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Autore: slice    17/01/2011    6 recensioni
L'ha fissata per giorni, la sua katana. Per notti intere, quando fuori il vento soffia e da dentro sembra che si lamenti, come un essere umano straziato, quando in casa ci sono scricchiolii e sussurri, quando Itachi gli parla nella sua testa, quando si rende conto che è solo e che non ha niente da fare. In quei momenti fissa quella lama. La liberazione.
Prima classificata - pari merito con wari - al contest "LettoriScrittori" indetto da Urd.
Il primo posto mi fa piacere offrirlo in omaggio a chi mi ha aiutato a crescere nella scrittura; mentre la fic è il regalo di compleanno di suni. Auguri mora!
(Non condivido la scelta del titolo in inglese, ma il regolamento del contest mi sta guardando male e non posso fare altrimenti.)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kakashi Hatake, Sasuke Uchiha
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Traccia 16 - traccia e titolo di Naomi92/Nakaba

Titolo: “Don't Live Me By Myself”
Pairing: KakashiSasuke
Rating: Arancione
Specifiche sulla trama: Una one shot incentrata sulla KakashiSasuke. Sasuke è ritornato a Konoha, ma dopo quello che è successo con Itachi, si sente depresso e più volte tenta il suicidio (tagliandosi le vene, etc...). Sembra che nessuno riesca ad aiutarlo, né Sakura con il suo costante amore né Naruto con la sua perenne presenza.
L'unico che riesce a comprenderlo è Kakashi e, quando una sera si reca a casa del ragazzo, lo conforta.
A modo suo.



Titolo: come da traccia n°16.
Genere: introspettivo.
Pairing: come da traccia n°16.
Rating: come da traccia n°16.
Avvertimenti: shonen ai, what if?, one shot.
Disclaimers: i personaggi e i luoghi non mi appartengono e non c'è lucro.
Note: quel 'a modo suo' giustifica il rating arancione con qualcosa di più spinto, o almeno credo che chi ha posto le condizioni intendesse questo, tuttavia vedo un possibile approccio approfondito un po' più avanti nel tempo e dal momento che non sono ammesse le long preferisco avere punti in meno ma lasciare alla storia i suoi tempi, come credo un Kakashi vagamente ic lascerebbe a Sasuke.
Il rating è ugualmente arancione a mio avviso, perché ci sono due tentati suicidi e gli argomenti trattati non sono esattamente all'acqua di rose, quindi il giallo mi sembra troppo poco.
Per il resto credo che se c'è dell'ic sia davvero molto al limite e falsato da alcune situazioni non troppo vicine ai possibili risvolti dell'opera originale, per vedere i personaggi in questa situazione è necessario secondo me staccare il naso dal manga ed immergersi nelle circostanze di questa what if.
Non rispecchia molto la traccia, ne sono consapevole, ma non è stato facile scrivere di qualcosa del genere, avendo passato un periodo di depressione a mia volta. Ho cercato comunque di attenermi il più possibile e spero che piaccia alla giudicia e che chi ha scritto la traccia si senta almeno un po' soddisfatta - altrimenti però non la rimborso eh, u.ù mi spiace. Questo sarebbe già un bel premio, sì.









