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Autore: Cassandra_Heaven    02/02/2011    0 recensioni
Il passato doveva essere represso ogni volta che provava a salire a galla. Doveva essere dimenticato, si diceva ogni volta. Ma ormai, erano quasi quindici anni che lo ripeteva.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Rinoa Heartilly, Squall Leonheart
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A lei, la donna che non mi ha partorito ma che per tutti questi anni si è presa cura di me.

Ma anche a lei, alla mia vera mamma che non ho mai conosciuto ma che so mi guarda sempre da lassù e mi protegge.

CAPITOLO 1

Le aspettative di una vita

La giovane ragazza dai capelli corvini guardava distratta la pioggia che scendeva e bagnava il vetro del soggiorno del suo appartamento. Odiava la pioggia, odiava il suo cellulare che non squillava e odiava la televisione e i suoi programmi spazzatura. E odiava anche l'influenza, al diavolo! Si sentiva sopraffatta dalla noia, non sopportava di stare chiusa in casa per troppo tempo, voleva uscire in strada, godersi la vita sociale Esthariana e ridere alle spalle di stupide oche aristocratiche che spendevano milioni di guil in vestiti e borse. Beh, anche lei avrebbe potuto farlo, volendo, ma semplicemente, non le interessava.

Lei era cresciuta in un altro modo, sentendo i racconti di sua zia o di suo nonno o di suo padre, e vivendo l'epoca della loro generazione... vi era meno vanità, vi era semplicità, il superfluo non esisteva, per loro era necessario l'essenziale. Quando continuava a ripetere loro di quanto le sarebbe piaciuto nascere e crescere a quel tempo, non mancavano mai di ricordarle tutti gli aspetti negativi: le guerre con le streghe, i Garden, i SeeD e i ragazzi che morivano a età giovanissime, bambini che rimanevano chiusi in un orfanotrofio e che poi diventavano macchine da guerra, senza genitori.

Sia suo padre che sua zia erano cresciuti in una di quelle strutture. Ma non sapeva molto del loro passato. Suo padre semplicemente cambiava discorso, sua zia le ripeteva quanto fosse fortunata ad avere sempre avuto una casa in cui crescere. Certo, lei aveva avuto protezione e tutto ciò che potesse servire ad una bambina... ma c'era qualcosa che poteva condividere con la sua famiglia: l'essere cresciuta senza una madre.

Già. Perché sua madre era morta quando era molto piccola. Non sapeva molto di lei, non aveva mai visto una sua foto e l'argomento con suo padre era quasi un tabù. Però nonostante tutto sentiva il bisogno di sapere chi fosse. Avrebbe voluto tenere foto sue per tutta la casa, avrebbe voluto poter toccare i suoi vestiti per capire i suoi gusti, sentire il suo profumo e immaginare che tipo di persona fosse. Avrebbe voluto portare un fiore sulla sua tomba, piangere per una persona che anche se indirettamente aveva conosciuto. Invece per lei sua madre era un'estranea, come se non fosse mai esistita.

Non capiva il perché. Cioè, da una parte lo capiva eccome: i ricordi. Suo padre non riusciva ancora adesso, dopo quasi quindici anni, a parlare di lei, a ricordarla o a farle vedere una sua foto. Cambiava sempre argomento o le diceva che al momento era occupato e l'unica cosa che lei poteva fare era aggiungere un altro pizzico di delusione al suo cuore già ferito e lasciar cadere l'argomento. Beh, suo padre non era esattamente ciò che si definiva il 'miglior papà dell'anno', ma nonostante tutto lei gli voleva un bene dell'anima.

Era il suo unico genitore e la paura di perdere anche lui la tormentava ogni notte, da quando era piccola e suo padre si ruppe una gamba e fu costretto a letto per più di un mese: nella sua testolina di bambina di sei anni vedere il padre fermo in un letto era un sinonimo di malattia, e la malattia portava con sé la morte. Era così che la sua mamma se n'era andata. In quel periodo si svegliava ogni notte piangendo e si ritrovava a correre nel letto di suo padre, ad abbracciarlo semplicemente per sapere che era vivo, a sentire la sua voce confortarla che continuava a dirle che non sarebbe successo nulla, che presto si sarebbe rimesso.

Adesso aveva ovviamente smesso di piangere, ma quando si sentiva molto triste suo padre acconsentiva a rimanerle vicino fin quando non si addormentava. Non era il tipo che facilmente mostrava i suoi sentimenti, ma quando ce n'era bisogno con lei diventava la persona più dolce del mondo.

