimettendo in piedi.

«Ne ho ancora abbastanza per fermarti».

La donna non sembrava minimamente intimorita.

«Fermarmi? Perché, cosa sto mai facendo di male?» chiese, delicata.

Castiel la fissò.

«Gli omicidi».

La donna reagì a quella risposta come aveva fatto poco prima con Sally. Ebbe un scatto da isterica. Alzò la voce, scossa da un tremore convulso.

«Ma da quale pulpito!» soffiò, come una furia. Sally si ritrasse istintivamente, scivolando verso la parete dietro di lei. Castiel, invece, era impassibile. «A un anno da qui, la tua famiglia sta gettando il mondo tra le braccia dell'Apocalisse e tu sei qui, a darmi il tormento per qualche necessaria requisizione di anime?»

«Le anime. A cosa ti servono le anime delle persone che fai uccidere?» continuò Castiel, imperturbabile nella voce e nell'atteggiamento.

La donna – la pazza, con questo termine cominciava a chiamarla Sally, dentro di sé – si era avvicinata al muro, a pochi centimetri dalla finestra. Premeva le mani contro la parete, come se avesse bisogno di un sostegno. Aveva smesso di urlare. Quando rispose, lo fece in un sussurro dolce, con l'espressione rapita e malinconica di chi ascolta una voce, o una musica triste, in lontananza.

«Non immagini quanto sia alto il prezzo dei ricordi» mormorò. Guardava fuori dalla finestra, con i grandi occhi verdi fissi su chissà cosa. «E tu...» si voltò verso Castiel, guardandolo con stupita dolcezza. «E tu, perché tu hai bisogno che io mi fermi? Ah, no!» Si staccò dal muro con una leggera spinta. «Non tentare di prendere in giro me! Tu fingi di avere a cuore le anime di quelle persone, o l'anima di chiunque altro. Ma il motivo per cui mi stai dando la caccia è un altro, io lo so bene». Fece una pausa, la bocca piegata in una smorfia di disprezzo. «Tu sei alla ricerca di qualcosa. Di Qualcuno. Lo stai cercando disperatamente. Cercare. Non puoi far altro che cercare, cercare, cercare e ancora cercare». Si mosse di un passo più vicina a Castiel. «Ma se mai la ricerca dovesse rivelarsi infruttuosa, allora che cosa ti resterebbe? Solo il rimorso di aver davvero perso tutto per nulla. Solo la consapevolezza di aver sopportato inutilmente tutto il dolore e la solitudine. Oh, la solitudine di un angelo caduto. Nessuno degli esseri umani dai quali sei circondato riuscirebbe mai a comprenderla. Ma adesso hai smarrito l'unica bussola in grado di guidarti nella ricerca. Credi che lo abbia preso io, l'amuleto?»

« No. Non lo credo. Ne sono sicuro » fu la risposta asciutta di Castiel.

La donna rise di nuovo, piano, tirando indietro la testa.

«Oh, certo che lo sei...»

Venne interrotta dalla voce roca ma decisa di lui.

«Come sei arrivata in questo tempo?»

«Sono potente».

«Non così potente. Tu non hai il potere di spostarti nel tempo. Come ci sei riuscita? Che cosa hai fatto?»

La donna rivolse a Castiel uno sguardo di disprezzo.

«Smettila di usare quel tono di accusa» gli intimò. «Io non ho fatto nulla. Non mi sarei mai messa di proposito in cerca di un modo per arrivare fin qui. Non mi piace la dimensione dei vivi. Qui nessuno mostra più un briciolo di rispetto per quelli come me» Per un attimo, spostandosi verso la finestra, riprese l'aria assente e distratta. «Solo i morti mi amano ancora. Mi sono rimasti fedeli, loro».

«Come hai fatto a tornare indietro nel tempo?» insistette Castiel, risoluto.

La donna gli lanciò un'occhiata di traverso.

«Ho solo guardato. Ho guardato attraverso la crepa e ho visto questa città, in questo tempo. E ho capito. Ho capito che mi era possibile tornare agli splendori dei tempi antichi... così l'ho attraversata».

Ci fu una pausa.

