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Autore: Columbrina    30/01/2011    9 recensioni
Storia riscritta e revisionata.
[Rameria]
'Siamo angeli con una sola ala, possiamo volare soltanto abbracciati'
Rama si scopre innamorato della sua protetta, Valeria, ma andra in escandescenze quando, in veste di Cupido, sarà vincolato a trovarle un compagno. E se decidesse di vivere una vita da terrestre per star vicino alla sua amata ed evitare una vana incombenza?
E se c'è un umano a render il compito meno carino, può un diavolo metterci lo zampino...
Grazie a rihal ed Alexiel 94 (che mi ha esortato a riscriverla)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Cupido. Più metabolizzavo questo termine, più davo libero arbitrio ai bollenti spiriti che fermentavano solo al pensare agli obblighi di un Paladino dell’Amore in pieno tirocinio. E non vi dico la reazione di Nicolas, il mio precettore. Anche lui ha impiegato un lasso di tempo massimale per elaborare la parola ‘promozione’ e per riavere libero accesso alle sue facoltà mentali. Per noi Angeli è la massima aspirazione e se nel tuo curriculum vitae hai inserita la voce ‘Angelo Custode regrediente’ , una nuova ripartizione è più che gradita.
Ora è davanti ai miei occhi, trafficando con uno strano arnese mentre una smorfia inquisitoria gli deforma il viso, mentre io rimugino sul colloquio con il Supremo Tic Tac (La massima autorità serafica, parlando di Angeli).

‘Ritengo, Angelo numero 078…”
“Ramiro”
“Non mi interrompere, chiaro?”
sbraitò subitamente, mentre improvvisava una danza demenziale
“Mi scusi…”
“Dicevo… A che stavo, aspetta…”
Piroettò sul posto “Ci sono, sei promosso!”
“Ma io non ho fatto nessun esame!”
contestai animatamente
“Non contraddire il capo. Da questo momento sei un Cupido!”
Sgranai gli occhi, come se un getto d’acqua fredda avesse appena attentato alla mia sanità fisica “Come?”
“Hai sentito perfettamente, ragazzo e ora fuori che sta per iniziare Casi Angeles!”
“E cos’è?”
“Un programma televisivo terrestre”
mi informò, un po’ importunato dalla mia continua processione di interrogativi futili
“Parla di angeli, per caso?” Grande intuizione, eh?
“Quasi” Ed emise una risata che sapeva di condiscendenza.

Risvegliandomi dal mio entimema, ritrovo ancora Nicolas che contempla una foto con fare tedioso, o almeno lo credevo fin quando i suoi occhi cerulei non si intrisero di lacrime, in uno slancio di emotività travolgente. E pensare che Nicolas è la personificazione della forza bruta mascolina.
“Nico? Tutto bene… Si è deteriorato l’arco?” chiesi con molta discrezione
“No” mi rispose, con fare teatrale
“Hai avuto una rievocazione?”
“No”
Una febbrile agitazione mi pervase subitamente, temendo che il Supremo avesse deviato la sua idea di promuovermi.
“Il Supremo ha cambiato idea?”
Nicolas fece cenno di negazione con il capo e mi sentii a dir poco sollevato. I singulti frenetici detonarono in uno scrosciante piagnisteo. Alla faccia della forza bruta!
“Allora che ti prende?”
Inizio a mimare febbrilmente, ma Nicolas, essendo di poca cognizione, impedì di decifrare il suo male. Oggi era loquace quanto un pesce nella boccia.
“Ti hanno retrocesso?” ricominciai con voce calma
“No”
“Ti hanno tagliato le mani?”
Nicolas assentì, lasciandomi muto e cogitabondo nella confusione totale.
“Ma se sono lì!” notificai, sull’orlo della psicopatia
“Mi sono tagliato con la carta!”
Oh, Supremo Tic Tac, fa che non lo sbrani seduta stante. Oh, Santa Pace, fa che non gli lanci un esplosivo nei pantaloni. Oh, Santo Piripillo, fa che non debba prendere un gattino per calmarmi…
La restante programmazione andrà in onda in fascia protetta.

