impastavamo i nostri pomeriggi freddi, scaldandoli con le nostre mani, per far lievitare quell'amore che ancora non c'era e non aveva un nome. chiusi in un cassetto i nostri sogni dormivano sonni fin troppo tranquilli, sapevamo non pretendere niente da noi stessi e dalle nostre calamità interiori.
ma poi standoti accanto ho scoperto che il magnetismo non è solamente un fenomeno fisico-chimico, tu e i tuoi occhi mi attraevano come silenziatori, e insieme pian piano davamo vita al racconto che avremmo avuto da raccontare, che avremmo voluto scrivere, un giorno, e che avremmo voluto leggere, lontano.
e cercandoti ti ho trovato tra le consonanti doppie del mio nome, perché le vocali hanno un suono troppo vago e tu non eri immaginazione.
cominciammo ad inventare nuove strade parallele inesplorate dagli esploratori, nessun cristoforo colombo che ne aveva contaminato il cuore - e noi eravamo gli indigeni di quelle terre sconosciute, mai calpestate. eravamo i primi a conoscerne il sapore.
e il nostro gioco, pian piano, è diventato il catalizzatore delle nostre cellule emotive e passionali e ci sembrava che non ci saremmo mai spenti, mai, eravamo come le lampadine del tuo salotto, sempre accese ma mai stanche di illuminare il divano rosso e il tappeto orientale steso sul pavimento da troppe generazioni.
poi quelle strade sono finite ed è finita la nostra voglia di camminare, e di impastare i nostri pomeriggi freddi che non erano più nostri, e di scrivere il racconto che avremmo voluto leggere un giorno lontano.
così patetica la nostra storia d'amore.
così banalmente normale.
così bella, nella sua patetica banalità.