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Autore: pizzigri    07/01/2011    3 recensioni
La storia si basa su un capitolo del fumetto (e non dell'anime); esattamente il 333 nell'edizione originale. Avevo voglia di esplorare un punto di vista completamente diverso (un universo alternativo), ma allo stesso tempo cercando di rimanere nel continuum tradizionale (potrebbe in un certo senso essere letta come una side story ufficiale). Non so scrivere bene in Italiano, preferendo l'Inglese... ma comunque, spero vi piaccia. Apprezzo molto le critiche costruttive ed i commenti!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Atarù Moroboshi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Finalmente libero.

Di Pizzigri

La sveglia suona insistente, sono le cinque e mezza, con una certa fatica mi sveglio e maledico, come faccio ormai da cinque lunghi anni, il giorno che ora comincia.
Penso, come al solito, se questo sarà il giorno. Se sarà questo il giorno in cui sarò libero.
Finalmente libero.
Mi vesto, come ogni mattina, pensando a Lei. E pensando al mio padrone, e indosso come sempre il tradizionale Shozokunero da Shinobi, in cotone e seta, di qualità elevatissima, uniforme obbligatoria per i dipendenti di rango elevato, per intenderci quelli autorizzati ad essere costantemente a contatto con il Padrone, e la sua Signora.

Rango elevato… mi viene da ridere. Sono il Primo degli Ultimi, selezionato per il particolare rapporto esistente tra me e il Padrone. Posso usufruire della migliore cucina, sarti italiani, palestre, se volessi persino di compagnia femminile… il mio appartamento è più lussuoso di una suite imperiale di un albergo a sei stelle. E in caso di bisogno, ho a disposizione le migliori cure mediche, letteralmente, del mondo. Ovviamente la lista non finisce qui.
Ma, non mi importa. Ho perso il Rolex 6264 Daytona in qualche cassetto, indosso ancora il mio Casio da 2000 yen. Non riesco a ricordare dove posso aver messo le chiavi della BMW, non che mi servano, visto che non ho la patente. E, la mia paga è misera. Certo i soldi non servono. Non c’è modo di usarli; perciò, da anni, li mando integralmente alla mia famiglia, a mio padre e a mia madre, fuori di qui.
Sono uno schiavo, anche se trattato da altri schiavi come un re; perché vi è già un Dio, ed una Dea, in questa immensa magione, che può disporre di tutto e di tutti. Sono uno schiavo volontario, sono io che sono venuto qui. Io che mi sono prostrato ai suoi piedi, sono io che l’ho supplicato di assumermi, senza condizioni.  Anche gratuitamente.
Purché potessi essere vicino a Lei, nel momento in cui saremmo stati liberati.
Perché un giorno saremo liberi. Liberi. Io lo so, ma sono l’unico. E posso solo aspettare, con pazienza, quanto inevitabilmente avverrà.

Indosso il mio takuhatsugasa, come un monaco buddista.
Chissà perché il Padrone è così fissato con queste idiozie.
Finisco di prepararmi e mi avvio per i corridoi, interminabili, di questo incredibile castello. Mi ci sono voluti nove mesi, per conoscere ogni angolo di questo posto. Incontro e saluto alcuni colleghi, tra cui anche alcune delle guardie del corpo scelte, vestite invece all’occidentale, ma il colore è sempre nero. Sono tutte armate; a me non è concesso nemmeno un coltello da tavola a cena.

Arrivo finalmente al mio posto di lavoro; a poche decine di metri dagli appartamenti nobili, dove Lei e il mio Padrone passano la notte.
Ogni volta che arrivo qui, mi sento girare la testa, una rabbia repressa mi sale premendo nella mia mente, spingendola sull’orlo della pazzia e con uno sforzo sovrumano riesco, ogni volta, ogni maledettissima volta, a rinchiuderla nuovamente nel mio cuore.

Non posso fare niente.

Niente.