Don't leave me by myself
di slice







Non è il suo respiro che fa differenza, lì.
In quel luogo fa veramente freddo, di quel gelo che ti entra dentro, quello che avverti con tutti i sensi; privo di brividi, colmo di disagio. È quel freddo che lo coglie anche tutte le notti, le sere, le mattine, i pomeriggi, è quel freddo che non lo lascia mai, che lo attanaglia e cerca di trascinarselo via, nel buio.
È anche buio, lì. Non si spiega come mai, ma da quando è tornato, il sole non arriva a toccarlo, non lo sente addosso, non lo sente nella sua vita. È buio, ma non quello che fa stringere nelle spalle, bensì quel buio freddo che fa scappare.
C'è desolazione. Non c'è un angolo che non sia in evidente stato d'abbandono, non c'è un muro che sia completamente in piedi, non c'è niente di integro; né fuori né dentro di lui.
E non c'è nessuno in quel luogo. Quel posto è lugubre di notte e spettrale di giorno.
Non avverte speranza nei giorni che si susseguono, non vi è pace fra i suoi sensi, non vi è riposo, né luogo dove nascondersi dal mal di testa e dal mal di stomaco. Il tramonto non è più la fine di un ennesimo stupido giorno, è l'inizio di un'altra nottata insonne. Le sue occhiaie parlano chiare, le sue nocche altrettanto. Per questo ci pensa un secondo in più prima di sferrare un altro pugno sul legno della finestra. Ci pensa sempre un altro secondo, ma questo fa solo sì che i colpi avvengano ad intervalli regolari. Niente di più.
I suoi occhi neri sono posati al di là della finestra, su quella strada polverosa che si addentra nel silenzio morto di quei vicoli scuri. C'è solo tristezza, là fuori; come vi è dentro. Dentro la casa e dentro di lui.
In tutto quello il suo respiro non fa molta differenza, decisamente. Eppure non riesce ad ignorarlo, è obbligato ad ascoltarlo e lo ode perfettamente perché non c'è altro lì, a parte quello. Non c'è niente lì, a parte lui. Niente, nemmeno il passato, tanto meno il futuro.
Il suo respiro è un affronto: lui è vivo, la sua famiglia no. Lui vive, quel posto no.
Il mondo fuori ha smesso di toccarlo, non vede e non sente niente che lo trattenga lì.
Naruto.
Sakura.
Kakashi.
Vivere per loro non ha funzionato.
È un genio, e lo sa fin da quando ha rimesso piede a Konoha che glielo doveva; doveva provarci. Per loro.
Ma non ha funzionato.
Non riesce più a sentire la musica del mondo.
Quando Tsunade ha detto che il rischio era cadere in depressione non l'aveva degnata di uno sguardo, quando ha smesso di sentirsi vivo invece, se non per una serie di funzioni che involontariamente il suo corpo insiste a compiere, ha compreso cosa volesse dire. Non ha cercato aiuto. All'inizio non lo voleva, poi non se lo meritava, e alla fine è troppo tardi. Senza sapere che quelli sono esattamente gli stadi di qualcosa che ti spinge all'isolamento.
Il demone volpe si è preso la maggior parte della sua vista e della sua abilità. Ha stracciato ulteriormente il suo orgoglio, portandosi via l'unica cosa per cui avrebbe volentieri dato entrambe le doti strappategli: Naruto è ancora in coma, a mesi da quello scontro. Sedato, attorniato da vari oggetti che aiutano a contenere il demone.
È orribile da vedere. Quel tizio là, quello esagitato che urla sempre e che non si arrende mai, è orribile vederlo in quel modo, con tubi e aghi che entrano ed escono da tutte le parti. Lui lo ha visto una volta sola, prima di uscire dall'ospedale, e se la farà bastare.
Ospedale in cui è stato praticamente recluso, per poi finire in un'altra gabbia che ha odori e lamenti di casa sua.
Il quartiere Uchiha è ancora come lo aveva lasciato, è ancora come se lo ricordava.
Il primo giorno ha fatto la spesa ed è tornato a casa all'imbrunire come quando era un genin fresco d'accademia, proprio come prima di partire per Oto.
Dopo non è più uscito e, nonostante abbia il permesso di poche ore alla settimana, per provvedere alle proprie necessità, non ne usa nemmeno mezza. Rimane lì, ad attendere che Sakura bussi alla porta con la spesa in mano, che faccia un po' di baccano e chiacchiere vuote atte a distrarlo, e poi che se ne vada sconsolata.
Comunque non importa. Sakura non può essere sempre lì, e quando c'è è una labile distrazione, quando se ne va invece torna il niente. Quel niente che prova anche in quel momento, mentre impugna la katana.
L'ha fissata per giorni, la sua katana. Per notti intere, quando fuori il vento soffia e da dentro sembra che si lamenti, come un essere umano straziato, quando in casa ci sono scricchiolii e sussurri, quando Itachi gli parla nella sua testa, quando si rende conto che è solo e che non ha niente da fare. In quei momenti fissa quella lama. La liberazione.
Scende le scale con calma perché non c'è fretta, non c'è nessuno che glielo impedisca, nessuno che possa biasimarlo. Non c'è nessuno, lì. C'è solo il suo respiro, così vivo da disturbarlo profondamente: se lo elimina tutto avrà senso. Tutto si sistemerà.
Si inginocchia, in salotto, regge l'arma con entrambe le mani ed esercita forza da entrambi i lati tirandole in direzioni opposte. Il fodero scorre rivelando la lama affilata, riflesso vivo portatore di morte.
Tuttavia quel riflesso è vivo per un momento, dopo è un viso stanco, già morto, in sintonia con il resto. Ha una vaga percezione di cosa appare da fuori, probabilmente sembra solo lui, pensa, forse un po' più stanco, ma dentro non c'è più niente se non disperazione che non riesce ad ingoiare, e lacrime che, anche se non vuole versare, a volte lo tradiscono.
Dentro c'è Itachi che sorride e lui che lo uccide.
Dentro ci sono suo padre, Madara, Danzo e il Sandaime che obbligano un bambino a sterminare la sua famiglia.
Dentro c'è sua madre che muore perché è nata nel posto sbagliato, al momento sbagliato.
Dentro c'è la sua infanzia, lontana e lisa, sporcata dall'adolescenza, vicina e nitida.
Sfila il fodero del tutto e lo appoggia di lato, osservando la punta della katana.
Dentro di lui c'è la sua decisione di tagliare legami, la sua decisione di rimanere solo in quello spicchio di luce che la porta della vendetta gli lasciava intravedere, cosicché adesso che la porta è chiusa lui è al buio, al freddo, nella desolazione. E non ha nessuno.
Torce il polso e la lama preme sul suo stomaco, lievemente.
Chiude gli occhi.
Qualcosa disturba i suoi sensi.
C'è qualcuno lì, in quella stanza. Adesso lo sente, si muove.
Non apre gli occhi, sente solo la katana allontanarsi, sfuggire alle sue dita. Sente gli occhi inumidirsi e lo stomaco contrarsi, come un bambino, perché non importa chi sia, lui non ce la fa più. È troppo. Non si vive così, non è umano, non ce la fa. Non ce la fa più.
“Sai qual è stata la prima cosa che ho pensato quando ho trovato mio padre morto per mano sua?”
È la voce di Kakashi, è vicina, bassa, gli si è seduta davanti, quella voce.
C'è silenzio per molto tempo, quello che si ode però è un silenzio sopportabile, è tutta la pazienza del Rokudaime e tutto l'amore del sensei.
Sasuke è un uomo ormai, un ninja, un ex nukenin di rango S, ma prima di tutto è un essere umano. Il suo istinto di sopravvivenza lo scuote e lo avverte, gli fa prendere coscienza del fatto che non si vive se non si condivide; si rende conto che vuole compagnia, vuole un dialogo con qualcuno che non sia morto per mano sua, vuole prendere le cose come vengono e non pensare al futuro, vuole rispondere semplicemente alla domanda postagli.
“Non hai potuto avere la tua vendetta,” dice.
Ha la voce roca, non parla da giorni, o forse settimane, gli occhi sono ancora chiusi, ché tanto in quel buio non vede niente. Non è una domanda, è solo una cosa che gli sembra scontata e si fa più attento, istintivamente, quando pur non vedendolo sente Kakashi muovere la testa in segno di diniego.
“Non bastavo. Non ero sufficiente per farlo rimanere qui, a combattere,” si ferma un momento, registrando con una punta di fastidio il dondolio di Sasuke, calmo, lieve e incessante, “Ero un bambino, non mi ero accorto di niente, non sapevo di dover dire la verità ad alta voce. Oggi lo so, oggi ne ho tante di verità da dire, permettimi di fartele sentire prima di tutto questo,” lo dice in un sussurro, pauroso della reazione o, al contrario, della totale assenza di reazioni. C'è silenzio lì e quell'ex nukenin di rango S sembra così fragile che fa aggrovigliare lo stomaco vederlo così.
Sasuke dondola ancora, con gli occhi chiusi e umidi, apre la bocca e sospira. Un sospiro ampio, che gonfia i polmoni e comunica ansia, un sospiro stanco, irrequieto, di qualcosa che vuole uscire, ma non sa come farlo.
“Non è stata colpa tua. Io c'ero, l'ho visto, sono morti in fretta. E, in parte, condivido la tua scelta di lasciare il villaggio: Konoha ci avrebbe messo molto più tempo a prepararti per...” si blocca, appena nota che il dondolio è cessato, poi riprende cauto quando vede che il ragazzo non accenna a fare altro, “ti voglio bene, Sas'ke, te ne vuole Sakura e te ne vuole Naruto, ma ti assicuro che nessuno te ne vuole quanto te ne voglio io. Se te ne vai, una parte di me verrà via con te.”
Sasuke apre gli occhi, con una lentezza disarmante che potrebbe sembrare calcolata se solo non apparisse un gesto tanto faticoso, una lentezza che amplifica l'immagine di stanchezza e malattia che il genio propone di sé, da qualche mese ormai. Lo fissa. Lo fissa a lungo, in silenzio, vagamente sorpreso ora che nella penombra del tardo pomeriggio, e della sua vista malata, scopre che il sensei è senza maschera.
“Come fai a sapere quanto bene mi vogliono Sakura e Naruto?” dice, ignorando volutamente la questione maschera.
Lo avrebbe chiesto con più rabbia se fosse stato in condizioni normali perché se c'è qualcosa che sa, che ha capito e che non si dimenticherà mai, è quanto quei due scemi tengano a lui. Se c'è una cosa che non può tollerare è che si prenda in giro o si sottovaluti quel legame che solo grazie a quei due non è mai riuscito a recidere del tutto. Ma la risposta lo lascia sorpreso ancora una volta.
“Lo so perché il mio è un altro tipo d'affetto, Sas'ke,” dice Kakashi, calmo, “io non ti voglio solo bene, io ti amo.”
Il genio spalanca gli occhi e la testa compie un gesto repentino, nervoso, mal controllato.
C'è silenzio, ci sono gli occhi di Sasuke spalancati, c'è lo stupore e la calma e l'aria fresca di fine estate: c'è vita lì dentro ed era quello che Kakashi voleva prima di ogni altra cosa.
“Non voglio niente da te, non ti sto chiedendo niente tranne... Vivi, Sas'ke. Ti prego.”