***

Sedevo su una nuvola, a contemplare uno stormo di piccoli uccelli mentre le loro ali volteggiavano febbrilmente, inebriando quel che era un tedioso e cogitabondo pomeriggio.
Ero assorto nel pensiero che un giorno avrei volato più in alto di loro, congetture ridicole, ma quando vivi qui in Paradiso il minimo che puoi fare è pensare. A meno che non sopraggiungano i tuoi beniamini, pronti ad allietarti con qualche aneddoto delle loro fatiche. I miei sono Tacho e Mar, ma dall’intera durata del pomeriggio, neanche un fruscio d’ali da parte loro (In senso figurato, noi non abbiamo ali). Perciò iniziai a rimuginare su un confuso pronostico dei miei futuri casi disperati, tra parentesi, che da due anni, o giù di lì, sono in lite con l’amore. Non credete fine sia obiettivo, il mio compito sarà quello di incentivare le due persone a dare inizio a una storia d’amore e se non dovesse funzionare… Saprò a chi dare la colpa.
Un subitaneo aroma di pasta dentifricia, sapientemente combinato al sapore di biscotto, inebria nelle mie narici, portandomi alla mente una velatura assopita di ristoro e quiete, un toccasana per il mio spirito che non resiste al richiamo dolce dei ricordi… Valeria.
Questo è la sua inconfondibile essenza, una risoluta franchezza di cui mi beavo ogni singolo giorno da Angelo Custode. La mia bambina, la mia protetta, una personalità difficile da scalfire, se consideriamo gli otto anni della mia vita (Per scelta un Angelo può invecchiare, ma io ho deciso che rimarrò nel corpo di un aitante diciassettenne, nel pieno delle sue doti fisiche. Non per vantarmi, ma sono un bel bocconcino) che ho impiegato per darle un freno a quei toni forti e le condotte brutali, modellate dalle sue cattive compagnie. Ancora ho alla mente il nostro primo incontro…