Perché altrimenti rischierei di modificare qualcosa, rischierei che il giorno della Liberazione…
No. Mi costringo, per la novecentesima volta, a sorridere.
A pensare che, in fondo, se Lei è felice, anche io debbo esserlo… per Lei. Anche se non sono sicuro che Lei lo sia.
Da quel giorno, non ho più parlato, con Lei.
Da quel maledettissimo giorno… in cui il mio Padrone, con una trappola che non avrei mai potuto immaginare, mi ha incastrato.
Mi ha rubato Lei. Me l’ha portata via. Non me lo sarei mai aspettato, non da Lui. Credevo che avesse Onore. Credevo che, in fondo, mi fosse amico.
E poco importa che sono riuscito a ricostruire tutto.
Poco importa che con pazienza sono riuscito a ricostruire tutto, sono riuscito a trovare le prove, che dimostrano senza ombra di alcun dubbio la mia innocenza.
Ormai il mio Padrone l’ha fatta Sua.
E in mia presenza.
Mi ha voluto dimostrare la mia impotenza, e il suo Potere, vastissimo, talmente vasto da poter piegare me.
Ma io ormai già sapevo. E sapevo che questo è il mio destino, perché ho capito, mettendo assieme tutti i pezzi di questo puzzle, dove mi trovo, chi sono realmente e soprattutto perché sono qui.
E sebbene l’immenso strazio di quanto mi è successo mi distrugge l’anima e il cuore, io so…
IO SO che tutto questo ha uno scopo, che tutto questo ha una ben precisa direzione e soprattutto so cosa succederà.
È la mia forza. Ciò che mi ha permesso di non togliermi la vita e che mi spinge ad andare ancora avanti.

Io sono qui che aspetto.

Aspetto.
 
 
Aspetto…



Possono passare giorni e giorni senza che vengo chiamato.
Una volta è passato un mese, non mi hanno neanche avvertito che partivano per un viaggio di piacere.
O meglio: è stato appositamente evitato di avvertirmi, facendo in modo che la informazione non mi venisse concessa. Solo l’ultimo giorno mi è stato casualmente riferito che il Padrone e la Sua Signora sarebbero tornati quella sera.
In questa interminabile attesa, rivado con la mente, per l’ennesima volta, a quella maledetta festa, che ora capisco, essere stata organizzata appositamente per intrappolarmi.

Certo, ho anche io la mia parte di colpa. Sono stato un idiota.
Ho bevuto troppo. E mi hanno drogato, per cui mi sono svegliato tra le braccia di una donna. Una bellissima donna, bionda, e nuda. Anche io ero nudo, e nella stanza c’era Lei. Assieme al mio Padrone, con tutti i miei… amici.
La donna bionda ha successivamente declamato, quasi con orgoglio, le mie prestazioni, da far impallidire dei divi porno, di quella notte.
Non dimenticherò mai i suoi occhi.
Lei mi ha schiaffeggiato.
È stata la prima e l’ultima volta, che mi ha colpito fisicamente; mi ha fatto male, nell’anima e nel cuore.
Ero nudo, nudo di fronte a Lei.
E Lei… Lei mi ha lasciato, per il mio Padrone. Per essere confortata da Lui. Per essere presa da Lui.
Sono convinto che il mio Padrone abbia drogato anche Lei. Sono sicuro che non avrebbe mai fatto così. Non posso crederlo.
Forse, con la complicità di qualcuno, una sua amica?
Forse… Ran?
 
“Moroboshi, il Signore ti vuole.”

La voce, attraverso l’altoparlante, è impersonale e fredda.
Come freddo è il mio mondo, il mio cuore.
Lamù non è più mia. È del mio Padrone. Che non perde una sola occasione per ricordarmelo.

Oggi usciamo!
Usciamo con il jinrikisha.
Lo odio. Odio questo carretto, con tutte le mie forze. Su questo carretto, il mio Padrone ha preso Lamù.
L’ha fatta sua. Mi ha costretto a correre per i viottoli dell’immenso giardino e intanto, lui la possedeva.
Io non potevo fare altro che correre allo sfinimento, tirando in avanti il carretto, guardando avanti e sapendo perfettamente cosa stava succedendo. L’ansimare di entrambi, i gridolini di Lei.
L’ho sentito venire, con furia, senza amore. Io non credo che la ami veramente. Lei è un trofeo. Come il Suo carro Leopard 2, le Sue spade. Come tutto il resto… come me.
Mi sono sentito male, quel giorno. Per poco non ho avuto un attacco cardiaco. Solo il pensiero che arriverà il giorno in cui sarò liberato da tutto questo mi ha permesso di sopravvivere. Ho pianto per giorni.  Per settimane. Fino a che non ho finito le lacrime.
Ma il mio cuore non è arido, io ancora amo Lamù con tutte le mie forze.
Ma so che è un amore impossibile.

“Signore, il Suo mezzo è pronto. Dove vuole che la porti oggi?”, chiedo, tenendo un ginocchio a terra e l’altro parallelo al terreno, a fianco del carretto trainato a mano.
Mendo Shuutaro, erede della più immensa fortuna del Giappone e probabilmente del mondo, poggia il piede sulla mia coscia, usandola come un gradino per salire sul jinrikisha.
“Aspettiamo la mia Signora, Moroboshi!”
“Certo Signore. Come sempre.”

