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Autore: Lely1441    09/01/2011    5 recensioni
[Attenzione: il seguente scritto potrebbe contenere un alto tasso di cinismo e disillusione, maneggiare con cura e tenere fuori dalla portata dei bambini]
A volte si chiede se impazzirà. E rimane così finché l’amante non esce dal bagno, e la trova in quella posizione; la saluta con un mormorato “ci vediamo”, che lei nemmeno dà segno di aver sentito.
Adriano resta fermo a fissarla per qualche istante; poi, con una rabbia inspiegabile persino a sé stesso, afferra di scatto il suo giubbetto e se ne va.
Ha già i suoi problemi; si è ripromesso che non si sarebbe più fatto coinvolgere da quelli degli altri.
Ma ogni giorno diventa più duro, se ne rende conto. Se ne rende conto benissimo.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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If you were dead or still alive,
I don’t care,
[I never cared about, I never cared about]
I don’t care,
And all the things you left behind,
I don’t care,
[You won’t be there for me, you won’t be there for me]
Che tu sia morta o ancora viva
Non mi importa
[Non me ne sono mai curato, non me ne sono mai curato]
Non mi importa
E di tutte le cose che ti sei lasciata indietro
Non mi importa
[Non sarai lì per me; non sarai lì per me]
 
 
 
Dialogo sopra il massimo sistema del mondo
 
- Attenzione: il seguente scritto potrebbe contenere un alto tasso di cinismo e disillusione, maneggiare con cura e tenere fuori dalla portata dei bambini -
 
 
 
«Io l’ho sempre amato, sempre. Non è un qualcosa che possa collocare in una linea temporale… Non ricordo nemmeno quando ho capito di esserne innamorata. È come aver intuito di essere nata proprio per lui, il che è anche assurdo, visto e considerato che ci sono più di sei miliardi di persone che popolano questo pianeta: è piuttosto ingenuo pensare di trovare la propria anima gemella a pochi chilometri da te, no? L’amore non è altro che la forza dell’abitudine. Ti stufi di aspettare, sei curioso di provare, ti metti con la persona con cui senti di andare più d’accordo e ti illudi che sia l’uomo giusto. Ma quante cazzate».
Il loro rapporto è iniziato così, con una sigaretta consumata ed un’altra rifiutata, lenzuola sfatte e vestiti gettati confusamente sul pavimento. E, immancabilmente, i lunghi discorsi di Monica.
«Come mai tutta questa acidità?», chiede Adriano, spegnendo la luce sul comodino e chiudendo gli occhi, accarezzandole piano l’interno del gomito, facendo scorrere le dita fino alla pelle sensibile del polso, più e più volte.
«È colpa di quell’idiota. Oggi è venuto da me in ufficio, ci mancava poco che gli tirassi dietro il computer. Idiota», ripete lei, scalciando nervosamente il lenzuolo che si è ammassato ai piedi del letto. Prende fiato, sente la rabbia gettare il suo velo nero e sporco sulla realtà. Poi ci ripensa, chiude la bocca, rimane a soppesare il peso sul suo petto, a sentire quant’è ampio. Di nuovo, quell’assurda incapacità di prendere una scelta semplice come quella di parlare o di non parlare, di amare o odiare, di vivere o di sopravvivere le fa venire il capogiro. Non era così. Non era così prima di incontrare lui.
«Ancora arrabbiata? Pensavo ti fosse passata», risponde Adriano, lasciando che la sua mano giocherelli distrattamente con i capelli castani dell’altra.
«Ma figurati. Oggi viene, si siede accanto alla mia scrivania, mi osserva lavorare e si mette a parlare della sua fidanzata. E, sai, ho provato dei sentimenti contrastanti… Ho pensato a come avrei reagito qualche mese fa, e mi sono intristita. Probabilmente sarei affondata nel mio dolore, e avrei provato la tentazione di ucciderlo, di prenderlo a calci finché non avesse gridato pietà. Invece oggi sono rimasta a fissarlo, apatica, chiedendomi perché non chiudesse quella bocca e non desse ossigeno al cervello. Ma è completamente andato? Sa che lo amavo, e viene a raccontarmi di lei? L’unico istinto che ho avuto è stato quello di infilargli la testa dentro ad un water e premere lo sciacquone, sperando che scomparisse come lo stronzo che è».
Adriano si sistema meglio contro i cuscini e contro di lei. «Ti importa ancora qualcosa di lui, ma almeno hai smesso di dartene la colpa - non completamente, ma hai iniziato».
«Non mi importa più nulla di lui!», ribatte lei, forse troppo in fretta. Lui sorride, scendendo a baciarle la pelle sottile che ricopre lo sterno, stringendole con forza un fianco.
«Non mentirmi… Più ripeti che non te ne importa, più il tuo sentimento, in realtà, è grande», sostiene Adriano, chiudendo gli occhi. Conosce già il velo di contrarietà, orgoglio e afflizione che per qualche istante si andrà a sovrapporre ai lineamenti dell’altra. Anche questo è uno dei difetti di Monica: il credersi capace di superare qualsiasi cosa, anche solo volendolo. Ma non è così che funziona, la volontà agisce fino ad un certo punto, se la mente e lo spirito non sono pronti ad un cambiamento.
E lei sta bene così, nelle sua bambagia sporca fatta di amarezza e cinismo. È quasi incredibile la capacità dell’uomo di arrivare ad amare la propria sofferenza, l’intensità con cui si abbandona ad essa, con una voluttuosità velenosa e logorante, insana. Non c’è nulla di sano ad amare il proprio dolore… Ma capirlo e accettarlo, uscire dal proprio passato scrollandosene i liquami biancastri è ancora peggio. Significa toccare il fondo e rimanere abbastanza equilibrato e lucido per risalire. E Monica non è più fatta per il mondo della superficie. O forse, più semplicemente, il suo era un fondo troppo profondo.
«Sono tutte cazzate. Io lo odio, è uno stronzo e… Ed è così. Lo odio, punto».
Il sorriso di Adriano è amaro, ma è un sorriso: quando lei si arrabbia, perde la calma e anche la capacità di formulare correttamente un suo pensiero, trovandosi ad arrossire e a balbettare come una qualsiasi timida al mondo, e lui ama questa sua parte. Amaro, però, perché lei non si è ancora stancata di giocare a nascondersi dietro ad un dito.
«Accetta la realtà. Non ne sarai più innamorata quanto prima, ma non sei riuscita ad eliminare il tuo sentimento. L’hai solo trasformato in qualcosa che ti facesse meno e più male, contemporaneamente. Probabilmente, nemmeno te ne sei resa conto…»
Monica stringe i denti, la linea del mento si fa più dura. Questo è il momento in cui deve combattere con l’orgoglio, e sa già chi ne uscirà vincitore.
«È tardi, torna a casa».
Appunto.
Ma Adriano non dice nulla. Si limita a guardarla finché lei non abbassa gli occhi, riottosamente e di malavoglia.
«Ci torno, non preoccuparti… Posso almeno farmi una doccia qui, prima di andare?»
Monica fa segno di sì, stringendo nervosamente il lenzuolo tra le mani e voltando la testa per evitare di vederlo alzarsi, nudo. Un’altra ammissione di colpa: quando crede che la sua coscienza sia pulita, non ha alcun problema a fissarlo come si fissa un uomo nella sua interezza, con meno imbarazzi di un bambino allevato senza malizia.
Solo quando la porta di legno chiaro si è chiusa dietro al ragazzo, Monica si lascia scivolare nel letto, il corpo caldo che contrasta poco piacevolmente con il cotone freddo, gli occhi aperti, sbarrati, puntati sul soffitto, mentre qualche lacrima senza singhiozzi scende e contorna il suo viso. La vista le si offusca, ma è un attimo: si asciuga rabbiosamente con un lembo del lenzuolo e si gira su di un fianco, nascondendosi completamente sotto le coperte, tirate sin sulla testa.
La luce che ancora penetra nonostante la barriera artificiale e il calore provocato dal suo stesso respiro sembra vogliano asfissiarla: e lei si scopre ad agognare quella sensazione fisica di soffocamento, così simile a quella che prova dentro di sé. Il suo corpo ha un tremito, le viene la pelle d’oca; il panico si impadronisce di lei e scosta con un gesto secco le coperte. Rimane così, scoperta sino ai fianchi, con un braccio a coprirsi un seno e l’altro appoggiato diagonalmente sopra il ventre, ricoperta di un lieve velo di sudore ghiacciato.
A volte si chiede se impazzirà. E rimane così finché l’amante non esce dal bagno, e la trova in quella posizione; la saluta con un mormorato “ci vediamo”, che lei nemmeno dà segno di aver sentito.
Adriano resta fermo a fissarla per qualche istante; poi, con una rabbia inspiegabile persino a sé stesso, afferra di scatto il suo giubbetto e se ne va.
Ha già i suoi problemi; si è ripromesso che non si sarebbe più fatto coinvolgere da quelli degli altri.
Ma ogni giorno diventa più duro, se ne rende conto. Se ne rende conto benissimo.
 