Ero un novello Angelo Custode, all’inizio dei miei mandati (più o meno importanti), e sorvolavo la città, incurante del traffico e dei graffiti rudimentali che designavano una vicina con un epiteto poco carino, in cerca di una possibile caso da raffinare. Ma un Angelo non deve vederlo, ma bensì percepirlo in ogni poro della sua pelle, ogni mitilo in tensione, ogni goccia di sudore che riga il corpo. E magari fosse così facile! Santo Piripillo, mettici la mano tua!
Ma, come volevasi dimostrare, ho prosciugato un intero pomeriggio di svago con i miei amici celesti, terminando con vani pronostici che mi davano per fallito. Alla faccia della fratellanza reciproca! Santo Piripillo me la pagherà… Un tuono dardeggiò nel Cielo subitamente. Scusa, Santo Piripillo!
Mi siedo sul comignolo di un camino, incurante se il fumo abbrustolisse le mie chiappe, crogiolandomi in una vena di sconforto totale, il viso chiuso nei palmi. Subitamente percepisco un profumo, forse un segno, vagamente somigliante a pancetta affumicata che via via si fa sempre più tangibile, come barbecue alla brace; poi un dolore lancinante trafigge le mie natiche e un alone celeste abbacina la vista, sfocando le belle stelle che mulinano in un cerchio imperfetto.
Riprendo conoscenza quando è pomeriggio inoltrato e medito su una prossima relazione scritta sui Mezzi di riscaldamento dei Mortali al Tribunale Celeste.
Con sfiancamento palese e due caldarroste al posto delle natiche, continuo la mia ricerca quando un'altra fragranza mi pervade come un turbine, innescando un vortice invincibile di sensazioni alla bocca dello stomaco, ampliandosi verso i meandri del mio corpo. E’ un gradevole miscuglio di menta fresca e sapore di biscotti appena sfornati che proviene da un fabbricato disfatto, da quartiere di periferia, con un comignolo fumante, edera rampicante che avviluppava il balcone della finestra frontale e il frontone incrostato di raschi rudi, che diversificavano lo slavato giallo cereo dal suo monotono pallore; il tutto corredato da protesi di tubature che cesellavano la fiancata dell’abitazione. Di solito i protetti di noi Custodi sono bambini ed è a dir poco inconcepibile che delle piccole creature vivessero in un ambiente talmente degradante. Comunque i miei principi rudimentali erano un incentivo più che plausibile per promuovere il consenso alla missione. La scena che ritrovo dinanzi a me è a dir poco pietosa: Una tavola magra di cibo contemplata dalle iridi avide di una copiosa figliata, mentre una donna disfatta e dai modi sbrigativi serviva una sorta di poltiglia viscosa nei piatti, deludendo le aspettative dei poveri figli. Il fetore e il sudiciume si percepivano fin sopra i capelli.
“Mangiate” enunciò, quasi come se li stesse castigando per i grattacapi passati. Che loquacità!
Si innescò un vivace scampanellio di posate e bicchieri, mentre la donna masticava metodicamente il cibo, ruminando come un bovino rabbioso.
“Non aspettiamo Valeria?” esordì colei che doveva essere la piccola di casa, a giudicare dai denti sporgenti e i buffi nastri che adornavano due trecce ormai disfatte
“E’ lei che non è voluta scendere, quindi si arrangia” ringhiò la donna, tornando a concentrarsi sul cucchiaio che compieva sistematici movimenti circolari nella minestra. Mamma mia, che indisponenza!
“Ma allora ha già saputo che…”
La bambina venne interrotta da una subitanea gomitata da parte della maggiore; di ricambio, la più piccola diede un potente ceffone alla sua attentatrice.
“Fai silenzio tu!” intimò la maggiore, sinceramente intimorita
“Ma perché?”
La donna, inasprita dal cicaleccio dei suoi figli, detonò in un grido isterico, ultimato da un argentino tintinnio del cucchiaio sul piatto
“Che ha fatto Valeria?” chiese con voce febbrilmente flebile, mentre gli occhi statici esaminavano i deboli sguardi dei suoi figlioli che si chiusero in un silenzio religioso
“Ripeto… Cosa ha fatto Valeria?” ribadì, con voce squillante e lo sguardo ancor più diligente, così tanto da scorgere la mano di uno dei più piccoli dirigersi sotto il tavolo, con celere e vano tempismo.
“Che nascondi Felix?”
Il piccolo non rispose, mentre gli occhi si colmarono di lacrime. La donna gridò, con voce intrisa di rabbia.
“Cos’ha fatto quella monellaccia?”
Abbrancò con forza la mano di suo figlio ed identificò quasi subito un livido violaceo, nel punto mediano del palmo. Il bambino detonò in un pianto afono.
“Cos’è successo?”
“Valeria ha picchiato Felix!” ammise la maggiore, una stolta bambina con il naso costellato di efelidi. Probabilmente non sa che chi fa la spia non è figlio di Maria!
“Ora gli faccio vedere io”
La parte operativa del mio cervello mi suggerì di intervenire in difesa della mia probabile protetta, ma ciò che è giusto e giusto. Però accadde che una ciabatta logora, che corredava l’abbigliamento casalingo della donna, incespicò in un lembo del tappeto turco, rinunciando al suo intento in via del tutto gratuita e casuale (ed evidenzio casuale). Così impiegai prestanza fisica e ingegno nelle gambe per percorrere dodici gradini di scale ed identificare la stanza della mia protetta. Entrai nell’ultima stanza del corridoio, sbatacchiando la porta con intenso vigore da spaventare la piccola figura crogiolata in terra, intenta nella decomposizione della testa di una bambola bionda.
“Non è affatto divertente, Martina!”
Mi avvicinai nel modo più cauto possibile, in modo da non destare sospetto: Il primo contatto deve essere scrupolosamente vagliato e garbato. Appena giunsi a una considerevole distanza, estesi la mano in modo da sfiorarle la guancia; percepivo una palese esitazione da parte sua che la costrinse ad allontanarmi con un brusco gesto.
“Non è affatto divertente. Ve lo faccio vedere io!”
Mulinò le braccia e fui costretto a retrocedere di qualche passo per evitare di essere colpito, fino a quando non mi ricordai dell’immunità gravitazionale di noi Angeli, e la presi tra le mie braccia e mi parve, guardando i suoi occhi, di vederci tutto e niente.
“Valeria…” mormorai dolcemente, carezzandole un racemo di ciocca bionda. Non un biondo paglierino o sporco, ma perfetto, come una spiga di grano baciata dal sole d’estate.
“Chi sei? Cosa diamine vuoi?” disse con malgarbo
“Sono il tuo Angelo Custode”
Il suo tono si intrise di dolcezza, mentre si abbandonava al nostro abbraccio e parve di sentirci l’Universo che gridava a gran voce. Cinse la mia schiena con le tozze dita, costellate da unghie sbocconcellate e tenui segni trasversali.
“Come ti chiami?” mi chiese, tralasciando quella che era stata pura confusione iniziale, contemplando i miei occhi quasi come se mi vedesse nettamente. Io, discreto riguardo le Leggi Magiche, non potevo rivelare il mio nome...
“Rama…”
E la prima piaga ebbe inizio.

