Sì,
lo ammetto, un po’ ci ho preso gusto a scrivere one-shot, un
po’ quando ho
visto il tema del concorso non ho potuto fare a meno di partecipare.
Non
sono usciti ancora i risultati, ma prometto di tenervi aggiornati ;)
Fanfiction
scritta per il contest “What
if…
e se il succhiasangue
fosse morto”
[EDIT
dello 02/02/2011] Sono appena usciti i risultati del contest, e sono
davvero
felice di informare chi leggerà la storia, e chi
avrà il piacere di rileggerla,
che questo piccolo pezzo del mio cuore si è classificato al
primo posto.
Grazie
a tutti quelli che mi hanno recensita in precedenza, a chi
recensirà, e a chi –a
differenza di me- era convinto che sarebbe stato questo il risultato.
Grazie
davvero.
Un
grazie particolare va a Nan96 che ha organizzato il contest, e che ha
scritto
dei giudizi puntuali per tutte le storie partecipanti.
Grazie
davvero di cuore.
Partisti
per quella missione impossibile, insieme alla succhiasangue. Rimasi di
fronte a
casa tua come un idiota, e come un idiota, il giorno in cui tornasti
ero fuori da
casa tua, nascosto tra gli alberi. Volevo vedere il tuo sorriso per
l’ultima
volta, prima che il vampiro ci separasse ancora. Scendesti
dall’auto e ti
rifugiasti tra le braccia di Charlie. Lo sportello si chiuse dietro di
te, la
macchina ripartì e tu pronunciasti due parole.
“E’ morto”.
Per
giorni rimasi a fare la guardia alla tua finestra. La mattina aspettavo
che
partissi per andare a scuola, prima di andare anch’io, e il
pomeriggio ero al
mio posto prima ancora che tu rientrassi.
Ti
sei mai accorta di me?
Vivesti
in silenzio per mesi. Di giorno, attenta che ogni parola non ti
riportasse il
pensiero di lui. Di notte probabilmente non sognavi neanche
più. Era come se
con la sua vita si fosse portato via anche la tua. E non riuscivo a
sopportarlo.
Sopravvivevi,
ma non vivevi. Lo
facevi per tua madre, per tuo padre. Mi illudo che lo facessi anche per
me.
Fino
a quella notte.
Un
grido straziante ruppe il silenzio della cittadina dormiente. Un
incubo, e il
risveglio che ne era seguito, ti aveva riportata nel tuo corpo. Eri di
nuovo
cosciente.
Attesi
che Charlie ti consolasse e uscisse dalla tua stanza, rassicurato da
quel sonno
in cui fingesti di essere caduta. Ma io sentivo il tuo cuore battere
impazzito
per la paura di sognare ancora. Di ricordare ancora.
Mi
arrampicai sull’albero di fronte alla tua finestra.
L’avevo già fatto altre
volte, vegliavo sul tuo sonno, quando non mi era permesso fare altro
che
questo.
Mi
fermai lì, a cavalcioni su quel ramo che sbatteva contro il
vetro della tua
finestra ad ogni colpo di vento o in risposta ad ogni mio
impercettibile
movimento.
Ti
alzasti e venisti a sollevare la fragile barriera tra
l’interno e l’esterno. Ti
sentii sussurrare al vento una preghiera. “Edward, torna da
me”.
Crollasti
a terra, come se la tua coscienza avesse risposto a quel desiderio
ricordandoti
che non poteva tornare, perché non esisteva più.
Fu
solo allora che sentii il primo singhiozzo squartare il tuo petto. Fu
solo
allora che vidi la prima lacrima scorrere sulla tua guancia. Solo
allora, con
la consapevolezza che lui non sarebbe più tornato da te.
Non
riuscivo a sopportare che quel succhiasangue riuscisse a farti del male
anche
da dove si trovava in quel momento.
Entrai
nella tua camera con un solo agile balzo, senza pensare alla ramanzina
che mi avrebbe
fatto tuo padre se mi avesse trovato lì.
O
forse no, in fondo lui ha
sempre fatto il tifo per me.
