Film > Penelope
Ricorda la storia  |      
Autore: Aya Lawliet ___backupFGI    08/01/2011    11 recensioni
«Hai paura?»
«Ho paura di fare paura.»

{Johnny/Penelope ♥}
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Johnny Martin/Max Campion, Penelope Wilhern
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Maschere in un castello di favola ~

prompt: #032, mirror/reflection

 

 

 

{ la mia unica forza ricordare la voce d’una storia d’amore e di vanità }

 

 

Lo stupore con cui La Voce aveva accolto la sua proposta era quasi offensivo. Probabilmente glielo avrebbe fatto notare, se le circostanze fossero state diverse – se lei non fosse stata La Voce, ma semplicemente Penelope. Ad ogni buon conto, si era limitato a disporre senza fretta i pezzi finemente intagliati, chiedendosi quanto diavolo potessero valere, e riversando nel microfono l’amara ironia del proprio sorriso.

«Certo che so giocare a scacchi. Io so giocare praticamente a tutto

«Immagino.»

La Voce se n’era stata zitta per un po’. Forse si era presa del tempo per studiarlo. Non capitava spesso che lui venisse così vicino allo specchio; chissà se le piaceva, quello che vedeva. [Quello che non vedeva non le sarebbe piaciuto di sicuro; vero, Johnny?]

Avevano cominciato a giocare così, una voce senza viso e un viso senza identità, dai due lati della stessa fredda superficie a senso unico.

Lo odiava, quel coso. Non era per niente piacevole sparare una balla dietro l’altra con il proprio riflesso perennemente davanti agli occhi. Non era più così facile mentire, da quando era entrato in quella dannata sala.

La partita era a un punto morto. La Voce stava in silenzio, in attesa di una mossa che non veniva.

Lui teneva gli occhi fissi sugli scacchi. Non solo per sfuggire al suo riflesso, ma anche agli occhi di lei.

«Però non riesco a capire» disse, così di colpo, come per riprendere un discorso appena spezzato.

La Voce assunse una sfumatura divertita. «Il motivo per cui quella torre è in serio pericolo?»

«Il motivo per cui sei rinchiusa al di là di uno specchio.»

La Voce sembrò pensarci su. Nel tempo che impiegò a rispondere, lui contò almeno cinque battiti nervosi.

«Io… non sono rinchiusa al di là di uno specchio.»

Allora perché dannazione perché non vieni qui e perché non mi tocchi e perché non capisci che non sono io quello di cui hai bisogno?

«Beh, può darsi che si tratti di una villa da un miliardo di dollari, ma è sempre una prigione. Resta sempre una prigione.» Lo ripeté, convinto, torturando con un’unghia il muso scolpito dell’unico cavallo che gli era rimasto – l’altro, La Voce l’aveva mangiato dopo sole quattro mosse – e ostinandosi a tenere lo sguardo basso. Meglio non mostrarle che quella prigione poteva anche essere una salvezza. «Dimmi la verità. Non sei mai uscita di qui?»

La Voce non rispose.

«Mai? Neanche, che so, un ballo della scuola, un pigiama party con le tue…

«Non sono mai andata a scuola.»

Fu il suo turno di non rispondere. Come avrebbe potuto dirle che magari era meglio così, che fuori si soffriva e basta? Lei, almeno, aveva il suo castello delle favole. Gente come lui non aveva niente. Troppo stupida e immatura per accontentarsi, per farsi bastare le piccole cose. E in mano restavano i cocci.

Eppure sentiva che La Voce non sarebbe stata d’accordo. Che avrebbe voluto almeno provarci, a non accontentarsi del suo castello. Che moriva dalla voglia di sapere come fosse un ballo della scuola.

«Hai paura?»

«Ho paura di fare paura.»

«Ma vuoi uscire. Non è così?»

La Voce si chiuse di nuovo nel silenzio dello specchio.

Sospirò. Alzò il viso. Johnny aveva detto fin troppo; spettava a Max, adesso, il compito di proseguire quell’assurda inutile recita.

«Se non sei mai andata a scuola, allora non ti sei mai presa neppure una cotta per qualcuno.»

Una domanda stupida per incrinare appena la barriera: perché la verità da sola non sarebbe bastata per questo.

Lei sembrò cadere da un sogno. Forse era proprio così. «Una cotta?»

«Sì, una cotta. Sai… Quando c’è uno che ti piace. Quando ti piace così tanto da rischiare il collasso ogni volta che lo vedi. Quando l’unico tuo pensiero è come fare per riuscire a strappargli un passaggio – o a baciarlo, magari con la scusa che…»

«Parli in modo molto strano, lo sai?»

Sorrise. Smascherato, o quasi. Dio, quanto odiava quel fottuto fatto di doversi guardare in faccia mentre le parlava.

«Non rigirare la frittata. Stiamo parlando di te, non di me.»

Una breve pausa. Se la immaginò mentre scuoteva la testa, divertita o forse solo esasperata. Chissà se aveva i capelli abbastanza lunghi da sfiorarle le guance nel movimento. E di che colore erano, poi?

«Suppongo di non essermi mai presa una cotta, no.»

«Un vero peccato.» Diede appena uno sguardo alla scacchiera, azzardò una mossa, ci ripensò e ne tentò un’altra. «Così hai impedito a chiunque di prendersene una per te.»

«Max.» Un nome falso poteva suonare così giusto anche se a pronunciarlo era una voce senza viso? «Ti hanno fatto firmare un accordo di segretezza. Pensi davvero che chiunque si prenderebbe una cotta per me? Il mio alfiere mangia il tuo pedone.»

