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Autore: Willow Gawain    02/02/2011    4 recensioni
Hidel, contea di Northumberland, Inghilterra - 1852.
Quel villaggio era perennemente bagnato dalla neve, perennemente avvolto dal freddo, dal vento, dalle nubi. Non compariva sulle carte, ma la sua figura tanto piccola quanto antica era sempre lì, ad aspettare pazientemente. Come un mostro in agguato, come un fantasma dagli occhi spietati. Una volta entrati a Hidel, la legge del villaggio proibiva tassativamente di abbandonarlo. Una maledizione, un sortilegio, una stregoneria lanciata tempo addietro da Satana camuffato da vecchia strega.
Forse, però, c’era ancora una speranza per Hidel. E quando il primo degli Angeli, il Supervisore, varcò la soglia di quel villaggio costruito in modo perfettamente circolare, come un cerchio magico, il conto alla rovescia per l’Apocalisse di Hidel ebbe inizio.
«Ora aggrappati al mio braccio. Tieniti forte. Visiteremo luoghi oscuri, ma io credo di sapere la strada. Tu bada solo a non lasciarmi il braccio. E se dovessi baciarti nel buio, non sarà niente di grave: è solo perché tu sei il mio amore.» [Cit. S.King]
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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What colour is the snow

What colour is the snow?

Capitolo 21: La Bella e la Bestia.

 

«Ricapitoliamo…»

La voce di Damon si espanse nella casa, rompendo il silenzio che da incombeva già da qualche minuto e che era diventato pressoché comico. Anche se la situazione in sé aveva davvero ben poco di buffo.

La povera vittima di Nathan, la quale si era presentata col nome di Korlea, altresì Cielo, giaceva ancora sul pavimento, con un rivolo di sangue colante lungo il viso.

Damon, seduto davanti a lui a gambe incrociate, tentava in tutti i modi di rendere meno opprimente quella situazione diventata ormai insostenibile, allentando di tanto in tanto l’invisibile morsa di ghiaccio di Nathan su Korlea con battute perlopiù pessime.

«Tu non fai parte dei Demoni che vivono a Hidel, hai detto?»

Korlea scosse la testa, infastidito «Per noi non c’è differenza tra chi vive in città e chi tra le montagne. Siamo tutti accomunati dalla stessa lingua.»

«Però tu l’inglese lo sai bene.» constatò Damon, mettendo una mano sotto il mento.

«Forse perché vivo in città, in mezzo alla gente, genio?» la risposta fu quanto più acida possibile. Korlea si voltò verso Nathan, scoccandogli uno sguardo pulsante d’astio «Persino il tuo amico torturatore è più sveglio.»

Il secondo Angelo, che forse costituiva il vero elemento comico della scena, stava spaparanzato sul divano, tenendo tra le mani una tazza che sorseggiava di tanto in tanto. Rivolse uno sguardo solare a Korlea, rispondendo candidamente «Il nostro ospite ha forse bisogno di nuove, amorevoli cure da parte dello zio Nate?»

Il Demone, dopo aver tentato varie occhiate torve nella speranza di intimidirlo – senza grandi risultati -, tirò un sospiro rassegnato, tornando a guardarsi in giro. Tentava di imprimere il più possibile nella mente ogni particolare di quella disordinatissima e scura casa.

Tenevano le tende accuratamente serrate, ipotizzò che tra i tanti motivi di tale scelta vi fosse quello di non mostrare che stavano torturando qualcuno.

«Quindi non fai parte del branco che c’è a Hidel…» tornò a ragionare Damon.

«Ah, ora siamo addirittura branco? Proprio degli animali ai vostri occhi, signori Angeli?» sputò velenosamente il Demone.

«Animali?» sentì Nathan ridere, ma non ebbe bisogno di volarsi per immaginare il ghigno sarcastico che gli illuminava il volto «Sei ottimista, amico.»

Korlea, che così legato non poteva neanche muoversi, immaginò quanto sarebbe stato fortunato il Demone che avrebbe affondato i propri artigli nel collo di quella serpe angelica, strappandogli in un sol colpo tutta la spina dorsale. Pregò di essere lui quel Demone.

«Suvvia, smettila di provare tutte queste emozioni così forti! Mi fai venire il mal di testa!» gli intimò Nathan.

Un sorriso compiaciuto gli comparve sul volto mentre, con lentezza, cercava di farsi spazio tra la sua grande massa di capelli, per inchiodare con uno sguardo divertito l’Angelo seduto sul divano «Oh-ho! Basta davvero così poco per metterti fuori gioco, biondino?» rise malignamente «Brutta cosa l’empatia, eh?»

E stavolta Nathan non rispose, almeno non subito. Si mise in piedi – e questo già non era un buon segno -, ignorando Damon che lo pregava di non far caso a quelle frecciatine. Raggiunse Korlea a passi lenti e misurati, per poi afferrare il colletto della sua camicia scoccandogli uno sguardo che pareva nato da uno strano mix tra malizia e perfidia, insomma, decisamente non un bello spettacolo, inquietante persino agli occhi del Demone.

«Non credo ci sia niente di più bello del sentire il terrore che cresce in voi, animali, mentre mi avvicino.»

Ripiombò l’ennesimo silenzio terrificante, che durò diversi secondi. Il tempo parve fermarsi, tutti i personaggi della vicenda erano statici, come statue di marmo. Persino i rumori che provenivano dall’esterno parvero ovattarsi sotto il peso di quell’aria insopportabile.

Nathan teneva ancora il suo sinistro sorriso fisso su Korlea, che gli rivolgeva intanto occhiate di autentico odio, insensibile al fatto che ogni suo sentimento si ripercuotesse sull’Angelo. Anzi, forse era proprio quello che desiderava: provare talmente tante emozioni da farlo impazzire. Ma credeva di essere arrivato troppo tardi: quell’Angelo pareva già folle, e forse era stato proprio il suo Dono a renderlo così.

«Sento l’elettricità nell’aria…» provò a drammatizzare il povero Damon, ricevendo in cambio un cenno di assenso dal cugino, che si rimise in piedi, allontanandosi poi.

Il giovane Angelo tirò un sospiro di sollievo mentre Nathan li lasciava soli, sparendo nella camera da letto.

«Fa sempre così?» chiese allora Korlea, riportando lo sguardo sul suo interlocutore.