Il sole si muove, lui non lo avverte ancora, ma sempre più spesso c'è qualcosa che vibra lì, intorno a lui.
Kakashi fa rumore.
Sasuke sospetta che lo faccia apposta, ed è incredibilmente e illogicamente grato di questa premura.
Non è Naruto, ma riesce a fare abbastanza rumore per distogliere i suoi pensieri, almeno per un po', da tutto quel niente che gli pesa sullo stomaco e sulle spalle, che gli schiaccia la testa e lo rende apatico, insofferente.
Non si dicono molto, in verità raramente si parlano, si girano intorno come se fossero l'unico cane e l'unico gatto ancora in vita. Il gatto è infastidito e diffida, mugolando con il pelo arruffato, ma la presenza del cane lo rassicura, gli è vitale, in realtà; il cane ha una pazienza secolare, da Goshinboku, e si fa avanti a piccoli passi attendendo che il gatto smetta di avvertirlo come un fastidio, senza sapere che è molto più ben accetto di quanto crede.
È bello stare in cucina con Kakashi comunque, quando fa rumore con le pentole, quando c'è odore di cibo. È ancora più bello quando c'è Sakura che ciarla, anche se lo fa per riempire gli spazzi vuoti e un po' lo rende triste perché quello era ciò che faceva la testa quadra. In fondo però la ascolta volentieri perché lei parla di cose vere, di persone vere, e fa parlare Kakashi la cui voce inizia presto ad essere indispensabile per Sasuke. È bello quando preparano pietanze varie a base di pomodoro e Sasuke li guarda, attento. Li guarda parlare, ridere, rivolgersi a lui senza aspettare risposta, schizzarsi d'acqua, mentre preparano tutti quei pomodori e la sua attenzione si acuisce quando uno di quegli ortaggi cade per terra; si innervosisce quasi, ché gli maltrattano la cena.
Sakura comunque è bene accetta finché non parla di Naruto, perché quello è ancora un tasto dolente che Sasuke si rifiuta di affrontare. Non ci sono notizie positive e quindi non c'è niente da dire, brontola, sulla difensiva, quelle poche volte che l'argomento viene casualmente tirato fuori.
Sakura di incupisce e borbotta che dovrebbe andare a trovarlo, ma quando Sasuke le dà le spalle si affretta a dire che ha ragione e che non c'è niente da temere perché se c'è qualcuno tenace al mondo quello è Naruto. Kakashi la aiuta ad uscirne: sorride, socchiudendo l'occhio scoperto, e cambia argomento.
Torna tutto in fretta al suo posto, poi. Perché Sasuke non ha la forza di tenere il punto e nemmeno di arrabbiarsi. Inoltre non gli riesce affatto facile, arrabbiarsi con Sakura. Lei ha i capelli rosa, così chiari e profumati che lì sono una piacevole variazione. Ha gli occhi verdi, chiari anche quelli, così chiari che è difficile paragonarli all'erba o alle foglie, perché lui le vede talmente buie adesso da fargli venire la nausea. Il verde degli occhi di Sakura brilla e lui lo scorge, anche con quegli occhi malati, anche con tutto quel buio e quel freddo intorno, lui li vede e li segue perché nonostante la stanchezza, le occhiaie e quel posto, il suo istinto di sopravvivenza è forte. La guarda negli occhi quando parla, la guarda negli occhi ogni volta che non è strano che lo faccia, coglie ogni occasione per guardarle quel verde brillante, quel rosa tanto invadente quanto luminoso e caldo.
Lei non è più una bambina, Sasuke se ne è accorto perché non corre più dietro a qualcosa di lontano da lei, a qualcosa che anche con tutto l'impegno possibile non avrebbe potuto renderla felice come si merita. Se ne è accorto solo perché fuori, quando esce, a volte c'è quel Sai ad aspettarla, non perché abbia notato qualcos'altro. Se ne è accorto perché alcune volte la intravede dalla finestra affrettare il passo nell'ultimo tratto e saltare al collo del ninja d'élite. Non perché abbia sviluppato maggiore empatia o la sua indifferenza si sia affievolita, solo perché è evidente ed è altrettanto evidente che lui non ne soffre.
Va bene così. Non è mai appartenuto a Sakura ed è giusto che lei abbia accanto qualcuno che può essere contagiato a pieno da quegli occhi verdi.