Forse avrebbe potuto dirgli che in quel momento era triste perché lui non la chiamava. Lui era un ragazzetto con il quale stava uscendo in quel periodo, niente di serio, ma le piaceva. Era un ragazzo di quelli all'apparenza forte, presuntuoso, ma anche molto dolce. E idiota. E stupido. E qualsiasialtracosabruttadadire.

Ripensò un attimo al pensiero precedente. Dirlo a suo padre... Lo immaginò mentre sfoderava il suo vecchio Gunblade impolverato e con uno sguardo omicida le diceva 'chi è?'. Ok. Pessima idea. Ovviamente l'istinto omicida di suo padre non sarebbe scaturito dal fatto che lui non la chiamava, ma semplicemente perché c'era un lui. Era il suo primo 'ragazzo', se così poteva definirlo. Aveva avuto un paio di storie da piccola con bambinetti che le chiedevano di stare insieme scrivendo su un pezzo di carta 'ti vuoi mettere con me?', ma adesso che era nel pieno dell'età adolescenziale quel piano era ormai superato, e i ragazzi iniziavano a volere sempre di più e lei a voler dare sempre meno. Quindi, a differenza delle sue coetanee, non era molto interessata alla cosa.

Forse suo padre avrebbe anche potuto reagire in modo diverso. O forse no. Insomma, era meglio non sapere.

Riprese a fare zapping con il telecomando alla ricerca di qualche film carino da vedere. Erano quasi le sette e a breve Penelope, la sua tata, sarebbe rientrata dalla spesa pomeridiana. Penelope viveva con loro da quando aveva memoria. Era una signora di mezza età molto dolce e le voleva davvero un gran bene.

L'aveva cresciuta lei, e adesso che era piuttosto grande per cavarsela da sola, si occupava della casa e dei pasti, perché lei davvero non ne era capace. Una volta Penelope si ammalò e per un paio di giorni dovette occuparsi lei della cucina e beh... il risultato non fu dei migliori. Suo padre alla fine si trovò ad implorare Hyne di far guarire la donna il prima possibile e lei offesa non gli aveva parlato per tre giorni. Ma a suo padre non importava, non voleva morire avvelenato.

Beh, fu davvero un'esagerazione perché lei non era poi così male. Certo, doveva imparare a dosare il sale e capire bene i tempi di cottura, ma un pasto un po' bruciato e un po' salato non aveva mai ucciso nessuno, no? Sbuffò a quel pensiero proprio nel mentre sentì la serratura scattare e Penelope entrare in casa piena di sacchetti in entrambe le mani. Si alzò per aiutarla e la donna, dopo aver poggiato i sacchetti sul bancone, le si avvinò per misurarle la febbre con una mano, "è ancora un po' alta. Come ti senti?"

Annoiata.” Sentenziò la ragazza sbirciando nelle buste della spesa e iniziando a vuotarne il contenuto alla ricerca di qualcosa di buono da mangiare. "Ah beh, fuori fa davvero molto freddo, almeno stai qui al caldo, no?" La giovane alzò la testa da un sacchetto nel quale aveva adocchiato un pacco di biscotti e guardò la sua tata.

Per la sua età era ancora una bella donna, ormai si avvicinava quasi alla cinquantina e i suoi capelli non avevano nessuna traccia di bianco. Il suo viso aveva poche rughe, e anche se non era particolarmente lineare rimaneva comunque attraente. Non era di certo la tata anziana con lo chignon, il cardigan, la gonna lunga e gli occhiali, anzi, sembrava essere più giovane lei che suo padre, infatti se lei aveva potuto fare diverse cose nella sua vita doveva ringraziare Penelope e il suo potere di persuasione.

"Boh," disse la ragazza, apaticamente, "chissenefrega." La donna ridacchiò guardando la perfetta imitazione che la ragazza spesso faceva del padre. "A proposito, non è ancora tornato?"

"Certo! Non senti il casino che sta facendo? Cioè, ho dovuto alzare la voce quasi al massimo per sentire ciò che dicevano alla TV!" Penelope rise di nuovo, adorava il sarcasmo di quella ragazza.

"Beh, si dia il caso che il casino lo stia facendo tu, invece. Ma non riesci a tenere la televisione ferma su un unico canale, Raine?" Raine si voltò spaventata al suono della voce di suo padre, emerso all'improvviso dal suo studio. "Oh, papà. Sei tu."