«Di recente aveva smesso…» sospirò l’altro, pensando che Ann aveva proprio un effetto benefico sul cugino Metherlance. Stare lontano da lei lo rendeva così… così Nathan Metherlance.

«Allora, torniamo a noi…» tentò di riprendere quel discorso per l’ennesima volta, mettendo una mano sotto la guancia, come per sorreggersi «quindi vi hanno detto di tenerci d’occhio? Hanno paura che rompiamo il patto?»

Korlea sogghignò «E come dar loro torto se avete certi elementi tra le vostre fila?»

Beh, non poteva non dargli ragione. Eppure, Damon non era il tipo che si faceva mettere sotto così facilmente, e, come al solito, trovò nell’ironia la sua arma «Hey, amico, non è da grandi eroi della giustizia neanche spiare, sai?»

Il prigioniero non rispose, ma gli scoccò un’occhiata fulminante.

Damon invece tirò un sospiro stanco «Non costringermi a calcare la mano. Se mi ci metto non sono da meno rispetto a Nate, sai?»

Era alquanto difficile crederlo, forse per via di quell’aspetto un po’ troppo curato e pulito, oppure per quel tono di voce così fanciullesco. Nathan, col suo aspetto trascurato e la voce melodica, ipnotica come quella di un serpente velenoso, sembrava essere molto più adatto al ruolo dello “scienziato pazzo torturatore”.

«Non si direbbe, sai?» lo provocò ancora, ridacchiando «Sembri piuttosto stupido a dirla tutta.»

“Ignoralo, ignoralo… sta solo provando a farti perdere la pazienza…” si disse il Darkmoon, inspirando profondamente per calmarsi «Non do torto al cugino per averti ridotto così, sei proprio irritante. Resta qui.»

Comandò così, e si mise in piedi per raggiungere Nathan nella stanza accanto.

Mentre si chiudeva la porta alle spalle, sentì Korlea urlargli addosso «E dove vuoi che vada?!»

 

«Hey, Nate!»

Fece il suo ingresso nell’unica stanza che pareva leggermente più in ordine rispetto al resto della casa, facendo correre lo sguardo sul paio di pantaloni correlati di camicia e giacca che Nathan aveva lasciato sul letto. Si stava cambiando velocemente, ma dove diavolo voleva andare a quell’ora?

«Vado da Marcus.» quello, neanche avesse sentito i suoi pensieri – o molto più probabilmente la sua curiosità -, rispose al volo «Dovrei trovarlo ancora, credo.»

Non era un bene, non lo era assolutamente. Ma come fargli capire che non era il caso che andasse dagli Angeli in quel momento? Damon ci pensò molto.

Nathan era empatico, e tutti i sentimenti altrui si ripercuotevano su di lui. Non era difficile capire il motivo per cui fino a quel momento era stato così acido: l’odio di Korlea l’aveva contagiato. Quello che non capiva era invece perché quel Demone fosse lì, come lo aveva catturato, dove lo aveva trovato.

«Hm… senti, cugino…» provò, ricevendo in risposta un’occhiata interrogativa «ma dove hai trovato, quel tipo?»

«Nel distretto ovest, mi ha seguito tutta la sera.» gli spiegò Nathan mentre infilava la camicia «Te l’ha detto che ci devono spiare, no? Io ero stato affidato a lui. Probabilmente anche tu e Sogno siete pedinati, avvertila di stare allerta.»

Quella era senza dubbio una notizia tremenda, ma Damon cercò di non mostrarsi debole. Non voleva essere da meno di Nathan, che con quella sua freddezza sembrava imbattibile.

«Che iella, proprio quello più stronzo ti è capitato, eh?» ironizzò.

«Già.» fu la lapidaria risposta.

«Ma perché ti sei accanito così tanto? Di solito sei più… ehm, controllato.»

Nathan fece una smorfia di disappunto, cacciando fuori un sonoro sbuffo in direzione della porta «Ma lo vedi? È insopportabile! Mi fa venire voglia di staccargli la testa, altro che limitarmi a un paio di pugni…»

Il cugino sorrise; immaginava che Nathan fosse stato contagiato da quei forti sentimenti di odio di Korlea, di conseguenza aveva cominciato a farli suoi senza rendersene conto «È quello che ti rimprovera sempre Marcus, se ricordo bene.»

«Sì…» borbottò l’altro «mi faccio contaminare ancora. È come con Ann…»

Già, era come con Ann, quando non riusciva a capire se i sentimenti che provava erano i propri o quelli della ragazza. Era questo il brutto dell’essere così vicino a una persona per un empatico: i loro animi erano talmente in sintonia che i loro sentimenti correvano in rischio di fondersi. Ma Nathan non l’aveva mai considerato un bene.

Quando, infatti, i sentimenti di due persone arrivavano a collidere, uno dei due doveva necessariamente essere soppresso. E in quel momento nascevano i mostri. Nathan voleva assolutamente evitarlo, soprattutto perché sapeva che quello a dover sopprimere, per volere di forze maggiori, era sempre lui.

«Sai cosa, cugino?»

La voce squillante di Damon lo fece riemergere dai propri pensieri. Guardò l’altro Angelo con fare interrogativo.

«Ci vado io da Marcus, gli porto io il nostro amichetto!» esclamò Damon e, prima che Nathan potesse cominciare a ribattere in tutti i modi di cui era capace, aggiunse «Mi porto anche Sogno, così ci pensa lei a parlare. Dopotutto è lei la diplomatica, no? A me è toccato solo lo sporco lavoro di guardia del corpo…»

“Per fortuna…” pensò Nathan, senza però dar voce ai suoi pensieri. Sapeva che Damon aveva ragione: se fosse andato lui, probabilmente si sarebbe fatto contagiare ancora dall’odio di Korlea, combinando qualche macello.

Doveva innanzitutto riprendere il controllo delle proprie emozioni, ma soprattutto non doveva aver vicino quel Demone. Riusciva a sentire i suoi dannati sentimenti anche con una porta a dividerli.

«Hai ragione…» sospirò quindi, rassegnato.

Damon parve illuminarsi, tanto era raro sentirsi dire che si era nel giusto da parte di Nathan. Gli diede un’amichevole pacca sulla spalla, stringendo l’altra mano a pugno mentre esplodeva in uno dei suoi sorrisi un po’ sciocchi ma accattivanti.

«Non te ne pentirai! Tu intanto stai con Ann, aveva una faccia così mogia stamattina!»