***
 
«Mi manca…», sussurra lei, accorgendosi con paura delle lacrime, le ennesime, che premono contro le sue palpebre per uscire. È solo stanca, stanca di piangere, stanca di stare così. Stanca di farsi vedere così.
Non è una persona debole, non lo è mai stata; odia commiserarsi, ma in questi ultimi mesi sembra essersi trasformata in una larva umana, per nulla combattiva, e la cosa la terrorizza. Come la terrorizza il pensiero di appoggiarsi di nuovo a qualcuno, a qualcosa, ma da sola stavolta non ci riuscirà. Non riuscirà a venirne fuori.
«La verità è che non gli servo più… Non gli sono mai servita, e questo fa male, fa dannatamente male! Fa male al mio orgoglio, al mio orgoglio di donna, fa male a me
Prende fiato con rabbia, mentre Adriano le carezza piano la testa. «Passerà anche questo».
Davvero?
 
***
 
Adriano lascia che Monica gli sfili con delicatezza quasi impalpabile la sigaretta dalle dita. La porta alle labbra, aspirandola a fondo, sicuramente non con l’esperienza di chi non l’ha mai fatto. La guarda stringendo per un attimo gli occhi, e lei spiega: «Fumavo, una volta». Fissa il soffitto, reclinando appena il capo, mentre richiama alla memoria qualche ricordo più o meno lontano, più o meno recente. «Poi ho semplicemente cambiato dipendenza».
E Adriano lo sapeva, lo sapeva ancor prima che lei lo dicesse.
Ogni persona porta dentro di sé una luce, che gli permette di andare avanti anche quando tutto sembra perduto. Quando si è spenta quella di Monica?
 