Accolse con sollievo la mossa ordinatagli: un’ottima scusa per continuare a tenere gli occhi bassi – per non farle capire che lui sarebbe stato quel chiunque anche mille volte fuori di lì, in qualunque mondo l’avesse incontrata, in qualunque forma l’avesse conosciuta.

Pazzesco. Come ci si può innamorare dell’ombra che si cela dietro un riflesso sbagliato?

«Com’è?»

Le dita sul bordo della scacchiera, la mente persa dietro un segreto, non capì subito a cosa si riferisse. «Com’è cosa?»

«Baciare.»

Rise. «Non è una domanda facile, questa.»

«Una domanda è una domanda. È difficile solo se non si sa la risposta.»

«Ma un bacio è impossibile da spiegare… È come uno dei tuoi libri. Puoi raccontarmeli tutti, se vuoi, ma sei tu che li hai vissuti. Io non potrei mai sapere quello che ti hanno dato.»

«Allora fammi vedere.»

Rimase tanto spiazzato da dimenticare il disagio di alzare gli occhi. «Che?»

«Fammi vedere cos’è un bacio. Ti prego.»

Certo non bastavano quelle due parole aggiunte in un sussurro. Rise di nuovo, con sempre meno voglia di ridere.

«Non faccio salti di gioia all’idea di baciare il mio riflesso in uno specchio. Sarebbe piuttosto ridicolo dal mio e dal tuo punto di vista.»

«Al contrario, sarebbe interessante. Un po’ come Narciso, la figura della mitologia greca innamorata di se stessa, che fu trasformato in fiore dopo aver osato baciare il suo riflesso.»

«Io non sono innamorato di me stesso, Penelope.» Ed era incredibile quanto fosse facile dire invece la verità, così a viso aperto. «Decisamente no.»

Forse La Voce si era accorta di un cambiamento nel suo umore. Forse fu solo per delicatezza – perché era gentile, era buona; era esattamente l’opposto di tutto quello che gli avevano detto di lei. Era vera – che volle avventurarsi sulla strada dell’ironia.

«Allora potresti fingere che con te ci sia la tua ultima cotta.»

Un’ultima risata, l’unica che avesse un che di sincero; e la maschera finì in mille pezzi.

«Non va bene. Non sarebbe vero… C’è uno specchio che m’impedisce di baciarla.»

Il silenzio che seguì era quello di una crepa sottile che incrina il solido vetro, oppure quello di una ragazza spaventata che si alza e fugge in punta di piedi nel suo piccolo mondo sicuro. Johnny non lo sapeva.

Ma c’era una cosa che poteva fare per verificare se la fenditura esistesse o no.

Rimase chino sulla scacchiera, ma si sollevò abbastanza da avvicinarsi alla superficie fredda. La vide appannarsi appena al contatto del suo respiro caldo. Meglio così; non sarebbe stato costretto a guardarsi ancora.

Mormorò il suo nome nel microfono, piano, con l’accortezza che è dovuta a una speranza. La Voce gli rispose. No, non era fuggita.

«Sono qui.»

«Vieni più vicina.»

Nessun rumore; persino il suono sconosciuto dei suoi passi sul pavimento era qualcosa che gli mancava dolorosamente.

Poi, La Voce risuonò un po’ più forte dagli altoparlanti. «Sono qui» ripeté.

«Ora chiudi gli occhi.»

Johnny detestò tutto, di quel bacio: la distanza fisica, il gelido specchio tra loro, il non potersi sentire le sue mani sul petto e il non poter conoscere neppure il suo profumo – il fatto che anche ora che La Voce era solo Penelope, Penelope fosse ancora poco più che una voce.

Fu un suono inaspettato, un accenno di riso, a svegliarlo.

«Sei buffo, Max.»

Si ritrasse. «Sì, sì. Lo sapevo che l’avresti detto.»

«Ma a me piace quando mi fai ridere. È… diverso.»

Johnny sospirò ancora e si lasciò ricadere al suo posto. Guardò dritto verso lo specchio, di nuovo. Era strano farlo da Johnny, per una volta. Anche questo era diverso.

Magari quella barriera era molto più sottile di quanto lui credesse; chi poteva dirlo? E se era il suo sangue a impedirgli di romperla, beh, lui non poteva impedirsi di volerci almeno provare.

«Torniamo alla partita?»

Sorrise alla risposta della Voce – no, non della Voce. Di Penelope.

«Sarà meglio che tu stia attento al tuo re, signor Chiunque.»

Magari un giorno avrebbe trovato la forza di rompere lo specchio. Magari un giorno lei gli avrebbe detto se le sue labbra si erano posate nel punto in cui lui le aveva cercate, o se forse si era soltanto limitata a sfiorarlo con le dita.

Fino ad allora, il re sarebbe stato vulnerabile senza la sua regina.

 

 

{ la leggenda del non-amore che si scrive di sera

d’una cosa che sarebbe bella ma non è vera

è che tu, mia Riflessa Creatura, mi guardi negli occhi

per una volta ancora, per una volta ancora prima che giunga Primavera }

 

 

 

 

 

 

Nota: Versione alternativa della scena in cui Johnny e Penelope giocano a scacchi attraverso lo specchio. L’ultima frase del testo è una citazione adattata della scena stessa. I versi riportati come incipit e in chiusura sono tratti dalla canzone Una storia d’amore e di vanità di Morgan.

   
 
Leggi le 11 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Penelope / Vai alla pagina dell'autore: Aya Lawliet ___backupFGI