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Autore: topolinodelburro    07/01/2011    0 recensioni
Shinobu era consapevole di quanto quella carta fosse stupida, ma non riusciva a non stringerla spasmodicamente tra le mani. Di sicuro una volta giunto a casa se ne sarebbe liberato, o l'avrebbe fatto sua sorella al posto suo. Nel frattempo, rossa, spiegazzata, veniva osservata ogni tanto, di nascosto, giusto perchè Ephraim non si accorgesse che la stesse studiando forse un po' troppo rispetto a quanto avrebbe dovuto.[...]
Avrebbe potuto regalarla a Miyagi-san forse, probabilmente gli avrebbe portato fortuna; dopotutto era lui tra i due, quello che credeva ciecamente nell'astrologia.
[Seconda classificata al contest "le 22 stelle(multifandom)" indetto da souseiseki]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Nuovo Personaggio, Shinobu Takatsuki , Yō Miyagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dicembre, aveva nevicato, e fuori gelava.
Non c'era anima che potesse volere dei fiori con quello schifo di tempo, ed in negozio non si faceva vivo nessuno da almeno due ore.
Quando scoccò la terza, l'anziana donna per la quale lavorava gli si rivolse con sguardo materno e gli disse che avrebbe potuto andare a casa senza preoccuparsi.
Accennò un ringraziamento con il capo e togliendosi il grembiule si preparò per uscire, raccogliendo il suo cappotto e le sue cose.
Si intromise nel traffico cittadino con le mani in tasca, pensieroso, il cielo di Sado era plumbeo e quella notte sarebbe stata nera senza stelle. Aveva continuato a guardarle, e precipitare, ma aveva scoperto che il fondo dell'essere umano era più lontano di quanto potessero insegnare.
Quel piccolo negozio lo gratificava alcune volte, e la fioraia che possedeva il locale gli si rivolgeva affettuosamente, colpita dalla sua giovane età e dalle sue guance così arrossate a causa del freddo pungente.
In casa l'inverno attraversava le porte e si infiltrava tra gli spifferi delle finestre, sino a gelare l'atmosfera tra lui e Miyagi. Si vedevano raramente, l'uomo mangiava fuori e lui era stanco di cavoli, saltare i pasti non gli importava veramente.
Dormivano in camere separate ora, ed i loro discorsi vergevano dal tempo atmosferico alle ultime notizie del giornale nazionale, eppure Shinobu amava profondamente Miyagi.
Ma ogni volta che gli si avvicinava, si sentiva inadeguato e doveva scappare, per non tremare, non sapeva nemmeno lui per cosa.
Giunse a casa, era nel pianerottolo condoviso del loro appartamento, guardando la porta di fronte a sè si sentì un estraneo, stropicciò i piedi sul tappetino. Nel portaombrelli c'era un ombrello nuovo.
Raccattò la chiave dalla tasca del suo cappotto e la infilò nella toppa dell'entrata facendola tintinnare. Fece schioccare la serratura e agganciò l'oggetto metallico su di un chiodo alla sua destra.
-Sono a casa- Si fermò a mezz'aria al centro dell'atrio seriamente rivestito dal parquet. Il legno scuro africano creava linee parallele ed evidenti, la posa era stata effettuata accuratamente e con gusto cromatico; le tavole più chiare balzavano agli occhi e si affogavano in quelle più scure creando un gioco simile ai riflessi del mare.
Abbondonò il suo cappotto sul divano del salotto adiacente, e dopo essersi tolto le scarpe prese a circolare in direzione della cucina, al primo piano non c'era nessuno.
Si ricordò di qualcosa.
Fece retromarcia e si precipitò allo sbocco della scalinata in beola verde prendendo a valicarla saltando gli scalini a due a due; giunto alla fine si mise a correre lungo il corridoio che dava sull'area giorno e quivi prese di nuovo a correre, finchè non si fermò. Prese fiato, poi proseguì nuovamente, deciso, verso lo studio di Miyagi.
La casa era vuota. Afferrò la maniglia della porta in palissandro dell'ufficio dell'uomo e la torse, tirandola verso di lui; i cardini dell'uscio perfettamente oliati fecero scivolare l'anta sul tappetino decorativo, senza emettere un cigolio. Era un bel tappetino, ricamato in continui e confusi centri concentrici, ma un'impronta bagnata di neve e terriccio lo macchiava stupidamente.