***
 
Adriano la guarda con la coda dell’occhio, si massaggia il ventre piatto con una mano e prende il pacchetto di sigarette appoggiate sul comodino con l’altra. Distrattamente, indolentemente, così come tutto ciò che fa. Sembra appartenere ad un altro mondo. Monica è ipnotizzata da lui, dalla fiamma vivida che accende la sigaretta, dalle volute di fumo che salgono verso l’alto, dalla bocca che imprigiona delicatamente la stecca bianca. È sempre uno strano dolore quello che prova stando con lui, ma non come quello che sente quando pensa a Massimo, non il fardello pesante e opprimente che ancora conserva dentro di sé, freddo e statico. È una ferita fresca, pungente e calda; in qualche strano modo, rassicurante.   
«Non dovresti fumare così tanto, ti si rovinano i denti», commenta. Il ragazzo sorride: solo lei riesce a fare certi commenti con quella naturalezza, commenti che si addicono più ad una madre che ad una ragazza.
«Ho un buon dentista», mormora, con quel tono stanco che lei ormai ha imparato a riconoscere tra tanti. Sa di solitudine, orgoglio e nicotina. Di voglia di vivere. Con lui i discorsi post-sesso sono quanto di più surreale possa esistere, si perde nel raccontargli del suo dolore, di ciò che la vicinanza dell’uomo che è riuscito a spaccarle – davvero – il cuore le provoca ogni giorno. Lui si limita ad ascoltare, senza dare giudizi né simili, conscio del fatto che in una situazione del genere i consigli non servano a nulla. 
«Ma tu… Tu non ti sei mai innamorato?», gli chiede, con una punta di curiosità nelle sue parole; alla ricerca costante della risposta perfetta, quella che confuterebbe per sempre il suo dubbio più grande. Perché se c’è una cosa di cui è convinta, è proprio quella. Nessuno sa amare, nessuno sa amare tranne lei.
«No, non direi», risponde Adriano. «Innamorarsi è pericoloso, finirei con il non poter più fare questo lavoro e non riuscirei più a pagarmi gli studi; l’amore è una cosa per vecchi e ragazzine immature, che si riempiono la testa con queste sciocchezze. Poi guarda come si finisce», continua, dandole un’occhiata sbieca. Monica non si risente per quelle parole, è la prima a dire di essere stata una stupida ad essersi invaghita in quel modo tanto assurdo e assoluto.
«E allora questo conferma la mia tesi. Gli uomini non sono capaci di amare». Non che la cosa la stupisca, ne è convinta da un anno ormai. «Gli uomini come sesso, intendo. Una donna viene cresciuta con queste stupide idee sentimentali, incontra una persona e si convince che sia l’anima gemella. Si sposano, hanno dei figli, lui la tradisce, divorziano e lei si trova sola come prima, anzi, più di prima, privata com’è delle sue illusioni, della sua giovinezza. Mi sai spiegare dove sta l’amore in tutto questo? È solo una stupidaggine derivante dalla nostra cultura. Abbiamo paura di rimanere soli».
Le considerazioni di Monica sono sempre acide, ciniche, disilluse. Eppure, logiche. Non si scalda quando parla di questo argomento, nonostante sia evidente che per lei sia diventato un tarlo, una vera ossessione. Pensa e ripensa a questo quesito continuamente, al lavoro, a pranzo, con le amiche, ma solamente con lui, in quel letto, lo lascia affiorare. Le loro parole paiono prendere vita, formare immagini tanto nitide e fugaci quanto il fumo che esce da quella sigaretta. E tutto ciò che quella nebbia nasconde è solamente un grande perché, il che cosa non vada in lei, la domanda…
«E tu? Tu non hai paura di rimanere sola?»
«Io… Io sono sola. Che senso ha temere la realtà? Non ho altre alternative».
«E ti va bene così? Ti va davvero bene così?»
Monica lo osserva, e per un attimo l’assenza di emozioni in quello sguardo lo fa tremare. C’è qualcosa di profondamente sbagliato, Monica non è sola: Monica vuole essere sola. E nello stesso tempo, non lo vorrebbe.
«Non ho più intenzione di usare così il mio cuore. È stanco, se fosse per lui smetterebbe di battere». Eppure, eppure continua a battere, con dolorosa testardaggine; come un guerriero che, sovrastato dai nemici, abbattuto a terra, calpestato, continua a desiderare di vincere. Pur non avendone la possibilità.
«Perché vuoi arrenderti?», chiede Adriano. Lei gira con dolcezza il capo, e fa un sorriso triste.
«Perché non ho più nessuno per cui combattere».
Tanto è tutto lì, è sempre tutto lì: ci sforziamo di negarlo, ma è l’amore che fa girare il mondo. E non l’amore verso il proprio principe azzurro inesistente, no: è l’amore verso chi ci ha creati, verso chi dipende da noi, verso chi potrebbe essere salvato da noi e non ci riesce comunque, verso l’imperfezione. Verso sé stessi.
Arrivare a dire: basta con questo, mi fa male, non voglio più farlo, non voglio più continuare così, è egoismo. Sbagliato? No. Significa amare sé stessi, ed è il primo passo per qualsiasi cosa.
Monica si è talmente poco amata, è stata talmente poco egoista, che ha continuato ad amare la propria personale fonte di sofferenza, e ha prosciugato, zittito, violentato quegli ultimi barlumi d’amore verso sé stessa. Ora non si ama più, Sé stessa è stufa di essere trattata così. Le ha offerto tante volte qualcosa per cui vivere - e non sopravvivere - ma lei è stata muta, sorda, cieca davanti ai suoi timidi tentativi.
E, forse, ora è lo stesso amore che si rifiuta di tornare da lei.
Ma a Monica va bene così. Perché sola non significa necessariamente stare bene… Ma comincia a non importarle più cosa la faccia stare bene o no. Ed è solo il primo passo verso il baratro.
 