Il sole si è svegliato. Naruto ha smesso di ronfare e ha deciso che loro, poveri mortali, possono tornare ad essere graziati della sua presenza, e Sasuke è intenzionato a fargli pesare tutto questo per molto tempo.
Quella casa prima era immensa, da perdercisi, ora sembra che non ci sia spazio sufficiente, che non si possa svoltare un angolo senza inciampare in qualcuno. Ma non è così, è solo che Naruto ha sempre tre cloni che gironzolano, per mettere in ordine, dice, ma Sasuke non è scemo e sa che si preoccupa perché lo sente piangere la notte e a volte lo ascolta parlare con qualcuno che non c'è più.
Quando si trova un clone biondo e invadente davanti, il genio lo defenestra o gli spezza l'osso del collo o sbuffa e gli fa lo sgambetto, perché lui sarà anche cieco e depresso ma quel cretino non riesce a stare in piedi da solo. Nelle giornate in cui si sente particolarmente attivo e ancora capace di odiare il mondo è possibile vederlo scagliargli addosso un Raikiri, chiedendo poi in un borbottio torvo dove diamine sia l'originale.
Naruto è quasi più irritante di quel sorriso plastico del coglione anemico, come ha recentemente soprannominato Sai. Quel tipo lo rendeva irrequieto e ansioso i primi tempi, ora non lo sopporta esattamente come non lo sopportava prima, ma almeno riesce a non farsi avere un attacco d'ansia. Non era paura, solo che quella pelle innaturalmente bianca e quei sorrisi falsi miscelavano un duo che non avrebbe più voluto vedere. E, anche se ad una più attenta analisi i soggetti in questione sono lontani anni luce da quel ninja, quando si parla con il cugino morto chiedendogli come sta il fratello, altrettanto morto, è abbastanza chiaro che l'equilibrio è ancora molto precario. Fin troppo per cercare di smontare paure irrazionali.
Effettivamente adesso lo digerisce meglio, quel tipo. Fa felice Sakura averlo intorno e alla fine non è questo grande sforzo da parte sua perché quello sta zitto e lui può fare beatamente altrettanto. È una cosa che funziona, in effetti.
Poi anche volendo è difficile conversare con Naruto intorno: quello fa un sacco di rumore.
Fa più rumore di Kakashi, indubbiamente. Ne fa più di Kakashi e Sakura messi insieme.
Quando il vento soffia non sente lamenti straziati, quando il buio si fa denso non riesce a perdercisi dentro, quando guarda fuori non riesce a sentire a pieno tutta quella desolazione: Naruto fa troppo rumore. Ne fa troppo anche per lasciargli intravedere Itachi, sanguinante, che sorride. Ne fa troppo anche per sentire quello che dice sua madre, con quella voce soave, in quella parte della sua mente che se la ricorda ancora.
È una cosa positiva avere la testa piena di qualcosa che non sono ricordi di un'infanzia perduta per sempre che inneggiano ad un'apatia commemorativa, o di un'adolescenza dalle tinte troppo forti per essere quel periodo delicato nella vita di un essere umano dove da bambino si diventa adulto. Passaggio che i ninja anticipano, in genere, o saltano, passando direttamente alla lapide dei caduti.
Il sole scalda, lo sente se si concentra, le foglie sono un po' più verdi, il nulla di quel posto invece lo avverte ancora, lo tocca ancora, nel profondo, dove è completamente solo, dove entra la notte e ne esce distrutto al mattino.
La sera e la mattina infatti sono i due momenti che più detesta. Sono i momenti di panico, in cui c'è lui e basta. Lui e il silenzio. Ancora.
Tutti tornano alle loro abitazioni alla sera. Tutti lo lasciano solo, la sera.
Naruto dopo aver parlato con Kakashi non lascia mai del tutto la sua casa: c'è sempre un clone da qualche parte. Nascosto, perché altrimenti Sasuke lo taglia a fettine sottili; molto sottili.
È un despota, ma le sue azioni non rispecchiano il suo volere; la maggior parte delle volte mastica imprecazioni salendo le scale perché sa dov'è quel maledetto clone e gli tocca far finta di niente perché quel coso arancione rischiara quel nulla buio e freddo, e la mattina presto quando si sveglia, talmente presto che fuori non c'è ancora luce, fa meno paura quella casa, quel posto. Il cuore decelera più in fretta, dopo quel brutto viaggio che è costretto a compiere tutte le volte che chiude gli occhi, quando sa che al piano di sotto, o nella stanza accanto o al di là della porta, c'è quell'imbecille biondo.
Poi arriva l'originale e si riconosce perché urla come un pazzo cose che a lui non fregano molto, ma che contribuiscono a rompere quell'amarezza nera che gli sale in petto la maggior parte delle volte che si trova in posizione orizzontale.
Dopo arriva Kakashi, insieme si mettono a fare baccano per tutta la casa partendo dalla cucina, perché sia mai che la gente si faccia la colazione a casa propria. Certo che no.
Adesso ha gli sportelli pieni, ha tre tipi di cereali, un sacco di latte e di succhi di frutta, diversi tipi di spaghetti, di riso e di salse, ha un sacco di bacchette e bicchieri e ciotole; ci sono sempre cose nuove in giro e, quelle che non mettono a posto loro, lui non le tocca perché fanno disordine in quell'ordine cupo che è l'assenza di vita di quella casa troppo grande.
Esageratamente grande, specialmente la sera e la mattina, specialmente la notte.