«Da quando ti sei messo a dare consigli di cuore?» ironizzò Nathan scoccandogli un’occhiataccia.

Damon rise vivacemente, e quella sua allegria fu come un raggio di sole in mezzo alla tempesta delle emozioni altrui, per Nathan.

«Mi affiderò alla mia sibilla dell’amore.» decretò infine. E Damon gli fu addosso con tutti gli insulti che conosceva.

 

Nell’appartamento accanto, Sogno ed Ann erano in pieni preparativi. Si trovavano ancora nella stanza tutta rosa della piccola Sogno, che si cambiava l’abito avendo qualche problema col corsetto.

«Ma vedrai, Ann…» borbottava trattenendo il fiato tra una sillaba e l’altra «un giorno anche noi porteremo i pantaloni!»

Ann, che alle sue spalle l’aiutava a richiudere i ganci, fece un sorriso un po’ forzato «Non credo che noi vivremo abbastanza per vederlo, cara Sogno.»

«Sei sempre così pessimista!» la rimproverò la ragazza con la sua voce acuta, un po’ troppo acuta mentre cantava l’ultima sillaba, un’abitudine che era convinta si sarebbe portata fino alla morte.

«Realista.» la corresse la mora, lasciando finalmente il corsetto, sistemato «Oh, che incubo, questa robaccia!»

Si sedette sullo sgabello viola davanti allo specchio affisso al muro, così da non guardare Sogno che si infilava l’abito. Con espressione alquanto triste e molto pensierosa, spiegò le pieghe che le si erano formate sulla gonna, accertandosi poi che le caviglie fossero ben coperte da quel vestito che aveva comprato solo due giorni prima.

L’aveva preso con la sicurezza che sarebbe piaciuto a Nathan. Lui diceva che il bianco le stava bene; così, nonostante fosse un colore che si sporcava molto facilmente, lo aveva scelto. Purtroppo non aveva ancora avuto l’occasione di mostrarlo all’Angelo, e non era neanche sicura che lui volesse vederla.

«Ann…»

Sentì Sogno chiamarla, quindi si voltò.

«Non essere triste. Lo sai che il cugino Metherlance è un po’ lunatico, non ti abbattere!» la incoraggiò, stringendo i pugni davanti al viso e sorridendole radiosamente. Con quell’abito giallo e i capelli biondi, sembrava davvero il sole. Era decisamente raggiante.

Ann fu ancora una volta catturata dall’immensa dolcezza che le trasmetteva Sogno, per cui le annuì «Certo.» e infine sorrise.

Sogno la lasciò ben presto dicendo che sarebbe tornata subito, così la giovane contadina si ritrovò ancora una volta sola.

Quando la porta venne chiusa alle spalle dell’amica, poté chinarsi sul mobiletto dove si era poggiata poco prima, con le braccia conserte.

Osservò il proprio riflesso allo specchio e rise tra sé e sé. Aveva legato i capelli in un’unica grande coda di cavallo, indossato il più bel fermacapelli che aveva – una decorazione blu a forma di chiave di violino -, e aveva addirittura usato la cipria! Ma la cosa bella era che lo faceva ogni mattina da quando era arrivata a Terren, lei, che del proprio aspetto non se ne era mai curata.

In cuor suo, come una bambina, sperava che farsi bella sarebbe servito a ricevere qualche complimento in più da Nathan, anche se non l’avrebbe mai ammesso. Era troppo orgogliosa per farlo.

Aveva sempre considerato sciocco far cose simili, ma, ora che aveva trovato lui, capiva quanto fosse forte la necessità di essere sempre perfetta, per allontanare in qualche modo i sospetti che lui potesse incontrare una donna più bella e lasciarsi abbindolare.

E capiva anche che cosa significava essere gelosi, sentirsi egoisti al punto da avvertire il petto andare in fiamme quando lo vedeva accanto ad altre donne, ad Angel in particolar modo, con la quale sapeva che non sarebbe mai riuscita a reggere un confronto.

Posò il capo sulle braccia, accovacciandosi. Chiuse gli occhi, decidendo di mettere da parte quei pensieri. Cominciò a sognare.

Le sarebbe piaciuto sentire la porta socchiudersi appena con il suo solito suono antipatico, quasi stesse chiedendo un po’ d’olio. E poi passi leggeri, appena udibili; silenzioso come sempre, sarebbe giunto dietro di lei, e poi, con quei modi gentili che all’inizio le erano parsi saccenti e discutibili, avrebbe preso la spazzola che era poggiata sul tavolo, pettinandole con garbo quei capelli non abituati alle cure.

Le pareva quasi che tutto fosse vero, le pareva quasi di sentire i denti della spazzola insinuarsi tra le ciocche per poi stirarle, dandole anche qualche fastidio quando si imbattevano nei nodi.

E poi, finalmente, con quella voce dall’accento stranissimo e un poco pesante per il suo aspetto di principe azzurro, le avrebbe sussurrato «Che bei capelli che hai…»

Già, se solo fosse stato vero…

«Dico davvero.»

L’immaginazione le giocava strani scherzi…

«Dormi, Ann?»

«… A-ah!»

Ann sobbalzò spalancando gli occhi e irrigidendosi. Il suo sguardo cadde sullo specchio, notando alle sue spalle proprio quella persona che…

«Na-Nathan!»

Nathan inclinò il capo battendo le palpebre con fare sorpreso «Tutto bene?»

«Sì!» si affrettò a urlare la giovane, voltandosi a guardarlo in preda all’imbarazzo. Da quando i sogni diventavano realtà? E perché le era toccato scoprirlo in modo così traumatico?!

Lui non cambiò espressione per alcuni secondi, ma poi le sorrise. Sembrava aver capito tutto, come un mago. Ogni tanto Annlisette si chiedeva davvero se Nathan fosse un mago o qualcosa di simile. O magari, cosa molto più ovvia, era un vero Angelo.

«Sogno mi ha fatto entrare, mi ha anche detto che sei un po’ giù di morale.» le spiegò, trascinando verso se stesso la sedia più vicina. Si accomodò e sorrise alla ragazza, regalandole una lieve carezza sulla guancia «Immagino sia per colpa mia.»

«Niente affatto!» mentì Ann, incrociando le braccia al petto e facendo la voce grossa per nascondere l’imbarazzo «Sei troppo egocentrico!»

Nathan rise allegramente «È vero, lo sono. È uno dei miei tanti difetti.»