Arriva Lei. Sono costretto, dalle severissime regole, a non poterla guardare in viso.
D’altronde, dalla mia posizione, sarebbe anche impossibile, considerando il largo cappello di paglia che mi impedisce di vedere in alto.
Ma il suo vestito, candido come la neve, in stile occidentale inizio secolo. I sui tacchi a spillo.  Le sue gambe, che intuisco dai movimenti della larga e vaporosa gonna… il suo profumo. Da ciò, posso ricordare la sua grazia, la sua immensa bellezza.
Dei, perché mi avete fatto questo.
Perché?
PERCHÉ?

Mi sposto alla destra del mio Padrone e lascio che Lamù mi usi come gradino.
È ovvio che non ne ha alcun bisogno.
Il suo intero peso è sul tacco ora, che affonda e aggredisce la mia coscia.
Mi disprezza.
Io lo so… ma sopporto il dolore e aspetto.

Mi metto alla guida del mezzo a trazione umana.
“Moroboshi, ho voglia di uscire dalla magione. Andiamo in città”
“Come desidera, Signore”.

Usciamo dal castello, e corro trasportando il mio carico, preceduto e seguito da auto nere e frotte di guardie del corpo.
Le forti risate del mio padrone echeggiano, in questa magnifica mattina primaverile; l’aria è frizzante, e piacevole.
All’improvviso, una eccitazione senza pari si impadronisce di me. Stiamo andando lì! Si! Forse oggi… forse…
“Hahaha! Che bella giornata!”
Ti prego… Padrone… fermami adesso. Ti prego…
“Ferma, Moroboshi.”
“Si, Signore”.
“È da tanto che non venivamo a Tomobiki, vero Moroboshi?”
“Ha ragione, Signore. Mi fa ricordare il passato.”
Sto tremando, con il cuore impazito. Il mio padrone scende, sempre usandomi come gradino. Io giro impercettibilmente la testa, vedo delle figure bianche in lontananza su di un albero a lato della strada. Poi un lampo violetto. Si. Oggi, sarò libero. Finalmente, il mio calvario è finito.
“Ehi, Lamù! Ricordi il periodo del liceo?”
Sento la sua voce, meravigliosa, che dice
“Come fosse ora… Tesoro”.
Un uomo enorme ed orrendo,  ad un tratto travolge me e il mio padrone, gridando; veste ancora l’uniforme del liceo, da cui è uscito ormai da anni , e sta correndo dietro ad una ragazza, che impreca. Mi giro nuovamente, e vedo le figure bianche scomparire con un altro lampo viola sull’albero. È finita. Ormai, mancano pochi minuti.
Guardo il mio orologio Casio, l’unico oggetto in mio possesso che mi ricordi la mia vita precedente. Mi alzo, finalmente con le spalle dritte, tolgo il cappello di paglia e mi giro verso Mendo, distratto da quanto avvenuto. Non è più il mio Padrone, ora.
“Mendo. Ti consiglio di allontanarti. Ora.”
“Moroboshi! Cosa stai farneticando! Rimettiti il takuhatsugasa!
Non sono più uno schiavo, ma un Uomo.
Il mio sguardo è di sfida, so che un fuoco brucia dentro di me. Un fuoco inestinguibile.
Come suo solito, Mendo sguaina la sua spada. Fermo la lama a pochi centimetri dalla mia faccia! La sua forza è notevole, e ha inferto il colpo con l’intenzione di uccidere. Ma io non sono più un semplice ragazzo delle superiori. Ho temprato il mio corpo e la mia anima in questi cinque anni. E glielo dimostro: lo costringo ad inginocchiarsi e spezzo la lama con una repentina torsione delle mani.
Lamù è in volo sopra di noi, distratta dall’inseguimento di… Soban? Si mi pare fosse questo il suo nome, e non ha ancora reagito. Probabilmente ancora non si è accorta di nulla. Bene.
Mendo osserva la lama, spezzata appena sopra lo Tsuba, di quella che era la sua bellissima Inoue Shinkai Daishoe subito dopo, con uno sguardo stupito, le mie mani, da cui comincia a scorrere del sangue. Il vile che credevo essere un Uomo fugge, chiamando i suoi Kuromegane.
Non mi interessa. Non mancano ormai che pochi, preziosi istanti.
Mi giro verso di Lei.
“Lamù”
Si è accorta di quanto successo, senza dubbio dalle urla di Mendo. Scende con immensa grazia di fronte  a me. Vedo delle scintille azzurre danzare tra le sue mani. Il suo sguardo è freddo, come l’insondabile profondità dell’Oceano. Ma i suoi occhi sono bellissimi.
“Moroboshi. Quanto hai osato fare…”
La Sua voce è bellissima. Anche se piena d’odio.
“Lamù. Il nostro tempo è finito. Abbiamo adempiuto allo scopo per cui siamo stati creati, e ormai tra pochi istanti saremo liberi. Prima che ciò succeda,  io voglio poterti esprimere ciò che realmente provo.”
Un brivido percorre la mia schiena. È il momento supremo.
“Io ti amo, Lamù. Ti ho sempre amato, anche se non siamo altro che ombre, una parvenza di vita in un futuro destinato a scomparire. Per fare posto ad un futuro migliore, per mostrare quello che poteva essere ma non sarà mai. Io ho sofferto, per questi cinque, lunghissimi anni, solo per vivere pienamente questo momento”
Lei tentenna. “Ataru… co-cosa stai cercando…”
Lamù non può non sapere. Lamù non può non essersi accorta di quanto sta per succedere. Non può non ricordare…
Sorrido. Niente ha più importanza, il mio cuore è colmo di gioia ed amore.
Tutto quanto è successo, tra poco non sarà mai successo. Ho vissuto solo per questo…
“Lamù, ti prego, prendi la mia mano…”
Scopro, con stupore, che sto piangendo. Non so, forse  per la gioia, non lo so, ma calde lacrime mi scendono sulle guancie. Vedo il suo volto perfetto, incorniciato dai suoi incredibili capelli verdi e il bianco cappello, illuminarsi di sorpresa. Si. Anche lei ha capito… intanto, attorno a noi, il nostro mondo vacilla. Lei mi stringe la mano. Riesco a sentire la fiamma ardere ancora, dentro di Lei, come se questi cinque anni non fossero mai passati.
Una folata di vento gelido porta via il bianco cappello che Lamù ha lasciato cadere a terra. Un silenzio sovrannaturale scende sul nostro mondo.
“Noi… dobbiamo scomparire, amore mio. Dobbiamo fare posto… alla felicità, alla nostra felicità, che vive nelle persone di cui siamo solo ombre, nella Realtà. Il nostro scopo era solamente di mostrare al Vero Moroboshi Ataru e alla Vera Lamù, un futuro orribile, perché possano evitarlo. Io li ho visti. Ora sanno… e tra poco non esisteremo più. Non saremo mai esistiti… Lamù…”
Il Mondo, il Nostro mondo, tutto intorno a noi si sfalda, silenziosamente disintegrandosi in finissima polvere bianca.
Anche lei ora piange. È ovvio. Ha paura.
Non riesce a parlare, il suo mento trema impercettibilmente. I suoi occhi mi implorano…
“No. Non piangere, devi essere felice di quanto accade… vuol dire che i veri noi stessi hanno trovato la felicità… insieme, così come doveva essere. Vieni qui, abbracciami.”
La stringo forte, la bacio. Chiudo gli occhi…
Un lampo bianco, poi, il Nulla.

