What colour
is the snow?
Capitolo 21: La Bella e la Bestia.
«Ricapitoliamo…»
La voce di Damon si espanse nella
casa, rompendo il silenzio che da incombeva già da qualche minuto e che era
diventato pressoché comico. Anche se la situazione in sé aveva davvero ben poco
di buffo.
La povera vittima di Nathan, la
quale si era presentata col nome di Korlea, altresì
Cielo, giaceva ancora sul pavimento, con un rivolo di sangue colante lungo il
viso.
Damon, seduto davanti a lui a
gambe incrociate, tentava in tutti i modi di rendere meno opprimente quella
situazione diventata ormai insostenibile, allentando di tanto in tanto
l’invisibile morsa di ghiaccio di Nathan su Korlea
con battute perlopiù pessime.
«Tu non fai parte dei Demoni che
vivono a Hidel, hai detto?»
Korlea scosse la testa, infastidito
«Per noi non c’è differenza tra chi vive in città e chi tra le montagne. Siamo
tutti accomunati dalla stessa lingua.»
«Però tu l’inglese lo sai bene.»
constatò Damon, mettendo una mano sotto il mento.
«Forse perché vivo in città, in
mezzo alla gente, genio?» la risposta fu quanto più acida possibile. Korlea si voltò verso Nathan, scoccandogli uno sguardo
pulsante d’astio «Persino il tuo amico torturatore è più sveglio.»
Il secondo Angelo, che forse
costituiva il vero elemento comico della scena, stava spaparanzato sul divano,
tenendo tra le mani una tazza che sorseggiava di tanto in tanto. Rivolse uno
sguardo solare a Korlea, rispondendo candidamente «Il
nostro ospite ha forse bisogno di nuove, amorevoli cure da parte dello zio Nate?»
Il Demone, dopo aver tentato
varie occhiate torve nella speranza di intimidirlo – senza grandi risultati -,
tirò un sospiro rassegnato, tornando a guardarsi in giro. Tentava di imprimere
il più possibile nella mente ogni particolare di quella disordinatissima e scura
casa.
Tenevano le tende accuratamente
serrate, ipotizzò che tra i tanti motivi di tale scelta vi fosse quello di non
mostrare che stavano torturando qualcuno.
«Quindi non fai parte del branco
che c’è a Hidel…» tornò a ragionare Damon.
«Ah, ora siamo addirittura
branco? Proprio degli animali ai vostri occhi, signori Angeli?» sputò
velenosamente il Demone.
«Animali?» sentì Nathan ridere,
ma non ebbe bisogno di volarsi per immaginare il ghigno sarcastico che gli
illuminava il volto «Sei ottimista, amico.»
Korlea, che così legato non poteva
neanche muoversi, immaginò quanto sarebbe stato fortunato il Demone che avrebbe
affondato i propri artigli nel collo di quella serpe angelica, strappandogli in
un sol colpo tutta la spina dorsale. Pregò di essere lui quel Demone.
«Suvvia, smettila di provare
tutte queste emozioni così forti! Mi fai venire il mal di testa!» gli intimò
Nathan.
Un sorriso compiaciuto gli
comparve sul volto mentre, con lentezza, cercava di farsi spazio tra la sua
grande massa di capelli, per inchiodare con uno sguardo divertito l’Angelo
seduto sul divano «Oh-ho! Basta davvero così poco per metterti fuori gioco,
biondino?» rise malignamente «Brutta cosa l’empatia, eh?»
E stavolta Nathan non rispose,
almeno non subito. Si mise in piedi – e questo già non era un buon segno -,
ignorando Damon che lo pregava di non far caso a quelle frecciatine. Raggiunse Korlea a passi lenti e misurati, per poi afferrare il
colletto della sua camicia scoccandogli uno sguardo che pareva nato da uno
strano mix tra malizia e perfidia, insomma, decisamente non un bello
spettacolo, inquietante persino agli occhi del Demone.
«Non credo ci sia niente di più
bello del sentire il terrore che cresce in voi, animali, mentre mi avvicino.»
Ripiombò l’ennesimo silenzio
terrificante, che durò diversi secondi. Il tempo parve fermarsi, tutti i
personaggi della vicenda erano statici, come statue di marmo. Persino i rumori
che provenivano dall’esterno parvero ovattarsi sotto il peso di quell’aria
insopportabile.
Nathan teneva ancora il suo
sinistro sorriso fisso su Korlea, che gli rivolgeva
intanto occhiate di autentico odio, insensibile al fatto che ogni suo
sentimento si ripercuotesse sull’Angelo. Anzi, forse era proprio quello che
desiderava: provare talmente tante emozioni da farlo impazzire. Ma credeva di
essere arrivato troppo tardi: quell’Angelo pareva già folle, e forse era stato
proprio il suo Dono a renderlo così.
«Sento l’elettricità nell’aria…»
provò a drammatizzare il povero Damon, ricevendo in cambio un cenno di assenso
dal cugino, che si rimise in piedi, allontanandosi poi.
Il giovane Angelo tirò un sospiro
di sollievo mentre Nathan li lasciava soli, sparendo nella camera da letto.
«Fa sempre così?» chiese allora Korlea, riportando lo sguardo sul suo interlocutore.
«Di recente aveva smesso…» sospirò
l’altro, pensando che Ann aveva proprio un effetto benefico sul cugino
Metherlance. Stare lontano da lei lo rendeva così… così Nathan Metherlance.
«Allora, torniamo a noi…» tentò
di riprendere quel discorso per l’ennesima volta, mettendo una mano sotto la
guancia, come per sorreggersi «quindi vi hanno detto di tenerci d’occhio? Hanno
paura che rompiamo il patto?»
Korlea sogghignò «E come dar loro torto
se avete certi elementi tra le vostre fila?»
Beh, non poteva non dargli ragione.
Eppure, Damon non era il tipo che si faceva mettere sotto così facilmente, e,
come al solito, trovò nell’ironia la sua arma «Hey, amico, non è da grandi eroi
della giustizia neanche spiare, sai?»
Il prigioniero non rispose, ma
gli scoccò un’occhiata fulminante.
Damon invece tirò un sospiro stanco
«Non costringermi a calcare la mano. Se mi ci metto non sono da meno rispetto a
Nate, sai?»