Quei tre idioti più il coglione anemico, che non è parte di loro bensì è la maggiorazione di un numero perfetto, un numero che funziona anche senza di lui, hanno anche le missioni da compiere e i loro impegni da rispettare.
Kakashi Rokudaime dà veramente fastidio perché ce lo ha spesso tra i piedi e non c'è niente che non possa fare: se Naruto lo chiede può saltare le missioni e rimanere in quella casa per settimane. Tra i suoi piedi, con i dieci cloni che sparpaglia in giro e con tutta la sua aranciosità. A Sasuke non dispiace, in effetti, ma quel cretino dà davvero sui nervi e lui glielo comunica con tutto il suo essere.
La sera è ancora il momento peggiore e lui sta seduto in salotto a leggere, cercando di ignorare tutto ciò che esula dalle parole stampate sulla carta. Naruto attizza il camino di cottura, pochi metri più in là, al centro della stanza. Sasuke lo sa che ogni tanto volta la testa, lo osserva per un momento e poi torna ad occuparsi di quello che sta facendo. È irritante come il suo solito, ma conserva qualcosa di quasi, uh, tenero nel preoccuparsi con così tanta attenzione delle sue condizioni. Tenero e imbarazzante come solo quel termine sa essere.
Sasuke sbuffa, chiudendo il libro e alzando la testa di scatto.
“Non hai altro da fare, testa quadra?”
Naruto si volta ad osservarlo con le sopracciglia arcuate verso l'alto, nella sua classica espressione da pollo lesso. Poi sospira, passandosi una mano sulla guancia più vicina al calore del focolare.
“Che palle, teme...” brontola, accigliandosi, “No, ok? No!” dice, prima di tornare a seguire il bracere a legna.
La risposta è stata prevedibile e Sasuke era già tornato al suo libro ancora prima che l'altro finisse di parlare, però quello che succede dopo ha dell'incoerenza unica, degna di Uzumaki, che lo lascia sempre un po' confuso.
Il clone sparisce in una nuvola di fumo e l'attizzatoio cade sul legno del tatami con un tintinnio sordo.
Rimane fermo per qualche secondo ad osservare il punto in cui era il cretino, senza muovere ciglio, come se quello potesse ricomparire da un momento all'altro.
Mentre pensa distrattamente alle spiegazioni più plausibili che, dal momento che Naruto e Sakura sono in missione, variano da una possibile imboscata ad un probabile errore di calcolo del ninja più imprevedibilmente goffo del villaggio della Foglia, ode altri rumori simili nella casa e un altro sbuffo, uguale al precedente, si intravede in cucina. Tutti i cloni stanno svanendo. Ed è osservando la cucina spoglia, ornata solo della flebile luce che arriva dal fuoco in salotto, che avviene il risveglio. La testa si snebbia della tranquillità imbastita dal libro e dal compagno, da un'abitudine serena che si appoggia con lui di spalle alla gabbia delle sue paure aiutandolo a tenerla chiusa. Prende coscienza di qualcosa a cui riesce a non pensare per molto con la presenza di quelle persone invadenti e tenaci che gli vogliono indubbiamente bene: adesso è completamente solo. Di notte. In quella casa.
E la gabbia si spalanca.



Kakashi sta parlando con Naruto.
Da quando lo ha nominato suo assistente, come primo passo verso la carica di Kage che tanto agogna, anche se in tutta serenità se lo aspettava, se lo trova ovunque, e decisamente quel suo allievo non è sempre sopportabile.
Sospira mentre appoggia la guancia sul palmo aperto, ascoltando tutto il fiume di idee sensatamente incoerente che l'altro rovescia sul tavolo, come se fosse una scatola di pezzi di puzzle che tanto il Rokudaime è tenuto a ricomporre, e nel frattempo cerca pure di trovare un modo per conciliare le brillanti idee della nuova generazione con quelle dei nuovi consiglieri; per quanto Shikaku simpatizzi per lui e per il jinchuuriki non significa che amerebbe vedersi sommerso da idee rivoluzionarie come quelle. Tutte buone idee indubbiamente, sensate e dettagliate, ma di un'audacia che le rende attuabili nell'arco di dieci anni.
Tutto si risolve nella sua mente quando con uno sbuffo conosciuto il silenzio torna a regnare in casa sua. Tutto si risolve per un momento, un istante di rassicurante nulla in cui le sinapsi dell'Hokage, che è sfuggito a Shizune per l'intera giornata solo per trovarsi il kohai sulle scale di casa, si rilassano clamorosamente.
Poi, l'attimo dopo, sono indecentemente forzate ad un ritmo serrato, rispetto a quello precedente.