Ann non era una ragazza pronta a mentire per negare l’ovvio – Nathan era davvero egocentrico, molte volte! -, e stavolta era spinta anche dal proprio orgoglio, che le imponeva di dimostrarsi indignata e offesa.

«Non hai nemmeno avvertito, razza di maleducato! Per quanto ne sapevi potevo anche essere impresentabile!»

Nathan rispose spontaneamente «No, stai tranquilla: in quel momento io ci sarò sicuramente.»

Ann arrossì rimanendo allibita «… Na… NATHAN METHERLANCE!»

 «Di spalle, ovviamente, a farmi i fatti miei.» rettificò lui, aprendo le mani mentre si esibiva nell’ennesimo sorriso beffardo «Non oserei mai posare gli occhi su una signorina in pieni preparativi, sarebbe contro l’etichetta, oltre che maleducato.»

La ragazza fece per tirargli uno schiaffo, ma all’ultimo momento le mancò la forza.

Sospirò con fare afflitto, ammettendo l’ennesima sconfitta. Abbassò il capo «Non farlo mai più…»

«Una battutaccia di pessimo gusto come questa?»

«No…» sussurrò lei, alzando gli occhi per incontrare i suoi «andartene di notte senza il soprabito… potresti prendere l’influenza…»

Il sarcastico sorriso dell’uomo parve scemare lentamente, come se un’illusione si fosse appena dissolta davanti ai suoi occhi. Spostò lo sguardo altrove, come per fuggire quegli occhi che reputava troppo puri per uno come lui.

“Stupida Ann…”

«Sei molto premurosa, grazie.»

A pensare, forse, era stata la sua parte che molti chiamavano “angelica”, a parlare, forse, era stata la sua parte umana. O almeno, quello che ne rimaneva.

Inspirò profondamente dopo essersi messo in piedi, dandole le spalle.

«Damon e Sogno sono andati a sbrigare alcune faccende.»

«Angeli?»

La domanda fu schietta, ma Nathan rispose ribadendo ancora lo stesso concetto che esprimeva da fin troppo tempo «Mah…» tradotto per i comuni mortali: “non te lo posso dire”.

«Capisco.» Ann annuì, rimpiangendo ancora una volta di avergli fatto la promessa di non chiedere più nulla sugli Angeli. In quel momento, però, era sicura che essere a conoscenza della verità l’avrebbe aiutata ad alleviare le preoccupazioni dell’uomo.

Cadde il silenzio per qualche secondo, durante cui Ann si alzò per poi dare una sistemata al disordine che aveva lasciato sul tavolo.

L’occhio di Nathan cadde sulla sua figura; la osservò, la studiò, la contemplò. Inizialmente il suo fu un fare disinteressato, ma poi divenne sempre più accurato, un po’ insistente, e infine abbozzò un sorriso.

«Uno splendido abito. Ho sempre detto che il bianco ti sta bene.»

Ann ringraziò il caso di esser di spalle in quel momento, in modo da non essere notata mentre sorrideva innocentemente.

«Ho gusto per queste cose, modestamente.»

«Sì, hai ragione.» confermò lui, per poi cambiare argomento «Ma oggi sarà solo mia la delizia di vederti così.»

La giovane tornò a guardarlo, curiosa «Perché?»

«Perché tra qualche giorno ci sarà la festa.»

«E allora?» continuò lei, senza capire.

«E allora, mia cara Ann…» lui le sorrise, allungando una mano verso di lei «oggi ti insegnerò a ballare.»

 

A differenza di quanto sarebbe stato logico credere, il covo degli Angeli non era affatto luminoso.

Si trovava in una parte molto periferica di Terren, camuffato in modo da sembrare un tribunale in disuso ormai da molto tempo.

L’edificio cadeva a pezzi, letteralmente, e mai nessuno passando di lì o avventurandosi per diletto tra le sporche aule invase dalla vegetazione, avrebbe potuto immaginare l’esistenza di quella che sembrava la semplice statua di un gargoyle mezza distrutta, ma che in realtà, se toccata nel modo giusto, si rivelava un dispositivo in grado di aprire un passaggio segreto.

Il corridoio che scendeva per metri e metri sottoterra non sembrava avere mai fine, almeno fino a quando le pareti fredde ed umide, così piccole da causare spesso degli attacchi di claustrofobia ai poveri visitatori, non venivano invase da quello che inizialmente sembrava un ronzio, ma che in seguito si rivelava un vero e proprio mormorio continuo.

Nel covo degli Angeli l’unica luce splendente scaturiva da file e file di candele rosse poste in modo molto ordinato ai lati dell’unica via che permetteva di accedere alla Corte, ovvero la sala comune.

A Sogno quella larga via, illuminatissima e caldissima a causa delle centinaia di ceri, aveva sempre provocato un reverenziale timore. La porta in fondo alla via, alta e possente, le sembrava tanto il cancello dell’Inferno.

«Siamo arrivati?»

Ripeté Korlea per l’ennesima volta da quando si erano messi in viaggio. Essendo legato e bendato non poteva sapere dove si trovavano.

«Non ancora.» rispose Damon, strattonandolo con forza, come a volergli implicitamente dire “ma tu non stai mai zitto?”.

Sogno non capiva bene quella situazione. Damon si era rifiutato di spiegarle tutto, limitandosi a svelarle solamente che quel Demone aveva spiato Nathan ed era stato catturato e punito – e lei sapeva bene che cosa significava essere puniti dal cugino – e che ora andava portato da Marcus.

Era rimasta in silenzio come le era stato comandato, limitandosi ad annuire quando Damon le diceva di evitare questa o quella strada perché troppo affollata o ad accelerare il passo quando Korlea chiedeva, nuovamente, se erano arrivati.

Non riusciva sinceramente a comprendere tutta quella attesa del Demone: era nei suoi intenti incontrare Marcus? E se fosse stato tutto un piano messo a punto dai nemici? In quel caso ci erano ben cascati; ma Sogno era sicura di una cosa: se tutto quello si fosse rivelato un bluff, Korlea non sarebbe scappato una seconda volta a Nathan.

Attraversata la stanza in fretta e furia, ma senza perdere quella certa solennità ed eleganza che erano tipiche degli Angeli, la ragazza poggiò le mani sul tiepido ottone dei pomelli, spingendo con forza il portone.