Era alquanto difficile crederlo,
forse per via di quell’aspetto un po’ troppo curato e pulito, oppure per quel
tono di voce così fanciullesco. Nathan, col suo aspetto trascurato e la voce
melodica, ipnotica come quella di un serpente velenoso, sembrava essere molto
più adatto al ruolo dello “scienziato pazzo torturatore”.
«Non si direbbe, sai?» lo provocò ancora, ridacchiando «Sembri piuttosto stupido a dirla
tutta.»
“Ignoralo, ignoralo… sta solo
provando a farti perdere la pazienza…” si disse il Darkmoon, inspirando
profondamente per calmarsi «Non do torto al cugino per averti ridotto così, sei proprio irritante.
Resta qui.»
Comandò così, e si mise in piedi
per raggiungere Nathan nella stanza accanto.
Mentre si chiudeva la porta alle
spalle, sentì Korlea urlargli addosso «E dove vuoi che vada?!»
«Hey, Nate!»
Fece il suo ingresso nell’unica
stanza che pareva leggermente più in ordine rispetto al resto della casa,
facendo correre lo sguardo sul paio di pantaloni correlati di camicia e giacca
che Nathan aveva lasciato sul letto. Si stava cambiando velocemente, ma dove
diavolo voleva andare a quell’ora?
«Vado da Marcus.» quello, neanche avesse sentito i
suoi pensieri – o molto più probabilmente la sua curiosità -, rispose al volo «Dovrei trovarlo ancora, credo.»
Non
era un bene, non lo era assolutamente. Ma come fargli capire che non era il
caso che andasse dagli Angeli in quel momento? Damon ci pensò molto.
Nathan
era empatico, e tutti i sentimenti altrui si ripercuotevano su di lui. Non era
difficile capire il motivo per cui fino a quel momento era stato così acido:
l’odio di Korlea l’aveva contagiato. Quello che non
capiva era invece perché quel Demone fosse lì, come lo aveva catturato, dove lo
aveva trovato.
«Hm…
senti, cugino…» provò, ricevendo in risposta un’occhiata interrogativa «ma dove
hai trovato, quel tipo?»
«Nel
distretto ovest, mi ha seguito tutta la sera.» gli spiegò Nathan mentre
infilava la camicia «Te l’ha detto che ci devono spiare, no? Io ero stato
affidato a lui. Probabilmente anche tu e Sogno siete pedinati, avvertila di
stare allerta.»
Quella
era senza dubbio una notizia tremenda, ma Damon cercò di non mostrarsi debole.
Non voleva essere da meno di Nathan, che con quella sua freddezza sembrava
imbattibile.
«Che
iella, proprio quello più stronzo ti è capitato, eh?» ironizzò.
«Già.» fu la lapidaria risposta.
«Ma perché ti sei accanito così
tanto? Di solito sei più… ehm, controllato.»
Nathan fece una smorfia di
disappunto, cacciando fuori un sonoro sbuffo in direzione della porta «Ma lo vedi? È insopportabile! Mi
fa venire voglia di staccargli la testa, altro che limitarmi a un paio di
pugni…»
Il cugino sorrise; immaginava che
Nathan fosse stato contagiato da quei forti sentimenti di odio di Korlea, di conseguenza aveva cominciato a farli suoi senza
rendersene conto «È quello che ti rimprovera sempre Marcus, se ricordo bene.»
«Sì…» borbottò l’altro «mi faccio contaminare ancora. È come
con Ann…»
Già, era come con Ann, quando non
riusciva a capire se i sentimenti che provava erano i propri o quelli della
ragazza. Era questo il brutto dell’essere così vicino a una persona per un
empatico: i loro animi erano talmente in sintonia che i loro sentimenti
correvano in rischio di fondersi. Ma Nathan non l’aveva mai considerato un
bene.
Quando, infatti, i sentimenti di
due persone arrivavano a collidere, uno dei due doveva necessariamente essere
soppresso. E in quel momento nascevano i mostri. Nathan voleva assolutamente
evitarlo, soprattutto perché sapeva che quello a dover sopprimere, per volere
di forze maggiori, era sempre lui.
«Sai cosa, cugino?»
La
voce squillante di Damon lo fece riemergere dai propri pensieri. Guardò l’altro
Angelo con fare interrogativo.
«Ci
vado io da Marcus, gli porto io il nostro amichetto!» esclamò Damon e, prima
che Nathan potesse cominciare a ribattere in tutti i modi di cui era capace,
aggiunse «Mi porto anche Sogno, così ci pensa lei a parlare. Dopotutto è lei la
diplomatica, no? A me è toccato solo lo sporco lavoro di guardia del corpo…»
“Per
fortuna…” pensò Nathan, senza però dar voce ai suoi pensieri. Sapeva che Damon
aveva ragione: se fosse andato lui, probabilmente si sarebbe fatto contagiare
ancora dall’odio di Korlea, combinando qualche
macello.
Doveva
innanzitutto riprendere il controllo delle proprie emozioni, ma soprattutto non
doveva aver vicino quel Demone. Riusciva a sentire i suoi dannati sentimenti
anche con una porta a dividerli.
«Hai
ragione…» sospirò quindi, rassegnato.
Damon
parve illuminarsi, tanto era raro sentirsi dire che si era nel giusto da parte
di Nathan. Gli diede un’amichevole pacca sulla spalla, stringendo l’altra mano
a pugno mentre esplodeva in uno dei suoi sorrisi un po’ sciocchi ma
accattivanti.
«Non
te ne pentirai! Tu intanto stai con Ann, aveva una faccia così mogia
stamattina!»
«Da
quando ti sei messo a dare consigli di cuore?» ironizzò Nathan scoccandogli
un’occhiataccia.
Damon
rise vivacemente, e quella sua allegria fu come un raggio di sole in mezzo alla
tempesta delle emozioni altrui, per Nathan.
«Mi
affiderò alla mia sibilla dell’amore.» decretò infine. E Damon gli fu addosso
con tutti gli insulti che conosceva.
Nell’appartamento
accanto, Sogno ed Ann erano in pieni preparativi. Si trovavano ancora nella
stanza tutta rosa della piccola Sogno, che si cambiava l’abito avendo qualche
problema col corsetto.
«Ma
vedrai, Ann…» borbottava trattenendo il fiato tra una sillaba e l’altra «un
giorno anche noi porteremo i pantaloni!»
Ann,
che alle sue spalle l’aiutava a richiudere i ganci, fece un sorriso un po’
forzato «Non credo che noi vivremo abbastanza per vederlo, cara Sogno.»