La gabbia si spalanca, sbalzandolo nel mezzo di quel posto morto con il suo respiro e il suo cuore, così vivi, nelle orecchie.
Quel poco che ha capito di quella malattia - ha deciso che lo è dal momento che lo debilita come fa la febbre - è che il confine è la compagnia. Quando quella viene a mancare non c'è niente che contenga la depressione, filtra come la sabbia faceva tra le dita, quando era in missione per conto di Orochimaru al confine con il Paese del Vento. Si insinua dentro con maestria perché è come un luogo e una volta che si conosce si sa come tornarci. Ha capito che quella malattia ormai sa farsi strada nella sua testa, anche senza il suo permesso, e non c'è niente dentro di lui che possa contrastarla. Non può, non da solo. Più la teme, più è facile che ci ricada; si è reso conto che respingerla significa soltanto pensarci su: non la dimentica mai realmente. È sempre lì, in agguato. Quando è solo gli balza addosso. E in quel momento, al buio, in quella casa, è un macabro invito.
Si alza, meccanicamente e si fa più vicino al fuoco, ravvivandolo con l'attizzatoio. Quando la fiamma è viva, la luce e il calore lo avvolgono, fa per posare l'attrezzo sul tatami, ma l'oggetto scivola dalle sue dita tremanti e finisce sul pavimento con un tonfo.
Non è lo stesso suono, ma nella sua mente se ne sovrappone un altro. È quello che lo perseguita da quando ha smesso di pensare come un nukenin, da quando si è fermato a fare il punto della situazione, della sua vita, e non ha potuto evitare di guardare indietro. Da quando quella casa sembra risucchiare tutta la sua energia positiva. Da quando è tornato.
È il suono della testa di Itachi che sbatte contro il muro prima che il suo corpo senza vita cada in terra, ai piedi del simbolo del clan Uchiha.
Scuote la testa e si rifiuta di guardarsi intorno. Se lo fa, vedrà qualcuno che non può esserci, che non può più essere preso in tempo, prima che la sua testa cozzi con quel muro e quello stupido simbolo che li ha condannati e uccisi tutti quanti. Prima che il clan manchi di rispetto a suo fratello ancora una volta.
All'inizio non vi ha fatto troppo caso, sicuro di aver risolto tutti i suoi problemi, non si era neanche accorto di avere alle spalle proprio quell'odioso ventaglio.
Dopo invece non lo ha più lasciato, quel suono lo tormenta. Non è solo il ricordo, lo sente spesso, è un bambino potente con le occhiaie, le lacrime di sangue e gli occhi nerissimi, che lo ha protetto e amato fino all'ultimo respiro. E lui lo ha lasciato cadere. Lo ha lasciato schiantarsi indecorosamente contro la pietra. È così indelicato, così ingiusto, che Sasuke si piega in avanti e preme una mano sullo stomaco per non vomitare, strizzando gli occhi per l'improvviso dolore. Quando li riapre si concentra sul pavimento seguendo la rifinitura fino ad un angolo della stanza: sotto l'ultimo tatami a sinistra ci sono dei kunai.
Itachi è morto sorridendogli, è morto dopo averlo liberato dalla maledizione di Orochimaru, è morto dopo averlo colpito in fronte un'ultima volta, e dopo ha sbattuto su quel muro, producendo quel maledetto suono. Come se tutta la sua intelligenza e tenacia fossero state insignificanti, come se tutto il suo amore non fosse valso lo sforzo di suo fratello.
Quel muro e quel ventaglio ridevano di lui, di loro. Ridevano di quel suono orribile.
Il tempo di afferrare una di quelle lame e portarsela al polso, senza aspettare, senza cerimonie, e dei rumori familiari gli invadono il cuore, facendoglielo pulsare fastidiosamente in gola. Si prende la testa tra le mani, ascoltando i passi di piedi piccoli, di una divisa da ANBU, ascoltando Itachi chiamarlo per nome. Una voce lontana, quella di suo fratello da bambino.
Quando lo immagina, Itachi ha tredici anni. Ne è certo perché è vestito da ANBU, o con la tuta da allenamento, e ha quelle profonde occhiaie che contraddistinguevano già l'ultimo periodo, prima del massacro. Ne è certo perché legge stanchezza in quegli occhi, ci legge un devastante e profondo turbamento. E fa davvero male. La notte non riesce a sostenere quel dolore e si sveglia piangendo, pregando suo fratello di perdonarlo.
Nei sogni che fa è bambino anche lui, inciampa e Itachi lo prende prima che tocchi terra, lui invece lo lascia cadere, rimane fermo, in piedi, appoggiato a quel simbolo, ad ascoltare quel bambino spogliato di onore e futuro che sbatte la testa contro il clan anche dopo la morte.
Non lo immagina mai già grande, forse il suo inconscio si rifiuta di avere a che fare con Itachi adulto. Itachi che muore. Itachi che cade. E quel suono non lo lascia mai.
“Sas'ke.”
La mano che si posa sulla sua spalla non è di suo fratello: è più grande di quella dei sogni ed è più grande anche di quella dei pochi ultimi ricordi che ha di lui. Ha dei guanti a mezze dita e, poco sopra, le maniche sono accorciate con dei risvolti.
Kakashi.
È contento di vederlo, di averlo lì. Nella confusione si rende conto che ha bisogno di espellere tutto quello che lo opprime, di spingerlo lontano dalla sua mente. Trema e afferra la sua mano, spalancando gli occhi neri.
“Non l'ho preso,” dice, con il panico nella voce, “non gli ho risparmiato nemmeno quello...” continua, incoerente, stringendo la stoffa delle maniche della divisa del jounin.
Kakashi avverte il cuore stringersi. Lo ha sentito borbottare quando è entrato, lo ha chiamato ma il ragazzo non ha dato cenno di essersi accorto di niente. Lo ha sentito chiedere scusa a Itachi come se lui fosse lì, in quella stanza. Senza poterselo impedire ha poggiato una mano sulla sua spalla per riportarlo alla realtà, e quella non era la reazione che si sarebbe aspettato.
Sasuke continua a tremare, lo guarda fisso nell'occhio e continua a ripetere qualcosa senza un'intonazione precisa, solo per ribadirlo.
“L'ho lasciato cadere. L'ho lasciato cadere. L'ho lasciato cadere...” di seguito, incessantemente, senza tregua; come il suo dolore.
Il jounin allontana il kunai, dimenticato ai loro piedi, con una mano, prima di dedicarsi al ragazzo.
“Sas'ke, vieni,” dice, tirandolo su, portandolo in posizione eretta, “Appoggiati a me,” concede anche se non si aspetta che lui lo faccia. Ed è per questo che quando invece l'ex nukenin si abbandona sulla sua spalla, interrompendo la cantilena, riesce a sentirsi utile, padrone della situazione.
Lo aiuta a salire le scale, a raggiungere la camera, a sdraiarsi sul futon. Osserva la sua mano trattenere la stoffa della sua manica e si abbassa per cercare di toglierla.
“Rimani qui.”
La sua voce è tornata calma, non saprebbe dire quanto di preciso lo sia lui, ma almeno la voce non vibra colma di panico come pochi istanti prima.
La sua è una richiesta piuttosto bizzarra, che conoscendo il vero Sasuke sembrerebbe insolita oltre ogni dire, ma che in quel momento è come se fosse una naturale conseguenza. Kakashi avverte il suo bisogno, la necessità che Sasuke ha di avere vicino, fisicamente, qualcuno.
Si sdraia sul futon, accanto a lui, allora. Senza fiatare. Supino. Con gli occhi aperti nel buio, mentre Sasuke si volta su un fianco e appoggia la fronte alla sua spalla. Come un bambino solo e stanco che vuole soltanto dormire, e riposare sul serio.