Mi
sedetti in terra al tuo fianco, e ti strinsi tra le mie braccia.
Nessuna parola,
tra me e te. Non erano mai servite. Ti aggrappasti a me e piangesti
fino ad
addormentarti, sfinita.
Non
riuscii ad abbandonarti, quella notte, e neanche tutte quelle che
seguirono.
Venivo da te subito dopo che ti eri addormentata e rimanevo fino
all’alba.
Poi,
un giorno, prima di ripartire per l’università,
fosti tu a venire da me. Ero
nel garage a pulire il carburatore della Golf, quando sentii il
borbottio
familiare del vecchio pick up, che preannunciava il tuo arrivo. Lasciai
a terra
la chiave da otto e ti venni incontro, senza neanche preoccuparmi di
ripulire
il grasso dalle mani. Scendesti senza neanche spegnere il motore di
quella
vecchia carcassa ambulante e mi volasti tra le braccia con un sorriso
che
avrebbe fatto sciogliere un ghiacciaio, e che mi rendeva felice,
perché era
solo mio.
“Grazie.
Ho capito” mi mormorasti.
Non
mi hai mai detto cosa avevi
capito. Ma da allora mi sei sempre stata accanto.
Mi
eri accanto il giorno del mio diploma.
Mi
eri accanto quando il signor Dowsey
mi assunse alla
sua officina, per una paga che non valeva neanche un quarto delle mie
capacità.
Mi aiutasti a capire che quel lavoro mi sarebbe servito per farmi un
nome in
città se avessi voluto aprire un’officina mia.
Mi
eri accanto quando mio padre ebbe quell’infarto e pensavamo
che non ce
l’avrebbe fatta. Eri lì a tenermi per mano, e fu
la prima volta che pensai che
il suo fantasma stesse iniziando a sparire.
Mi
eri accanto quando aprii la mia officina, e nella foga dei
festeggiamenti ti
sollevai tra le mie braccia e ti baciai. Abbassai gli occhi,
imbarazzato,
quando mi accorsi di quello che avevo combinato. Ridacchiasti
– del mio
imbarazzo? – prima di rispondermi. “Sì,
è lo stesso per me, Jake”.
Mi
eri accanto quando provai il mio primo smoking, e ridesti dicendomi che
somigliavo a un pinguino troppo cresciuto. Poi ti avvicinasti e mi
sussurrasti
che mia madre sarebbe stata fiera di me.
Mi
eri accanto quando decisi di smettere di trasformarmi. Non
c’era più motivo di
avere un branco. Non te l’ho mai detto, ma forse
l’hai capito da sola, avevamo
ucciso anche la sanguisuga dai capelli rossi, prima che compissi quella
scelta.
**********
Mi
sei accanto adesso, a dieci anni dal tuo viaggio in Italia, di fronte a
un
altare con il padre della tua amica Angela che sta per dichiararci
marito e
moglie. Ho in tasca una lettera, è arrivata dalla Svezia, ed
era dentro il
pacco contenente la collana di perle che indossi in questo momento.
Dentro
c’era solo un biglietto.
“Riesco
a vedere quanto la renderai felice. A.”
Il
pacco era indirizzato a me, ma sulla lettera c’è
il tuo nome, e dovrai essere
tu a decidere se aprirla o meno.
So
che hai capito che c’è qualcosa che non ti ho
detto, mi capisci sempre al volo,
Bella, ma non mi hai chiesto niente. Come fai sempre. Aspetti sempre
che sia io
a decidere il momento.
Finita
la cerimonia, ti stringo tra le braccia per un attimo, poi ti lascio
andare e
ti consegno la busta.
La
guardi, te la rigiri tra le mani.
“Quando
è arrivata?”
“Stamattina.
Con… questa” rispondo, sfiorando il filo di perle
al tuo collo.
Sospiri
e rabbrividisci. Cingi le braccia al mio collo e sussurri:
“Può aspettare,
Jake. Oggi è solo nostro”.
Spero
davvero
che vi sia piaciuta
Se
voleste
spendere un po’ del vostro tempo per lasciarmi due paroline
in un commento, vi sarei
davvero grata J