Per Sally quella tra Castiel e la sconosciuta era una conversazione senza capo né coda. L'unica cosa che la ragazza aveva capito era di essere finita tra l'ordito di una storia la cui trama era già iniziata, chissà quando e chissà dove. E nel mentre non si era dimenticata di pensare alla propria incolumità. Pur a fatica, si era appena rimessa in piedi, aiutandosi con una mano appoggiata alla parete. Si era resa conto che le tremavano le gambe, ma non avrebbe saputo dire se il tremore fosse per lo spavento o per il dolore. E quando aveva avuto un giramento di testa, si era confusamente chiesta quali fossero i sintomi di una commozione celebrale. Camminando accanto al muro, si era spostata fino ad arrivare dietro al divano, dove ora se ne stava, in piedi, ferma, con le mani appoggiate sopra ai cuscini ad ascoltare i discorsi tra Castiel e la pazza, bellamente ignorata da entrambi.

«Hai attraversato cosa?» domandò Castiel alla donna. E per la prima volta, da quando era comparso nella stanza, Sally credette di scorgere una rauca nota di insicurezza nella voce di lui.

«La crepa, stupido asino impiumato!» sbottò la donna. Poi si accostò alla finestra e mentre riprendeva a parlare, guardava in strada. «C'è una crepa nella mia dimensione dei morti che si affaccia su quella dei vivi. È nell'Erebo, lungo un maestoso pilastro nel palazzo del Sonno... Oh, non che sia realmente lì, su quel pilastro. Suppongo che la crepa esisterebbe anche se non ci fosse alcun pilastro. La crepa è il confine tra le epoche e i mondi, un confine che si indebolisce sempre di più».

Voltò il capo e guardò prima Sally e poi Castiel.

«E voi, non vi state accorgendo di nulla». Il suo sguardo e le sue parole erano sporcate di un amaro divertimento. « Gli esseri umani sono ottusi e limitati. Gli angeli, altrettanto ottusi, sono troppo occupati a farsi la guerra con i demoni. Tutti i vostri sguardi sono puntati sulle vicende di questo piccolo pianeta e restate cechi davanti al resto dell'Universo» Tornò a guardare fuori dalla finestra. «Ma io sono antica abbastanza da avvertire le ferite dell'Universo. L'Universo langue, ha bisogno di cure». Sollevò il mento e guardò verso il cielo nuvoloso. Sally avrebbe giurato che stesse sorridendo. «Credo che l'Universo abbia bisogno di un dottore... » Infine la donna voltò la schiena alla finestra. «Castiel» chiamò «se io muoio, nessun altro saprà dirti dove si trova il tuo prezioso amuleto, quindi non ostacolarmi più. E per quanto riguarda la tua cara scimmietta, lei morirà molto preso, che tu lo voglia oppure no».

«Hai bisogno anche della sua anima?»

«Anima? Chi ha detto che sono interessata alla sua anima? Mi è sufficiente che smetta di vivere».

La donna allargò le braccia e il vetro della finestra dietro di lei vibrò come scosso dal rombo di un tuono. Vibrò e scricchiolò, mentre si ricopriva di una ragnatela di sottili venature.

Sally comprese al volo quel che stava per accadere. Si accucciò sui talloni, nascondendosi dietro al divano appena in tempo. Udì il rumore del vetro che andava in frantumi e la stanza fu invasa da un'esplosione di schegge. I piccoli e appuntiti frammenti di vetro schizzarono ovunque, si conficcarono sulle superfici morbide e rimbalzarono pericolosamente su quelle rigide, in un impazzito tintinnio. Si conficcarono nei cuscini del divano, si piantarono nella carta da parati, graffiarono il legno e la plastica dei mobili.

Ma durò poco. Pochi secondi e tutto tornò tranquillo.

Sally abbassò le braccia da sopra la testa. Illesa ma scossa, si azzardò a rimettersi cautamente in piedi. Il pavimento era coperto di frammenti di vetro. La stanza si stava riempiendo di aria fredda e umida: il vetro della finestra era stato completamente sbriciolato. Le tende bianche svolazzavano leggere. Della donna bruna non c'era più traccia. Castiel invece era ancora lì: stava in piedi davanti alla finestra rotta. Guardava fuori. In lui la sola vittima della pioggia di vetro sembrava essere la manica dell'impermeabile, quella del braccio con il quale doveva essersi riparato il viso. Non aveva un graffio, né sul volto né sulle mani.