La prima notte Sasuke si sveglia piangendo e Kakashi è lì a spostargli i capelli sudati dal viso. Lui sospira, si volta e si addormenta di nuovo.
La seconda notte non riesce a prendere sonno. Kakashi è sempre lì però, è caldo e ha un respiro calmo su cui ci si può concentrare facilmente. Si sveglia ogni mezz'ora, ma quel respiro è ancora lì e riprende sonno ogni volta.
La terza notte Kakashi lo sveglia. Sasuke si sente portato alla realtà da alcune carezze sul viso. Quando apre gli occhi non è contrariato, ma si sente molto confuso, agitato e anche in apprensione: si scopre a chiedersi se qualcosa non turbi l'uomo. Poi si tocca il petto per via di un fastidio che sente all'altezza del cuore e si rende conto solo in quel momento della tachicardia che lo ha colto. I sogni agitati riprendono altre volte, ma quando è troppo ci sono le mani di Kakashi che lo destano.
La quarta notte Sasuke ha un fastidio in gola, qualcosa preme per uscire, vuole parlare e dire cosa non va, ma nessuno glielo ha mai insegnato. Rimane allora inquieto, sveglio. E Kakashi prende l'iniziativa.
“Mio padre mi ha cresciuto, mi ha amato, mi ha dato tutto e mi ha insegnato il necessario per diventare quello che ero, quello che sono. Ma non mi sono accorto di cosa accadeva e così sono stato complice della depressione, perché senza sapere bene cosa fosse avvertivo del disagio in lui e mi allontanavo sempre più...” dice con fatica, come se pur essendo cose lontane fossero ancora troppo vicine, “Ero solo un bambino, vestito da chuunin, e l'ho lasciato solo,” continua, con gli occhi al soffitto e le orecchie tese di Sasuke a pochi centimetri dalle sue, “Vedi? Anch'io l'ho lasciato cadere,” sospira con amarezza.
Sasuke si volta ad osservare il suo profilo.
Rimane così un sacco di tempo, ad osservare quella maschera. Una maschera per nascondersi, per nascondere suo padre che vive in quei lineamenti, per nascondere la sua vergogna, la sua inettitudine.
“Ho deluso Itachi.”
Kakashi ha un piccolo spasmo nell'udire la sua voce, così chiara, in quel silenzio. Dopo qualche minuto pensava quasi che si fosse appisolato e invece quella voce è forte, decisa. Sasuke si impone di parlare di qualcosa che lo ferisce, che come un uncino fa meno male spingerlo in fondo e lasciarlo dov'è piuttosto che estrarlo.
“Tutte le volte che penso ai miei propositi su Konoha, alle vite che ho preso, agli ideali che ho calpestato, sento quel suono...”
Kakashi non sa che suono sia, ma si accontenta del quadro che il ragazzo gli fornisce e lo lascia proseguire, senza intervenire.
Sasuke si volta nuovamente verso di lui, però. Il jounin si sente osservato, avverte gli occhi dell'altro sulla maschera. Forse vuole che interagisca, ma lui non si volta, chiude gli occhi e lo lascia parlare.
“Ho tradito Itachi. L'ho lasciato cadere e quel suono è la mia punizione.”
Adesso c'è una nota di desolazione e rassegnazione che punge, nella voce di Sasuke.
Quello a cui si riferisce è qualcosa di reale, di fisico, non si tratta solo di una caduta metaforica bensì di una cosa successa, un'immagine vera che lui deve aver preso per allegorica, che lui ha elaborato come punizione. Kakashi capisce per la prima volta il peso che le rivelazioni di Madara hanno avuto sul bambino di otto anni che è ancora là dentro, dentro Sasuke. Capisce che cosa lo tiene ancorato a quel luogo e a suo fratello, capisce quello che pensa di dover dare indietro.
“Tu sei qui, Sas'ke.”
Lo dice interrompendo un'altra frase, se ne frega e va avanti. Tacere gli è ormai impossibile.
“Ma questo era esattamente quello che Itachi voleva, è per questo che lui si è battuto, è per questo che è morto. Se ti uccidi, se non vivi sereno, questo vorrà dire lasciar cadere Itachi, tutto il resto è qualcosa di fisico che poteva non accadere ma che non cambia il presente. Tu non sei andato contro Konoha, non importa quello che hai pensato di fare prima, contano le tue azioni.”
Adesso è lui a voltarsi e a cercare quegli occhi neri, stanchi.
“Hai salvato Naruto dal demone volpe, e se c'è qualcuno che rappresenta Konoha, i suoi ideali e il suo spirito, quello è proprio Naruto. Tu sei qui, a casa tua, e hai contribuito a portare la pace in cui stiamo vivendo,” sospira, passandosi una mano sul volto, togliendosi la maschera, “Itachi è caduto perché è morto e tu sei stato una sua pedina fino a quel momento. Ma non l'hai tradito, hai realizzato il suo sogno. Questo è quello che conta.”
Sasuke però non risponde, rimane fermo, steso supino, con gli occhi sgranati nel buio. Kakashi dopo poco si sdraia nuovamente, deciso a dargli i suoi spazi, i suoi tempi.

La quinta notte Sasuke dorme. Dorme senza agitarsi, senza sognare né suo fratello né nessun altro della sua famiglia. Dorme tutta la notte e parte della mattina, fino a quando il sole non si fa alto.
Si sveglia piano, con gli occhi asciutti e la testa leggera. Nel petto ha un vuoto che sul momento non sa identificare, ma che con il passare delle ore definirà positivo. Un vuoto che dà pace, che gli fa emettere uno sbuffo divertito, che sa di assenza di peso, assenza di qualcosa di negativo. Quel vuoto è spazio libero, per sé, come un foglio bianco in cui il proprio destino non è stato scritto da nessuno e nel quale lui può anche non scriverci niente di preciso fino all'ultimo momento, se vuole.
Kakashi dorme lì vicino, con un braccio piegato sotto la testa, Sasuke lo osserva per un po' poi gli abbassa la maschera e lo bacia. Lieve, a fior di labbra. Ci appoggia le sue sopra, senza sapere bene cosa fare e, quando sente il bacio tornargli indietro non si imbarazza, non gli dispiace, non si scandalizza. Pensa solo che lo ha svegliato e che, quello sì, gli dispiace; non voleva.
Poi le sue labbra si stirano in un leggero sorriso: basta con i rimorsi.





Owari







ATTENZIONE: scusate, ci tengo a precisare che, nella mia assurdità, a volte mi succede di scrivere qualcosa ed essere indecisa se postarla o meno, perché non so se sia frutto di un mio pensiero o piuttosto di averla letta da qualche parte. In questo caso ho scoperto - con sommo fastidio, perché oltretutto era proprio indirizzato a lei - che l'idea di elencare i giorni che ho utilizzato per l'ultimo paragrafo è di suni; precisamente, dopo aver rovistato nella sua libreria, è in 'Uno dopo l'altro'. Ho corso dietro al pensiero di cambiare approccio al concetto senza modificarlo, per settimane, invano, e poi mi sono detta che modificare il pezzo radicalmente avrebbe alterato la storia e, trattandosi di una ff che ha partecipato ad un contest, non mi pareva il caso. Pertanto lascio ormai com'è e chiedo scusa pubblicamente a suni, ringraziando voi dell'attenzione.



Voglio ringraziare così tante persone che penso ne citerò giusto un paio. Non serve riempire la pagina di nick, dopotutto, nel senso che chi deve saperlo lo sa. Per fortuna, direi. u.u
Ci sono tipe toste però, come Urd, che non posso non citare: lei è stata La beta per me, quella che mi ha insegnato tutto quello che so e che, prima di incontrarla, non immaginavo neanche potesse esistere. Poi ci sono state un'altra serie di tipe toste e serie e colte e ricche, davvero molto ricche dentro, che mi hanno messo a mio agio e quindi nelle condizioni di imparare serenamente quello che ancora non sapevo, senza additarmi come l'ignorante che sono.