«Sei
sempre così pessimista!» la rimproverò la ragazza con la sua voce acuta, un po’
troppo acuta mentre cantava l’ultima sillaba, un’abitudine che era convinta si
sarebbe portata fino alla morte.
«Realista.»
la corresse la mora, lasciando finalmente il corsetto, sistemato «Oh, che
incubo, questa robaccia!»
Si
sedette sullo sgabello viola davanti allo specchio affisso al muro, così da non
guardare Sogno che si infilava l’abito. Con espressione alquanto triste e molto
pensierosa, spiegò le pieghe che le si erano formate sulla gonna, accertandosi
poi che le caviglie fossero ben coperte da quel vestito che aveva comprato solo
due giorni prima.
L’aveva
preso con la sicurezza che sarebbe piaciuto a Nathan. Lui diceva che il bianco
le stava bene; così, nonostante fosse un colore che si sporcava molto
facilmente, lo aveva scelto. Purtroppo non aveva ancora avuto l’occasione di
mostrarlo all’Angelo, e non era neanche sicura che lui volesse vederla.
«Ann…»
Sentì
Sogno chiamarla, quindi si voltò.
«Non
essere triste. Lo sai che il cugino Metherlance è un po’ lunatico, non ti
abbattere!» la incoraggiò, stringendo i pugni davanti al viso e sorridendole
radiosamente. Con quell’abito giallo e i capelli biondi, sembrava davvero il
sole. Era decisamente raggiante.
Ann
fu ancora una volta catturata dall’immensa dolcezza che le trasmetteva Sogno,
per cui le annuì «Certo.» e infine sorrise.
Sogno
la lasciò ben presto dicendo che sarebbe tornata subito, così la giovane
contadina si ritrovò ancora una volta sola.
Quando
la porta venne chiusa alle spalle dell’amica, poté chinarsi sul mobiletto dove
si era poggiata poco prima, con le braccia conserte.
Osservò
il proprio riflesso allo specchio e rise tra sé e sé. Aveva legato i capelli in
un’unica grande coda di cavallo, indossato il più bel fermacapelli che aveva –
una decorazione blu a forma di chiave di violino -, e aveva addirittura usato
la cipria! Ma la cosa bella era che lo faceva ogni mattina da quando era
arrivata a Terren, lei, che del proprio aspetto non se ne era mai curata.
In
cuor suo, come una bambina, sperava che farsi bella sarebbe servito a ricevere
qualche complimento in più da Nathan, anche se non l’avrebbe mai ammesso. Era
troppo orgogliosa per farlo.
Aveva
sempre considerato sciocco far cose simili, ma, ora che aveva trovato lui,
capiva quanto fosse forte la necessità di essere sempre perfetta, per
allontanare in qualche modo i sospetti che lui potesse incontrare una donna più
bella e lasciarsi abbindolare.
E
capiva anche che cosa significava essere gelosi, sentirsi egoisti al punto da
avvertire il petto andare in fiamme quando lo vedeva accanto ad altre donne, ad
Angel in particolar modo, con la quale sapeva che non sarebbe mai riuscita a
reggere un confronto.
Posò
il capo sulle braccia, accovacciandosi. Chiuse gli occhi, decidendo di mettere
da parte quei pensieri. Cominciò a sognare.
Le
sarebbe piaciuto sentire la porta socchiudersi appena con il suo solito suono
antipatico, quasi stesse chiedendo un po’ d’olio. E poi passi leggeri, appena
udibili; silenzioso come sempre, sarebbe giunto dietro di lei, e poi, con quei
modi gentili che all’inizio le erano parsi saccenti e discutibili, avrebbe
preso la spazzola che era poggiata sul tavolo, pettinandole con garbo quei
capelli non abituati alle cure.
Le
pareva quasi che tutto fosse vero, le pareva quasi di sentire i denti della
spazzola insinuarsi tra le ciocche per poi stirarle, dandole anche qualche
fastidio quando si imbattevano nei nodi.
E
poi, finalmente, con quella voce dall’accento stranissimo e un poco pesante per
il suo aspetto di principe azzurro, le avrebbe sussurrato «Che bei capelli che
hai…»
Già,
se solo fosse stato vero…
«Dico
davvero.»
L’immaginazione
le giocava strani scherzi…
«Dormi,
Ann?»
«…
A-ah!»
Ann
sobbalzò spalancando gli occhi e irrigidendosi. Il suo sguardo cadde sullo
specchio, notando alle sue spalle proprio quella persona che…
«Na-Nathan!»
Nathan
inclinò il capo battendo le palpebre con fare sorpreso «Tutto bene?»
«Sì!»
si affrettò a urlare la giovane, voltandosi a guardarlo in preda all’imbarazzo.
Da quando i sogni diventavano realtà? E perché le era toccato scoprirlo in modo
così traumatico?!
Lui
non cambiò espressione per alcuni secondi, ma poi le sorrise. Sembrava aver
capito tutto, come un mago. Ogni tanto Annlisette si chiedeva davvero se Nathan
fosse un mago o qualcosa di simile. O magari, cosa molto più ovvia, era un vero
Angelo.
«Sogno
mi ha fatto entrare, mi ha anche detto che sei un po’ giù di morale.» le
spiegò, trascinando verso se stesso la sedia più vicina. Si accomodò e sorrise
alla ragazza, regalandole una lieve carezza sulla guancia «Immagino sia per
colpa mia.»
«Niente
affatto!» mentì Ann, incrociando le braccia al petto e facendo la voce grossa
per nascondere l’imbarazzo «Sei troppo egocentrico!»
Nathan
rise allegramente «È vero, lo sono. È uno dei miei tanti difetti.»
Ann
non era una ragazza pronta a mentire per negare l’ovvio – Nathan era davvero
egocentrico, molte volte! -, e stavolta era spinta anche dal proprio orgoglio,
che le imponeva di dimostrarsi indignata e offesa.
«Non
hai nemmeno avvertito, razza di maleducato! Per quanto ne sapevi potevo anche
essere impresentabile!»
Nathan
rispose spontaneamente «No, stai tranquilla: in quel momento io ci sarò
sicuramente.»
Ann
arrossì rimanendo allibita «… Na… NATHAN METHERLANCE!»
«Di spalle, ovviamente, a farmi i fatti miei.»
rettificò lui, aprendo le mani mentre si esibiva nell’ennesimo sorriso beffardo
«Non oserei mai posare gli occhi su una signorina in pieni preparativi, sarebbe
contro l’etichetta, oltre che maleducato.»
