“arrivederci
signora e si riguardi”
disse il medico, accompagnando la frase con un
cenno di saluto. Si trattenne fino a quando la porta del suo ambulatorio non fu
chiusa, poi sospirò profondamente: erano solo le tre e l’orario gli imponeva di
rimanere lì in ambulatorio ancora due ore. Si fece coraggio e afferrò il
telecomando, premendo l’unico grosso tasto centrale: nella sala d’aspetto
un’insegna si sarebbe illuminata e il successivo paziente sarebbe entrato a
chiedere la soluzione a tutti i suoi problemi, veri o immaginari. Una voce
perentoria e seccata risuonò nella sala d’aspetto:
“Vinnini! Si
sbrighi! È il suo turno!”.
La novità
risollevò il cuore del medico: l’anziano timido e silenzioso, in camicia e
pantaloni, dall’aspetto ordinato era quello che lo incuriosiva di più di tutti
i suoi pazienti.
“ Buongiorno
signor Vinnini. È qui per la sua visita di controllo?”.
Vinnini annuì e si diresse verso il lettino,
in attesa dei vari esami a cui doveva sottoporsi. Il medico controllo sul
computer la sua cartella clinica e mentre sfogliava pagine virtuali di medicine
e dati il suo pensiero ritornò ai pettegolezzi che si dicevano in giro sul suo
paziente, Angelo “Soldato” Vinnini.
“ E vuole sapere perché?” aveva detto una sua
paziente con aria grave “ Quello sa solo obbedire! E se non gli dicono niente resta fermo
aspettando che arrivi un ordine!”.
Un altro,
suo vecchio compagno di scuola, gli aveva raccontato che era il migliore negli
studi ma solo perché i professori gli dicevano di studiare:
“una volta
il professore gli disse di parlare di ciò che preferiva, vista l’ottima
interrogazione. Lui fu sconvolto dalla richiesta e restò muto per finché il
professore non lo rimandò al posto! Non ha mai imparato a decidere qualcosa
nella vita. Aspetta che lo faccia qualcun’ altro.”
Anche
un’altra paziente era d’accordo con questa teoria: “ Sua moglie è morta qualche
anno fa. Sa come fece a sposarsi con lui? La prima volta che lo vide in chiesa
gli si avvicinò e disse che lui si doveva sposare con lei. Qualche mese dopo si
scambiavano le fedi sull’altare. La chiamavamo l’ufficiale. Vinnini è stato
fortunato a trovar lei; altrimenti chi lo avrebbe comandato a bacchetta dopo la
morte della madre?”.
Il medico
non era propenso a prestare fede a ciò che gli dicevano, quasi fosse una
confessione, nel suo ambulatorio: sembrava che quel piccolo ambiente spingesse
ogni essere umano ad esprimere le proprie opinioni. Su altri.
Per Vinnini,
invece, si era dovuto ricredere a causa di due cose che avevano confermato la
versione dei pazienti. La prima era stato scoprire il divertimento settimanale
del bar del paese, dove tutti, dai giovani agli anziani avventori, si
divertivano a chiedergli o ordinargli cose impossibili e ridevano di gusto
quando vedevano il volto di Vinnini venato di vergogna e autocommiserazione
tornare ad annunciare il fallimento dell’impresa. L’altra era stato osservare
come quel vecchietto vivesse secondo una tabella di marcia ferrea e fissa: da
quando si era trasferito in quel paese, non lo aveva mai visto mancare ne una
visita di controllo, ne l’appuntamento col fruttivendolo o con il giornalaio. Tutto
questo sempre allo stesso minuto. Alcuni, scherzando, dicevano di aver puntato
l’orologio sulla sua visita al bar, otto e mezza in punto.
Quasi
soprapensiero si occupò di Vinnini. Gli controllo tutto, dalla vista ai
riflessi, e fino a quel momento l’anziano era perfetto: avrebbe dato qualsiasi
cosa per ritrovarsi così tra cinquanta anni. Aveva iniziato a controllare la
respirazione quando uno strano silenzio lo turbò. Non si trattava della sala
d’aspetto e neppure il suo ambulatorio. Quel silenzio proveniva dallo
stetoscopio: nessun battito risuonava in Vinnini. Controllò se lo stetoscopio
fosse rotto e riprovò ancora: nessun battito. Prese quello di riserva: nessun
rumore. Si accorse di sudare freddo ma riuscì a mantenere il controllo.
“Venga
Vinnini, che misuriamo la pressione”. Gli disse.
Ritornarono sulla scrivania e il medico iniziò
a gonfiare nel bracciale, rendendolo simile a una ciambella. Forse il suo udito
aveva qualche problema e promise a se stesso che più tardi si sarebbe fatto
controllare da un collega. Lo sfigmomanometro avrebbe confermato tutto. Si
rimise anche lo stetoscopio, ora più per vezzo che utilità, alle orecchie e
iniziò a misurare la pressione. La lancetta scendeva fluida e sicura verso
valori sempre più bassi e lui si aspettava il piccolo scatto della massima ma
questo tardava ad arrivare. Cento, novanta, ottanta….
“Abbiamo la
pressione un po’ bassa…” le parole gli morirono in gola.
Cinquanta, quaranta, trenta, venti, dieci,
zero. Nessuno scatto nella discesa: la sua pressione era zero. E solo una cosa
poteva esserne la causa: un cuore fermo. Vinnini però era lì davanti a lui e
funzionava perfettamente. Inoltre non era tipo da scherzi stupidi. La mano del
medico tremava abbastanza da attirare la curiosità dello sguardo del paziente prima
sulla mano e poi sul suo viso, una misto di paura e sconcerto.
“C’è
qualcosa che non va con la pressione?” chiese con voce preoccupata.
Il medico sussultò come se si fosse
risvegliato e mentì spudoratamente: “ si, ma per essere sicuri le faccio un
elettrocardiogramma.”
Era riuscito
a tenere il suo tono di voce classico ma non a coprire la nota di preoccupazione. Doveva essersene accorto anche
Vinnini perché ora teneva lo sguardo fisso su di lui. Si fece coraggio e
attaccò tutti gli elettrodi, avviò il macchinario e attese il risultato. Quando
arrivò afferrò con ansia il foglio: sulla carta rosa pallido un’unica linea
nera e sottile disegna una retta da un bordo del foglio all’altro. Era piatto:
il suo cuore era veramente fermo e non stava sognando nulla. Guardò con occhi
pazzi l’anziano che iniziava ad essere visibilmente preoccupato e impaurito.
“Lei cosa ci
fa qui?” disse a Vinnini, piano poi più forte “Lei cosa ci fa qui? Lei dovrebbe
essere morto. MORTO! Il suo cuore non batte eppure è qui; perché?”
Di fronte allo sfogo l’anziano sembrò
spaventato, poi si appoggiò allo schienale del lettino e chiuse gli occhi. Il
medico rimase guardarlo e a chiedergli perché più volte. Vinnini non rispondeva
ne dava più segni di vita. Quando se ne accorse il medico provò a scuoterlo, a
rianimarlo con il massaggio cardiaco, infine chiamò l’ambulanza ma non ci fu
nulla da fare: Vinnini non si sarebbe più svegliato. Il medico rimase turbato e
per settimane si interrogò sull’accaduto. Poi un pomeriggio di Aprile scoppiò a
ridere. Aveva capito. Il cuore di Vinnini era davvero fermo ma lui non poteva
morire: Aspettava che qualcuno glielo ordinasse. E lo aveva fatto lui,proprio
lui: il suo medico.