Un odore dolce gli arrivò alle narici e seppe già cos'era.
Guardò dentro la stanza, piano scivolò verso terra, trattenendo una presa ferrea sulla maniglia in ottone. Vide suo padre giacere sul parquet senza muoversi. Un liquido amaranto si era rappreso nel legno da... Vedeva ancora quel rivolo grumoso e compatto di sangue scuro che gli colava dalla bocca; un buco gli squarciava il petto ora, e da quello sbocco il suo corpo morto vomitava liquido scuro, si liquefaceva, e colava sul pavimento in un impiastriccìo di melma. Serrò le palpebre, e quando le riaprì tutto era sparito, tranne suo padre ed il suo sangue si era trasformato in una carta rossa opaca che non produceva profondità sul pavimento e non sembrava avere spessore.
Sbattè gli occhi ancora, e Le Stelle erano svanite. Suo padre era svanito, Shinobu stava in piedi e stringeva la maniglia della porta.
Miyagi era seduto alla sua scrivania, accanto a lui un ragazzo che poteva avere i suoi anni con un profumo dolce.
L'adulto l'aveva visto, alzava lo sguardo, lo alzavano entrambi.
L'uomo gli sorrideva sghembo, il ragazzino non era intimorito, era grazioso e spavaldo, come lui. Miyagi gli prendeva una mano tra le sue e se la portava alla bocca, la baciava, lo baciava sulle labbra, e Shinobu si tratteneva in piedi con una forza che non credeva di avere pur di non essere umiliato.
Poi il professore si alzava, Kami, era alto, non se lo ricordava così bello, mentre si muoveva lentamente ed inesorabilemente verso di lui con quel sorriso intrigante ancora formato sui suoi lineamenti. Gli si avvicinava, Shinobu iniziava ad avere caldo, ed il cuore aveva preso a sanguinargli tra le costole; lo amava così tanto, mentre Miyagi...
Miyagi gli era di fronte. Non sorrideva.
-Shinobu-
Dalla tasca della giacca estraeva una rivoltella, la puntava, lo guardava.
Gli sparava.
-Shinobu?-
E lui moriva.
Dovette riprendersi, e scuotere il viso, fu costretto a farlo.
Miyagi ed il ragazzo sedutogli accanto lo osservavano straniti, il più maturo possedeva anche un'ombra di preoccupazione nelle sue iridi scure. Erano entrambi seduti alla scrivania, molti fogli erano sparsi accanto a loro, libri di testo, penne, ed enciclopedie, alcune tazze vuote erano abbandonate poco più in là, sopra un comodino.
Stavano studiando probabilmente, o lo avevano fatto, era ora di cena ormai. Il giovane parve accorgersene e si alzò frettolosamente, raccattando i suoi libri e dirigendosi verso l'uscita dello studio.
-Grazie infinite Yo-sama, davvero, non avrei saputo a chi rivolgermi-
-Oh, figurati, aiutare gli studenti è il compito di ogni professore-
Si scambiarono dei cenni, poi il ragazzo si dileguò, sotto lo sguardo inquisitorio di Shinobu. Lo vide attraversare baldanzosamente il corridoio, e pensò che la sua camminata fosse sensuale.
Doveva avere la sua stessa età, lo studente, ed erano della stessa altezza. Anche i loro capelli, erano molto simili.
Se ne andò e chiuse la porta dello studio del suo compagno senza aspettare nessuna spiegazione.
Accidenti, ripeteva a quelle stelle, su quel poggiolo, accidenti, Miyagi è mio.
La situazione con l'inizio della stagione fredda pareva aver preso una piega più tranquilla, apparentemente. In seguito al rifiuto da parte dell'università della sua iscrizione e all'improvvisa scomparsa di Ephraim, il destino gli si era svelato più benevolo, almeno in parte.
Aveva trovato lavoro, e nella monotonia, contianuava la sua vita. Miyagi era l'ultima sua grande perdita, lo sentiva. Ma non l'avrebbe permesso, perché poteva giurarci, era destino che loro stessero insieme.
Quindi, accidenti stelle; non si rivolgeva più alla carta distrutta, aveva sperato fosse solo quell'oggetto la causa delle sue maledizioni, ma esse continuavano a manifestarsi anche in sua assenza e Shinobu si arrovellava di supposizioni nella confusione dei suoi pensieri.