***
 
«Mio padre era davvero innamorato di mia madre», dice, a sorpresa, Adriano. Monica si è quasi addormentata, non apre gli occhi, ma con una lieve carezza sulla sua spalla gli fa capire di continuare. Gli si è accoccolata contro, una gamba nelle sue, il braccio sul suo petto, e quel buio quasi totale dà al tutto una sensazione di intimità così profonda e sconvolgente che il ragazzo deglutisce, con la gola secca e le vertigini. «Le ha chiesto di sposarlo perché era totalmente ammaliato da lei, e anche quando ero piccolo, non li ho mai visti litigare… Lei era dolcissima, e lui la adorava. E adorava me».
Perché il ricordo del bene passato, perduto, fa sempre così male?
«E poi?», chiede Monica, sapendo che non è finita lì. Non può essere finita lì, i lieto fine non esistono.
«È morto quando avevo quasi undici anni. Mia madre… mia madre è quasi impazzita dal dolore. Non è mai più riuscita a riprendersi».
Adriano si è allevato da solo, quindi. Ha vissuto per anni nella solitudine, con davanti agli occhi il risultato di quell’amore che tutti cercano, ma ben pochi sanno gestire.
«Sarebbe stato meglio se si fosse amata di più», sussurra, con quel “sarebbe stato meglio se avesse amato un po’ di più meche aleggia nell’aria.
Monica socchiude gli occhi, pensando che quella donna, in fondo, le assomigliava. E che forse Adriano era destinato ad incrociare il proprio destino con quelli distrutti dall’amore…
 
***
 
«Smettila di farti del male in questo modo», la prega. «Smettila di cercare a tutti i costi qualcuno da accusare - tu, lui, chissà chi altri - e arrenditi alla realtà: ormai è così, e avere un capro espiatorio non cambierebbe i fatti».
Perché Adriano le si rivolge in quel modo? Sembra quasi seccato… È dunque riuscita a stufare anche lui? È quindi una persona così orribile?
«E quindi, cosa dovrei fare? Dimenticare tutto e andare avanti facendo finta di nulla?», mormora, profondamente amareggiata. Per quanto possa dargli ragione, il suo atteggiamento l’ha ferita. Ma non glielo dirà, o correrebbe il rischio di esasperare il suo giudizio.
«La verità è che hai passato mesi e mesi ad odiarlo, e non ci sei mai riuscita fino in fondo. Continui ad odiare te stessa perché credi che la colpa sia solo tua, lo additi come uno stronzo per giustificarlo, per dare un senso a ciò che ti ha fatto - che in realtà è nulla, e lo sai anche tu. Devi accettare il fatto che non sempre ciò che ci accade ha un senso, non vi sono persone da incolpare. Prima lo capirai, prima riuscirai a lasciarti questa storia alle spalle».
Monica rimane a lungo in silenzio, mentre la sua mente è attraversata da pensieri contrastanti. Adriano è la sua panacea, è vero, ma non ricordava quanto fosse amara la medicina. Riflette amaramente su quanto si sia divertita a dirgli che lui stesso non vuole affrontare la realtà, fare i conti con la verità; e ora ne paga lo scotto. Non sono poi tanto diversi. Tutti amano la verità, quella comoda però: quella reale è odiosa al mondo, anche a chi si vanta di esserne il paladino.
«Devo andare», dice, evitando di guardarlo negli occhi; si sente piccola, misera e sporca. Come se fosse ricoperta di piaghe dolorose e Adriano una fiamma viva che cerca sì di cauterizzare la ferita, ma al tempo stesso brucia così tanto da far rimpiangere di aver scelto quella cura, pur se è necessaria per stare meglio. Gli uomini non tollerano il dolore.
Adriano sa. Adriano sa perfettamente di aver centrato il problema, sa che era il tempo giusto per farlo. Ora però non può fare nient’altro che spingerla verso la comprensione degli avvenimenti, deve stuzzicarla per far emergere di nuovo quel suo lato ormai sommerso dai detriti di una menzogna, uno stato d’animo sbagliato durato troppo a lungo.
È per questo che non smette di osservarla mentre si prepara. Sa che lei, pur se girata, riesce a sentire i suoi occhi sulla sua schiena, sul capo, sulla linea del collo… Come la carezza di un amante, come la frustata di un nemico.
«C’è ancora del caffè nella moka, se vuoi buttalo via e fattene dell’altro».
Adriano non risponde. Stanno conducendo una conversazione silenziosa, in cui lui le ripete fino allo sfinimento ciò che vorrebbe che lei facesse, mentre le stringe le braccia con energia e cerca di costringerla a fare quello che le ha detto, anche con la forza. Lei ha le lacrime agli occhi, si sente vulnerabile e violata, vuole ancora aggrapparsi a quell’illusione ed è esacerbata dalla consapevolezza che ora non potrà più farlo.
Forse è il momento più doloroso di tutto il processo, il capire che si è sofferto tanto per nulla.
E Monica è troppo orgogliosa per farlo.
 