Un eco risuonò perpetuamente nella mia testa fin quando non fui nel pieno delle mie capacità mentali. Giurerei che qualcuno chiamava il mio nome e a quanto pare non avevo torto, dato che si avvicinò Nicolas, con il viso violaceo da una netta mancanza di respiro a furia di invocarmi.
“Che c’è?” esordii, incespicando qualche sillaba, mentre i miei muscoli si riprendevano dalla spossatezza
“Che c’è? Che c’è? C’è che ti sto chiamando da ore, testone! E sai perché? Il Supremo vuole vederti e io sono così nervoso”
E prese a spiluccare le unghie con fare febbrile, mentre le pupille si dilatavano, deformando il viso in una buffa attestazione di tensione.
“Nico… Va tutto bene, sono certo che ha un incarico per me”
“Si, per un biondino in gonnella?”
Stavolta, fui io a ostentare una smorfia che facesse trasparire tutto il mio disappunto.
“Scherzavo, campione!”
E prese a frizionarmi il capo; per poi passare a un più piacevole dondolio, vagamente somigliante a un liscio.
“Nicolas…”
“Sapessi quanto sono fiero di te! E a questo proposito, voglio raccontarti di come io sono diventato un Cupido…”
No, ricomincia! Santi Cori Angelici, aiutatemi!
“Nicolas, io veramente…”
“Non interrompermi, ragazzo” poi continuò con tono serafico
“Tutto iniziò una fredda giornata di Aprile…”
Ora da pure i numeri!
“Nico, dovrei andare!”
E stavolta cedette alla mia serafica e laconica richiesta, neanche immaginando quanto fossi grato a quel meandro operativo della sua mente che aveva identificato la mia indisposizione ad ascoltare uno dei suoi aneddoti.
Mi diressi alla velocità di un bradipo al Quartier Generale delle Unità Angeliche (In quanto a fantasia, i nostri operatori non si risparmiano), dove mi attendeva un ozioso Supremo Tic Tac, stravaccato nella sua morbida piscina gonfiabile, circondato da un alone di uccelli pigolanti e farfalle cangianti. Una di quelle scialbe imitazioni dell’Eden che si vedono nei cinema di terza visione.
“Voleva vedermi?” esordii, ostentando il mio miglior sorriso
“Si, Ramiro Inchausti”
“Guardi che io non sono un Inchausti”
“Lo so, ma mi serviva un alibi per dire la mia famosa battuta alla fine della conversazione”
Chi lo capisce è bravo. Mi scortò dinanzi a un bilanciere sul quale pendeva una foto che ritraeva una ragazza bionda e sorridente, vagamente somigliante alla mia Valeria. Oh, no… Dante, Virgilio e Santa Beatrice, detemi che tutto questo non è uno scherzo!
“Ho una missione per te, ragazzo”
“Cosa? Di già, ma io…” dissi concitato, ma a quanto pare ciò toccava i pendici del menefreghismo del Supremo
“Zitto. Hai bene a mente questa ragazza, vero Ramiro?”
“Si” ammisi serafico, mentre il contatto con le mie capacità mentali scemava. Uno schiocco di dita mi riportò alla realtà.
“Ehi, cocco bello? Sei ancora con noi?”
“Si. Che devo fare?”
“Trovarle un ragazzo”
E così la seconda piaga ebbe inizio.

   
 
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