"Chi volevi che fosse?" Chiese il padre con un doppio senso nella frase, che la figlia colse al volo. "Oh, Mike... Lui sì che mi farebbe comodo adesso." Rise nel vedere l'espressione del padre imbronciata, "oh, tranquillo papà, ho abbastanza sale nella zucca da non fare queste cose di nascosto."

"Oh beh, direi che la cosa mi rincuora." Penelope rise, e Squall si voltò a guardarla, "ciao, Penelope."

"Buonasera Squall, com'è andata la giornata?" chiese gentilmente la donna mentre sistemava la spesa al posto giusto. Voleva bene a Squall e Raine, era con loro da tanti anni e li aveva visti crescere insieme. Squall era ancora un ragazzino quando lei si presentò a casa del padre per il 'provino' da baby sitter. Per i primi tempi sapeva che era stato aiutato dalla sorella, la quale era sul punto di partorire e quindi in un futuro prossimo non sarebbe più stata di grosso aiuto. Fece subito una buona impressione al ragazzo, che la assunse a tempo pieno in casa loro. Penelope era divorziata, non poteva avere figli e in quel momento era sull'orlo di una crisi finanziaria. Il lavoro non era la sua aspirazione di vita, però avrebbe avuto l'occasione di crescere una bambina, che anche se non l'avrebbe chiamata mamma le avrebbe voluto comunque bene. E infatti così è stato.

Non sapeva molto della vera madre di Raine, anzi, sapeva quanto la ragazza stessa. Suo padre era molto chiuso sull'argomento e non capiva perché...Anche se era una cosa tipica da Squall. Nel corso degli anni aveva infatti capito come trattare quello strano ragazzo, gli aveva insegnato a non essere burbero con la figlia, ad avere pazienza e a contare fino a dieci prima di risponderle. Essì, il suo carattere non aiutava molto. Era un ragazzo chiuso, un ragazzo ferito, un ragazzo a quel momento molto solo, con una bambina piccola. Era un SeeD, addestrato alla morte, non alla famiglia.

Le aveva confessato che non avrebbe mai voluto avere figli. Adorava Raine, ma semplicemente quel tipo di vita non faceva per lui. Era cresciuto da solo, in un orfanotrofio prima e poi in un Garden dopo, e aveva scoperto di avere un padre solo verso i diciassette anni. Questa cosa lo aveva sconvolto, infatti provava ancora molto risentimento nei confronti del padre, e Penelope, quando lo vedeva piuttosto lontano e distaccato dalla figlia, non mancava mai di ricordargli cosa pensasse lui del padre adesso.

Quando glielo disse la prima volta, lui si arrabbiò, le urlò di lasciarlo in pace e che non gliene fregava niente. Raine aveva quasi quattro anni e Squall passava la maggior parte del suo tempo a lavorare e la bambina piangeva spesso perché voleva che il padre rimanesse con lei. Quando Squall capì che la bambina non lo avrebbe mai abbandonato, nonostante le sue continue assenze e i suoi comportamenti, come invece la sua ex-ragazza, suo padre e sua madre avevano fatto, iniziò a rilassarli e ad aprirsi sempre di più. Non era il padre affettuoso sempre presente, ma sapeva essere affettuoso a modo suo e presente a modo suo. A Raine questo bastava, perché il padre le dava comunque modo di capire che nonostante le apparenze, lui viveva per lei.

"Bene, grazie." Rispose Squall, avvicinandosi al bancone dove sua figlia sedeva, intenta a mangiare dei biscotti, "questi ti fanno male," concluse, prendendo la confezione dalla mano della ragazza, lasciandola con uno sguardo incredulo prima di tornare nel suo studio.

"Ma...! Non è giusto, li avevo iniziati prima io!" urlò verso il padre, rincorrendolo per la casa, ma prima che lei potesse fare qualcosa lui aveva già chiuso a chiave la porta del suo studio. I tentativi di forzare la maniglia furono inutili.

"Un giorno mi ringrazierai." urlò di rimando il padre, la ragazza borbottò in risposta un "certo!"

Raine sospirò, tornando in cucina. Penelope ridacchiò. "Non ridere Penelope! Sfrutta le mie debolezze per fregarmi!"

"Tesoro, dai. Pensa positivo. Quelli non erano poi così buoni," disse, girandosi a prendere una confezione di biscotti al cioccolato, che sapeva essere i preferiti di Squall.

Raine di rimando sorrise, soddisfatta. Ben gli stava.