***
 
L’aria calda fa da contrasto con quella gelida, e Adriano scuote la testa dopo essersi tolto la cuffia, i ciuffi di biondi capelli umidi per il nevischio che si attaccano malvagiamente al suo collo. Si toglie il cappotto sgocciolante, abituandosi in fretta alla sensazione di caldo e di benessere che la casa gli dona, e va in camera.
Si è addormentata, se ne accorge subito. Si spoglia in silenzio, sbottonando i polsini della camicia con calma, senza fretta, sfilandosi i pantaloni e mettendoli alla rinfusa sopra il basso comodino dalla sua parte, preoccupandosi solo di estrarre il telefonino spento dalla tasca dei jeans per evitare di farlo inavvertitamente cadere la mattina dopo. Si siede sul letto, rimanendo perplesso dallo strano stato d’ansia che l’ha colto appena varcata quella soglia. È uno stato irrazionale, se ne rende conto, eppure non riesce a calmarsi nemmeno avvicinandosi alla donna, facendo sfiorare le gambe con le sue.
È girata sul fianco, ma con il corpo volto verso il materasso, quasi voglia proteggere sé stessa mettendo al riparo il luogo dove stanziano gli organi vitali – sottile psicologia la sua, come sempre. Si dorme proni per proteggere la parte di sé più debole, si mostra la schiena al mondo perché, in caso di attacco, si possano avere più probabilità di sopravvivenza (vecchie reminescenze primordiali, dopotutto) – mettendo le braccia a difesa del petto, le mani congiunte come se fossero in preghiera. Da lei ci si aspetta la perfezione, perennemente, ed è quasi scioccante scoprire come lei riesca a raggiungerla sempre, persino con i capelli spettinati, persino con una semplice canottiera attillata e il lenzuolo spiegazzato come sfondo.
In qualche modo è come se lei, la perfezione, la incarni sul serio. L’orlo della canotta è risalito lungo la sua schiena, nel sonno, e lascia intravvedere un lembo della pelle abbronzata. Adriano poggia il capo sul suo stesso cuscino, facendo attenzione che il suo respiro non vada a solleticare il collo di lei, per non svegliarla. Il lenzuolo di sotto è caldo tutt’intorno a Monica, disegna quasi un’ombra invisibile, ed è una cosa che lo fa impazzire, che gli riporta alla mente memorie piacevoli: quando da bambino andava a rintanarsi, d’inverno, nel letto della madre, abbracciandola per sentire il suo calore trasmettersi anche a lui. Era una cosa buona, ed è bello farsi contaminare da qualcosa di buono, una volta tanto.
Il respiro della donna è calmo, regolare, lento ed inframmezzato da lunghe pause tra l’atto di inspirare e quello di espirare. Poggia una mano sulla base della sua schiena, delicatamente, scorgendo la linea della colonna vertebrale; la percorre con un polpastrello, la accarezza piano, senza osare alzare di un po’ la canotta… Quasi che quella perfezione non possa essere violata da lui.
Alla fine, fa scorrere il braccio destro lungo il suo fianco, in un semi-abbraccio che fa coincidere la sua mano con quelle di lei, ancora unite, e appoggia la fronte sull’incavo del suo collo, piegando la testa in una maniera bizzarra che la mattina dopo gliela farà pagare cara. Eppure, il sentire le dita di lei fremere e impossessarsi delle sue di riflesso, nel sonno, gli fa dimenticare qualsiasi altra cosa.
 
***

«Quanto tempo è passato dalla prima volta che ti ho chiamato?», chiede Monica, una sera, mentre cerca nelle riviste un post-it con un numero importante da chiamare. Adriano ci pensa su.
«Sei mesi? Più o meno…»
Monica annuisce, mentre torna a sedersi sul letto, a gambe incrociate, e compone il numero di lavoro. Lui la fissa mentre parla con aria seria, sicura di sé, e si domanda se è così che lei appare agli altri: determinata, una fortezza. Qualcuno si è mai accorto del lieve pallore che non l’abbandona mai? Della sua stanchezza? Qualcuno le ha mai chiesto come sta? O forse è l’unico a conoscere quel lato di Monica, solo perché si sono conosciuti dopo la grande tragedia successa con Massimo?
Il pensiero un po’ lo spaventa, un po’ lo rende orgoglioso; e neanche lui sa spiegarsene il motivo. Monica gli prende una mano e gioca con le sue dita, e lui è colpito dalla naturalezza di quel gesto. Può una cosa tanto piccola essere il simbolo di qualcos’altro?
«Non la piantava più…», sibila Monica, guardando con astio il ricevitore. Si massaggia le tempie e lo sente sorridere contro la pelle della sua spalla. «Non ti capita mai di avere problemi con il lavoro? Con l’università?»
Adriano sa perfettamente che se quella domanda gli fosse stata posta da qualcun altro, difficilmente avrebbe risposto, punto sul vivo. Invece, si ritrova a considerare i pro e i contro della sua attività con lucidità e ragionevolezza.
«Credo che un lavoro privo di problemi non esista…», conclude, con lentezza.
«E i tuoi amici? I compagni del corso?»
Adriano fa spallucce. «Non lo sanno. Sarebbe complicato se dovessi isolarmi anche da loro».
«E perché?» Sebbene Monica sia più grande di lui, a volte gli sembra davvero ingenua. Oppure, è l’incapacità di giudicare male il prossimo a priori che la rende così?
«Perché è un lavoro immorale, e non si è in grado di capire una situazione se non ci si trova nel mezzo».
Monica riflette a lungo, ma non si sente a disagio in quel discorso. «Ti senti in colpa?»
«Perché dovrei sentirmi in colpa per ciò che faccio? È un lavoro, e in questi tempi è l’unico modo sicuro di avere i soldi mensili necessari per tirare avanti ancora un po’. L’unica cosa che mi infastidisce è il falso buonismo che pervade ogni dannatissima notizia di attualità, e dall’altra parte l’assoluto bisogno di trasgressione che ne scaturisce. Perché dovrei dare ragione a chi si fa garante della moralità e poi fa abortire la figlia pur di non creare uno scandalo? Perché dovrei essere dalla parte di chi si droga, si rende un imbecille e ne va pure fiero? Perché devo a tutti i costi schierarmi in una fazione che odio e che non mi rispecchia?»
Monica ascolta in silenzio, facendo tesoro di quelle parole che in un certo senso sanno di Verità.
«Io dovrei avere meno dignità di un impiegato che non sa quando verrà licenziato, che tradisce la sua fidanzata (non sono ancora nemmeno sposati!), bestemmia quando si dice uno dei più ferventi cattolici e in nome di questo disprezza le altre etnie, andando contro al suo stesso credo? Ma perché?»
Il dolore, la rabbia sono evidenti nel suo tono. Monica sente le lacrime salire agli occhi, e non sa bene neanche spiegarsene il motivo. Adriano si prostituisce di propria volontà, ha percezione del suo corpo ed ha deciso di utilizzarlo in modo che da esso possa ricavarne un vantaggio. Non uccide, non ruba. L’intimità di ognuno è cosa privata; perché tanto scalpore per uno dei lavori più vecchi del mondo?
«Dovrei essere messo alla gogna per qualcosa di cui un numero inimmaginabile di persone usufruisce? Le stesse che sono le prime a puntare il dito contro il peccato altrui? Diffido della troppa moralità, della troppa poca flessibilità: sono segni di una stupidità pericolosa o di un’intelligenza ipocrita che se ne fa scudo».
Adriano si è sempre detto immune alle critiche, sordo al dolore. Eppure, non è forse il grido silenzioso di una delle tante vittime della nostra crudeltà, della nostra incapacità di essere coerenti e privi di pregiudizio?
«Perché poi dovrei credere di meritare l’inferno più di qualsiasi altra persona? Perché dovrei credere che quel Dio che ci ha lasciato un insegnamento, e quello soltanto, quello di amare, mi ami così poco da non intendere le mie ragioni, comprenderle? Perché io dovrei essere dannato e un maniaco sessuale pentito no? Non faccio del male a nessuno, ma faccio il mio bene. Un bene futuro, certo, ma il mio egoismo – o amor proprio, dipende da come ti diverti a vederla – non mi permette di non agire così. Dovrei essere contento di qualcosa che non amo?»
Monica posa una mano sulla sua testa, interrompendo lo sfogo. Lei ha capito. Lei c’è. Le parole non servono più.