Questo si aprì non senza qualche capriccioso suono, mentre il Demone contribuiva a rendere quell’effetto ancor più sgradevole con la sua irritante voce «Ma allora è vero. C’è anche una terza persona con noi.»

«Una bellissima ragazza.» scherzò Damon, mantenendo la calma nonostante il tono antipatico del nemico.

«Peccato che sia un Angelo… altrimenti un pensierino ce lo facevo.»

L’Angelo lo strattonò violentemente per intimargli di tenere la bocca chiusa. La giovane donna invece ignorò quelle parole, facendo il suo ingresso in sala seguita a ruota da Damon che portava sulla spalla il prigioniero.

L’interno era molto più freddo rispetto all’ambiente precedente, meno accogliente e sicuramente meno angelico. I colori dominanti erano infatti il nero e l’argento, che decoravano il pavimento a scacchi e la mobilia antica e sicuramente di valore. Nere dai bordi argentei erano le tende, le rifiniture dei divani, sui quali stavano comodamente appollaiate molte persone, tutte appartenenti al gruppo.

Gli abiti indossati dalle donne non erano poi tanto pudichi, anche se non si poteva dire che quelle ampie scollature che lasciavano intravedere seni e gambe non donassero loro: le rendeva, in qualche perverso modo, ancora più affascinanti e dava loro un’aura di sacralità.

Il silenzio regnava, che divenne ancor più pesante non appena gli occhi altrui, confusi e curiosi, si posarono sui tre appena arrivati.

Si avvicinò loro un Angelo abbastanza anziano e basso, vestito con una tunica verde e, scrutandoli da sotto le folte sopracciglia bianche, chiese gentilmente spiegazioni.

«Siamo qui per consegnare un prigioniero a Marcus e Jen.» annunciò la ragazza, non senza un po’ di timidezza. Non amava parlare in pubblico, ma quello era il suo lavoro…

L’uomo si accigliò per poi squadrare per qualche secondo Korlea legato e bendato, quindi annuì severamente. Diede loro le spalle, invitandoli a seguirlo attraverso la sala.

Il silenzio non pareva volersi rompere, nemmeno Korlea osava più aprir bocca, piuttosto sembrava in attesa, cosa che portò Sogno a credere sempre più fermamente nei propri sospetti. Aveva la brutta impressione che presto sarebbero caduti in una trappola.

Vennero accompagnati nella stanza superiore, alla quale era possibile accedere dopo aver superato una breve scalinata. L’ambiente intorno a loro pareva sempre più freddo, tanto che la ragazza si strinse nel cappotto che portava, alzando poi lo sguardo alla sala che le si prospettava davanti.

Come quella precedente, anche in questa regnavano il nero, l’argento e il silenzio. L’unico suono che di tanto in tanto si imponeva era lo scoppiettio del legno che ardeva nel camino, davanti ad esso, immobile come una statua di marmo, c’era Marcus di spalle.

Il capo degli Angeli era invecchiato nell’espressione durante quell’anno e mezzo; i suoi occhi erano contornati da pesanti occhiaie, le spalle piegate e le mani pesantemente appoggiate al bastone in legno antico che sembrava essere una rappresentazione del suo baricentro.

L’avevano evidentemente beccato in un momento sbagliato, infatti indossava una lunghissima e austera vestaglia che gli giungeva ai piedi. Nonostante tutto, Marcus era capace di un fascino di cui pochi potevano vantarsi.

Non si voltò sentendo entrare il gruppo, a lui non serviva voltarsi per vedere dietro di sé.

«Sogno e Damon Darkmoon…» sussurrò i loro nomi, con la sua solita voce profonda e roca «che cosa mi avete portato?»

Damon sentì il corpo di Korlea irrigidirsi al suon della voce del capo degli Angeli. Finalmente mostrava un po’ di paura, quel Demone dalla lingua lunga.

«Una spia, signore…» esordì Sogno, in uno slancio di coraggio, facendo un passo avanti «stava seguendo Nathan. Lui se n’è accorto e l’ha catturato.»

Quando parlava in pubblico, dovendo esibirsi nel suo lavoro di ambasciatrice e oratrice, aboliva l’abitudine di cantare l’ultima sillaba. Era qualcosa a cui Damon non era ancora riuscito ad abituarsi.

«Una spia porta sempre notizie.» sentenziò Marcus, voltandosi finalmente per poi inchiodarli con uno sguardo penetrante uno per uno. Fece poi cenno a Damon di lasciare il prigioniero, e Korlea venne scaraventato a terra con poca gentilezza, emettendo un verso di rabbia e indignazione.

Gli venne tolta la benda e finalmente poté guardarsi intorno, dopo aver battuto alcune volte le palpebre per abituarsi al profondo buio del luogo.

Quando il suo sguardo si posò sul capo degli Angeli, parve dapprima impallidire, ma subito dopo la sua espressione mutò in un connubio di disgusto ed astio. Marcus sorrise a quell’immagine, deliziato da quei sentimenti emanati dall’essere «Il tuo odio è potente, sciocco Demone. Che cosa ti ha spinto a seguire uno di noi?»

Il Demone ebbe la risposta pronta «Perché non lo leggi nella mia testa? Ce l’hai questo potere, no?»

Marcus sogghignò «Perché sono una persona gentile. Leggere la mente di qualcuno equivale a farlo totalmente impazzire. Ma se ci tieni, posso anche farlo.»

«Io non servo più.»

Quelle parole non vennero comprese da Damon, che rimase interdetto; Sogno invece le capì benissimo, e confermarono i suoi terribili dubbi: quel Demone era stato mandato apposta per essere catturato.

«Non sei una spia…» il capo degli Angeli diede voce ai suoi pensieri «sei un messaggio umano.»

Korlea rise, rise compiaciuto di se stesso, della sua recitazione e della stupidità che tutti avevano dimostrato: dal pazzo torturatore alla bambina ambasciatrice, dal biondo dalla risata facile al veterano, ci erano cascati tutti.

La notizia parve irritare parecchio Marcus, che non si trovava per la prima volta davanti a un messaggio umano, uno di quelli che si scambiavano di tanto in tanto e che erano facilmente sacrificabili. Era incredibile come a loro stessi non importasse della propria vita, ben sapendo che sarebbero stati uccisi subito dopo aver recapitato il messaggio.