{----}

Squall sospirò, sedendosi alla scrivania del suo studio per tornare a quel tanto noioso lavoro che ormai lo accompagnava da quasi quindici anni. Quanto tempo era passato dall'ultima volta che era stato in un campo di battaglia? Spesso quella vita gli mancava, ma altre volte riteneva la stabilità di una casa e di un lavoro sicuro la cosa migliore.

Quando seppe di Raine, era giovane, molto giovane. Aveva quasi diciotto anni. Era il comandante del Garden di Balamb e per lui l'unica prospettiva di vita era quella: alzarsi presto, tornare tardi, lavorare tutto il giorno e passare gran parte del mese in una qualche missione. Per lui avere una famiglia era un pensiero totalmente assurdo. Non ne aveva tempo, i bambini ne richiedevano molto e riusciva a malapena a stare con la sua ragazza.

La notizia lo sconvolse. Rimase fermo ed incredulo a guardare la sua compagna, preoccupata della sua reazione. Ma lui non ebbe nessuna reazione, semplicemente, non disse nulla. Uscì dalla stanza e tornò solo a notte inoltrata, quando ormai lei dormiva profondamente.

Un figlio ti cambia la vita. Già, penso Squall. Lui continuava ad andare in missione, rischiando la vita ogni giorno. E se quel bambino non avrebbe avuto un padre? Sarebbe cresciuto come lui, e non voleva. Voleva che suo figlio avesse tutto ciò che lui non aveva avuto: una casa, dei genitori, e soprattutto, un padre con un lavoro normale, che non implicasse l'essere a capo di qualcosa di importante. Beh, lui aveva tutti i requisiti per farlo crescere come non voleva, e l'idea di cambiare la sua vita e le sue abitudini lo spaventava.

Non era pronto. Cosa sarebbe potuto essere al di fuori di un SeeD? Non lo sapeva. Così, svegliò la sua ragazza e si scusò con lei, dicendole che non era del tutto contento di come le cose erano andate, ma che non vedeva comunque l'ora di conoscere suo figlio. Ed era vero. Nel vedere la sua compagna così piatta non riusciva ad immaginare che dentro di lei stesse crescendo un bambino, ma più i mesi passano, più vedeva le sue forme cambiare più capiva che c'era. Era reale. E quando la vide per la prima volta, così piccola, così indifesa, così... adorabile, non poté fare a meno di amarla.

Il pensiero lo fece sorridere. Era davvero emozionato quel giorno, e lo fu tutti per tutti i giorni a venire, quando i mesi passavano e lei cresceva, cambiando sempre di più. Quando adesso la vedeva gli sembrava difficile ripensarla in quella culla minuscola, ormai stava crescendo e le forme da donna facevano sempre più parte del suo corpo. Quella bambina che tanto si sforzava di stare con lui non c'era più, ora vedeva solo una ragazza allegra, ma allo stesso tempo anche molto chiusa. Le ricordava incredibilmente lui, alcune volte, mentre altre era la reincarnazione della sua ex-ragazza. Testarda all'inverosimile, tremendamente rompiscatole quando voleva e assolutamente adorabile tutte le volte.

Sospirò ancora, cercando di ritornare al suo lavoro, ma la concentrazione semplicemente gli mancava. Prese a mangiare qualche biscotto, abitudine che aveva preso crescendo con una bambina, e si costrinse a non pensare più al passato. Il passato gli faceva incredibilmente male, gli faceva tornare alla memoria cose che avrebbe voluto dimenticare, gli ricordava sempre perché era lì, solo, in una città che non amava particolarmente e a fare un lavoro che lo entusiasmava molto poco.

Il passato...

Il passato doveva essere represso ogni volta che provava a salire a galla. Doveva essere dimenticato, si diceva ogni volta.

Ma ormai erano quasi quindici anni che lo ripeteva.

*******************

Ok, ecco qui questa piccola prefazione. So che le cose non sono molto chiare, ma man mano lo diventeranno, promesso. Ho già in mente quasi tutta la trama della storia e spero di riuscire a farle seguire la direzione che ho in mente.

Vorrei innanzi tutto dire che sono una fan della coppia Squall/Rinoa, e che quindi questo dovrebbe dirvi tutto, insomma, le apparenze ingannano u.u!

Al prossimo capitolo, che spero di riuscire a pubblicare e che spero possa piacere.

A presto, o meglio, a quando il mio lavoro e l'università me lo permetteranno,

Cassandra Heaven


  
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