***
 
Si toccano con la familiarità dei corpi che si conoscono a fondo, senza nessun imbarazzo o timidezza. Non è il rapporto tra una donna senza più voglia di cercare l’amore e un prostituto; nemmeno quello di una donna più grande e un ragazzo. Adriano ha smesso di rifletterci, quando se n’è reso conto: con gli altri, non si sente in dovere di fare più di quello che gli è chiesto, a meno che, ovviamente, non ci sia un extra sul suo compenso. Con lei, invece, gli viene naturale rimanere in quel letto fino a notte fonda, a volte fino alla mattina, solamente per parlare di cose astratte e prive di senso. Monica ormai non lo chiama più, se non proprio quando sente che non riuscirebbe a resistere al buio da sola; è lui che, una volta finito lo studio e gli altri servizi, le capita in casa a qualsiasi ora, avvalendosi del duplicato delle chiavi che possiede.
Il ragazzo non la vede più come una cliente, ma più come una specie di amica, di amante. La apprezza come la donna intelligente, acuta e sarcastica che è; gli piace comportarsi come un uomo, con lei, non come un surrogato di qualcuno né come un amatore passivo. Monica lo vede per quello che è: un ragazzo che fa il suo lavoro, un lavoro come un altro, in cui è lui a decidere clienti, orari e salario. E Adriano vede ciò che è lei: una ragazzina delusa troppo presto e troppo a fondo per potersi riprendere, con una solida corazza di disprezzo e livore che nasconde la sua curiosità, la sua purezza e la sua profonda ingenuità. Si proclama tanto dura ed indifferente, ma è l’unica a trattarlo come un essere umano. Non è forse una contraddizione per coloro che credono di appartenere alla parte buona del mondo e che non esiterebbero un attimo a cacciarlo da casa loro, una volta saputo il suo mestiere?
Ne è profondamente attratto, questo sì. Ma non ne è innamorato.
I loro spiriti sono affini e forse, senza quel determinato passato alle spalle, si sarebbero potuti considerare anime gemelle. Ma Monica non crede più nell’amore e Adriano non ci ha mai creduto, in fondo.  
Continua a baciarla, troppo concentrato per sorridere di quel suo strano modo di appropriarsi delle sue labbra: lei ha un sistema tutto suo, che definirebbe quasi “a bocca aperta”.
Gli piace. Di solito fa sesso con donne truccate piuttosto pesantemente, il maquillage una maschera che permette loro di sostenere un ruolo che non è loro naturalmente. Lui si adatta, acconsentendo di buon grado a quella sorta di recita, impersonando di volta in volta qualcuno di diverso: è un gioco divertente, affascinante, ma non vuole rimanere con loro fino alla mattina. Significherebbe vedere la maschera sbavata, la parte interpretata svanita nel nulla: dietro al trucco, ci sono solamente donne troppo impaurite dalle proprie sembianze per riuscire ad accettarsi completamente, e questo le rende noiose, banali, poco interessanti. Comuni.
Monica invece possiede quella sorta di noncuranza verso sé stessa, il non calcolare volutamente la propria bellezza, che le permette di addormentarsi tra le sue braccia senza curarsi poi dell’aspetto che assumerà al risveglio: sarà la stessa, niente trucchi, niente artifizi, niente assurdo bisogno di correre in bagno a ripulirsi con delle salviette appena sveglia, preferendo rimanere con lui piuttosto che nascondergli una parte di sé stessa.
Lo affascina vedere quegli occhi verdi fissarlo, lo sguardo così profondo per natura e non accentuato dall’eye-liner. Le sue labbra socchiuse lo attraggono, ama sentire il suo petto solleticato dai lunghi capelli, una cortina che si abbassa anche su di lui quando lei gli è sopra. È l’unica persona in grado di curare il suo cinismo ed il suo menefreghismo con una dose di uguale cinismo e spontanea bellezza.
No, non ne è innamorato, lui non sa cosa significa l’amore, non ci crede.
Ma lui non ha mai amato la verità.