Del resto, sarebbe stato assolutamente inutile tenerli e torturarli fino a farli parlare: loro non sapevano niente, erano educati e cresciuti all’oscuro di tutto, con l’unica ambizione di diventare messaggi umani. Semplici oggetti, niente di più, niente di meno.

«Allora riferiscici il tuo messaggio, Demone senza una vita.» ordinò Marcus con serietà. Fece poi cenno a Damon di prendere la spada poggiata su un divano poco lontano.

Lo sguardo del ragazzo corse all’oggetto preso in considerazione, immerso nelle tenebre della stanza, la cui lama rifletteva qualche raggio di luce proveniente dal camino.

Deglutì: non era la prima volta che gli veniva ordinato di uccidere qualcuno, ma ogni volta era orrendo. Tuttavia obbedì in silenzio, amareggiato e arrabbiato.

Sogno trattenne il fiato;  avrebbe voluto perlomeno voltarsi, ma ancora una volta la sua posizione di burocrate non glielo permetteva. Strinse furiosamente una mano attorno ad una piega della gonna per scaricare la tensione.

Ma non era possibile scaricarla: essa era ovunque, nell’aria, nei respiri dei presenti, nel volto soddisfatto di Korlea, l’oggetto umano, mentre sibilava come un serpente.

«L’abbiamo trovata, l’arma di quella leggenda. State lontani dal nostro territorio, Angeli, o distruggeremo Hidel per averla, e subito dopo sarà il vostro turno di perire. Fine.»

E un colpo secco fendette l’aria, seguito dal macabro suono di un oggetto che rotolò lontano, nel buio.

 

Il valzer era una danza nata da meno di cento anni, ma già tutti nel mondo civilizzato la conoscevano.

Resa famosa dai musicisti Strauss e Lanner, si era ben presto diffusa per tutta l’Europa fino alla vecchia Inghilterra, ed era considerato “il ballo dei balli”, anche se la Chiesa l’aveva etichettato esplicitamente come indecenza, poiché le coppie danzavano mantenendo un contatto fisico.

Tutto questo non era mai importato granché a Nathan, che aveva sempre trovato in quella bellissima danza un qualcosa di sensuale eppure puro, e, nonostante non fosse mai stato un amante del ballo, non rifiutava mai un giro di danze alle signorine senza cavaliere se si trattava di valzer.

Al contrario Ann, non appena aveva saputo che genere di ballo avrebbero studiato quel giorno, si era sentita ardere.

«Ma… ma il valzer è…» aveva cercato di controbattere.

«Emozionante, poetico, sensuale.»

Nathan era riuscito a bloccare ogni tentativo di farsi valere con una semplice frase, e così la giovane aveva dovuto arrendersi alla realtà: quel giorno avrebbe distrutto i piedi del suo compagno.

Circa mezz’ora dopo si cimentavano ancora nell’entrata in scena, nella quale Ann sembrava confondere seriamente i piedi del povero compagno con il pavimento.

«Scusa!» esclamò per la ventesima volta dopo essergli salita addosso.

Nathan forzò l’ennesimo sorriso, cercando di ignorare il dolore che cresceva di pestata in pestata «Non è nulla… anche se, mia cara Ann, ti pregherei di mirare all’alluce la prossima volta. Il mignolo implora pietà…»

La ragazza non seppe davvero se ridere o chiedere ancora perdono, così scelse la strada più facile: abbandonare ogni tentativo.

Con un sospiro rassegnato, si sedette sul divano di casa, posando lo sguardo su una toppa mal fatta. Nathan sapeva ballare bene, ma sembrava far a pugni con gli aghi: gran parte del divano era tappezzata malissimo.

«Non ti abbattere, piccola Ann.» provò a farle forza lui, sorridendole «Riposati un po’, intanto ti preparo un the.»

Detto ciò si allontanò attraversando la casa, in direzione della cucina. Ann si rilassò sul lenzuolo morbido, continuando a darsi dell’incapace. Era dura ammetterlo, ma non riusciva a fare di meglio per quanto si sforzasse. Mancavano pochi giorni al ballo, e non riuscire a ballare il valzer sarebbe stata una vera tragedia.

Ma non le si poteva dar molto torto: le ragazze di buona famiglia che partecipavano a manifestazioni del genere, solitamente imparavano a ballare da bambine. Non avendo da lavorare, passavano le loro giornate tra lezioni di bon ton, ballo, libri e pettegolezzi. Si rendeva sempre più conto di quanto la sua natura di povera contadina la rendesse inferiore a quella sfilza di oche, e per un attimo si ritrovò a pensare che probabilmente Doralice era simpaticissima se paragonata alle ragazze che avrebbe conosciuto quella fatidica sera.

Cominciava ad essere nervosa.

«Ci saranno tante belle dame?» chiese al alta voce, sperando che Nathan la sentisse.

Dopo qualche secondo arrivò la sua voce profonda e pacata «Sicuramente, ma tu non brillerai di meno.»

«È questo quello che mi spaventa…»

«Che hai detto?»

«Niente!»

Ann si fiondò tra i cuscini, volendo sprofondare. Emise un mugolio arrabbiato, cercando di scacciare tristi visioni delle sue probabili figuracce. Avrebbe disonorato non solo se stessa, ma anche Nathan.

«Ragazza notoriamente poco ottimista, Annlisette Nevue

Quel tono così sereno e scherzoso fece sentire ancora peggio la ragazza, eppure non poté trattenere un timido sorrisino quando sentì la mano di Nathan poggiarsi sul suo capo. Come ogni rara volta in cui lui si mostrava affettuoso, ebbe una piccola scintilla nel petto.

Tuttavia i pensieri neri erano agevolati dalla pioggia scrosciante fuori casa, e come se ciò non bastasse…

«Ci sarà anche Angel, sai?»

Ecco toccato il fondo della depressione. La giovane fece una rotazione del busto per lanciargli un’occhiataccia «Altre belle notizie, messere Metherlance

Nathan, che si era accomodato accanto a lei, rise allegramente per poi passarla la tazza che aveva portato «Ci saranno tutte le più alte cariche della città.» aggiunse poi, notando l’espressione nervosissima di Ann «Nessuno di troppo importante, non per noi. Si dimenticheranno dei nostri nomi dopo qualche minuto.»

La cosa non era di certo consolante, Ann non riusciva nemmeno a immaginare come sarebbe stato fare brutta figura davanti a quelle persone; il suo smisurato orgoglio le urlava di esercitarsi il più possibile per evitare ogni eventuale strafalcione, eppure, nonostante i corsi di galateo degli ultimi giorni e le lezioni di ballo, non si sentiva ancora pronta. Le mancava qualcosa, ma non sapeva dire cosa.