La
ragazza fece per tirargli uno schiaffo, ma all’ultimo momento le mancò la
forza.
Sospirò
con fare afflitto, ammettendo l’ennesima sconfitta. Abbassò il capo «Non farlo
mai più…»
«Una
battutaccia di pessimo gusto come questa?»
«No…»
sussurrò lei, alzando gli occhi per incontrare i suoi «andartene di notte senza
il soprabito… potresti prendere l’influenza…»
Il
sarcastico sorriso dell’uomo parve scemare lentamente, come se un’illusione si
fosse appena dissolta davanti ai suoi occhi. Spostò lo sguardo altrove, come
per fuggire quegli occhi che reputava troppo puri per uno come lui.
“Stupida
Ann…”
«Sei
molto premurosa, grazie.»
A
pensare, forse, era stata la sua parte che molti chiamavano “angelica”, a
parlare, forse, era stata la sua parte umana. O almeno, quello che ne rimaneva.
Inspirò
profondamente dopo essersi messo in piedi, dandole le spalle.
«Damon
e Sogno sono andati a sbrigare alcune faccende.»
«Angeli?»
La
domanda fu schietta, ma Nathan rispose ribadendo ancora lo stesso concetto che
esprimeva da fin troppo tempo «Mah…» tradotto per i comuni mortali: “non te lo
posso dire”.
«Capisco.»
Ann annuì, rimpiangendo ancora una volta di avergli fatto la promessa di non
chiedere più nulla sugli Angeli. In quel momento, però, era sicura che essere a
conoscenza della verità l’avrebbe aiutata ad alleviare le preoccupazioni
dell’uomo.
Cadde
il silenzio per qualche secondo, durante cui Ann si alzò per poi dare una
sistemata al disordine che aveva lasciato sul tavolo.
L’occhio
di Nathan cadde sulla sua figura; la osservò, la studiò, la contemplò.
Inizialmente il suo fu un fare disinteressato, ma poi divenne sempre più
accurato, un po’ insistente, e infine abbozzò un sorriso.
«Uno
splendido abito. Ho sempre detto che il bianco ti sta bene.»
Ann
ringraziò il caso di esser di spalle in quel momento, in modo da non essere
notata mentre sorrideva innocentemente.
«Ho
gusto per queste cose, modestamente.»
«Sì,
hai ragione.» confermò lui, per poi cambiare argomento «Ma oggi sarà solo mia
la delizia di vederti così.»
La
giovane tornò a guardarlo, curiosa «Perché?»
«Perché
tra qualche giorno ci sarà la festa.»
«E
allora?» continuò lei, senza capire.
«E
allora, mia cara Ann…» lui le sorrise, allungando una mano verso di lei «oggi
ti insegnerò a ballare.»
A
differenza di quanto sarebbe stato logico credere, il covo degli Angeli non era
affatto luminoso.
Si
trovava in una parte molto periferica di Terren, camuffato in modo da sembrare
un tribunale in disuso ormai da molto tempo.
L’edificio
cadeva a pezzi, letteralmente, e mai nessuno passando di lì o avventurandosi
per diletto tra le sporche aule invase dalla vegetazione, avrebbe potuto
immaginare l’esistenza di quella che sembrava la semplice statua di un gargoyle mezza distrutta, ma che in realtà, se toccata nel
modo giusto, si rivelava un dispositivo in grado di aprire un passaggio
segreto.
Il
corridoio che scendeva per metri e metri sottoterra non sembrava avere mai
fine, almeno fino a quando le pareti fredde ed umide, così piccole da causare
spesso degli attacchi di claustrofobia ai poveri visitatori, non venivano
invase da quello che inizialmente sembrava un ronzio, ma che in seguito si
rivelava un vero e proprio mormorio continuo.
Nel
covo degli Angeli l’unica luce splendente scaturiva da file e file di candele
rosse poste in modo molto ordinato ai lati dell’unica via che permetteva di
accedere alla Corte, ovvero la sala comune.
A
Sogno quella larga via, illuminatissima e caldissima a causa delle centinaia di
ceri, aveva sempre provocato un reverenziale timore. La porta in fondo alla
via, alta e possente, le sembrava tanto il cancello dell’Inferno.
«Siamo
arrivati?»
Ripeté
Korlea per l’ennesima volta da quando si erano messi
in viaggio. Essendo legato e bendato non poteva sapere dove si trovavano.
«Non
ancora.» rispose Damon, strattonandolo con forza, come a volergli
implicitamente dire “ma tu non stai mai zitto?”.
Sogno
non capiva bene quella situazione. Damon si era rifiutato di spiegarle tutto,
limitandosi a svelarle solamente che quel Demone aveva spiato Nathan ed era
stato catturato e punito – e lei sapeva bene che cosa significava essere puniti
dal cugino – e che ora andava portato da Marcus.
Era
rimasta in silenzio come le era stato comandato, limitandosi ad annuire quando
Damon le diceva di evitare questa o quella strada perché troppo affollata o ad
accelerare il passo quando Korlea chiedeva,
nuovamente, se erano arrivati.
Non
riusciva sinceramente a comprendere tutta quella attesa del Demone: era nei
suoi intenti incontrare Marcus? E se fosse stato tutto un piano messo a punto
dai nemici? In quel caso ci erano ben cascati; ma Sogno era sicura di una cosa:
se tutto quello si fosse rivelato un bluff, Korlea
non sarebbe scappato una seconda volta a Nathan.
Attraversata
la stanza in fretta e furia, ma senza perdere quella certa solennità ed
eleganza che erano tipiche degli Angeli, la ragazza poggiò le mani sul tiepido
ottone dei pomelli, spingendo con forza il portone.
Questo
si aprì non senza qualche capriccioso suono, mentre il Demone contribuiva a
rendere quell’effetto ancor più sgradevole con la sua irritante voce «Ma allora
è vero. C’è anche una terza persona con noi.»
«Una
bellissima ragazza.» scherzò Damon, mantenendo la calma nonostante il tono
antipatico del nemico.
«Peccato
che sia un Angelo… altrimenti un pensierino ce lo facevo.»
L’Angelo
lo strattonò violentemente per intimargli di tenere la bocca chiusa. La giovane
donna invece ignorò quelle parole, facendo il suo ingresso in sala seguita a
ruota da Damon che portava sulla spalla il prigioniero.