Da lontano arrivò il suono smorzato di una sirena. Tic tac, tic tac, continuava imperterrito l'orologio della cucina.

Sally, confusa, dolorante e ancora vittima dei postumi dello spavento, puntò lo sguardo su Castiel, che seguitava a darle le spalle.

«Ehm... ok...» mormorò Sally. «Io... io sto bene. Non preoccuparti per me». E si strinse una mano attorno al braccio destro: le faceva male, ci era caduta sopra.

L'udito di Castiel era di gran lunga migliore della sua sensibilità.

«Non mi sto preoccupando per te» precisò. Non lo aveva detto con cattiveria. Aveva parlato come se Sally avesse fatto un'affermazione sbagliata e fosse necessario correggerla, ignaro di quanto sconfortante potesse essere per Sally sentirsi dare una simile risposta.

«Sì, l'ho visto...» sussurrò Sally con debole filo di voce, continuando a stringere il braccio. Ora si sentiva dolorante, spaventata e triste; una tristezza amara che pungeva sul fondo del suo cuore di essere umano.

Sally lo stava ancora guardando quando Castiel si degnò di voltarsi verso di lei. Osservò la ragazza con un cipiglio confuso. Negli occhi chiari c'era qualcosa di simile all'esitazione, ma per Sally era impossibile capire cosa passasse nelle mente di lui.

Poco prima, la misteriosa donna, con quel suo modo di fare beffardo, aveva lasciato intuire la sua convinzione che Castiel avesse a cuore Sally. La verità era che la donna si sbagliava. Castiel non aveva nessuna particolare predilezioni per la ragazza. Lei non gli era cara. Lei non era sua amica. Sally Sparrow era un essere umano e gli esseri umani erano la preziosa opera del Padre di Castiel. Sally era dunque preziosa, ma non più preziosa di chiunque altro.

Davvero poco conosceva Castiel delle complesse e sfaccettate emozioni che allietano e tormentano il genere umano. Egli era una creatura che aveva vissuto per secoli nel silenzio dei sentimenti, senza conoscere altro che la muta obbedienza e la cieca fedeltà. Così tante volte gli era stato difficile sopportare il peso del dubbio e dell'incertezza, della paura e della sofferenza. Era un essere millenario, ma per capire i sentimenti aveva bisogno di osservare gli uomini dalla breve vita. E, a modo suo, si sforzava di comportarsi seguendo l'esempio dei soli esseri umani ai quali era stato tanto vicino da poter imparare qualcosa sull'umanità tutta.

Così, in quel momento, Castiel comprese la paura di Sally. Vide che era paura quella che tratteneva la ragazza dietro al divano, timorosa di farsi più vicina. Riconobbe la paura nell'ansare silenzioso che animava quel caduco corpo di donna. La riconobbe nel piccolo petto che si alzava e si sollevava, nel tentativo di calmare un respiro ancora affannato dallo spavento. La riconobbe nel modo apprensivo e insicuro con il quale Sally teneva il capo basso, seppure i grandi occhi castani restassero coraggiosamente puntati su di lui.

«Se ne è andata» disse Castiel. E così come la piccola tremolante luce di un fiammifero tenta di rendere meno minaccioso il buio, allo stesso modo la calma con cui lui aveva pronunciato quelle poche parole avrebbe voluto lenire lo spavento dell'essere umano.

Sally poggiò le mani sul divano e fece scivolare le unghie sulla stoffa ruvida. Proprio come era successo nel parco, quando una situazione reale cominciava a perdersi nei meandri di un'assurdità quasi onirica, il contatto fisico con gli oggetti aiutava Sally a scacciare l'ipotesi di essere davvero in un sogno. Respirava ora con più leggerezza.

Castiel sollevò lo sguardo. Guardò Sally. Lei capì che stava per dirle qualcosa e non chiedeva altro. Ora che la paura si era affievolita, era impaziente di sapere. Di capire. Ed era un'impazienza quasi dolorosa.

Castiel parlò.

«Hai incontrato un cane?»

Sally restò di stucco. Dapprima fissò Castiel a bocca aperta. Poi sbatté le palpebre e chiuse la bocca. Infine, la riaprì.

«Ho incontrato un... cosa?»

CONTINUA.

   
 
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