 
Nel varco interdimensionale, nella Sacra Stanza del Futuro, una catasta di porte cade al suolo, mentre Ataru cerca con tutte le sue forze di proteggere l’unica porta in cui ha visto che Lamù piange di felicità per aver sposato il suo tesoruccio. Tutte le maniglie delle porte precipitate scompaiono, di fatto annullando tutti i futuri possibili previsti per Lamù ed Ataru. Ora, solo loro sono maestri del destino che li attende; avendo avuto la ultraterrena possibilità di vedere cosa il destino aveva riservato loro se avessero continuato a comportarsi così.
Lamù ha una lacrima di gioia per il suo Tesoruccio. Ha capito. Ha accettato che il loro futuro, qualunque esso sia, sará assieme. E, forse, ora il loro futuro sarà davvero pieno di felicità…
 


Pizzigri, January 2011

Edited (again!) to be a better translation of the English language original story, published on FFdotNet.

Mi rendo conto che è difficile situare correttamente l'episodio su cui è basata questa storia. Nella edizione italiana della Star Comics, collana Young, volume 44, trovate a pag. 110 la prima scena descritta. La seconda si trova nel volume 45, dalla pag. 10 alla 13. Tutti i personaggi e trademark sono (C) Rumiko Takahashi, Shogakukan/Kitty.
  
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