L’interno
era molto più freddo rispetto all’ambiente precedente, meno accogliente e
sicuramente meno angelico. I colori dominanti erano infatti il nero e
l’argento, che decoravano il pavimento a scacchi e la mobilia antica e
sicuramente di valore. Nere dai bordi argentei erano le tende, le rifiniture
dei divani, sui quali stavano comodamente appollaiate molte persone, tutte
appartenenti al gruppo.
Gli
abiti indossati dalle donne non erano poi tanto pudichi, anche se non si poteva
dire che quelle ampie scollature che lasciavano intravedere seni e gambe non
donassero loro: le rendeva, in qualche perverso modo, ancora più affascinanti e
dava loro un’aura di sacralità.
Il
silenzio regnava, che divenne ancor più pesante non appena gli occhi altrui,
confusi e curiosi, si posarono sui tre appena arrivati.
Si
avvicinò loro un Angelo abbastanza anziano e basso, vestito con una tunica
verde e, scrutandoli da sotto le folte sopracciglia bianche, chiese gentilmente
spiegazioni.
«Siamo
qui per consegnare un prigioniero a Marcus e Jen.» annunciò la ragazza, non
senza un po’ di timidezza. Non amava parlare in pubblico, ma quello era il suo
lavoro…
L’uomo
si accigliò per poi squadrare per qualche secondo Korlea
legato e bendato, quindi annuì severamente. Diede loro le spalle, invitandoli a
seguirlo attraverso la sala.
Il
silenzio non pareva volersi rompere, nemmeno Korlea
osava più aprir bocca, piuttosto sembrava in attesa, cosa che portò Sogno a
credere sempre più fermamente nei propri sospetti. Aveva la brutta impressione
che presto sarebbero caduti in una trappola.
Vennero
accompagnati nella stanza superiore, alla quale era possibile accedere dopo
aver superato una breve scalinata. L’ambiente intorno a loro pareva sempre più
freddo, tanto che la ragazza si strinse nel cappotto che portava, alzando poi
lo sguardo alla sala che le si prospettava davanti.
Come
quella precedente, anche in questa regnavano il nero, l’argento e il silenzio.
L’unico suono che di tanto in tanto si imponeva era lo scoppiettio del legno
che ardeva nel camino, davanti ad esso, immobile come una statua di marmo,
c’era Marcus di spalle.
Il
capo degli Angeli era invecchiato nell’espressione durante quell’anno e mezzo;
i suoi occhi erano contornati da pesanti occhiaie, le spalle piegate e le mani
pesantemente appoggiate al bastone in legno antico che sembrava essere una
rappresentazione del suo baricentro.
L’avevano
evidentemente beccato in un momento sbagliato, infatti indossava una
lunghissima e austera vestaglia che gli giungeva ai piedi. Nonostante tutto,
Marcus era capace di un fascino di cui pochi potevano vantarsi.
Non
si voltò sentendo entrare il gruppo, a lui non serviva voltarsi per vedere
dietro di sé.
«Sogno
e Damon Darkmoon…» sussurrò i loro nomi, con la sua solita voce profonda e roca
«che cosa mi avete portato?»
Damon
sentì il corpo di Korlea irrigidirsi al suon della voce
del capo degli Angeli. Finalmente mostrava un po’ di paura, quel Demone dalla
lingua lunga.
«Una
spia, signore…» esordì Sogno, in uno slancio di coraggio, facendo un passo
avanti «stava seguendo Nathan. Lui se n’è accorto e l’ha catturato.»
Quando
parlava in pubblico, dovendo esibirsi nel suo lavoro di ambasciatrice e
oratrice, aboliva l’abitudine di cantare l’ultima sillaba. Era qualcosa a cui
Damon non era ancora riuscito ad abituarsi.
«Una
spia porta sempre notizie.» sentenziò Marcus, voltandosi finalmente per poi
inchiodarli con uno sguardo penetrante uno per uno. Fece poi cenno a Damon di
lasciare il prigioniero, e Korlea venne scaraventato
a terra con poca gentilezza, emettendo un verso di rabbia e indignazione.
Gli
venne tolta la benda e finalmente poté guardarsi intorno, dopo aver battuto
alcune volte le palpebre per abituarsi al profondo buio del luogo.
Quando
il suo sguardo si posò sul capo degli Angeli, parve dapprima impallidire, ma
subito dopo la sua espressione mutò in un connubio di disgusto ed astio. Marcus
sorrise a quell’immagine, deliziato da quei sentimenti emanati dall’essere «Il
tuo odio è potente, sciocco Demone. Che cosa ti ha spinto a seguire uno di
noi?»
Il
Demone ebbe la risposta pronta «Perché non lo leggi nella mia testa? Ce l’hai
questo potere, no?»
Marcus
sogghignò «Perché sono una persona gentile. Leggere la mente di qualcuno
equivale a farlo totalmente impazzire. Ma se ci tieni, posso anche farlo.»
«Io
non servo più.»
Quelle
parole non vennero comprese da Damon, che rimase interdetto; Sogno invece le
capì benissimo, e confermarono i suoi terribili dubbi: quel Demone era stato
mandato apposta per essere catturato.
«Non
sei una spia…» il capo degli Angeli diede voce ai suoi pensieri «sei un
messaggio umano.»
Korlea rise, rise compiaciuto di
se stesso, della sua recitazione e della stupidità che tutti avevano
dimostrato: dal pazzo torturatore alla bambina ambasciatrice, dal biondo dalla
risata facile al veterano, ci erano cascati tutti.
La
notizia parve irritare parecchio Marcus, che non si trovava per la prima volta
davanti a un messaggio umano, uno di quelli che si scambiavano di tanto in
tanto e che erano facilmente sacrificabili. Era incredibile come a loro stessi
non importasse della propria vita, ben sapendo che sarebbero stati uccisi
subito dopo aver recapitato il messaggio.
Del
resto, sarebbe stato assolutamente inutile tenerli e torturarli fino a farli
parlare: loro non sapevano niente, erano educati e cresciuti all’oscuro di
tutto, con l’unica ambizione di diventare messaggi umani. Semplici oggetti,
niente di più, niente di meno.
«Allora
riferiscici il tuo messaggio, Demone senza una vita.» ordinò Marcus con
serietà. Fece poi cenno a Damon di prendere la spada poggiata su un divano poco
lontano.
Lo
sguardo del ragazzo corse all’oggetto preso in considerazione, immerso nelle
tenebre della stanza, la cui lama rifletteva qualche raggio di luce proveniente
dal camino.