«Avverto la tua inquietudine.»

Si voltò verso l’uomo, che la osservava con espressione seria. Chissà, si chiese Ann, se era davvero in grado di avvertirla? A quel pensiero sciocco sorrise appena, cercando di rincuorare se stessa e lui «È solo un po’ di ansia, non ti preoccupare.»

«Non hai motivo di essere ansiosa» riprese l’Angelo regalandole un sorriso «non importa cosa diranno quelle malelingue, Annlisette, loro non ti conoscono, quindi avvalersi del diritto di giudicare li porterà solo a rendersi inferiori.»

La ragazza annuì per poi aggiungere «Lo so, ma non è questo che mi rende ansiosa…»

«E allora cosa?»

«Ehm…» faticò lei, arrossendo leggermente mentre cercava di guardare altrove, sperando che le sue parole non lo facessero ridere «è che non vorrei farti fare brutta figura…»

Nathan, che ormai conosceva Ann, stavolta fu preso in contropiede. Non aveva neanche pensato di ricondurre il motivo di quel nervosismo a se stesso. Prima la paura che si ammalasse, ora quella di fargli fare cattiva figura, Ann stava davvero mostrando un fortissimo affetto verso di lui.

«Insomma… tu non sei perfetto.» mise ben in chiaro lei, accompagnata da una risata forzata dell’uomo «È solo che a prima vista lo sembri!»

«Sei consapevole che questo è un insulto, vero?» incalzò lui con un sorriso beffardo.

«Ma no! È solo la verità!» esclamò la ragazza, con una punta d’irritazione «Io sembro una foca balbuziente!»

Seguì qualche secondo di assoluto silenzio durante il quale Ann rimase a guardare Nathan a pugni stretti. Egli, infine, con voce stranita sussurrò «F… foca balbuziente?»

«L’ho letto in un libro e mi è sembrato carino… così l’ho imparato a memoria.» spiegò lei, rilassando i muscoli e tornando seduta composta, ma sempre senza staccare da Nathan uno sguardo ben poco gentile.

L’uomo, all’improvviso, scoppiò in una grande risata. Inutile dire che la giovane avvampò, sentendo la forte voglia di prenderlo a pugni che le era sempre stata cara, ma ancora una volta si trattenne, limitandosi ad alzare la voce rimproverandolo «Ti sembra così divertente?!»

«Sinceramente sì.» rise ancora lui, calmandosi però subito dopo, consapevole che se avesse continuato avrebbe sicuramente scatenato le giuste ire della contadina. Si rilassò stendendosi sul divano, invitando Ann a fare lo stesso.

La giovane accolse l’invito senza troppo entusiasmo. Prese la tazza tra le mani, cominciando ad esaminarla e studiarne i tratti poco raffinati, il colore molto spento.

Non riusciva a perdonare all’uomo quella mancanza di tatto nei suoi confronti; se diceva di avvertire il suo disagio perché non rimediava?

Sogno aveva ragione: i maschi erano tutti dei caproni dalle corna molto, molto dure.

«Immagino che sia difficile…» stavolta fu Nathan a cominciare a parlare, con voce grave, che convinse la ragazza a donargli uno sguardo, sebbene fosse ancora offesa.

L’uomo riprese il discorso «Essere lontana da casa, da chi ti ha cresciuta, in un posto del tutto nuovo, con una persona che ti mette sempre nei guai e un gran ballo alle porte.»

Sì, lo era, ma Ann cercava di sopportarlo il più possibile, dopotutto l’aveva voluto lei. Peccato che non fosse mai stata una campionessa di pazienza.

«Nessuno ti obbliga, Ann. Tu dillo soltanto, ed io rifiuterò l’invito.»

La serietà con lui aveva pronunciato quelle parole colpì molto la ragazza, che rimase ad osservarlo. La proposta era ghiotta, questo era vero, ma c’era da aggiungere che un’occasione del genere era più unica che rara, senza contare che era la scusa con cui aveva proposto ai genitori il viaggio a Terren.

Ma c’era anche qualcos’altro… qualcosa che, a causa dell’immenso orgoglio che le palpitava nel petto, la costrinse a scuotere vigorosamente il capo «Io ce la devo fare, io ce la voglio fare.»

Nathan parve soddisfatto da quelle parole, ed allungò di nuovo una mano verso di lei «Tu ce la puoi fare. E anche se dovessi perdere fiducia in te stessa, non hai di che preoccuparti, e sai perché?»

«Perché?» domandò la mora con un piccolo sorriso, pronta ad una delle solite risposte imprevedibili tipiche di Nathan.

«Per quattro principali motivi.» cominciò l’Angelo. Alzò un primo dito, per numerare le cose che stava per dire «Avrai al tuo fianco il miglior cavaliere della sala.»

Ann rise dolcemente, inclinando il capo ­«Non essere così modesto!»

«Motivo numero due!» esclamò l’altro, alzando quindi il secondo dito «Il miglior cavaliere della sala ti guiderà nelle danze.» quindi fu la volta del terzo dito «Sarai la dama più affascinante per due sottomotivi!» sollevò l’altra mano, contando ancora «Ci sarà la piccola Sogno, suprema regina dell’estetica, a prepararti. E, inoltre, ti vestirai di bianco.»

«E tu come lo sai?» rise lei, che non aveva ancora deciso che abito indossare.

«Perché ho già provveduto a comprare l’abito più bello che ho trovato al Maxwell Shop.»

Ann rimase sbigottita, ma lui tornò ad enumerare i motivi per cui la serata sarebbe andata divinamente prima che ella potesse controbattere.

«Quarto motivo: hai oggettivamente un bel carattere, capace di accattivare le simpatie altrui, per cui ti basterà essere te stessa per risultare gradita.»

La contadina inclinò il capo a sinistra, sinceramente scettica. Non pensava che bastasse così poco per avere successo in una cosa simile. Però credeva di capire il filo logico su cui Nathan aveva basato quest’ultima affermazione: Sogno le aveva spesso raccontato della falsità delle donne a quelle feste, per cui una ragazza sincera sarebbe risultata più… particolare? Più normale? Ma chi era normale, alla fine?

No, forse non aveva affatto capito il ragionamento di Nathan.