Un'altra che debbo citare assolutamente è suni che, nonostante non mi abbia fatto da beta, se non per sporadici favori, quando serviva mi ha spintonato nella giusta direzione.
Il suo compleanno è il 28 di Dicembre e come di consueto io sono nettamente in ritardo. -.-' Però! Però! Però è vero anche che lei ha dei gusti... Ksdhdig! Dei gusti, ecco, e quindi non sempre mi è facile accontentarla. Mi ucciderà infatti - o, beh, probabilmente - perché anche se effettivamente è solo accennata la storia è comunque una Kakashi Sasuke: non so quanto possa rientrare nelle sue grazie una cosa del genere. Bene. Mi accingo al patibolo. ^^
Con affetto e un giusto (?) ritardo: auguri suni!

Mi dispiace di non citarne altre, ma davvero rischierei di lasciare indietro nomi che invece devono brillare e quindi mi astengo completamente. Come ho già detto chi deve sapere già sa! XD



Giudizio:

I CLASSIFICATA pari merito con wari

Don’t leave me by myself” di slice, titolo e traccia di Naomi92

Questa fanfic è bellissima.
Al di là del contest, della traccia, dei giudizi: è bellissima. Davvero, ho bisogno di dirtelo perché mi ha colpita moltissimo.
Per prima cosa, c’è da dire che la traccia che avevi non era semplice da utilizzare: il pensiero di Sasuke che vive in depressione e medita il suicidio, rischiava di farti scrivere qualcosa di indigeribile. Invece, hai saputo trattare il suo disagio con grande maestria, con profonda e toccante sensibilità.
L’inizio cattura immediatamente, lo stomaco si contorce per la solitudine così solida, il senso di buio e freddo che prova il protagonista. E c’è quell’insolito ‘Io ti amo’ di Kakashi che suona come una dichiarazione vuota alle orecchie di Sasuke. Almeno, questo è quello che ho percepito io. Perché quando si è depressi il mondo è pronto a dispiacersi, a mettersi in fila per fare qualcosa, ma solo a parole. Kakashi lo dice, e ci crede, è sincero, ma Sasuke non può saperlo se non quando lo vede nei gesti della fine.
Kakashi non lascia solo il suo allievo, mai. Gli sta vicino, concretamente.
Poi è bella la scelta dell’ambientazione, casa Uchiha che distrugge tutto con la sua desolazione. Eppure ci sono Naruto e Sakura (descritti in modo divino attraverso gli occhi – malati – di Sasuke), c’è Kakashi, e persino il ‘coglione anemico’. Riempiono davvero lo spazio dell’angoscia, trasformandolo per un po’ in qualcosa di meno opprimente.
E’ bello questo tuo modo di vedere gli amici in questa situazione. E’ confortante e atroce al contempo. Perché senza di loro la disperazione torna. Quel maledetto suono…
Non lo so, per adesso non ho mai letto fanfic con un Sasuke di ritorno a Konoha, così ben delineato nella propria angoscia. Al di là del fatto che potrebbe risultare OOC, c’è da dire che la situazione è quella. Difficilmente riesco a immaginarlo comportarsi in modo diverso, pensando al contesto in cui lo hai inserito.
Insomma, hai descritto tutto in modo preciso e anche fedele allo stile di Kishimoto: i personaggi, l’ambientazione e i loro sentimenti. Hai inserito l’ironia per alleggerire la storia laddove potesse risultare troppo pesante; hai dato il giusto spazio a Sasuke, soffermandoti con particolare interesse su come ha vissuto lui tutto quello che è passato - letteralmente - addosso alla sua famiglia; sei riuscita a farmi amare profondamente il protagonista e a farmelo capire un po’ di più attraverso la tua interpretazione.
Mi dispiace solamente per il limite di pagine, perché era tanto bella che l’avrei continuata volentieri!
E sì, è un pugno nello stomaco, parla di una tristezza purtroppo vivida e di un problema che esiste veramente, ma è bella proprio per questo. Mi sono immedesimata molto. Poi, hai disseminato la storia di tanti piccoli particolari, nessuna frase è messa lì per caso, ma ha un suo significato e/o riferimento preciso. Come ad esempio il modo di vedere le cose di Sasuke che è cambiato anche a causa del suo sharingan, i colori che sembrano spenti (ma gli occhi di Sakura no), il simbolo del clan Uchiha che pesa e colpisce, non solo le sue spalle ma tutto il suo animo. Agghiaccianti i riferimenti alle voci che Sasuke ha in testa (quella della madre, quella di Itachi) e le immagini scolpite nella sua mente o il modo in cui ricorda il fratello (non riuscendo a vederlo adulto).
Poi è bello il modo ‘leggero’ con cui Kakashi entra nella disperazione dell’allievo e lo ‘aiuta’ a uscirne. Usa il ‘suo modo’, quello concreto della vicinanza e dell’amore. Anche il finale così sospeso è bello, perché un bacio a volte è così intenso che basterebbe solo quello… Ma noi sappiamo che c’è dell’altro, perché ce l’hai messo tu.
Davvero, è un ottimo lavoro e vorrei soffermarmi seriamente su ogni paragrafo per dirti cosa ne ho apprezzato, ma forse lo farò in un’adeguata recensione : - ) .
Brava, bravissima. I miei complimenti!

Capacità di gestire la traccia scelta: 10/10 penso che non avresti potuto scrivere di meglio
Stile: 10/10 scorrevole, piacevole, coinvolgente. Ottimo uso di alcune ripetizioni per rendere meglio certi passaggi e ben calibrato per quel che riguarda ironia e serietà.
Correttezza: 9/10 è molto corretta, se proprio voglio essere pignola (ma solo perché sono innamorata di questa fanfic) ci sono forse dei periodi che a volte sono lunghi. Ma a dirti la verità, leggendo ero così presa che la mia parte di beta reader è andata in vacanza!
Voto traccia 1: 5/5 l’idea di una trama ‘a catena’ non è affatto banale e nemmeno così facile da trattare. Mi piace molto il fatto che tu abbia usato questa idea per il contest, perché secondo me si presta davvero benissimo.
Voto traccia 12: 4/5 hai stabilito semplicemente due pairing e due canzoni utilizzabili. Tuttavia c’è da dire che “Ain't no mountain high enough” è un’ottima idea per una storia etero : ) soprattutto tra due jonin adulti. Divertente e adatta anche “hungry like the wolf” per la GenmaKiba! Scelta delle canzoni sicuramente ponderata.
Media originalità delle tracce inviate: 4.5/5
Giudizio personale complessivo 5/5
Totale punteggio: 47.5/50



Grazie.



  
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