Deglutì:
non era la prima volta che gli veniva ordinato di uccidere qualcuno, ma ogni
volta era orrendo. Tuttavia obbedì in silenzio, amareggiato e arrabbiato.
Sogno
trattenne il fiato; avrebbe voluto
perlomeno voltarsi, ma ancora una volta la sua posizione di burocrate non
glielo permetteva. Strinse furiosamente una mano attorno ad una piega della
gonna per scaricare la tensione.
Ma
non era possibile scaricarla: essa era ovunque, nell’aria, nei respiri dei
presenti, nel volto soddisfatto di Korlea, l’oggetto
umano, mentre sibilava come un serpente.
«L’abbiamo
trovata, l’arma di quella leggenda. State lontani dal nostro territorio,
Angeli, o distruggeremo Hidel per averla, e subito dopo sarà il vostro turno di
perire. Fine.»
E un
colpo secco fendette l’aria, seguito dal macabro suono di un oggetto che rotolò
lontano, nel buio.
Il
valzer era una danza nata da meno di cento anni, ma già tutti nel mondo
civilizzato la conoscevano.
Resa
famosa dai musicisti Strauss e Lanner, si era ben presto
diffusa per tutta l’Europa fino alla vecchia Inghilterra, ed era considerato
“il ballo dei balli”, anche se la Chiesa l’aveva etichettato esplicitamente
come indecenza, poiché le coppie danzavano mantenendo un contatto fisico.
Tutto
questo non era mai importato granché a Nathan, che aveva sempre trovato in
quella bellissima danza un qualcosa di sensuale eppure puro, e, nonostante non
fosse mai stato un amante del ballo, non rifiutava mai un giro di danze alle
signorine senza cavaliere se si trattava di valzer.
Al
contrario Ann, non appena aveva saputo che genere di ballo avrebbero studiato
quel giorno, si era sentita ardere.
«Ma…
ma il valzer è…» aveva cercato di controbattere.
«Emozionante,
poetico, sensuale.»
Nathan
era riuscito a bloccare ogni tentativo di farsi valere con una semplice frase,
e così la giovane aveva dovuto arrendersi alla realtà: quel giorno avrebbe
distrutto i piedi del suo compagno.
Circa
mezz’ora dopo si cimentavano ancora nell’entrata in scena, nella quale Ann
sembrava confondere seriamente i piedi del povero compagno con il pavimento.
«Scusa!»
esclamò per la ventesima volta dopo essergli salita addosso.
Nathan
forzò l’ennesimo sorriso, cercando di ignorare il dolore che cresceva di
pestata in pestata «Non è nulla… anche se, mia cara Ann, ti pregherei di mirare
all’alluce la prossima volta. Il mignolo implora pietà…»
La
ragazza non seppe davvero se ridere o chiedere ancora perdono, così scelse la strada
più facile: abbandonare ogni tentativo.
Con
un sospiro rassegnato, si sedette sul divano di casa, posando lo sguardo su una
toppa mal fatta. Nathan sapeva ballare bene, ma sembrava far a pugni con gli
aghi: gran parte del divano era tappezzata malissimo.
«Non
ti abbattere, piccola Ann.» provò a farle forza lui, sorridendole «Riposati un
po’, intanto ti preparo un the.»
Detto
ciò si allontanò attraversando la casa, in direzione della cucina. Ann si
rilassò sul lenzuolo morbido, continuando a darsi dell’incapace. Era dura
ammetterlo, ma non riusciva a fare di meglio per quanto si sforzasse. Mancavano
pochi giorni al ballo, e non riuscire a ballare il valzer sarebbe stata una
vera tragedia.
Ma
non le si poteva dar molto torto: le ragazze di buona famiglia che
partecipavano a manifestazioni del genere, solitamente imparavano a ballare da
bambine. Non avendo da lavorare, passavano le loro giornate tra lezioni di bon
ton, ballo, libri e pettegolezzi. Si rendeva sempre più conto di quanto la sua
natura di povera contadina la rendesse inferiore a quella sfilza di oche, e per
un attimo si ritrovò a pensare che probabilmente Doralice era simpaticissima se
paragonata alle ragazze che avrebbe conosciuto quella fatidica sera.
Cominciava
ad essere nervosa.
«Ci
saranno tante belle dame?» chiese al alta voce, sperando che Nathan la
sentisse.
Dopo
qualche secondo arrivò la sua voce profonda e pacata «Sicuramente, ma tu non
brillerai di meno.»
«È
questo quello che mi spaventa…»
«Che
hai detto?»
«Niente!»
Ann
si fiondò tra i cuscini, volendo sprofondare. Emise un mugolio arrabbiato,
cercando di scacciare tristi visioni delle sue probabili figuracce. Avrebbe
disonorato non solo se stessa, ma anche Nathan.
«Ragazza
notoriamente poco ottimista, Annlisette Nevue.»
Quel
tono così sereno e scherzoso fece sentire ancora peggio la ragazza, eppure non
poté trattenere un timido sorrisino quando sentì la mano di Nathan poggiarsi
sul suo capo. Come ogni rara volta in cui lui si mostrava affettuoso, ebbe una
piccola scintilla nel petto.
Tuttavia
i pensieri neri erano agevolati dalla pioggia scrosciante fuori casa, e come se
ciò non bastasse…
«Ci
sarà anche Angel, sai?»
Ecco
toccato il fondo della depressione. La giovane fece una rotazione del busto per
lanciargli un’occhiataccia «Altre belle notizie, messere Metherlance?»
Nathan,
che si era accomodato accanto a lei, rise allegramente per poi passarla la
tazza che aveva portato «Ci saranno tutte le più alte cariche della città.»
aggiunse poi, notando l’espressione nervosissima di Ann
«Nessuno di troppo importante, non per noi. Si dimenticheranno dei nostri nomi
dopo qualche minuto.»
La
cosa non era di certo consolante, Ann non riusciva
nemmeno a immaginare come sarebbe stato fare brutta figura davanti a quelle
persone; il suo smisurato orgoglio le urlava di esercitarsi il più possibile
per evitare ogni eventuale strafalcione, eppure, nonostante i corsi di galateo
degli ultimi giorni e le lezioni di ballo, non si sentiva ancora pronta. Le
mancava qualcosa, ma non sapeva dire cosa.
«Avverto
la tua inquietudine.»