***
 
«Mi ha… distrutto il cuore, semplicemente. Non credo che sia qualcosa che si possa recuperare con il tempo».
Il suo sguardo è lontano, puntato su qualcosa che ad Adriano non piace affatto. Ma tanto è così, non si può cambiare: per quanto le loro vite possano considerarsi in un qualche modo patetiche, per quanto a volte abbiano gli stessi istinti autodistruttivi… Lui riuscirà ad andare avanti, sempre. Lei invece è come invischiata in qualcosa da cui non potrà mai liberarsi completamente.
«Forse dovresti solo lasciare cicatrizzare la ferita, senza continuare a stuzzicarla troppo».
«Vedi, in realtà è solo un conto alla rovescia di cui non vedo le cifre, ma so che c’è… Manca poco, ormai».
«Sai che non mi piace che tu faccia certi discorsi», ribatte lui, accigliandosi. Si sente scrutare intensamente, ma non si gira a fissarla.
«Non è colpa mia se non ami sentirti dire la verità», risponde lei in un sussurro, prima di alzarsi, raccattare della biancheria pulita e dirigersi verso il bagno. Adriano sospira, profondamente amareggiato, e si passa i palmi delle mani con forza sopra gli occhi. Aleggia una brutta sensazione sopra quella camera, il che lo spinge a ripresentarsi spesso da lei, quasi come un fratello maggiore che debba controllare che la sorellina non faccia casini. Scosta le lenzuola, recuperando i vestiti ed infilandoseli lentamente, con il rumore di sottofondo dell’acqua che piove nella doccia. Quando è lì si sente agitato ed insoddisfatto, con il bisogno di fuggire per preservare qualcosa di sé che ancora non conosce: ma appena se ne va, ecco che torna il presentimento, martellante, di dover tornare a visionare il suo operato.
Sa che non può controllare gli eventi, ma è come ha detto lei: non ama sentirsi schiaffare in faccia la verità, il senso della realtà è qualcosa che non tollera.
«Devo tornare a casa per prendere dei libri», dice, alzandosi dal letto su cui si era seduto quando la vede entrare. Lei lo guarda per qualche attimo, i capelli bagnati che le incorniciano il volto ora pallido, le labbra serrate in quella che si potrebbe definire l’espressione materiale di una decisione.
«Va bene. Io avrò un po’ da fare in questi giorni, quindi non venire prima di venerdì», gli comunica, avviandosi a recuperare l’orologio che ha lasciato sul comodino. L’ansia di Adriano cresce e si trasforma in un cubo di ghiaccio e chiodi nel suo petto, ma allunga comunque la mano per prendere il giubbotto abbandonato su una sedia ed infilarselo. La testa gli gira, si sente sull’orlo del baratro.
«Allora… Passo venerdì, sì», borbotta, la testa china sulla zip da agganciare e tirar su. Monica gli si avvicina e lo blocca gentilmente, infilando le mani nel cappotto ancora aperto e abbracciandolo, il viso premuto con forza contro il suo petto. Il respiro di Adriano si fa irregolare quando contraccambia l’abbraccio, tanto che lei avverte il cambiamento insolito e solleva il viso, interdetta, per fissarlo con quello sguardo così cristallino. Adriano trattiene il fiato per un paio di secondi, prima di baciarla. Non sa neanche perché lo stia facendo, il cervello si è scollegato all’improvviso, non riesce nemmeno a pensare; è come se il desiderio gli stia scorrendo dentro le vene, bruciando dolorosamente e piacevolmente insieme. Vuole fare l’amore con lei, di nuovo, perché c’è qualcosa che non riesce a dirle a parole, e se ne è reso conto solo adesso; eppure, non si spinge oltre.
«Adriano», lo richiama ad un certo punto, e solo in quel momento si rende conto che la sta fissando senza dire o fare nulla da ormai diversi minuti. Di aver spezzato il loro equilibrio. Si scioglie dall’abbraccio, non sapendo bene come e se sia il caso di giustificarsi.
«Ci vediamo venerdì, stavolta non prendo i soldi».
Si affretta verso l’uscita e le sorride, per la prima volta un po’ impacciato, prima di chiudersi la porta alle spalle. Monica rimane a guardare malinconica il punto in cui è svanito, accarezzandosi con un filo di preoccupazione il braccio. Sospira, e torna in bagno per finire di prepararsi.
Sarà più dura di quello che aveva previsto, dopotutto.
 