Abbassò gli occhi con fare pensieroso, suscitando un sorriso addolcito nell’uomo, che raccolse una delle sue ciocche more con tocco delicato, carezzandola come se fosse stata pelle. Solo in quel momento Ann si rese conto che erano molto più vicini di quanto aveva notato fino a poco prima, o forse era l’oscurità che regnava nell’appartamento a renderla cieca?

Fatto sta che colse al volo l’occasione per fiondarsi tra le sue braccia in cerca di riparo, come spesso aveva fatto fino a quel giorno. Stranamente, quando si trovava così vicina e stretta a lui, ogni arrabbiatura spariva, e tutte le parole le morivano in gola. Ma forse non c’era bisogno di parole, andava bene anche così.

Lui la strinse, carezzandole il capo, passando le dita tra le onde di quel mare nero e morbido, capace di donargli serenità che in assenza di lei era assente del tutto.

Sorrise amareggiato: si era di nuovo fatto battere dai sentimenti di Annlisette. Quelli non potevano essere i suoi, perché agli Angeli era vietato affezionarsi a qualcuno, amare qualcuno…

Un amore tra un Angelo e un umano era vietato dalla legge. Non solo Marcus, ma molti altri avrebbero cercato di impedirlo, di fare del male a quell’innocente e fragile fiore che teneva tra le braccia.

La strinse con più delicatezza ma al contempo con fare possessivo, lasciando che il proprio corpo aderisse a quello di lei, che avvertiva essere in preda all’imbarazzo. Ciò lo fece sorridere, proprio come aveva fatto quando aveva sentito l’adrenalina scorrere come un treno a massima velocità nelle vene, quando aveva visto Korlea scappare. Aveva inseguito la sua preda, come un animale. E la sua preda in quel momento la teneva tra le braccia. Ma Ann non era solo una preda: era un bottino, un tesoro, un fiore candido che aveva bisogno di cure. Cure che solo un Angelo poteva dare.

Ecco cosa aveva scoperto la sera prima, quando il discorso tra quella prostituta e il suo amante l’aveva illuminato: il modo per rendere possibile l’amore tra un Angelo e un umano c’era, ed ora lui lo conosceva.

«Non ti preoccupare di nulla, Ann…»

Le sussurrò con voce suadente, tanto che la piccola ragazza cominciò a sentirsi stranamente impotente, totalmente in suo controllo. Tuttavia non le dispiaceva poi così tanto.

Alzò il capo per specchiare i propri occhi in quelli di lui, dove leggeva una nuova determinazione venata di qualcosa che non sapeva a cosa ricondurre.

Questo perché Ann, nella sua incauta ingenuità, non conosceva la malizia, altrimenti l’avrebbe riconosciuta.

«Ora che ho la chiave di tutto, non ci sarà più nulla da temere.»

Lei non li capiva i discorsi strani di Nathan, le sue chiavi di ragionamento, i suoi percorsi logici, per lei erano oscuri e incomprensibili. Come una bambina che cerca di giocare un gioco del padre, di quelli pieni di regole ed eccezioni, re e regine, scacchi matti e pedine distrutte, sacrificate.

Avvicinò le labbra a quelle di lui, concedendosi all’ennesimo bacio dolce ma stavolta strano, con un retrogusto amaro.

Ma a lei non importava: l’importante era restare al suo fianco.

E nemmeno a lui importava: l’importante era averla per sé.

“Solo io resterò al tuo fianco. E per rendere possibile l’amore tra un Angelo e un umano… distruggerò ogni cosa si frapporrà tra noi.”  

 

 

 

Note dell’Autrice:

Chiedo scusa per l’immenso ritardo ;__; non sto qui a giustificarmi, spero solo che non succeda più! Miei cari lettori, avete una pazienza di ferro se continuate a seguire questa storia non solo lenta, ma anche molto spesso inconcludente °° davvero, comincio a chiedermi quando smetterò di rendervi le cose difficili. Ma se non avesse più colpi di scena, Snow non sarebbe più Snow, non credete? Inoltre ammetto le mie colpe: ultimamente mi sono dedicata un po’ troppo ai GdR e un po’ troppo poco alla fic, I’m sorry :p è stato un periodo pieno di lavoro!

Ann: Dì la verità -.- ti stai dedicando troppo a un personaggio che non sono io!

COFF COFF… è vero ^^” ultimamente ho creato un nuovo personaggio a cui mi sto dedicando anima e corpo – e mi sa che ci scriverò pure una storia *_* -, e ho trascurato i miei due vecchietti xD *Ann e Nate la guardano male*

Un paio di cose… ho scoperto un modo per usare velocemente i segni «…» senza perdere ore in codici, per cui i dialoghi d’ora in poi li troverete così ^^ in modo da non confondervi con le parentesi, che io ho sempre indicato con gli stessi segni che usavo prima per i dialoghi.

In secondo luogo vi vorrei proporre un piccolo sondaggio, per vedere se il mio diabolico piano sta riuscendo xD domanda: qual è il personaggio che più amate e quello che meno sopportate? A Nadeshiko non pongo la prima domanda, lo so anche troppo bene che sbava dietro a Nathan da due anni xD *Lily spera che KK indichi lei* no, Lily, tu non ci sei in questa storia ò_ò *Lily ci rimane malissimo*

Tornando seri… spero che questo capitolo sia piaciuto ^-^ è un po’ più lungo e articolato degli altri, e direi che segna una svolta. Se tutto va come sperato, nel prossimo vedremo un po’ – un bel po’ -, di azione… anticipazioni? Ma sì, dai, sono in vena di pubblicità!

La sera del gran ballo è finalmente arrivata, ed Ann non ha mai sentito tante farfalle nello stomaco - *Ann non capisce e va in paranoia credendo di avere sul serio le farfalle nello stomaco* -, tutto sembra procedere per il meglio, quando… una chiamata sconvolge tutto, gettando i nostri eroi nel chaos. Chi ha colpito a tradimento il povero Damon? E chi ha puntato i suoi occhi assassini su Ann? Riuscirà Nathan a salvare la sua principessa prima che questa venga raggiunta da qualcuno che li vuole morti entrambi? *Angel mangia patatine a tradimento* Ah sì, anche lei ha una bella parte ^^ tutto questo e altro ancora nel capitolo 22 di Snow: Danse Macabre, non perdeterlo!

 

LoL xD

Sely.

  
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