Si
voltò verso l’uomo, che la osservava con espressione seria. Chissà, si chiese Ann, se era davvero in grado di avvertirla? A quel pensiero
sciocco sorrise appena, cercando di rincuorare se stessa e lui «È solo un po’
di ansia, non ti preoccupare.»
«Non
hai motivo di essere ansiosa» riprese l’Angelo regalandole un sorriso «non
importa cosa diranno quelle malelingue, Annlisette,
loro non ti conoscono, quindi avvalersi del diritto di giudicare li porterà
solo a rendersi inferiori.»
La
ragazza annuì per poi aggiungere «Lo so, ma non è questo che mi rende ansiosa…»
«E
allora cosa?»
«Ehm…»
faticò lei, arrossendo leggermente mentre cercava di guardare altrove, sperando
che le sue parole non lo facessero ridere «è che non vorrei farti fare brutta
figura…»
Nathan,
che ormai conosceva Ann, stavolta fu preso in
contropiede. Non aveva neanche pensato di ricondurre il motivo di quel
nervosismo a se stesso. Prima la paura che si ammalasse, ora quella di fargli
fare cattiva figura, Ann stava davvero mostrando un
fortissimo affetto verso di lui.
«Insomma…
tu non sei perfetto.» mise ben in chiaro lei, accompagnata da una risata
forzata dell’uomo «È solo che a prima vista lo sembri!»
«Sei
consapevole che questo è un insulto, vero?» incalzò lui con un sorriso
beffardo.
«Ma
no! È solo la verità!» esclamò la ragazza, con una punta d’irritazione «Io
sembro una foca balbuziente!»
Seguì
qualche secondo di assoluto silenzio durante il quale Ann
rimase a guardare Nathan a pugni stretti. Egli, infine, con voce stranita
sussurrò «F… foca balbuziente?»
«L’ho
letto in un libro e mi è sembrato carino… così l’ho imparato a memoria.» spiegò
lei, rilassando i muscoli e tornando seduta composta, ma sempre senza staccare
da Nathan uno sguardo ben poco gentile.
L’uomo,
all’improvviso, scoppiò in una grande risata. Inutile dire che la giovane
avvampò, sentendo la forte voglia di prenderlo a pugni che le era sempre stata
cara, ma ancora una volta si trattenne, limitandosi ad alzare la voce
rimproverandolo «Ti sembra così divertente?!»
«Sinceramente
sì.» rise ancora lui, calmandosi però subito dopo, consapevole che se avesse
continuato avrebbe sicuramente scatenato le giuste ire della contadina. Si
rilassò stendendosi sul divano, invitando Ann a fare
lo stesso.
La
giovane accolse l’invito senza troppo entusiasmo. Prese la tazza tra le mani,
cominciando ad esaminarla e studiarne i tratti poco raffinati, il colore molto
spento.
Non
riusciva a perdonare all’uomo quella mancanza di tatto nei suoi confronti; se
diceva di avvertire il suo disagio perché non rimediava?
Sogno
aveva ragione: i maschi erano tutti dei caproni dalle corna molto, molto dure.
«Immagino
che sia difficile…» stavolta fu Nathan a cominciare a parlare, con voce grave,
che convinse la ragazza a donargli uno sguardo, sebbene fosse ancora offesa.
L’uomo
riprese il discorso «Essere lontana da casa, da chi ti ha cresciuta, in un
posto del tutto nuovo, con una persona che ti mette sempre nei guai e un gran
ballo alle porte.»
Sì,
lo era, ma Ann cercava di sopportarlo il più
possibile, dopotutto l’aveva voluto lei. Peccato che non fosse mai stata una
campionessa di pazienza.
«Nessuno
ti obbliga, Ann. Tu dillo soltanto, ed io rifiuterò l’invito.»
La
serietà con lui aveva pronunciato quelle parole colpì molto la ragazza, che
rimase ad osservarlo. La proposta era ghiotta, questo era vero, ma c’era da
aggiungere che un’occasione del genere era più unica che rara, senza contare
che era la scusa con cui aveva proposto ai genitori il viaggio a Terren.
Ma c’era
anche qualcos’altro… qualcosa che, a causa dell’immenso orgoglio che le
palpitava nel petto, la costrinse a scuotere vigorosamente il capo «Io ce la devo
fare, io ce la voglio fare.»
Nathan
parve soddisfatto da quelle parole, ed allungò di nuovo una mano verso di lei
«Tu ce la puoi fare. E anche se dovessi perdere fiducia in te stessa, non hai
di che preoccuparti, e sai perché?»
«Perché?»
domandò la mora con un piccolo sorriso, pronta ad una delle solite risposte
imprevedibili tipiche di Nathan.
«Per
quattro principali motivi.» cominciò l’Angelo. Alzò un primo dito, per numerare
le cose che stava per dire «Avrai al tuo fianco il miglior cavaliere della
sala.»
Ann rise dolcemente, inclinando
il capo «Non essere così modesto!»
«Motivo
numero due!» esclamò l’altro, alzando quindi il secondo dito «Il miglior
cavaliere della sala ti guiderà nelle danze.» quindi fu la volta del terzo dito
«Sarai la dama più affascinante per due sottomotivi!»
sollevò l’altra mano, contando ancora «Ci sarà la piccola Sogno, suprema regina
dell’estetica, a prepararti. E, inoltre, ti vestirai di bianco.»
«E
tu come lo sai?» rise lei, che non aveva ancora deciso che abito indossare.
«Perché
ho già provveduto a comprare l’abito più bello che ho trovato al Maxwell Shop.»
Ann rimase sbigottita, ma lui
tornò ad enumerare i motivi per cui la serata sarebbe andata divinamente prima
che ella potesse controbattere.
«Quarto
motivo: hai oggettivamente un bel carattere, capace di accattivare le simpatie
altrui, per cui ti basterà essere te stessa per risultare gradita.»
La
contadina inclinò il capo a sinistra, sinceramente scettica. Non pensava che
bastasse così poco per avere successo in una cosa simile. Però credeva di
capire il filo logico su cui Nathan aveva basato quest’ultima affermazione:
Sogno le aveva spesso raccontato della falsità delle donne a quelle feste, per
cui una ragazza sincera sarebbe risultata più… particolare? Più normale? Ma chi
era normale, alla fine?
No,
forse non aveva affatto capito il ragionamento di Nathan.