***

La casa è semplicemente vuota, senza di lei.
Adriano chiude gli occhi e si appoggia ad un muro, mentre la comprensione di ciò che è successo gli martella le tempie e va ad aggravare il senso di angoscia che da giorni si è annidato nel suo petto. Legge distrattamente il biglietto che Monica gli ha indirizzato, prende i soldi che gli ha lasciato in un cassetto (bastano non solo per finire gli studi senza bisogno di lavorare, ma probabilmente gli avanzeranno anche per il futuro) e si sofferma un attimo di più per guardare quel letto che tante volte li aveva ospitati. Gli viene da sorridere vedendo le lenzuola perfettamente piegate sopra i cuscini: che senso ha riordinarlo quando non verrà più usato?
Ha voglia di urlare, e se ne va frettolosamente, senza voltarsi, fuggendo da quel presente ormai diventato passato.
Monica non poteva essere salvata, ecco tutto. Perché chiedersi il perché, perché cercare una risposta? Sarebbe solamente inutile, non gliela restituirebbe comunque.
Chiude gli occhi, pensando solamente al fatto che la odia. La odia perché non è stata capace di amarsi, la odia perché non è riuscita a fidarsi di lui.
Si odia, perché non è riuscito a fare abbastanza. E odia anche la debolezza umana, che porta al lento ed inesorabile spegnimento della fiammella che ci alimenta.
«Sei una bugiarda. Non si butta via una vita se non si ama la persona che ci ha portati a compiere questo gesto».
È una consapevolezza che gli lascia l’amaro in bocca, la voglia di urlare. Sapere di averla persa per colpa di un altro (è anche questo ciò che fa male, ciò che fa dannatamente male: lei non è mai stata sua, non in quel modo completo e assoluto, è stata sempre dell’altro) lo riempie di rancore, un rancore che sale ad ondate dal petto al viso, accarezzandolo con feroce piacere. Ad un tratto si alza una folata di vento gelida e fortissima, che quasi gli impedisce di respirare. Trattiene il fiato, allora, e si chiede quanto una persona possa resistere senza ossigeno… Le lacrime lottano prepotentemente per uscire, e lui rimane lì, nel freddo gennaio di Torino, con le mani in tasca e il cuore a pezzi (la testa confusa, la testa assente, la testa assente), solo come un animale tradito e abbandonato dal proprio padrone. È stato uno stupido a lasciarsi coinvolgere a quel modo?
Estrae la mano che continua a stringere il piccolo ciondolo che Monica ha abbandonato a casa. Il metallo si è riscaldato e sembra quasi più caldo della sua stessa pelle. Ci pensa un attimo, ma poi lo lascia scivolare nuovamente in tasca. È ancora troppo presto per perdonare.
Fa male. L’uomo rinnega il dolore. L’uomo non sopporta il dolore.
Sul biglietto c’era scritto, in fondo, un’aggiunta frettolosa e quasi dovuta:
 
Avrei potuto amarti. Ma non ho voluto.
 
Fa male. L’uomo rinnega il dolore.
Ma lui non rinnega lei.
 
 
Adriano è andato a casa sua venerdì, i piedi che battevano forte sul marciapiede per scaldarsi e la sciarpa bianca che ondeggiava dietro la schiena, vittima delle sferzate violente del vento, e non ha trovato nessuno.
Adriano è andato a casa sua tante, troppe volte da quel venerdì. E non vi ha mai più trovato nessuno.
 
 
 
 
‘Cause I swear, I swear
I don’t care… At all.
 
Perché lo giuro, lo giuro
Non me ne importa… Affatto.
 
[Apocalyptica feat. Adam Gontier]
 
 
 
 
 
 
 
 
Il titolo è ripreso da uno dei componimenti di Galilei, ovvero “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, che io non ho mai avuto il piacere di leggere. Ammetto però che quest’appellativo ha stuzzicato la mia fantasia, così ho deciso di riportarlo al singolare: Dialogo sopra il massimo sistema del mondo, che poi sarebbe l’amore (che è la forza vera che fa girare il mondo, ciò che produce odio – ovvero la sua assenza – e balle varie. Spiegato, già perde tutto il suo fascino, vero?), tema centrale della storia.
Se il personaggio di Adriano vi pare campato per aria, c’è da dire che conosco (indirettamente) un ragazzo che fa il suo stesso lavoro per andare avanti, dopo il fallimento dell’azienda del padre: non me lo immagino proprio come un rozzo masticatore di cicche, scusate.
Monica, se qualcuno vi ha fatto caso, passa tre delle cinque fasi del dolore collegato al lutto, quelle centrali: negazione, rabbia, auto recriminazione, depressione, accettazione. La negazione è stata saltata perché al momento dell’inizio l’aveva già superata, all’accettazione non è riuscita ad arrivare. Rabbia e auto recriminazione sono spesso collegati, perché, checché se ne dica, le fasi non sono così “nette” come vogliono lasciarci credere. Ci sono momenti di rabbia anche nella depressione (un risveglio di coscienza), a volte torna la negazione. L’unica fase che si distacca totalmente è l’accettazione, sebbene a volte non riesca a essere così “pura” come dovrebbe.
Se posso essere sincera, mi sono accorta del percorso di Monica solo quando ero arrivata praticamente alla fine. Un po’ come se si fosse scritta attraverso me.
È… difficile parlare di questa storia. La sento talmente personale che ci è voluto un bel po’ prima che riuscissi a parlarne con qualcuno, prima di farla leggere a qualcuno, tanto che ringrazio chi mi ha incoraggiata e spinta a pubblicare. È stato doloroso scriverla, soprattutto nei primi tempi, tanto che forse mi sono bloccata perché ero arrivata ad un punto tale da non poter continuare oltre, all’epoca. Ecco perché la storia mi sembra mozza: molto di ciò che ho scritto è successivo, e non possiede più quello stato d’animo che l’ha generata. Mi sembra di aver partorito qualcosa di incompleto, e so che lo è, ma purtroppo ho perso le parole che ci sarebbero dovute essere originariamente. Eppure, non me la sentivo più di non finirla, era diventato un tarlo. Pubblicarla, lo ammetto, ha richiesto l’utilizzo di un altro bel paio di maniche.
Lo scritto è piuttosto cinico e velenoso, ho lasciato venir fuori dei miei intimi pensieri e ho dato loro una forma scritta: la trama è del tutto assente, serve solo per rifletterci un po’ sopra e, chissà, magari aprire un dibattito con la propria coscienza. Io, con la mia, ho già dato.
Vi consiglio l’ascolto della canzone da cui è partito tutto: amo profondamente il testo, il significato nascosto, gli esecutori, il video… Credo sia una delle mie canzoni preferite; la potete trovare qui.
Se vi fa piacere, fatemi sapere ciò che ne pensate tramite una recensione ^^ A me ne farebbe altrettanto.
À bientôt, mes amis!  
   
 
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