Sprecava giorni che gli sfuggivano dalle mani come acqua corrente; Capodanno sembrava lontano, poi si avvicinava, passava, e l'anno nuovo era come quello vecchio, lui era uguale a prima, e Miyagi era sempre troppo lontano, molto lontano, e gli mancava.
Lo studente continuava a frequentare la loro casa, aveva scoperto che si chiamava Takumi, ed era uno dei prossimi astri nascenti della letteratura, nonchè un candidato eccezionale al premio nobel, almeno a detta del professore. Sembrava essere molto orgoglioso di lui, delle volte lo invitava perfino a fermarsi per cena, ma da parte sua non gli aveva mai dato molta confidenza.
Shinobu si rivedeva in lui, e vi ritrovava quello che era, così simili, e Miyagi sembrava così felice quando si trovava a discutere con il suo studente; Takumi era il suo fantasma, ed aveva capito che il professore era ancora innamorato del suo spettro di un tempo, quello che aveva più volte definito terrorista, il ragazzino egoista e viziato che credeva ciecamente nel destino.
E forse Takumi era più simile al suo sè stesso di un tempo di quanto non potesse esserlo lui in quel momento, dopo ciò che Le Stelle avevano dettato dispettosamente di scrivere sul suo destino, ad una mano incauta ed indifferente.
Ecco, ciò che allontanava Miyagi, piano, proggressivamente, lo perdeva.
Fu in seguito ad una delle loro cene a tre, dopo che Takumi se ne fu andato che lui prese parola sull'argomento, stringendosi la gola perchè non sanguinasse per il dolore del bruciore che le imminenti lacrime gli provocavano.
Cos'era che gli stava urlando che Miyagi avesse smesso d'amarlo?
Non lo guardava, si affaccendava intorno alla tavola abbandonata della cucina, raggruppando le stoviglie sporche, mentre Shinobu rimaneva in piedi aggrappato allo schienale della sua sedia, e lui sì, che non gli toglieva gli occhi di dosso.
-Da dove viene?-
Il profesore si fermò -Perchè ti interessa?-
-Così-
Miyagi alzò il viso, riusciva a trattenere gli occhi del ragazzo sui suoi, mentre questi, grigi, prendevano la consistenza dell'argento colato e sembravano liquefarsi, annacquati dalla rabbia che poteva scorgergli sul viso, alla sua freddezza.
Volle vergognarsi, e sprofondare, era stato Shinobu a spingerlo a fare questo, lui, con quei pensieri impenetrabili e quei silenzi, che lo avevano allontanato. Lo odiava, ma pregava perchè la sofferenza sul suo volto scomparisse all'istante, e gli lasciasse solo il barlume di un sorriso, almeno quello. Non poteva realmente odiarlo, ma era rimasto deluso dalla sua debolezza.
No, merda, Shinobu aveva lottato fino allo stremo, Miyagi lo sapeva e l'aveva visto farlo, ed ora, ora era ai limiti, ma quella cosa che lo tormentava, quel veleno che gli circolava sulla pelle non voleva ancora lasciarlo respirare.
Eppure, poteva percepire ch'era qualcosa che Shinobu aveva creato con le sue stesse mani, con quelle malvage favole mentali in cui era solito viaggiare.
-Ti piace?- domandò, parlando di Takumi.
-No, a te piace?- -Se anche fosse?-
Lo vide rabbuirsi e non rispondere. Fu colto da un moto d'energia repressa nei confronti di quel ragazzo che non trattenne, ma gli riversò addosso, sporcandolo.
-Lo vedi come sei?-
Gli si avvicinava, poi lo spingeva, si era ritrovato a volerlo d'improvviso, sino a fargli male, stava male, Miyagi.
-Non vedi come mi fai stare?-
Lo toccava, e Shinobu restava zitto, tremava, e quando quei tocchi si fecero più irruenti prese a tremare di più, e pianse.
Era quello che aveva ottenuto, quello che rimaneva, era non amore che si sommava tra di loro.
Troppa paura di perderlo per dimostrargli affetto sincero. Troppa poca voglia di vivere per sorridergli e dirgli che era ok. Troppe congetture per avere il tempo di dirgli ti amo.
Troppe stelle, troppe paranoie, egoismo fin sopra al collo, e quello che aveva ottenuto ce l'aveva davanti.
Non amore. Non vita.
   
 
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