Abbassò
gli occhi con fare pensieroso, suscitando un sorriso addolcito nell’uomo, che
raccolse una delle sue ciocche more con tocco delicato, carezzandola come se
fosse stata pelle. Solo in quel momento Ann si rese
conto che erano molto più vicini di quanto aveva notato fino a poco prima, o
forse era l’oscurità che regnava nell’appartamento a renderla cieca?
Fatto
sta che colse al volo l’occasione per fiondarsi tra le sue braccia in cerca di
riparo, come spesso aveva fatto fino a quel giorno. Stranamente, quando si
trovava così vicina e stretta a lui, ogni arrabbiatura spariva, e tutte le
parole le morivano in gola. Ma forse non c’era bisogno di parole, andava bene
anche così.
Lui
la strinse, carezzandole il capo, passando le dita tra le onde di quel mare
nero e morbido, capace di donargli serenità che in assenza di lei era assente
del tutto.
Sorrise
amareggiato: si era di nuovo fatto battere dai sentimenti di Annlisette. Quelli non potevano essere i suoi, perché agli
Angeli era vietato affezionarsi a qualcuno, amare qualcuno…
Un
amore tra un Angelo e un umano era vietato dalla legge. Non solo Marcus, ma
molti altri avrebbero cercato di impedirlo, di fare del male a quell’innocente
e fragile fiore che teneva tra le braccia.
La
strinse con più delicatezza ma al contempo con fare possessivo, lasciando che
il proprio corpo aderisse a quello di lei, che avvertiva essere in preda all’imbarazzo.
Ciò lo fece sorridere, proprio come aveva fatto quando aveva sentito l’adrenalina
scorrere come un treno a massima velocità nelle vene, quando aveva visto Korlea scappare. Aveva inseguito la sua preda, come un
animale. E la sua preda in quel momento la teneva tra le braccia. Ma Ann non era solo una preda: era un bottino, un tesoro, un
fiore candido che aveva bisogno di cure. Cure che solo un Angelo poteva dare.
Ecco
cosa aveva scoperto la sera prima, quando il discorso tra quella prostituta e
il suo amante l’aveva illuminato: il modo per rendere possibile l’amore tra un
Angelo e un umano c’era, ed ora lui lo conosceva.
«Non
ti preoccupare di nulla, Ann…»
Le
sussurrò con voce suadente, tanto che la piccola ragazza cominciò a sentirsi
stranamente impotente, totalmente in suo controllo. Tuttavia non le dispiaceva
poi così tanto.
Alzò
il capo per specchiare i propri occhi in quelli di lui, dove leggeva una nuova
determinazione venata di qualcosa che non sapeva a cosa ricondurre.
Questo
perché Ann, nella sua incauta ingenuità, non
conosceva la malizia, altrimenti l’avrebbe riconosciuta.
«Ora
che ho la chiave di tutto, non ci sarà più nulla da temere.»
Lei
non li capiva i discorsi strani di Nathan, le sue chiavi di ragionamento, i
suoi percorsi logici, per lei erano oscuri e incomprensibili. Come una bambina
che cerca di giocare un gioco del padre, di quelli pieni di regole ed
eccezioni, re e regine, scacchi matti e pedine distrutte, sacrificate.
Avvicinò
le labbra a quelle di lui, concedendosi all’ennesimo bacio dolce ma stavolta
strano, con un retrogusto amaro.
Ma a
lei non importava: l’importante era restare al suo fianco.
E nemmeno
a lui importava: l’importante era averla per sé.
“Solo
io resterò al tuo fianco. E per rendere possibile l’amore tra un Angelo e un
umano… distruggerò ogni cosa si frapporrà tra noi.”
Note dell’Autrice:
Chiedo
scusa per l’immenso ritardo ;__; non sto qui a giustificarmi, spero solo che
non succeda più! Miei cari lettori, avete una pazienza di ferro se continuate a
seguire questa storia non solo lenta, ma anche molto spesso inconcludente °°
davvero, comincio a chiedermi quando smetterò di rendervi le cose difficili. Ma
se non avesse più colpi di scena, Snow non sarebbe
più Snow, non credete? Inoltre ammetto le mie colpe:
ultimamente mi sono dedicata un po’ troppo ai GdR e
un po’ troppo poco alla fic, I’m
sorry :p è stato un periodo pieno di lavoro!
Ann: Dì la verità -.- ti stai
dedicando troppo a un personaggio che non sono io!
COFF
COFF… è vero ^^” ultimamente ho creato un nuovo
personaggio a cui mi sto dedicando anima e corpo – e mi sa che ci scriverò pure
una storia *_* -, e ho trascurato i miei due vecchietti xD
*Ann e Nate la guardano male*
Un
paio di cose… ho scoperto un modo per usare velocemente i segni «…» senza
perdere ore in codici, per cui i dialoghi d’ora in poi li troverete così ^^ in
modo da non confondervi con le parentesi, che io ho sempre indicato con gli
stessi segni che usavo prima per i dialoghi.
In
secondo luogo vi vorrei proporre un piccolo sondaggio, per vedere se il mio
diabolico piano sta riuscendo xD domanda: qual è il
personaggio che più amate e quello che meno sopportate? A Nadeshiko
non pongo la prima domanda, lo so anche troppo bene che sbava dietro a Nathan
da due anni xD *Lily spera che KK indichi lei* no,
Lily, tu non ci sei in questa storia ò_ò *Lily ci
rimane malissimo*
Tornando
seri… spero che questo capitolo sia piaciuto ^-^ è un po’ più lungo e
articolato degli altri, e direi che segna una svolta. Se tutto va come sperato,
nel prossimo vedremo un po’ – un bel po’ -, di azione… anticipazioni? Ma sì,
dai, sono in vena di pubblicità!
La
sera del gran ballo è finalmente arrivata, ed Ann non
ha mai sentito tante farfalle nello stomaco - *Ann
non capisce e va in paranoia credendo di avere sul serio le farfalle nello
stomaco* -, tutto sembra procedere per il meglio, quando… una chiamata
sconvolge tutto, gettando i nostri eroi nel chaos.
Chi ha colpito a tradimento il povero Damon? E chi ha puntato i suoi occhi
assassini su Ann? Riuscirà Nathan a salvare la sua
principessa prima che questa venga raggiunta da qualcuno che li vuole morti
entrambi? *Angel mangia patatine a tradimento* Ah sì, anche lei ha una bella
parte ^^ tutto questo e altro ancora nel capitolo 22 di Snow:
Danse Macabre, non perdeterlo!
LoL xD
Sely.